ALTO ADIGE, GLI “OSTAGGI” DI HITLER – 4

a cura di Cornelio Galas

HOTEL LAGO DI BRAIES

Dopo la prima costruzione di una casetta in riva al lago di Braies nel 1890, nel 1897 il padre di Emma Hellenstainer, Eduard, affidò all’architetto viennese Otto Schmid l’incarico di costruire un nuovo grande hotel (“Pragswildsee”), che venne inaugurato il 10 luglio 1899. Ebbe subito successo e già nel 1903 dovette essere ampliato, con l’aggiunta di altre 35 camere alle precedenti 70. Nel 1910 si arrivò a 110, per 160 letti complessivi. Basti pensare che nei soli anni 1902-1903 si contarono 1930 clienti, per un totale di circa 20.000 pernottamenti. Tra gli ospiti illustri il successore al trono austriaco Francesco Ferdinando con la famiglia e il seguito (1910), l’arciduca Francesco Salvatore (1908) e l’arciduchessa Valerie (1906). (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 185).

Il capitano Wichard von Alvensleben il giorno lunedì 30 aprile ritenne conveniente trasferire subito gli ostaggi da Villabassa all’hotel “Lago di Braies” (“Hotel Pragser Wildsee”), ritenendo il luogo più sicuro, fuori dalla zona di combattimento. Il compito della loro custodia fu affidato al cugino, capitano Gebhard von Alvensleben, appena giunto
da Milano, al comando di 80 uomini.

BOGISLAV VON BONIN

Il colonnello Bogislav von Bonin (con l’uniforme) svolse un ruolo importante nelle trattative e fu sempre, assieme all’inglese Best, il “portavoce” delle istanze degli ostaggi. (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 245).

Gli ostaggi, radunati presso il municipio di Villabassa, sotto una fitta nevicata, vennero portati verso le ore 16 su dei camion fino all’hotel, incastonato a 1496 metri di altitudine in un meraviglioso contesto dolomitico. I mezzi non riuscirono a percorrere l’intero tragitto e l’ultimo tratto dovette essere fatto a piedi nella neve alta.

L’hotel, destinato alle vacanze estive, disponeva solo di poche stanze riscaldate, ma per i prigionieri si trattò di un autentico ritorno alla vita: avevano viveri a sufficienza, potevano muoversi abbastanza liberamente attorno al lago ed intrattenere tra loro normali relazioni.

EMMA HEISS-HELLENSTAINER

Emma Heiss-Hellenstainer, proprietaria dell’hotel “Lago di Braies”, accolse volentieri gli ostaggi e cercò in ogni modo di lenirne i disagi. Nata nel 1888 a Villabassa, era nipote della leggendaria “Frau Emma” che aveva introdotto il turismo in questo lembo del Tirolo e gestito per anni da sola lo “Schwarzer Adler”. (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 194).

Assistevano alle funzioni religiose nella vicina cappella e disponevano di una sorta di comitato, presieduto dal capitano inglese Payne Best, che aveva come vice il colonnello tedesco Bogislav von Bonin e come garante il capitano di fregata Franz Liedig.

A tutte le necessità di quella inusitata comunità provvedeva con solerzia e generosità la stessa proprietaria Emma Heiss-Hellenstainer.

CARTELLINI OSPITI

Cartellini dei prigionieri liberati con la firma ed il numero della stanza, ancor oggi conservati nell’archivio dell’hotel. (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 223).

Uno degli ostaggi, Isa Vermehren, così descriverà quei giorni di Braies: “Le frontiere nazionali non erano più un ostacolo insuperabile, ma soltanto lo steccato e il giardino dell’altro, il cui cancello era spalancato ed invitava ad entrare.

Neppure le lingue diverse ci separavano, la maggior parte riusciva a ritrovarsi nella lingua dell’uno o dell’altro e a nessuno mancavano le espressioni pur rudimentali per esprimere allo straniero nella sua lingua un saluto, un grazie o prego. Sembrava che si stesse realizzando un sogno, anche se in forma di microcosmo: un’Europa unita, serena, un mondo sereno ed inebriante nel quale regna la pace”.

IL LAGO DI BRAIES OGGI

Lo stupendo comprensorio di Braies conserva ancor oggi tutto il suo fascino ed è meta ambita di un turismo internazionale, anche per merito della dr.ssa Caroline M. Heiss, che continua nell’impresa iniziata dalla nonna ed ha contribuito non poco alla realizzazione di questa mostra. Scriveva uno degli ostaggi, Fey von Hassell Pirzio Biroli: “Non potevo staccare lo sguardo dalla mia finestra”

In verità non era proprio così, perché la situazione militare e politica non era ancora del tutto chiarita. Risulta infatti che la polizia segreta di Klagenfurt aveva intenzione di riappropriarsi degli ostaggi e che il capo della Gestapo di Sillian Hans Philipp, poco prima di uccidersi il 4 maggio, aveva ricevuto addirittura l’ordine di provvedere alla loro eliminazione e di ciò era stato messo al corrente il parroco di Sillian Josef Hanser.

CARTOLINA

L’albergo “Lago di Braies” prima del suo ampliamento in una vecchia cartolina. Tra gli ospiti illustri era annoverato pure il principe ereditario austriaco Francesco Ferdinando con la sua famiglia. (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 277).

Il gruppo degli italiani, ovvero Mario Badoglio, figlio del maresciallo Pietro, il ten colonnello Davide Ferrero, il generale Sante Garibaldi, Tullio Tamburini, capo della polizia nella Repubblica di Salò, ed Eugenio Apollonio, vice-capo della stessa polizia, ebbero il permesso di alloggiare, in cambio della loro parola d’onore di non fuggire, presso la casa Wassermann a Villabassa.

LA GENEROSA PROPRIETARIA

Nel 1897 Emma Hellensteiner sposò a Bressanone Wolfgang Heiss ed ebbe tre figli. Riuscì con molte difficoltà e nonostante vari problemi di salute, a superare la crisi turistica degli anni ’30, occupandosi pure dello storico albergo “Elephant” a Bressanone, di proprietà della famiglia del marito. E’ morta nel 1959, lasciando un ricordo incancellabile di donna coraggiosa, intraprendente e generosa. (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 270).

ISA VERMEHEREN

Tra gli ostaggi c’era pure Isa Vermeheren, famosa cabarettista del locale di Werner Finck “Katacombe” a Berlino, che ha lasciato una lunga relazione scritta della sua odissea, pubblicata una prima volta nel 1947 e poi nuovamente nel 1998.

L’ALBERGO NEL 1931

L’hotel “Lago di Braies” in un’immagine scattata il 13 agosto 1931, che evidenzia in tutta la sua lunghezza il complesso edificato in pietra naturale locale. (foto tratta da Hans-Günter Richardi, Ostaggi delle SS nella Alpenfestung, ed. Raetia, Bolzano, 2005, 280.

L’azione a Braies dei partigiani

cadorini della Brigata “Calvi”

PARTIGIANI DOPO BRAIES

Cortina, maggio 1945: alcuni degli uomini che hanno partecipato all’operazione Braies festeggiano la fine del conflitto.

L’intervento dei partigiani cadorini della Brigata “Calvi” e la sua valenza nella soluzione della vicenda sono rimasti piuttosto trascurati in tutte le ricostruzioni della cosiddetta Operazione Braies.

Secondo la Relazione ufficiale della Brigata, i fatti si sarebbero svolti nel modo seguente:
Il 30 aprile, in seguito evidentemente alla mossa del generale Garibaldi, una staffetta della “S.A.P.” di Villabassa si presentava all’“I.G.M.” di Dobbiaco per comunicare che gli ostaggi di Braies desideravano collegarsi coi partigiani, chiedendo viveri e un immediato intervento militare, temendo di venir fucilati.

TRE PARTIGIANI

Vittorio Sala “Sandro” e Carlo Orler “Alberto” protagonisti dell’operazione Braies assieme a Gugliemo Celso “Nemo” comandante della piazza di Pieve di C. subito dopo la liberazione.

L’Istituto inviava immediatamente dei viveri e forniva assicurazioni circa un suo intervento presso i partigiani, coi quali già da tempo teneva stretti contatti. Due delegati del “Comando Brigata”, Vittorio della “Missione Militare Americana” e Rossi della Brigata “Calvi”, con un caporale tedesco del Comando di Dobbiaco, si recarono a Villabassa per trattare la resa di tutta la Pusteria e la liberazione degli ostaggi.

ANGELO DA COL E VITTORIO SALA

Angelo Da Col “Faustino” e Vittorio Sala “Sandro” festeggiano euforici subito dopo l’operazione Braies.

Al “Comando Piazza” trattarono con il Colonnello Comandante, al quale fu comunicato che se non avesse accettato la resa, i partigiani cadorini sarebbero scesi dalle montagne a dar battaglia. Il Colonnello accettò la resa, ma per trattare l’incolumità degli ostaggi li portò dal Comandante delle SS da cui dipendevano i prigionieri politici.

Tutti assieme andarono perciò al municipio di Villabassa, dove si trovavano Garibaldi, Ferrero, Tamburini, Apollonio ed altri ancora. Dopo lunghe trattative si addivenne a questo accordo: le SS sarebbero state sostituite da un reparto della Wehrmacht, che avrebbe dovuto difendere le personalità contro eventuali azioni dei reparti tedeschi in ritirata fino al loro prelevamento e trasporto in luogo più sicuro ad opera dei partigiani;in cambio si garantiva l’incolumità degli ufficiali e soldati di quel Comando.

Gruppo di partigiani della “Calvi” a Cortina nel maggio 1945 durante una commemorazione dei caduti nella lotta di liberazione. Archivio Giovanni De Donà Vigo di C.

Brigata Calvi e Lino De Luca nel giugno 45 a Belluno alla consegna delle armi. Archivio Giovanni De Donà Vigo di C.

Risulta che il 30 di aprile, a Villabassa, il colonnello Ferrero aveva già tentato di convincere Schuschnigg a mettersi sotto la tutela dei partigiani che erano in contatto con lui e con Garibaldi e che avevano il quartier generale a Cortina. Schuschnigg tuttavia aveva rifiutato per molti motivi, fra i quali il patto sottoscritto da tutti gli ostaggi di non separarsi.

LETTERA COMANDO BELLUNO

Comunicazione del 1° maggio 1945 a firma di Vittorio Somenzi della Missione americana, con la notizia della liberazione degli ostaggi e la richiesta urgente di almeno tre camion per il loro trasporto.

Il giorno 2 giunse però improvvisa al Comando della “Calvi” la notizia che il s.ten. Kokorin, che conosceva molte cose della prigionia e della sorte del figlio di Stalin, Jacob Dzugasvili, catturato dai tedeschi e finito ucciso in un tentativo di evasione ad Oranienburg il 16 aprile 1943, desiderava essere liberato immediatamente.

Allora Carlo Orler, Commissario partigiano alla sicurezza, dopo aver contattato due agenti segreti francesi (De Michel e Lussac), ordinò a Vittorio Sala “Jack”, che in quel momento si trovava a Cortina, di andare in Pusteria a prelevare il sovietico. A lui si unirono Silvino Verocai, che conosceva bene le lingue straniere, e il comelicese De Mario, guidatore di una “Balilla” targata BZ 4005.

IL FIGLIO DI STALIN

Il prode Jacob Dzugasvili, rinnegato dal padre Stalin: “Non ho nessun figlio di nome Jacob” proclamò il dittatore alla stampa mondiale dopo la cattura del giovane tenente.

Orler li accompagnò fino a Villabassa e poi il “commando” raggiunse l’albergo del lago di Braies. Mentre i soldati tedeschi stavano in silenzio, gli ostaggi, parlando in inglese coi partigiani, si dimostravano sereni sulla propria sorte e preferivano rimanere in attesa fiduciosa dell’arrivo, ormai prossimo, degli americani.

AL MOMENTO DELLA CATTURA

Jacob Dzugasvili, figlio di Stalin, appena catturato dai tedeschi. Finì ucciso in un tentativo di evasione ad Oranienburg, dove aveva come compagno di prigionia il s.ten Wassilij Kokorin e Thomas Cushing, entrambi tra gli ostaggi arrivati a Braies.

Solo un ufficiale russo insistette perché i partigiani lo prelevassero ed accompagnassero al più presto alla rappresentanza diplomatica sovietica in Italia: Wassilij Wasiljewitsch Kokorin, presunto nipote del ministro degli esteri russo Molotov e giovane sottotenente dell’aeronautica dell’Armata Rossa.

Finito prigioniero dei nazisti durante una missione nel 1942, aveva condiviso la prigionia col figlio di Stalin, della cui morte era stato effettivamente testimone. Kokorin appariva nervoso: probabilmente i suoi segreti andavano al di là di quanto asserito, forse temeva di poter diventare in qualche modo un nuovo ostaggio degli americani.

TENTATIVO DI FUGA O SUICIDIO?

Pare che il figlio di Stalin fosse rimasto fulminato sulle reti del campo di concentramento in un disperato tentativo di fuga. Ma si parlò anche di suicidio e forse solo il compagno Kokorin avrebbe potuto dissipare i dubbi su quelle tragiche circostanze

Per tranquillizzarlo Sala gli prestò la sua pistola e il “commando” partigiano decise di rapirlo seduta stante. I tre partigiani e il nipote di Molotov, che lasciò peraltro a Gebhard von Alvensleben una dichiarazione scritta sul suo volontario allontanamento, si diressero di corsa verso la “Balilla” ferma ai margini del prato, vi si buttarono dentro e scapparono, senza che i tedeschi manifestassero alcuna reazione.

IL BIGLIETTO DI KOKORIN

Biglietto vergato e firmato di suo pugno da Vassilij Kokorin, con la data di nascita e il suo indirizzo di Mosca. Esso fu affidato a Vittorio Sala a Borca di Cadore.

Il camion con partigiani della “Calvi” in partenza alla volta di Villabassa. Archivio Giovanni De Donà Vigo di C.

I primi carri armati americani entrano a Pieve di C. il 2 maggio 1945. Racc. Arturo Fornasier.

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