2ª GUERRA MONDIALE, SEGRETI AMERICANI – 11

a cura di Cornelio Galas

Al principio di giugno del 1941, l’ambasciatore Winant tornò a Washington per riferire e Averell Harriman partì in volo da Londra per un giro d’ispezione nel Medio Oriente, onde rendersi conto personalmente dei vari problemi connessi alle forniture americane.

Averell Harriman

Averell Harriman

Fu un breve periodo di stasi fra due crisi quello che permise ai due uomini di lasciare il loro posto. Hopkins trovò grande interesse nel quadro della situazione, presentatogli da Winant e scritto da un osservatore dell’esercito americano a Londra:

La situazione dell’Impero, sembra in complesso, peggiorata. La pressione che esercita la Germania è troppo grande, per poter essere subito frenata. Tuttavia io spero che i Tedeschi come una lava, possano scorrere tant’oltre dalla bocca del vulcano, che la fiumana si plachi e cessi del tutto.

Sarebbe una disgrazia che il Medio Oriente cadesse in loro mani, ma se ciò calamiterà lo sforzo tedesco, almeno per l’estate, non sarà poi tanto male.

Credo ancora che i Britannici potrebbero resistere ad un’invasione. Sarà una lotta dura e sanguinosa, ma non ci si deve lasciare ingannare da quanto è successo a Creta. Non so a che scopo o per quale idea la R.A.F. abbia ritirato da Creta tutti i suoi apparecchi, quando ne sarebbero bastati pochi per recare seri danni alle truppe da sbarco tedesche.

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La decisione qui incontra le più serie critiche e non bastano le ragioni tecniche a spiegare l’errore commesso. D’altra parte non credo e non vedo come l’Impero Britannico possa battere la Germania senza l’aiuto di Dio e dello Zio Sam. Forse avrà l’uno e l’altro. Dio finora è stato indubbiamente a fianco dei battaglioni tedeschi, ma può cambiare partito.

Il rapporto delle forze, attualmente è ancora troppo sbilanciato: 80 milioni di tedeschi in un unico blocco + il lavoro di n schiavi + 8 anni di intenso riarmo ed organizzazione + un fanatismo cieco, contro 70 milioni d’Inglesi sparsi in quattro continenti, + 0 schiavi + solo 3 anni di riarmo effettivo, senza alcuna mobilitazioneindustriale + ostinato proposito.

Il ritornello è sempre valido: “L’uomo grosso batterà sempre il piccolo”. Quale sia la nostra posizione e la politica di casa nostra è difficile capire a questa distanza.

Di qui si ha l’impressione che tutti i passi da noi fatti in aiuto dell’Inghilterra, seguano sempre e non precedano, lo sviluppo degli avvenimenti. La lentezza è grande e può essere troppa. Ha già avuto seri effetti nel pigro e rassegnato collasso della Francia.

Io non discuto che esso potesse dimostrarsi anche più pigro, ma non si vede ancora nessun segno di risveglio, né di resistenza fra i Francesi. Sono flaccidi come uno straccio bagnato.

Ad ogni modo, se dovessimo trovarci in guerra, spero che non lo faremo a metà. La guerra totale impone di gettare nella fornace subito tutto quello che si ha a disposizione, forze militari, navali, aeree, economiche, morali, le stesse stufe di cucina e sostituirle presto con tutto ciò che si può preparare in gran fretta e senza risparmio.

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Qualcuno ora si chiede, dopo un anno, se la decisione di difendere tutto l’Impero sia stata molto indovinata. Ma ogni altra decisione, allora, (dopo il crollo della Francia) sarebbe stata militarmente impensabile, per non dire addirittura contraria al carattere e alla tradizione britannica.

La similitudine della lava piacque molto ad Hopkins poiché era l’unica nota ottimistica in un quadro piuttosto nero della situazione. Hopkins era in apparenza, uno “scetticone” di quelli che fan professione di vedere le cose sempre dal loro lato peggiore: ma, nel suo intimo, era un incorreggibile ottimista, come era stato suo padre e come egli stesso dimostrò più volte di essere, scommettendo su casi veramente disperati.

Roosevelt

Roosevelt

Il suo ottimismo fu rafforzato dall’amicizia con Roosevelt e con Churchill, che erano tra gli ottimisti più olimpici che si siano mai dati. Chi li frequentava difficilmente si sapeva sottrarre al fascino che emanava dalla loro calda fiducia in tutto e in tutti. (È materia per gli storici considerare se, senza l’ottimismo di questi capi alleati nelle ore più buie, i Tedeschi e i Giapponesi non avrebbero vinto la guerra: furono i pessimisti tipo Pétain, Darlan e Weygand, che provocarono una rapida disfatta).

L'ammiraglio Turner

L’ammiraglio Turner

Per tutta la settimana del 16 giugno, Hopkins ebbe colloqui con l’ammiraglio Stark, con l’ammiraglio Turner ed altri, in rapporto alla spedizione d’Islanda. Vide anche Arthur Purvis, Jean Monnet, l’australiano Sir Clive Baillieu e il maresciallo dell’Aria Harris, con il maggiore Victor Cazalet della delegazione britannica.

Sir Clive Baillieu

Sir Clive Baillieu

Ebbe la visita della principessa Giuliana d’Olanda e di suo marito principe Bernardo. (Per la precisione, una mattina alle 8,30 egli ebbe ospiti a colazione, in camera sua alla Casa Bianca, il principe Bernardo e il sindaco La Guardia, che certo avrà portato la sua bella nota melata all’agrodolce della conversazione).

E vide il segretario alla Guerra, quello alla Marina, il ministro delle Poste, generale Frank C. Walker, il segretario al Commercio Jesse Jones, Marriner S. Eccles, William S. Paley, il generale S. D. Embick e molti altri.

Il sabato Hopkins si prese un giorno di vacanza e andò alle corse. Fu la notte del 21 giugno, in cui giunse la notizia che Hitler aveva invaso l’Unione Sovietica. Hopkins sulle prime pensò: “La politica del Presidente in appoggio alla Gran Bretagna ha dato i suoi frutti! Hitler si è rivolto a sinistra”. Ma non fu che un momento, perché si trovò subito a dover affrontare il formidabile problema degli aiuti alla Russia.

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Gli isolazionisti accolsero la notizia dell’invasione con immediate manifestazioni d’esultanza. Erano stati assai imbarazzati dall’allineamento comunista coi nazisti e Roosevelt ne aveva tratto un enorme vantaggio agli occhi del popolo americano.

Ma ora erano liberi di tornare al primo ritornello, che il nazismo rappresentasse l’ultimo baluardo contro il bolscevismo. Curioso l’episodio in cui mi trovai implicato la stessa domenica in cui Hitler lanciò il proprio attacco.

Avevo l’incarico di presenziare a una riunione di “Battaglia per la libertà”, nella sala da ballo della Porta d’Ora ad Harlem. Faceva un caldo insopportabile e non c’era la più piccola ombra d’aria condizionata nel locale. Entrando avevamo dovuto passare attraverso uno stretto cordone di gente (evidentemente comunista), ferma a far da picchetto con cartelli d’accusa contro i “guerrafondai” del comitato di Battaglia per la Libertà, strumento dell’imperialismo britannico e di Wall Street. Era grande il getto di manifestini che incitavano ad iniziare una “marcia nera” su Washington per chiedere l’eguaglianza e la pace!

Herbert Agar

Herbert Agar

I comunisti erano molto attivi fra la popolazione negra. Noi passammo attraverso lo schieramento e ci avviammo al convegno, in cui dovevano parlare Herbert Agar e Dorothy Parker. Il bello fu dopo: quando lasciammo la sala da ballo della Porta d’Oro, un’ora e mezzo dopo il partito comunista aveva ricevuto nuove istruzioni e da Mosca ad Harlem era venuto l’ordine di mutar programma, cambiando completamente l’orientamento del partito.

Dorothy Parker

Dorothy Parker

Lo schieramento era scomparso. Il giorno dopo, il Daily Worker era filo-britannico, favorevole agli affitti e prestiti e interventista e, per la prima volta da due anni a quella parte, rooseveltiano.

Fra i primi dell’amministrazione a mettersi in linea con i nuovi impressionanti avvenimenti fu il segretario alla Guerra, Stimson. Egli scrisse infatti al Presidente:

In queste ultime trenta ore, non ho fatto altro che riflettere molto sulla guerra russo-tedesca e sulle sue possibili conseguenze politiche. Per chiarire le idee ho passato la giornata a colloquio con il capo di Stato maggiore e con gli uomini dell’Ufficio operazioni dello Stato maggiore generale.

Sono lieto di poter dire che ho trovato una sostanziale unanimità d’opinione sulla politica che dobbiamo seguire. E mi conforta ancora di più il fatto che il loro punto di vista coincida perfettamente con il mio.

Stimson

Stimson

Primo – Questo è il loro pensiero sui fatti conosciuti: La Germania sarà totalmente impegnata per un mese o al massimo per tre, per battere la Russia. In questo periodo dovrà dunque rinunziare a premere sugli altri teatri di guerra o perlomeno dovrà rallentare il suo sforzo cioè:

a) rinunciare ad ogni invasione delle isole britanniche;
b) rinunciare ad attaccare l’Islanda o ad impedirci di occuparla;
c) rinunciare alla pressione sull’Africa occidentale a Dakar e nell’America del Sud;
d) rinunciare a minacciare il fianco destro degli Inglesi in Egitto, dall’Irak, dalla Siria o
dalla Persia;
e) diminuire con tutta probabilità la pressione in Libia e nel Mediterraneo.

Secondo – Sono tutti del parere che questo prezioso e imprevisto periodo di respiro debba essere sfruttato per organizzarci pienamente e rapidamente nel teatro d’operazione dell’Atlantico.

Pensano che una nostra azione in tal senso sia il modo migliore di aiutare la Gran Bretagna, demoralizzare la Germania e rafforzare la nostra difesa contro il pericolo per noi più imminente.

Come sapete Marshall ed io siamo stati a lungo tormentati dal timore di agire forse prematuramente nei due maggiori teatri dell’Atlantico, quello di nord-est ed il Brasile, data la scarsità di forze navali e mercantili ed una troppo incerta superiorità marittima per fare una politica di forza nell’America del Sud.

Entrando ora in guerra contro la Russia, la Germania ci ha sollevati da un gran peso e ci ha convinti ad agire prontamente e ad affrontare il pericolo iniziale prima che essa abbia di nuovo mano libera dopo la sconfitta della Russia.

Per me l’azione della Germania è provvidenziale. Quest’ultima dimostrazione della perfidia e dell’ambizione nazista, vi schiude la porta della vittoria nella battaglia dell’Atlantico settentrionale, permettendovi di organizzare la difesa del nostro continente nell’Atlantico meridionale e di sperare nel successo di qualunque vostro programma futuro.

L’opinione del Dipartimento della Guerra che la campagna di Russia potesse durare “da un minimo di un mese a un massimo di tre” non si scostava di molto dal pensiero delle autorità militari britanniche, benché queste si dimostrassero più riservate, per non vedersi smentire da qualche “miracolo”.

Harry Lloyd Hopkins

Harry Lloyd Hopkins

Hopkins conobbe il loro punto di vista sulla situazione un settimana dopo l’inizio dell’invasione: “È probabile che la prima fase, comprendente l’occupazione dell’Ucraina e di Mosca, duri come minimo tre settimane o al massimo sei e più”. (sottolineo queste parole).

Le autorità britanniche affermavano inoltre:

Il tentativo di una invasione del Regno Unito può considerarsi per ora scartato, poiché la maggior parte delle forze aeree tedesche e le più grosse formazioni terrestri sono impegnate ad est. Ma non sarà male ripetere che ciò è solo temporaneo.

Se la campagna di Russia sarà una campagna lampo della durata massima di tre o quattro settimane, entro quattro o sei settimane seguenti possiamo di nuovo trovarci a dover considerare un nuovo concentramento di forze in Occidente.

Se la campagna dovesse durare di più, queste cifre subirebbero una variazione in aumento di due settimane. (Quanto a Ribbentrop, secondo Ciano, pensava che “la Russia di Stalin sarebbe stata cancellata dalla carta del mondo entro otto settimane”).

Senza badare a tutte queste predizioni, Churchill diede una immediata risposta all’iniziativa di Hitler. Ricevette la notizia una domenica mattina presto, mentre si trovava, naturalmente, in campagna.

Lord Beaverbrook

Lord Beaverbrook

Conferì quel giorno stesso con Beaverbrook  e con Sir Stafford Cripps, allora ambasciatore inglese a Mosca, che era tornato in patria per dare relazione del fallimento totale di tutti i suoi sforzi per attirare la Russia nell’orbita della politica inglese.

Beaverbrook, per quanto fosse difficile pensarlo dato il carattere dell’uomo, si schierò immediatamente in favore di un illimitato e immediato aiuto ala Russia e fu poi un ardente, tenace e talvolta (per Churchill), imbarazzante sostenitore del secondo fronte.

Sir Stafford Cripps

Sir Stafford Cripps

In seguito alle insistenze dei due uomini ed obbedendo alle sue stesse inclinazioni,Churchill, dopo rapida consultazione telefonica con gli altri ministri del Gabinetto, pronunciò alla radio uno dei suoi più potenti discorsi.

Disse: “Nessuno più di me è stato un tenace oppositore del comunismo, in questi ultimi venticinque anni. Non voglio ritrattare parola di quanto ho detto, ma tutto ciò passa in seconda linea davanti allo spettacolo che ci si pare ora dinanzi”.

E, riferendosi a Hitler in termini espressivi, continuò:

Questo vampiro avido di sangue vuol lanciare i suoi eserciti motorizzati su nuovi campi di massacro, di saccheggio e di devastazione. Poveri come sono i contadini, gli operai e i soldati russi, egli ruberà loro il pane quotidiano; divorerà i loro raccolti; li spoglierà del petrolio che serve a condurre gli aratri e produrrà una carestia senza esempio nella storia umana.

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Porterà strage e rovina al popolo russo, con la sua vittoria –se la otterrà – poiché non l’ha ancora ottenuta.

E questo non sarà che il primo passo del suo rullo compressore per schiacciare successivamente i quattrocento o cinquecento milioni di abitanti della Cina e i trecentocinquanta dell’India, travolgendoli nell’abisso della degradazione umana, sul quale sventolerà come emblema il diabolico simbolo della svastica.

Non si esagera affermando in questa sera d’estate che la vita e la felicità di mille milioni di altri uomini sono minacciate dalla brutale violenza nazista.

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Churchill proclamò che era intenzione del Governo di Sua Maestà dare ogni possibile aiuto alla Russia e al popolo russo. Non so se il giorno prima del discorso egli abbia comunicato per telefono o per telegrafo con Roosevelt, ma ho l’impressione di sì.

Dopo quel discorso infatti, Roosevelt si sentì spinto a fare altrettanto. La Casa Bianca venne inondata da una enorme quantità di consigli e suggerimenti su quanto avrebbe dovuto dire il Presidente. I più acuti e intelligenti fra essi furono così riassunti in un promemoria di Herbert Bayard Swope per Hopkins:

Herbert Bayard Swope

Herbert Bayard Swope

Noi siamo contrari alla formula comunista quanto a quella nazista. In ventidue anni d’esperienza comunista, i nostri interesse ed il nostro tenore di vita nazionale non sono mai stati seriamente minacciati dai sovietici.

Ma in questi due anni di guerra, da quando è iniziata la folle avventura di Hitler verso l’asservimento del mondo, la nostra esistenza di popolo libero è stata messa in grave pericolo.

Agiscono fra di noi, tentano di dividerci, numerosi “Quisling” in potenza. Essi hanno cercato di creare divergenze di razza e di religione, hanno promosso la pace e la tranquillità sotto il dominio di Hitler.

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Ora sappiamo che tragedia sarebbe una pace con i nazisti. Ora vediamo qual’è il destino il destino di quindici nazioni che, ad una ad una, si lasciarono illudere dalle promesse naziste.

Noi non siamo per i comunisti, ma siamo contro tutto ciò che è propugnato da Hitler. Egli e i suoi nazisti senza Dio sono una continua minaccia alla pace, alla giustizia, alla sicurezza del mondo. La nostra salvezza sta solo nella loro disfatta. Oggi, come sempre, dobbiamo tenere presente che la nostra arma migliore sta nell’unità: il nostro pericolo più grande nella discordia.

Joseph E. Davies

Joseph E. Davies

Joseph E. Davies scrisse a Hopkins quest’altro promemoria, due settimane dopo l’inizio delle ostilità in Russia:

La Resistenza dell’esercito russo è stata più efficace di quel che si potesse credere. Con tutta probabilità il risultato finale dipenderà dalla supremazia aerea.

Se Hitler avrà il dominio del cielo, accadrà nella Russia Bianca e in Ucraina quello che è successo nelle Fiandre e in Francia, cioè, le truppe di terra prive di una protezione aerea non si potranno opporre agli attacchi combinati delle forze aeree e della fanteria motorizzate.

In tal caso, Hitler occuperà la Russia Bianca, Mosca e l’Ucraina, com’è facile, si troverà presto a dover affrontare questi tre problemi principali, di fronte alla ritirata di Stalin:
1) Guerriglia ed attacchi alle spalle;
2) Sabotaggio delle popolazioni, ostili ad ogni straniero che tenti di invadere “la Santa
Madre Russia”;
3) Occupazione ed organizzazione dei territori conquistati, perché producano quanto è necessario.

Nel 1918, in circostanze affatto simili, i Tedeschi scoprirono in Ucraina di non poter ottenere che l’80% dei prodotti agricoli ed industriali, che avevano ragionevolmente calcolato di poter produrre.

Joseph E. Davies con Stalin

Joseph E. Davies con Stalin

È evidente perciò, che sarebbe nello stesso interesse di Hitler avanzare proposte di pace che inducano Stalin a scendere a un accordo basato sullo “status quo” in modo da lasciargli mano libera, verso l’est e verso il sud, in Cina e forse in India.

Pur ammettendo che Hitler si possa impadronire dell’Ucraina e della Russia Bianca, Stalin potrà resistere senza dubbio per un tempo assai considerevole sugli Urali. Sono due le circostanze che gli potrebbero impedire la resistenza:

1) Una rivoluzione interna che rovesci Stalin e ponga al potere per mezzo di un colpo di Stato, un trotzkista filo-tedesco che farebbe la pace con Hitler. Possibilità assai problematica, data la tendenza del popolo russo ad essere unanime con il proprio governo di fronte ad un attacco straniero contro il territorio della “Santa Madre Russia”;

2) La possibilità che Stalin stesso voglia scendere a patti con Hitler. Stalin è un orientale freddo e realista e l’ha dimostrato più di una volta. Non è improbabile che egli lo dimostri di nuovo, scegliendo la pace con Hitler come il minore fra i due mali. Egli crede che la Russia sia circondata da nemici capitalisti. Nel ’38 e nel ’39 egli non ebbe fiducia nella buonafede della Gran Bretagna e della Francia e non credette che le democrazie avrebbero potuto contrastare efficacemente il passo a Hitler che odiava allora come ora.

Harry Lloyd Hopkins con Stalin

Harry Lloyd Hopkins con Stalin

Ma fu indotto a concludere con lui un patto di non-aggressione nella speranza che servisse a garantire al pace alla Russia e a salvare il suo governo, non tanto sul piano ideologico, ma su quello pratico. È perciò di vitale importanza che Stalin non abbia l’impressione di “cavar le castagne dal fuoco” per gli Alleati, senza ottenere nessuna riconoscenza dopo la guerra, ma solo ostilità. Churchill e Eden lo hanno già riconosciuto a quanto sembra, traendo insegnamento dai loro errori precedenti, ed hanno promesso alla Russia un appoggio “senza riserve”.

Io non mi nascondo che nel nostro Paese ci sono vaste categorie di persone contrarie ai sovietici, al punto da sperare una vittoria di Hitler sulla Russia.

Stalin

Stalin

Per sei anni Hitler non ha battuto altro tasto in Europa, con suo enorme vantaggio, distruggendo così la sicurezza collettiva. E insisterà ancora qui da noi, se può trarne altro vantaggio, soprattutto se avrà intenzione di fare approcci per una nuova pace con Stalin.

È una cosa che dobbiamo evitare finché è possibile. E lo potremo se Stalin avrà la certezza che, al di là di ogni contrasto ideologico, il nostro Governo gli sia pienamente favorevole e sia disposto ad aiutarlo a sconfiggere Hitler.

Avere una Russia amica alle spalle del Giappone è per noi un evidente vantaggio. Né io credo che i Russi abbiano l’intenzione di diffondere il comunismo negli Stati Uniti, anzi sono convinto che esuli dalle possibilità del dopoguerra quella di diffondere il comunismo nella stessa Europa, se pur ne abbiano l’intenzione.

Ma guardiamo soprattutto di non dare l’impressione che gli Stati Uniti vogliono servirsi di loro e che noi stessi siamo un paese capitalista, poiché ciò farebbe il gioco di Hitler e questi potrebbe valersene per indurre i Russi a un armistizio o alla pace, dopo aver occupato l’Ucraina e la Russia Bianca.

Hitler

Hitler

Bisogna dire chiaramente a Stalin che il nostro atteggiamento non è mutato: che siamo “totalmente” impegnati a sconfiggere Hitler e che la nostra tradizionale politica con la Russia non è affatto morta.

Roosevelt, però, non voleva precipitare le cose. Churchill aveva parlato e non c’era dubbio che il Presidente l’avrebbe appoggiato. Ma prima di fare un passo ufficiale in favore della Russia, voleva sapere con certezza di che cosa avessero bisogno i Russi e in che modo si potessero effettuare la consegna e il trasporto delle merci. (Si ricordi che era il momento in cui le forze americane si stavano attestando in Islanda).

L’aspetto più serio della questione stava nel non indifferente prolungamento di rotta cui sarebbero stati costretti i convogli per portare gli aiuti alla Russia e in effetti la rotta di Murmansk fu la più dura e la più faticosa di tutta la guerra, poiché si trovava sottoposta non solo agli attacchi dei sommergibili, ma a quelli delle navi di superficie di base nei fiordi della Norvegia e degli aeroplani che si levavano dagli aeroporti della Scandinavia.

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La Marina britannica, già dispersa lungo tutte le rotte vitali del nord e del sud Atlantico, del Mediterraneo e dell’Oceano Indiano, non poteva assumersi questo nuovo e grave incarico, prima di sentirsi libera da qualche altra parte.

Il venerdì sera 11 luglio, Hopkins ebbe un colloquio con Roosevelt nello studio e il Presidente tracciò una linea su una cartina dell’Atlantico che aveva strappato da una pagina della rivista National Geographic. Poi vergò un cablogramma a Winant perché informasse il “vecchio uomo di mare” dell’imminente visita di Hopkins.

La mattina dopo, Hopkins ebbe un appuntamento a colazione con Sidney Hillman, sui problemi della produzione e alle 11,30, invece di partire con il Presidente per una gita sul Potomac, si trovò a pranzo con Sumner Welles; poi conferì nel pomeriggio con il comandante Vickery e con il generale Burns, sulla questione dei trasporti per mare e dei rifornimenti.

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Fu a cena da Lord Halifax. La domenica mattina presto partì in volo per Montreal, Gander e Terranova e di qui varcò l’Oceano su
un bombardiere B-24 degli affitti e prestiti, atterrando a Prestwick in Scozia. Stava malissimo quando arrivò, ma si presentò immediatamente a Churchill per discutere la nuova complessa situazione creatasi dopo il loro ultimo incontro.

Hopkins notò molti mutamenti in Inghilterra: era estate e non doveva più tenere il soprabito in casa ai Chequers. Da due mesi a questa parte si può dire che non ci fossero stati altri bombardamenti e la Gran Bretagna non combatteva più da sola. Sul viso delle persone per la strada si notavano i segni di un incredulo stupore. Mista al sollievo, restava ancora una certa ombra di ansietà.

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Il popolo britannico, come del resto l’americano, non si rendeva conto che l’America aveva cominciato a invadere in lungo e in largo il Regno Unito; eppure era questo il fenomeno che più interessava a Hopkins, perché era stato lui in certo qual modo a determinarlo.

All’Ambasciata americana erano stati aggregati molti nuovi addetti militari, navali e aerei e cominciavano a formare un contingente rispettabile. Tutti avevano la qualifica di “osservatori” ed in effetti lo erano, perché osservavano e ne traevano insegnamenti.

Per esempio: la fortezza volante B-17 era stata già usata dalla R.A.F. in incursioni aeree, ma non aveva mantenuto fede al suo nome, risultando vulnerabilissima. L’esperienza fatta in combattimento, offrì il destro agli ufficiali delle forze aeree statunitensi di consigliare quelle modifiche di armamento che fecero poi del B-17 l’aeroplano più efficace e distruttore, quando venne impiegato da equipaggi americani.

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Oltre ai rappresentanti militari, vi era a Londra una quantità di missioni e di commissioni americane, per gli affitti e prestiti, le ricerche scientifiche, l’alimentazione, i trasporti, l’aviazione, l’artiglieria e tutto ciò che si riferisse ad argomenti di carattere bellico. L’Ambasciata americana straripava di personale ed aveva invaso le costruzioni vicine di Grosvenor Square e dei dintorni.

Quando Hopkins vide Churchill, la guerra in Russia durava ormai da quattro settimane. Il minimo previsto dalle autorità britanniche era quindi superato e tutto lasciava prevedere che si sarebbe superato anche il minimo postulato dalle autorità di Washington. Cominciava a farsi strada la debole speranza che i Russi potessero tirare avanti fino all’inverno e Churchill non era mai uno che si lasciasse sfuggire anche il minimo lumicino di speranza.

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La sua preoccupazione principale era che le truppe tedesche non acquistassero nel frattempo una tale esperienza di combattimento – non dovessero cioè diventare “valide al combattimento” se condo la sua espressione preferita – in modo
che riuscisse poi molto più difficile fronteggiarle.

Hopkins si accorse che Stalin non s’era fatte molte illusioni sulla realtà di un aiuto britannico, ma era stato imbarazzato fin da principio dall’aspetto politico che poteva assumere l’alleanza. Pur nel massimo pericolo, il Governo sovietico si preoccupava di stabilire le future sfere d’influenza piuttosto che i trattati militari per ricevere i necessari aiuti.

Churchill

Churchill

Il Governo britannico non era incline a scendere a trattative di carattere politico. Ma pochi giorni prima dell’arrivo di Hopkins a Londra, le due potenze avevano firmato un “accordo di cooperazione“ che conteneva i seguenti due provvedimenti:

1) Una intesa politica reciproca dei due Governi per rendersi, un mutuo appoggio ed aiuto nella guerra contro la Germania, in tutti i modi e le forme possibili;
2) Un mutuo accordo perché durante la guerra nessuna delle due parti trattasse un resa o concludesse un armistizio, senza il previo benestare dell’altra parte.

Fra i due Governi s’era convenuto di integrare quest’accordo con tutte le disposizioni future che si rendessero necessarie, nel campo politico e militare. Hopkins mostrò a Churchill la cartina della National Geographic con i segni di Roosevelt. La linea a matita segnava il 26° di longitudine nord a partire dall’Atlantico meridionale, trascurando le isole di Capo Verde, ma comprendendo le Azzorre.

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A circa duecento miglia a sud-ovest dell’Islanda faceva una curva quasi ad angolo retto verso est e girava intorno all’Islanda, per un raggio di circa duecento miglia, che doveva essere l’area della sorveglianza aerea e marittima delle forze statunitensi.

Le rotte a ovest di questa linea sarebbero state perlustrate – previe ulteriori discussioni – dalla Marina statunitense che ne avrebbe assunto in pieno la responsabilità, esonerandone le navi di scorta inglesi, perché fossero libere di prestare servizio altrove, particolarmente sulla rotta di Murmansk.

Fra le note di Hopkins sugli ultimi colloqui avuti con il Presidente, esistevano anche questi tre brevi appunti:
– Trattative economiche e territoriali – NO
– Harriman niente politica
– Non parlare di guerra.
Il primo di essi parla da solo: l’ultimo era sinonimo della decisione di Roosevelt di non volere assolutamente discutere con Churchill né rispondere alle sue richieste sull’epoca dell’entrata in guerra dell’America.

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L’accenno ad Harriman era un riflesso dell’imbarazzante situazione venutasi a creare fra lui e Winant e di cui abbiamo già avuto modo di parlare. Hopkins ebbe istruzioni di informare Churchill che Harriman come “amministratore” degli affitti e prestiti era uno strumento e non un fattore di politica: l’ambasciatore era Winant, era lui quindi, il rappresentante personale del Presidente presso il Re. (Dubito tuttavia che questa spiegazione abbia avuto un qualsiasi effetto chiarificatore della situazione).

Quando Hopkins giunse a Londra, Harriman, era appena di ritorno dal suo viaggio nel Medio Oriente, dove aveva ispezionato le nuove rotte aeree dell’Africa, dalla Costa d’Oro al Golfo Persico. Aveva assolto quindi, un incarico fruendo delle facilitazioni riservate a un membro del Gabinetto Britannico.

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Di più, era stato preceduto da precise direttive dello stesso Churchill al generale Wavell, che dicevano: “Mr. Harriman gode la mia completa fiducia ed è in intime relazioni con il Presidente e con Mr. Hopkins . Nessuno può fare più di lui … Lo raccomando quindi alla vostra attenta considerazione. Egli farà un duplice rapporto, al suo governo e a me come ministro della Difesa”. È un episodio sintomatico dell’ampiezza cui era giunta sin da allora “l’alleanza di fatto”.

Il rapporto di Harriman fu chiaro e lineare, ma è troppo lungo e dettagliato per essere riprodotto integralmente. Egli non risparmiava critiche all’organizzazione del Medio Oriente, soprattutto riguardo all’eterno problema della divisione dei compiti fra l’Esercito, la Marina e l’Aviazione. Nel Medio Oriente, come in Inghilterra, si era trovato di fronte a pressanti richieste di tecnici americani – radiomeccanici, armatori, specialisti in caldaie, saldatori, montatori di macchine utensili, carpentieri e muratori.

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Hopkins conferì sull’argomento con Lord Hankey, tesoriere generale e con Ernest Bevin, allora Ministro del Lavoro, oltre a generali, ammiragli e marescialli. Il suo dossier dimostra che egli cercò di soddisfare le necessità Inglesi fino all’ultimo, fino al giorno prima, cioè, che scoppiasse la bomba di Pearl Harbour.

Egli discusse innumerevoli problemi di produzione e di aiuti: erano divenuti ormai il suo pane quotidiano, nonostante l’assoluta inesperienza di questioni industriali e militari. Studiò con Beaverbrook, divenuto ministro della Produzione Bellica, la questione dei carri armati e dell’artiglieria, esaminò il problema degli aeroplani con Sir Archibald Sinclair e quello dei rifornimenti alimentari con Lord Woolton.

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Hopkins e Winant ebbero, per di più, lo sgradito compito di rivedere attentamente tutto il programma degli aiuti e prestiti, voce per voce. Negli Stati Uniti infatti, si era lanciata l’accusa che
gli Inglesi non adoperassero tutte le materie prime ricevute a semplice scopo di guerra, ma per riattivare il loro commercio di esportazione, soprattutto nell’America del Sud; è un’accusa che si ripeté più volte e tormentò parecchio Winant, perché gli isolazionisti se ne valevano come di un’arma per fare opposizione ad ogni nuovo stanziamento.

Gli incartamenti del Dipartimento di Stato si riempirono di tutte le spiegazioni particolareggiate che l’ambasciatore si preoccupò di ottenere da Sir John Anderson, presidente del Consiglio Privato, da Sir Kingsley Wood , cancelliere dello Scacchiere e da altri dignitari del Governo di Sua Maestà. Non vi fu un momento della guerra cui non corressero voci, che erano motivo di sempre nuove richieste di investigazioni.

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La maggior parte dei colloqui di Hopkins e di Churchill, sulla prossima Conferenza Atlantica e sulle proposte americane per l’attività navale fra gli Stati Uniti e l’Islanda, si svolse in privato e Hopkins non ne tenne nota. I loro risultati sono però d’importanza storica.

Egli prese appunti di una interessante riunione a Downing Street, cui presero parte, oltre al Primo ministro, Harriman e i capi di Stato maggiore inglesi (‘ammiraglio Sir Dudley Pound, generale Sir John Dill, maresciallo dell’Aria Sir Charles Portal, generale Sir Hasting Ismay), con i tre ufficiali americani più elevati in grado presenti a Londra (ammiraglio Ghormley, generale James E. Chaney e generale Raymond E. Lee).

Sir Hasting Ismay

Sir Hasting Ismay

La riunione era stata imposta da un serio disaccordo per quanto non di immediata portata, fra i capi di Stato maggiore americani ed inglesi sulle possibilità di difesa della Gran Bretagna e sull’opportunità di restare nel Medio Oriente. Benché la R.A.F. fosse allora più forte che nel 1940, quando aveva vinto la battaglia d’Inghilterra rendendo impossibile l’invasione tedesca, gli Americani avevano l’impressione che i Tedeschi avessero tratto profitto dalla lezione ricevuta ed avessero trovato il modo di superare l’ostacolo, come si dimostrava dalla battaglia di Creta.

generale James E. Chaney

generale James E. Chaney

Erano d’avviso che i campi d’aviazione inglesi fossero assai vulnerabili dall’aria e Hitler aveva 60.000 paracadutisti di cui certo non pensava di servirsi sul fronte Russo. In simili condizioni, diventava rischioso dislocare un forte numero di uomini e di mezzi nel Medio Oriente, quando potevano mostrarsi indispensabili per una estrema difesa del Regno Unito.

Ed alla stessa stregua era meglio adoperare per la battaglia dell’Atlantico e per la difesa dei trasporti inglesi le navi che seguivano ora le lunghe rotte del Canale di Suez. Non appena il Primo ministro ebbe aperta la seduta a Downing Street con la sua abituale grazie e cortesia parlamentare, Hopkins venne subito al punto più scottante della questione, esprimendo con reticenza il pensiero americano:

Per mio conto sono assolutamente convinto che se si decide di continuare la campagna nel Medio Oriente, gli Stati Uniti dovranno mandare aiuti anche là. Finora il problema degli aiuti è stato trattato sulla base del “giorno per giorno” e del “conviene o non conviene”; ma se si deve continuare, bisognerà farlo sistematicamente, secondo un regolare programma, usando per esempio cento o più navi per garantire la regolarità dei trasporti dei carichi indispensabili e di quelli già in programma, degli aeroplani, dei carri armati, delle munizioni, ecc.

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I nostri capi di Stato maggiore, cui competono tutte le decisioni in merito alla nostra difesa, stimano che l’Impero britannico stia sopportando un onere troppo grave, tentando di mantenere una posizione indifendibile nel Medio Oriente.

I tedeschi possono prendere Gibilterra da un momento all’altro e sbarrare il Mediterraneo Occidentale. Possono bloccare il Canale di Suez. Possono concentrare sufficienti forze aeree e terrestri per schiacciare gli Inglesi nel Medio Oriente.

I nostri capi di Stato maggiore credono che la battaglia dell’Atlantico sia decisiva, perché sarà questa che porterà alla conclusione della guerra. Tutti i nostri sforzi devono quindi essere concentrati qui per vincerla.

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L’opinione del Presidente è leggermente diversa. Anch’egli crede che gli Inglesi non abbiano molti atouts nel Medio Oriente, ma è del parere che gli Inglesi debbano combattere il nemico ovunque si trovi. Perciò è incline ad appoggiare la continuazione della campagna nel Medio Oriente.

Io so perfettamente che voi qui in Inghilterra siete decisi a combattere fino in fondo per mantenere il possesso del Medio Oriente e vi è quindi difficile comprendere l’atteggiamento americano. Ma dovete ricordare che anche noi negli Stati Uniti non riusciamo a farci una ragione precisa di tutti i vostri interessi nel Medio Oriente e nel mondo islamico o dell’interdipendenza dei vostri problemi in Egitto e in India.

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Forse questo è dovuto in massima all’essere poco al corrente dello stato delle cose. Il Presidente stesso non ha mai ricevuto una spiegazione chiara e convincente del valore strategico della campagna del Medio Oriente. La questione è sempre stata trattata a pezzi e bocconi, ora accentrando l’interesse sull’Etiopia, ora sulla Libia e al Siria o dovunque si spostasse momentaneamente il teatro delle operazioni locali.

Io penso che negli Stati Uniti tutti abbiamo compreso il motivo della vostra strenua difesa in Grecia e nell’isola di Creta, ma non comprendono più perché dobbiate insistere in una difesa ad oltranza della zona. Non voglio sopravalutare il fatto, ma mi sembra di vitale importanza chiarire una volta per tutte le cose anche su questo punto, affinché le autorità di Washington conoscano veramente il motivo per cui devono inviare aiuti anche nel Medio Oriente e organizzare un regolare piano di trasporti per quella zona.

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Successivamente parlò il generale Chaney, il quale affermò che secondo il punto di vista americano, bisognava procedere per gradi, seguendo quest’ordine di precedenza:
1) Difesa del Regno Unito e delle rotte dell’Atlantico.
2) Difesa di Singapore e delle rotte per l’Australia e la Nuova Zelanda.
3) Difese delle vie del commercio oceanico in genere.
4) Difesa del Medio Oriente.

Chaney insistette particolarmente sulle difficoltà che potevano incontrare i Tedeschi in una azione terrestre nel Medio Oriente o in una tentata invasione dell’Inghilterra. Egli disse che tutto dipendeva dalla facilità e dalla rapidità con cui fossero riusciti a mettere inginocchio la Russia. (Tutti i calcoli d’allora si basavano essenzialmente sulla presunzione che la Russia dovesse cedere).

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E disse che se i Russi avessero potuto resistere fino alla fine di settembre, il pericolo dell’invasione sarebbe stato rimandato alla primavera seguente e ci sarebbe stato il tempo di preparare la difesa tanto del Regno Unito quanto del Medio Oriente. Ma i Britannici dovevano trasferire nel Medio Oriente solo il minimo necessario a una difesa e non mandare altre forze a scopo offensivo.

Il generale Lee fece eco alle parole di Chaney e domandò se gli Inglesi pensassero davvero a operazioni offensive nel Medio Oriente, nel qual caso avrebbe voluto sapere quali truppe avrebbe impiegato e secondo quali criteri strategici avrebbe condotto la campagna.

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S’alzò allora Churchill per dire che i capi di Stato maggiore britannici avrebbero risposto circostanziatamente su tutte le questioni più importanti; egli le voleva esaminare nel loro aspetto generale. Gli sembrava che la situazione della battaglia dell’Atlantico fosse notevolmente migliorata, negli ultimi tempi e sperava di vederla migliorare ancora, dopo le promesse di Hopkins su una nuova e più intensa attività della Marina statunitense.

Riguardo all’invasione dell’Inghilterra, aveva piena fiducia di avere in pugno la situazione. Il Primo ministro però, non era altrettanto sicuro del fatto suo quando parlò della situazione in Estremo Oriente.

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Era convinto che i Giapponesi non sarebbero entrati in guerra, finché non fossero ben certi della sconfitta dell’Impero britannico. (Era un’opinione condivisa anche da Roosevelt e fu di enorme importanza nel determinare la politica comune prima di Pearl Harbour). Churchill disse che se i Giapponesi avessero attaccato i possedimenti britannici dell’Estremo Oriente, Singapore sarebbe stata difesa senz’altro, benché l’intervento Giapponese costituisse una gravissima minaccia a tutto il traffico marittimo orientale e potesse recare seri grattacapi alla stessa Australia e alla Nuova Zelanda.

È indubitabile che in tal caso si sarebbe dovuto trasferire forze navali, comprendenti navi da battaglia, dal Mediterraneo all’Estremo Oriente. È inutile dire che la situazione sarebbe stata ben diversa se anche gli Stati Uniti fossero entrati in guerra contro il Giappone, dopo che questi avesse attaccato l’Inghilterra… e poiché era superfluo dirlo, Churchill si guardò bene dal sollevare una questione così scottante.

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Concluse perciò asserendo che, in attesa degli avvenimenti, nonostante le obiezioni degli amici americani, gli Inglesi avrebbero continuato nella loro opera di rafforzamento nel Medio Oriente.

La metà della produzione inglese degli ultimi otto mesi era stata già convogliata su quel teatro d’operazioni. L’ammiraglio Pound, il maresciallo dell’Aria Portal e il generale Dill parlarono a nome delle rispettive Armi.

Era ovvio che i Tedeschi avrebbero intensificato la produzione e la costruzione di motozattere per il trasporto di carri armati, in previsione di un attacco in Inghilterra, ma non era meno certo che gli Inglesi avrebbero potuto sapere con almeno tre settimane d’anticipo se i Tedeschi si disponevano a iniziare operazioni lungo la Manica.

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Churchill aggiunse che la lezione di Creta non sarebbe stata vana. Se i tedeschi avessero usato i gas, i Britannici non avrebbero esitato a ricorrere a una rappresaglia in grande stile. Dill illuminò i disastrosi effetti morali di una ritirata dal Medio Oriente, soprattutto nel mondo islamico e negli Stati arabi fino all’India.

Churchill allora toccò un argomento che impressionò seriamente Hopkins, tanto che ne riferì al Presidente non appena lo rivide lla Conferenza atlantica. Si trattava del non mai scomparso pericolo che i Tedeschi potessero passare in Spagna e di qui nell’Africa settentrionale e occidentale fino a Dakar.

Churchill disse, che se gli Stati Uniti fossero stati trascinati in guerra contro la Germania e l’Italia, l’Africa occidentale e settentrionale avrebbe rappresentato un terreno assai favorevole per le operazioni delle forze americane.

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Ed accennò alla possibilità di azioni in Norvegia – un paese disse: “dove c’è un gran popolo che arde dalla voglia di essere liberato” – progetto questo che egli non abbandonò finché la guerra in Europa non fu quasi al termine.

Dopo la riunione, Hopkins decise di sollecitare il Presidente a condurre con sé Marshall e Arnold alla Conferenza. Probabilmente, prima di allora, l’unico argomento di carattere militare che ci importava di esaminare era la battaglia dell’Atlantico e Hopkins riteneva che potesse essere utile a Marshall conoscere il punto di vista dell’esercito britannico.

Consigliò anche di richiamare immediatamente in patria Harriman, per riferire al Presidente quanto si era discusso. Hopkins capiva fin troppo chiaramente che la Conferenza atlantica non avrebbe raggiunto nessuno scopo positivo e sostanziale, nei riguardi dei problemi di più vitale importanza, se non si fosse avuto una sicura conoscenza della situazione sul fronte russo.

Averell Harriman

Averell Harriman

Era fin troppo evidente che tutte le previsioni inglesi e americane si fondavano su informazioni del tutto inadeguate e su scarse conoscenze.. a Mosca c’era una Missione militare britannica, ma non riusciva a raccogliere informazioni più ampie di quelle trasmesse direttamente alle Ambasciate dal Ministro degli Esteri russo, cioè, praticamente niente.

Dato quindi che tutto lo sforzo di guerra (deliberazioni prese e da prendersi, produzione, affitti e prestiti), dipendeva unicamente dal tempo che sarebbe durata la guerra in Russia, Hopkins decise di andare di persona a Mosca per avere una risposta dallo stesso Stalin.

Chiese a Churchill se non fosse possibile andare e tornare in aereo da Mosca in una settimana. Churchill lo informò che il Comando costiero della R.A.F. aveva recentemente attivato una nuova rotta da Invergordon, in Svezia, ad Arcangelo, passando intorno a Capo Nord. Gli aeroplani impiegati erano i PBY (Catalina), ma finora non si erano fatti che pochi voli perché era una rotta di estrema difficoltà.

Churchill e Roosevelt

Churchill e Roosevelt

Churchill pensava che sarebbe stato assai prezioso avere qualche conoscenza di prima mano sulla situazione in Russia, anzi era convinto che allo stesso Stalin non dovesse dispiacere di rivelare la verità al rappresentate personale del Presidente degli Stati Uniti; ma non era affatto entusiasta dell’idea di Hopkins di tentare un viaggio così lungo e rischioso.

Questi però era ormai lanciato e il 25 luglio, venerdì, inviò assieme a Winant il seguente cablogramma a Roosevelt:

Per il Presidente – Riservato.
In Canada, i funzionari del Governo hanno espresso la speranza di vedervi a Ottawa entro il 7 agosto. Volevo telefonarvi da Gander, ma non potei avere la comunicazione. Rimarrò qui ancora un giorno o due per una conferenza con il comandante del Medio Oriente. La sua visita qui è segretissima.

Sto pensando se non riteniate opportuno ed utile che vada a Mosca. Le comunicazioni aeree sono buone e ci si può giungere in 24 ore. Sono del parere che si deve fare di tutto per accertarsi se i Russi possono stabilire un fronte permanente, anche se sconfitti nella battaglia in corso.

Stalin

Stalin

Se si può influire sulla volontà di Stalin, in questo momento critico, penso che non gli dovrebbe dispiacere di allacciare diretti rapporti con voi tramite il vostro inviato personale. La posta è così alta che vorrei tentare. Stalin allora saprebbe che noi siamo disposti a fornirgli aiuti illimitati. Finora naturalmente, non ho fatto un passo e aspetterò il vostro parere.

Se pensate che il mio viaggio a Mosca sia inopportuno partirò di qui non più tardi di mercoledì. Passerò il weekend con il Primo ministro, ma il messaggio di risposta mi giungerà rapidamente: speditelo per mezzo della Marina. Sulla Russia e sul Giappone qui non si hanno notizie che già non conosciate.

Il Primo ministro non crede che il Giappone voglia la guerra. L’ambasciatore russo mi ha detto questa mattina di non credere che il Giappone voglia attaccare ora la Russia.

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Ieri notte si è avuta una lunga conferenza con i capi militari e i nostri rappresentanti sulla posizione strategica degli Inglesi nel Medio Oriente. Essi sono decisi a combattere fino all’ultimo in quel settore e mi sembra che abbiano tutte le ragioni del mondo. Spero che stiate bene e sono assai spiacente che la mia missione sia durata più a lungo del previsto.

Stamattina abbiamo ricevuto notizia che lo Scharnhorst ha preso il mare. Gli Inglesi lo attaccano con poderose formazioni aeree, ma subisce gravi perdite di bombardieri. Lo spirito della popolazione è molto sollevato, ma tutti pensano che la faccenda russa non duri molto.

Mi chiedono spesso di voi e sono contenti di sapere che siete in ottima salute.
Harry

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Non si può escludere, sebbene sia improbabile, che la possibilità di un viaggio a Mosca sia stata discussa da Roosevelt e da Hopkins, prima che questi lasciasse Washington. Nelle note che Hopkins portò con sé a Londra, non se ne ha la minima traccia, mentre si conoscono le dichiarazioni di Churchill e di Winant, secondo le quali fu Hopkins a progettare il viaggio e ad attuarlo senza por tempo in mezzo.

Hopkins era ai Chequers, la sera del sabato, quando ricevette la risposta di Roosevelt:

Welles ed io approviamo senz’altro il viaggio a Mosca e pensiamo che vi possono bastare pochi giorni. Dovreste tornare in America entro l’8 agosto. Vi manderò questa notte un messaggio per Stalin.

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Qui tutto bene. Dite al vecchio uomo di mare che la nostra comune iniziativa verso il Giappone sta portando i suoi frutti, a quanto sembra. Pare che il Governo giapponese non abbia ancora deciso una sicura linea di condotta.

Ditegli anche, in grande confidenza, che ho suggerito Nomura di neutralizzare l’Indocina, sotto il controllo dell’Inghilterra, dell’Olanda, della Cina, del Giappone e nostro, per farla diventare una specie di Svizzera. Il Giappone avrà riso e fertilizzanti, ma solo a condizione che ritiri completamente le sue Forze armate dall’Indocina.

Roosevelt con Stalin

Roosevelt con Stalin

Non ho ancora ricevuto risposta. Probabilmente sarà sfavorevole, ma noi potremmo dire di aver fatto almeno tutti gli sforzi per evitare che il Giappone si espanda verso il Pacifico meridionale.

Il primo, breve periodo recava l’autorizzazione del Presidente a una missione che fu senza dubbio tra le più importanti e straordinarie di tutta la guerra. La mattina presto della domenica, Hopkins entrò nella camera da letto di Churchill.

Il Primo ministro infatti, cominciava normalmente a trattare affari stando ancora a letto e spesso continuava mentre era già sotto la doccia, operazione questa che gli prendeva sempre parecchio tempo.

Questa volta Churchill si attaccò al telefono dando tutti gli ordini necessari per il viaggio del suo ospite fino ad Arcangelo sul Mar Bianco. Hopkins doveva partire in treno quella notte stessa per Invergordon sulla costa orientale della Scozia dove lo attendeva un PBY Catalina.

Nel frattempo, Winant fu indaffarato a cercare l’ambasciatore russo, M. Maisky, per ottenere il visto sovietico sul passaporto di Hopkins. E non fu cosa facile, perché Maisky era diventato anche lui d’abitudini piuttosto inglesi ed era andato in campagna a passare il weekend. Finalmente Winant lo rintracciò.

Quella domenica, i Chequers debbono essere stati un poco in subbuglio. Il sabato era giunto Quentin Reynolds per lavorare con Hopkins a un discorso che questi doveva radiodiffondere la domenica dal microfono personale di Churchill. Churchill stesso stava preparando un grande discorso che doveva durare due ore, per riferire alla Camera dei Comuni sullo stato del complesso problema della produzione.

Quentin Reynolds

Quentin Reynolds

Lo aiutava nell’analisi e nella cernita dei fatti il professor Lindemann, ora Lord Cherwell e non si può nascondere che parecchi di quei fatti erano una pura e semplice vanteria. Domenica venne anche Winant per un rapido colloquio.

Nel tardo pomeriggio, ecco Harriman e sua figlia Kathleen. E c’era il solito supplemento di ospiti che dovevano far passare qualche ora di riposo all’affaticato Primo ministro. Per colazione venne inoltre, quella infaticabile combattente della libertà che rispondeva al nome di Dorothy Thompson, giunta colà per un rapido giro d’orizzonte alle distruzioni provocate dalla guerra.

Nessuno naturalmente sapeva, tranne Churchill, i suoi collaboratori suindicati, Winant e Harriman, che Hopkins era in partenza per andare a fare visita a Stalin. Miss Thompson ricorda che quel giorno, a colazione, si parlò proprio della situazione russa e che c’era una certa aria di pessimismo, condivisa in apparenza, anche da Churchill e da Hopkins.

Dorothy Thompson

Dorothy Thompson

“Di tutti quelli che ricordo e che incontrai durante il mio soggiorno londinese nell’estate 1941, infatti – scrive Miss Thompson – l’unica persona che mi parve fiduciosa nella forza dei Russi e nella loro resistenza, fu Edoardo Benes”.

Dopo aver discusso a lungo del discorso – mentre Hopkins giocava con il gatto di Churchill, che si chiamava Nelson ed era vivacissimo – Reynolds si pose alla macchina da scrivere che gli era stata fornita e Hopkins si sdraiò sul letto addormentandosi. Terminato il discorso, Hopkins lo lesse ed esclamò: “Accidenti, Quentin, ma tu mi fai dichiarare guerra alla Germania!”. E Reynolds di risposta: “Caro mio, l’avremmo già dovuto fare da un bel pezzo”.

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Ad Hopkins non rimase che cercare di moderare certe frasi, per renderle un po’ meno bellicose. Il discorso fu trasmesso dai Chequers alle 9,15 della domenica sera, 27 luglio. Dal punto di vista degli ascoltatori in Inghilterra e sul Continente, la frase più importante del discorso fu senz’altro questa: “Io non son venuto dall’America da solo. Sono venuto su un apparecchio da bombardamento ed ero seguito da altri venti apparecchi, tutti costruiti in America”.

L’affermazione, in se precisa, diede ai popoli assetati di speranza, l’impressione di chissà quale enorme stormo di apparecchi in volo dall’America all’Inghilterra per gettarsi dalle basi britanniche a compier la sua opera devastatrice sull’Europa.
Dopo il discorso, Hopkins passeggiò un po’ con Churchill per i prati dei Chequers. Churchill espose ad Hopkins nei più minuti particolari gli sforzi dell’Inghilterra per recare aiuti alla Russia.

La regina, re Giorgio e Churchill

La regina, re Giorgio e Churchill

Parlò con la sua abituale eloquenza dell’importanza che aveva la Russia nella battaglia contro Hitler. Hopkins chiese se poteva esporre queste cose a Stalin. “Ditegliele, ditegliele – disse Churchill – ditegli che l’Inghilterra non ha che un’ambizione oggi, non ha che un desiderio: schiantare Hitler . Ditegli che
può fidarsi di noi … Arrivederci. Dio vi benedica, Harry”.

Hopkins partì con Harriman e con sua figlia Kathleen per la stazione di Euston dove doveva prender il treno per Invergordon. Non ebbe tempo di tornare al Claridge. Aveva dato incarico a Dorsey Fisher, dell’Ambasciata britannica, di raccogliergli lo sparso bagaglio e di consegnarglielo alla stazione. (Hopkins non pagò il conto dell’albergo che sei settimane dopo). Winant fece appena in tempo a giungere alla stazione, mentre già il treno si muoveva, per consegnare attraverso il finestrino il passaporto con il visto di Maisky.

La precauzione si dimostrò poi inutile perché nessuno in Russia guardò il passaporto. Mentre il treno lasciava la stazione scura e fumosa, Winant e Harriman ebbero l’impressione di dare l’addio ad uno che partisse per un’escursione interplanetaria: la Russia era considerata una regione incommensurabilmente lontana.

Churchill

Churchill

Hopkins non portava con sé in questo strano viaggio che un documento, oltre il passaporto personale: un telegramma arrivato appena poche ore prima da Sumner Welles, che faceva le funzioni di segretario di Stato:

Il Presidente vi chiede di consegnare immediatamente a nome suo, questo messaggio non appena vedete Stalin: “Mr. Hopkins viene a Mosca su mia richiesta, per discutere con voi personalmente o con le persone che voi designerete, una questione di vitale importanza: il modo, cioè, di rendere effettivo e rapido l’aiuto che gli Stati Uniti d’America sono disposti a dare al vostro Paese nella magnifica resistenza che esso sta offrendo contro la proditoria aggressione della Germania hitleriana.

Come ho già detto all’ambasciatore Oumansky, il Governo degli Stati Uniti farà di tutto per potervi fornire armi, munizioni ed altro che vi può essere necessario per sopperire alle prime esigenze ed alle necessità dei due mesi entranti.

È giunta a Washington la Missione del generale Golikov e non mancherò di discutere con lui punto per punto tutti i particolari. La visita di Mr. Hopkins ha per noi un valore inestimabile perché ci farà conoscere quali sono le più urgenti necessità e le richieste del vostro Governo, per poter prendere le decisioni più adatte ad amplificare al massimo il meccanismo delle spedizioni e consegne.

Durante l’inverno, potremmo poi preparare tutto il materiale che il Governo russo desidera dagli Stati Uniti. Penso, per ora, che i nostri due Governi devono preoccuparsi soprattutto del materiale che potrà essere spedito in Russia entro tre mesi.

Vi chiedo di accogliere Hopkins con la stessa fiducia con la quale potreste parlare con me direttamente. Ciò che voi gli direte sarà da lui riferito a me personalmente e così pure dicasi per i problemi che voi considerate più pressanti ed urgenti.

Mi permetto intanto di esprimere la grande ammirazione che proviamo negli Stati Uniti per il magnifico valore e l’abnegazione con cui il popolo russo combatte questa battaglia in difesa della sua indipendenza e della sua libertà. Il popolo americano è stato assai confortato dai vostri successi, come tutti i popoli che si oppongono a Hitler e ai piani di conquista del mondo”.

Hopkins tornò così ad essere un personaggio importante ed influente in quel campo della guerra psicologica, che era allora, tranne la non mai finita battaglia dell’Atlantico, la sola forma di guerra che si combatteva tra Inglesi e Tedeschi.

CHURCHILL

CHURCHILL

I servizi europei della BBC diffusero in tutti i paesi occupati dell’Europa e nelle trasmissioni specialmente dedicate alla Germania l’Italia, la notizia delle peregrinazioni di Hopkins. Il suo discorso fu tradotto e radiodiffuso in molte lingue, stampato in opuscoli e distribuito a migliaia e a milioni dal comando bombardieri della R.A.F.

La propaganda inglese dimostrò una certa dose di ingenuità o d’esagerazione nel presentare il viaggio di Hopkins come nuova prova del prossimo invio di truppe americane in Europa, quasi un’avanguardia di un Corpo di spedizione statunitense.

I Tedeschi se ne servirono nella contropropaganda negli Stati Uniti, annunciando che egli stava impegnando il suo Paese ad un intervento in guerra, per difendere l’imperialismo britannico e il
comunismo russo. L’accusa, naturalmente, trovò subito eco negli ambienti isolazionisti.

Ma il dottor Goebbels non poté valersi dello stesso argomento in Gran Bretagna o in Francia, in Norvegia, in Polonia e negli altri paesi occupati, poiché l’intervento americano era l’unica cosa che
quelli non si stancavano di invocare e di attendere.

In questi paesi egli non riuscì che a rappresentare Hopkins come uno strumento della barbarie occidentale, desiderosa di ridurre l’Europa ad una dipendenza di Wall Street e di cancellare tutti i segni di cultura, abbassandola a livello spirituale di Hollywood.

Ma l’attenzione che la propaganda nazista diede ad Hopkins, non fece che aumentare il calore delle accoglienze da lui ricevute a Mosca.

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