“Ciao Cornelio, “I omeni a la parola, i aseni a la caveza”. Cossì i ha sèmper dit i nòssi vèci, o nò !! Te mando quel che t’avevo dit, som na da me fradèl e me som fat contar el fato del “Giani monco”, ho ciapà l’ocasiom per farme contàr anca altre ròbe e m’è parèst giust slongartele anca a ti. Ciao vècio, meto zo. Gilberto
Gilberto Galvagni ha mantenuto la parola che ci aveva dato dopo aver letto la quarta punta de “El Rebalton” in Trentino, quella sulle tragedie provocate dai residuati bellici negli anni successivvi alla fine del secondo conflitto mondiale. Cosa ci aveva promesso l’amico Gilberto? Di indagare su un episodio, gravissimo, verificatosi nel 1945 ad Arco.
Ecco dunque la testimonianza raccolta da Gilberto dal fratello Gianfranco Galvagni. (Cornelio Galas)
1945, UN TRAGICO “GIOCO” CON LE BOMBE
IN CENTRO AD ARCO
Testimonianza di Gianfranco Galvagni
” … nel ’45 avevo 7 anni ed anche se bambino ho dei ricordi molto vivi, proprio perché, bambini, noi si vivevano gli eventi, anche se drammatici, come fossero un’ avventura. A quel tempo abitavo in “casa Morghen” (… en la Vila De Paris… sora ‘l Morandèl, al terzo piano … en do’ che adèss ghè el Moser sport, pròpi de front a la Vila Igea (attuale Cassa Rurale), en do che fim al ’45 gh’era el comando dele SS col comandante Hamort).
Rammento bene dei militari tedeschi che nelle ore di svago giocavano a “balonzina” innanzi alla veranda, come ricordo bene gli spari degli stessi durante la loro ritirata che ha determinato un enorme “spargimento” di munizioni e di bossoli su una vastità di territorio cittadino.
Con l’arrivo degli americani vi è stata una necessaria bonifica, i proiettili venivano posti e accatastati in vari luoghi, io ricordo delle pile di fronte al Casinò (innanzi alla attuale fontana luminosa) o dietro allo stesso, nello spazio fra l’entrata del Cinema Impero (gestito dalla mia nonna Camilla Galvagni) ed il vespasiano pubblico ivi esistente; i bossoli ovviamente erano parte quotidiana dei nostri giochi infantili … ma non solo, noi bambini spesso si aspettava l’arrivo dei “Doge” (camion americani) e di nascosto vi si saliva sopra per rubare scatolami ed altre cose da mangiare … la fame era all’ordine del giorno ed ogni occasione per farvi fronte si sfruttava!
Qualche volta arrivava qualche pedata, ma mai con cattiveria …. solo una volta rammento che un amico (… en Leoni da Stranfò r… me par che ‘l se ciamess Loris … noi scampévem che i calcagni i ne tochéva ‘l cul), lù i l’ha ciapà e i l’ha serà denter en de ‘n carro armato …
Di carri armati (i famosi Scherman), ve ne erano sempre tre dislocati dietro il Casinò di fronte al palazzo delle Palme, una volta nel fare manovra alla curva dove vi è l’entrata al Salone delle Feste, un carro armato urtò l’angolo basso della colonna portante la soprastante terrazza, ancor oggi si nota lo spostamento alla base della colonna stessa.
Quando noi si riusciva a recuperare qualche cosa lo si nascondeva nello scantinato sotto il pavimento (allora di legno) della veranda del Casinò, si entrava da un buco del pavimento stesso, ed era il “nostro regno”, anche se lo si poteva definire un deposito di immondizie e/o di resti ospedalieri che erano stati li depositati dagli americani.
Se i tedeschi giocavano a “balonzina”, gli americani spesso giocavano con la palla da bésbol proprio innanzi a casa mia, nello spazio sotto le piante di ippocastano di fronte al Sanatorio “Serena”, dove allora e per molto tempo dopo, cerano i posteggi delle carrozze.
Per noi era uno spasso anche il rubare le “stiche de goma mericana” dalle molte “gip” posteggiate sul viale delle Palme innanzi al Casinò … per noi appunto era un’avventura e come tale la vivevamo. Ma vi fu anche una tragedia … Dicevo prima che avevamo la possibilità di giocare con residuati bellici, erano ovunque … all’altezza dell’attuale ex tennis, alcuni ragazzi trovarono una bomba a mano (… de quele a forma de ananas …), se la passavano di mano in mano … io ero appoggiato al muretto della Villa Igea e vedendoli arrivare mi sono aggiunto a loro nel gioco.
Girato l’angolo e salendo verso la chiesa, proprio di fronte all’entrata dei rifugi antiaerei che esistevano sotto i giardini a lato dell’attuale Cassa Rurale, il gruppo iniziò a litigare per determinare la proprietà dell’ordigno. Caso vuole che in quel preciso momento passò la signora Ines Berlanda … mi prese per mano e mi portò via da quel luogo. Nel breve tempo altri si erano allontanati e la disputa continuò fra due ragazzi. Io con la signora Berlanda si stava per raggiungere l’omonima fioreria della sua famiglia … uno scoppio, un boato che ancora risuona nelle mie orecchie.
Un bambino del quale non ricordo il nome ma che per noi era “el Pasolét”, comparve urlando, trattenendo a stento le interiora e cadde. L’’altro ragazzo, il Gianni Rebucci, anche lui del ’38 come me, era a terra in condizioni pietose. Gli americani che avevano preso alloggio presso la Villa Igea (…’n do che prima gh’era i todeschi) udendo la deflagrazione (… na fortuna che i era lì vizini …), prestarorno i primi soccorsi, (le prime trasfusiom, i diss de sangue de caval) e vista la gravità della situazione lo portarono via, (me par nel veronéss).
Tornò in quel di Arco moltissimo tempo dopo, ma portò per tutta la vita i segni di quel tragico gioco. Il suo corpo era tutto una cicatrice, sul volto, sul cranio. Tutto il corpo era martoriato. Perse un occhio, una mano fino quasi al gomito … tremendo !! Noi tutti bonariamente e senza offesa, lo chiamavamo “el Giani monco” Da quel giorno noi bambini imparammo a “nostre spese” di quanto pericolosi fossero certi “giocattoli”. Visse la sua vita ben voluto da tutti, un bonario amicone di tutti e fu per tutti un esempio vivente, giorno dopo giorno della stupidità della guerra!