2ª GUERRA MONDIALE, SEGRETI AMERICANI – 10

a cura di Cornelio Galas

L’incontro Roosevelt-Churchill non ebbe luogo in primavera, come era stato fissato da Hopkins durante il suo soggiorno londinese. Troppi erano i problemi e le questioni da affrontare subito, per perdere tempo a discutere progetti a lunga scadenza.

La guerra-lampo tedesca aveva ripreso in tutto il suo vigore, travolgendo la Jugoslavia, puntando sulla Grecia come aveva predetto Churchill. Gli Inglesi si trovavano di fronte al dilemma o d’abbandonare i Greci al loro destino o di mandare soccorsi che non sarebbero stati comunque sufficienti per scongiurare il pericolo.

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Churchill scelse questa via, vana ma onorevole e ne subì le conseguenze. la Grecia fu disfatta con sorprendente rapidità e i resti del piccolo Corpo di spedizione dovettero sgombrare come in una seconda piccola Dunkerque. I Tedeschi lanciarono il loro impetuoso attacco di truppe aerotrasportate contro le posizioni strategiche dell’isola di Creta.

La difesa dell’isola non era per gli Inglesi che una semplice questione di prestigio come il vano aiuto recato alla Grecia e la nuova disfatta fu una delle più gravi e umilianti di tutta la guerra. Il morale degli Inglesi ne risentì profondamente e si ebbero accanite diatribe, accuse e ritorsioni fra Esercito, Marina e Aviazione.

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In seguito al disastro, il generale Rommel, che aveva assunto in Africa il comando supremo delle operazioni italo-tedesche, lanciò la prima delle sue offensive riguadagnando tutto il territorio libico conquistato l’inverno precedente dal generale Wavell, tranne la fortezza di Tobruk. Gli Inglesi furono rigettati in Egitto e dovettero pensare seriamente alla difesa del canale di Suez.

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Nel pieno della guerra in Grecia, Roosevelt e Hopkins lessero un chiaro e profetico promemoria del Dipartimento della Marina. L’aveva composto l’ammiraglio Richmond Kelly Turner, che fu più tardi uno dei maggiori realizzatori della guerra anfibia nel Mediterraneo e nel Pacifico.

In questo promemoria egli considerava la possibilità che entro giugno la Gran Bretagna potesse vedersi esclusa dal Mediterraneo e se ciò fosse avvenuto “l’esercito tedesco sarebbe sbarcato in Siria e sarebbe stata praticamente la fine”. Erano particolarmente interessanti gli ultimi due periodi del promemoria che qui riportiamo:

Poiché la situazione del Governo britannico è così tragico, consiglio di non preoccuparlo oltre, almeno in questo periodo, facendogli conoscere la nostra opinione in merito alla serietà degli avvenimenti. Gli Inglesi sanno benissimo n che situazione si trovano, anche se tendono in certo qual modo all’ottimismo.

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Avvertirli potrebbe avere dannose conseguenze sul loro morale e sarebbe inutile a tutti gli effetti. Al contrario credo che una dichiarazione pubblica del Presidente che elogi il coraggio e lo spirito di sacrificio dimostrato dagli Inglesi inviando truppe in Grecia, rafforzerebbe la posizione di Churchill e solleverebbe il morale inglese, influendo anche sui neutrali, soprattutto se non si dimenticherà di elogiare la Grecia.

Raccomando però di non fare nessuna dichiarazione prima che la conclusione delle ostilità in Grecia non si sia chiaramente delineata.

Harriman da Londra scrisse, in una lettera personale a Hopkins:

Qui si vive sotto un incubo, come se ci pendesse sempre sul capo qualche nuova calamità . Io certo non mi aspetto più che le notizie della guerra possano essere liete …

Vedo il Primo ministro almeno un giorno alla settimana e tutti i sabati. Gli piace avermi ompagno quando va a visitare qualche città devastata, perché possa riferire al Presidente, ma anche, ne sono certo, perché il popolo gli veda intorno un Americano e si rinfranchi il morale.

Robert E. Sherwood

Robert E. Sherwood

Portsmouth, la settimana scorsa, subì distruzioni gravissime (penso che sia meglio omettere i particolari), ma la gente è meravigliosa (bombardamenti ininterrotti cinque giorni su nove).

Gente che ha perso tutto ciò che possedeva e membri stessi delle famiglie è più decisa che mai a continuare e sa sorridere delle proprie disgrazie. Ma quanto potrà resistere ancora, se viene a mancare la fiducia nella vittoria?

L’estremo abbattimento di Harriman era un riflesso dell’atmosfera prevalente nelle alte sfere del Governo britannico, per non dire del popolo, dinanzi a questa nuova dimostrazione del “troppo poco e troppo tardi”.

Si ricordi che quello era il momento psicologico scelto dagli Inglesi, senza fondamento autorevole, ma con bella e assurda fiducia, per l’entrata in guerra dell’America. Era aprile, il mese fatale e gli Inglesi tendevano l’orecchio per cogliere da occidente ogni minimo rumore che avvertisse che gli Yankees stavano venendo. Ma non si sentiva nulla. Se le informazioni, anzi, erano precise, dovevano convincersi che mai come allora il popolo americano era lontano dal voler intervenire in Europa.

E non si può proprio dire che fosse una cosa irragionevole. Vista dall’osservatorio americano, l’Europa quasi non esisteva più.

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Dopo la conquista della Jugoslavia e della Grecia, non c’era più nessuna parte d’Europa che non fosse materialmente nelle mani di Hitler, se togliamo le poche dubbie eccezioni della Francia di Vichy, della Spagna di Franco, e del Portogallo di Salazar, le nazioni satellite (Ungheria, Bulgaria, Romania, Finlandia) e l’Unione Sovietica.

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Per l’Americano medio, la Gran Bretagna era ormai l’unico avamposto che restava, ma ormai isolato ed esposto, in tutto simile a Guam. Il 19 marzo, poco dopo gli affitti e prestiti, Roosevelt e Hopkins erano partiti per una crociera sul Potomac, verso le Bahamas. Doveva essere per entrambi l’ultimo dei loro viaggi spensierati.

Nessun pretesto di ispezioni questa volta, né lo yacht si avventurò mai al largo più di poche ore di vela dalla costa della Florida. Facevano parte del seguito questa volta anche Robert H. Jackson, procuratore generale, Harold Ickes e Steve Early: particolarmente notata la presenza dei primi due che era motivo di soddisfazione per i più accaniti new-dealer di Washington, quasi indicasse un ritorno del Presidente ai problemi sociali di politica interna, tralasciando una buona volta di prestare troppa attenzione agli avvenimenti della guerra d’Europa (benché, sia detto tra parentesi, né Jackson né Ickes fossero meno convinti di Hopkins della necessità di non sottovalutare la minaccia tedesca).

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Il 28 marzo, un messaggio radio informava il Presidente dell’avvenuto colpo di Stato in Jugoslavia, che aveva rovesciato la reggenza filotedesca e creato un nuovo governo, sotto il giovane Re Pietro, seguendo la volontà popolare di combattere Hitler. Il Potomac ritornò a Port Everglades, in Florida.

Era qui alla fonda una nave tedesca, l’Arauca. Vi si era rifugiata nel 1939 per sfuggire a un incrociatore britannico e vi era rimasta, sventolando uno degli ultimi vessilli nazisti che furono visti in territorio americano. Nelle prime ore di mattina dell’ultimo giorno di vacanza del Presidente, giunse la notizia al Potomac che l’F.B.I. Aveva scoperto un piano di sabotaggio da parte degli equipaggi delle navi dell’Asse e il Presidente diede immediatamente l’ordine di sequestrarle.

Verso sera dunque, le guardie costiere salirono a bordo dell’Arauca e ne internarono la gente “per misure di sicurezza”, ammainando la bandiera nazista. L’episodio fece molto piacere a Roosevelt e a Hopkins: finalmente era un’azione decisa.

Di ritorno a Washington, Hopkins si immerse nel lavoro per l’organizzazione degli affitti e prestiti. Si era pensato da prima di costituire un comitato di Gabinetto per la realizzazione del nuova programma. Di esso avrebbe dovuto far parte il segretario di Stato, quelli del Tesoro, della Guerra e della Marina, con Hopkins in qualità di segretario esecutivo. Ma il Presidente non volle.

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Dopo parecchie settimane d’incertezza, creò un nuovo ente denominato Divisione delle Relazioni degli Aiuti di Difesa dell’Ufficio della Direzione di Emergenza, che, dato il titolo, suggeriva l’idea di un ente amministrativo stabilito in locali bui e polverosi al temine di qualche viottolo cieco del labirinto burocratico. Bersaglio quindi, poco adatto per le critiche (esso non venne ufficialmente designato come Amministrazione degli Affitti e Prestiti che sette mesi dopo).

Il nome di Harry Hopkins non figurava neanche nei ruoli. Funzionario esecutivo della nuova Divisione venne nominato il collaboratore di Hopkins, generale Burns, ma non c’era nessun Direttore o Presidente, il che stava ad indicare che Roosevelt voleva averne il diretto controllo, se non altro, per mezzo di Hopkins. Come sempre, anche questo venne criticato molto vivacemente.

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Il Dipartimento di Stato non poteva compiacersi di una situazione che gli toglieva il controllo di un così importante strumento di politica estera, limitandolo a quel poco d’influenza che potevano esercitare direttamente sul Presidente Hull o Welles in persona.

Né meno irritato si dimostrava Morgenthau, perché vedeva tolta a Tesoro la funzione esercitata fino a quel momento nel campo degli aiuti all’Inghilterra e alla Cina. Chi approvò invece l’operato del Presidente fu l’Ufficio del Bilancio. I problemi degli affitti e prestiti ebbero una chiara esposizione nella documentata pubblicazione “Gli Stati Uniti in guerra”, curata dell’Ufficio del Bilancio:

Quali Paesi avrebbero dovuto ricevere gli aiuti affitti e prestiti? Ed a qual condizioni? In che misura si dovevano spedire le merci nei vari Paesi? E quanto avrebbero inciso sul programma stabilito le nostre stesse necessità militari, americane, in confronto ai vantaggi che si potevano ricavare dagli aiuti concessi agli altri Paesi?

La questione non poteva essere decisa che dal Presidente: non era cosa da potersi delegare. Mentre invece poteva essere liberamente delegata l’autorità di agire.

Burns aveva due incarichi perché era membro del sottosegretariato Patterson al Dipartimento della guerra ed era perciò in stretto rapporto con i gravi problemi dei permessi e delle assegnazioni.

Il Tesoro era rappresentato nell’amministrazione degli affitti e prestiti da Oscar Cox e da Philip Young, il primo con funzioni di consigliere e di esperto generale, il secondo come amministratore.

Philip Young

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Incaricato del reparto produzione era il generale Sidney P. Spalding e un altro Spalding, pure generale, George R. era incaricato dell’ammasso e delle spedizioni. Il personale degli affitti e prestiti crebbe in pochi mesi fino a un centinaio di persone, un piccolo pugno di uomini per la pletorica burocrazia di Washington in tempo di guerra. Avevano sede nel palazzo della Riserva Federale.

Gli affitti e prestiti trattavano argomenti della massima segretezza ed Hopkins fu per la prima volta in vita sua tormentato dall’assillo delle più strette misure di sicurezza. Così ne scrisse a Young:

State in guardia e organizzate un archivio, che resti nella più assoluta segretezza, sia ben protetto e controllato dagli uomini dell’F.B.I. e del Servizio Segreto. Non possiamo assolutamente correre il rischio che qualche documento venga sottratto.

Per mio conto, penso che tutti gli impiegati debbano essere sotto l’attenta sorveglianza del Servizio Segreto. Voglio soprattutto che si faccia una inchiesta sulle loro opinioni nei confronti della guerra.

Non voglio avere nessuno che lavori per noi e desideri in cuor suo la vittoria della Germania. State in guardia e fate sapere che nessuno è autorizzato a concedere interviste, né a giornalisti né a privati. Se qualcuno domanda cosa state facendo, rispondete che soltanto la Casa Bianca è autorizzata a concedere informazioni del genere e rimandateli da Early.

È importantissimo che non ci lasci distogliere da questo atteggiamento in materia.

La maggior parte della corrispondenza personale di Hopkins in quel tempo, scarsa del resto, rivela l’estrema impazienza da cui era turbato.

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Dopo aver ricevuto parecchie lettere da una benemerita personalità del partito democratico, che gli chiedeva un favore per un altro iscritto al partito, rispondeva:

Non so perché chiediate proprio a me d’interessarmi anche di affari personali che non mi riguardano, relativamente a … Ho ripetuto fino alla sazietà a … che non tratto affari politici di sorta ed è inutile chiedermi di interessarmene. Mi rifiuto di ricevere gente che mi parli di simili affari. No vedo perché si debba proprio disturbare me e non un’altra dozzina di persone.

Harry Lloyd Hopkins

Harry Lloyd Hopkins

Un ex-collega della W.P.A. cui Hopkins era particolarmente affezionatogli inviò una lettera, con preghiera di trasmetterla al Presidente. Hopkins gliela restituì aggiungendo queste poche parole:

Vi consiglio di non lasciarvi trasportare, a proposito della W.P.A. Non c’è nulla da fare, se non vuole interessarsene il Presidente in persona e non c’è senso a precipitare le cose. Non manderò la lettera acclusa al Presidente perché non la leggerebbe. È troppo lunga. Siete certo molto più in gamba al gioco del poker, che a scrivere lettere!

In un momento di estrema irritazione, Hopkins mi disse un giorno: “Sono stanco di ascoltare tutte le lamentele di questi benedetti newdealers!” Potei credere a stento alle mie orecchie.

Hopkins era scusabilissimo se dimostrava tanta insofferenza, perché le sue responsabilità erano enormi e la sua salute malandata. Era di nuovo costretto a sottoporsi al regime più rigoroso e alle più strette cure, trasfusioni ed iniezioni in serie, per mantenersi in vita.

Raramente lasciava la Casa Bianca, ma faceva in modo di poter svolgere il suo lavoro tutto in camera sua e con il prezioso aiuto di Isador Lubin, ch’era attento e meticoloso in ogni cosa.

Del resto, almeno in principio, gli affitti e prestiti non presentavano difficoltà insormontabili. Non si trattava che di coordinare i problemi fondamentali della produzione e dei trasporti. Erano stati stanziati sette miliardi, ma la produzione bellica non procedeva con il ritmo voluto, né vii erano navi abbastanza per il trasporto.

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Era il momento in cui la parola più importante della lingua americana divenne “bottleneck”, ostacolo, ed uno dei più gravi era costituito dal vecchio adagio che no si può mangiare un torta e pretendere di conservarla intatta: la nazione no poteva far fronte alla realtà delle richieste della produzione di guerra e mantenere ancora l’illusione del tempo di pace.

Esisteva un piano di mobilitazione industriale che secondo le parole di Bernard M. Baruch, suo principale autore, doveva facilitare “il passaggio dal piede di pace a quello di guerra, con il minimo di confusione, di perdite e di sciupo di energie”. Ma il piano (come tutti quelli studiati prima del 1940) si basava purtroppo sull’ingenuo assunto che una nazione possa passare da uno stato di pace ad uno stato di guerra, con la stessa facilità con cui può passare da una stanza all’altra.

Non si era previsto di dover passare attraverso tutto un labirinto di corridoi, di androni e di angoli cechi, che si chiamassero “strana guerra”, “pagare e ritirare”, “affitti e prestiti”, cui gli Stati Uniti erano stati spinti tra il 1° settembre 1939 e il 7 dicembre 1941.

Ciò ingenerò confusione soprattutto fra gli ufficiali dell’Esercito responsabili dei servizi logistici. Benché Stimson, Patterson e Marshall fossero consapevoli della necessità di urgenti provvedimenti, i generali e i colonnelli incaricati di tradurli sul primo piano esecutivo erano gente da troppo tempo abituata ad osservare rigidamente le norme stabilite dal regolamento e a basare perciò, su questo tutti i calcoli.

Stimson

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Il loro compito era di non arruolare un numero maggiore di soldati di quello approvato dal Congresso e di dotarli invece, di tutto l’occorrente di fucili, coperte, razioni, obici, spazzolini da denti, ecc.

Erano stati abituati a non chiedere più del minimo necessario, per non vedersi interrotta la carriera da un trasferimento che li mandasse ad istruire, che so, le reclute di qualche accademia militare del Sud-Dakota, dove per tradizione le promozioni sono lente a venire.

Era quindi ridicolo pensare che quelli intendessero propugnare un programma di armamenti e di produzione che portasse gli Stati Uniti a superare la produzione globale della Germania, dell’Italia, del Giappone e dei loro Stati satelliti messi insieme. Una tale eventualità, anzi, era fomite di tutti i timori che più avevano persuaso gli ufficiali dell’Aviazione a limitare le loro richieste di paracadute a solo novemila capi per il 1941.

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Timori ispirati dal crescete sospetto isolazionistico che non ci stessimo armando “per la difesa”, ma per la guerra; come se le due cose fossero così contrastanti da poter essere distinte con un taglio netto. E pertanto, benché lo Stato maggiore avesse preso in considerazione l’importanza vitale di una guerra anfibia, le autorità militari si sarebbero guardate bene dal chiedere grandi stanziamenti per i mezzi da sbarco, perché ciò avrebbe potuto far sospettare che ci si stesse preparando per una guerra “straniera”.

Ci fu parecchio orgasmo fra gli isolazionisti del Congresso, nel 1941, quando videro compresa nell’elenco delle richieste dell’Esercito per le forniture tessili la voce “caschi per l’oltremare”. Benché difficilmente si potesse pensare a un oggetto più innocuo per una guerra offensiva, la semplice parola “oltremare” bastò a far drizzare le orecchie agli isolazionisti.

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Un amico del generale Marshall mi disse a quell’epoca d’aver partecipato con il capo di Stato maggiore a una riunione del Congresso durata parecchie ore, in cui si era cercato di fargli ammettere che Roosevelt fosse un “guerrafondaio”. Uscendo, Marshall chiuse gli occhi e disse: “Se potessi essere libero di me stesso per un minuto solo, manderei alla malora tutto quanto”.

Che l’industria americana si opponesse a vedersi trasformata per la produzione di guerra, era del resto logico e comprensibile, come è logico e comprensibile che alcuni fra i più importanti capi dell’industria, primo fra tutti Henry Ford, fossero fra i più violenti isolazionisti e si rifiutassero, come fece appunto il Ford, di eseguire le ordinazioni di armi per l’Inghilterra.

Henry Ford

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In altri era il dubbio che la guerra, con le sue straordinarie richieste, non sarebbe durata a lungo, dopo le recenti e travolgenti vittorie della Germania. Gli affari erano prosperi, soprattutto nel campo delle merci di consumo e l’industria automobilistica (anno 1941) aveva raggiunto il più alto livello nelle vendite di macchine d’uso civile.

Il Governo aveva un bel dire e promettere, ma non poteva persuadere gli industriali a mutare i loro piani di produzione senza contrasti che presentassero garanzie a lunga scadenza. Nessuno poteva dire quanto sarebbe durato il presente periodo d’emergenza o quali forme avrebbe assunto in seguito.

L’industriale avveduto sa che, aumentando eccessivamente la produzione oltre i limiti stabiliti dalla domanda e dalla offerta o dalla sua personale esperienza, finirà con il fallire. Ora gli si chiedeva di provvedere alle necessità di un numero X di milioni di uomini per un guerra che si sarebbe combattuta in circostanze imprevedibili e con esito quanto mai incerto. Non fa meraviglia che egli tentennasse di fronte a una simile prospettiva.

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A ciò si aggiungeva la titubanza determinata dal grave fermo della produzione in seguito agli scioperi a catena dovuti al continuo tentativo comunista di sabotare con ogni mezzo la produzione bellica. Lo stesso Roosevelt fu indotto per la prima volta nella sua carriera a far cessare uno di questi scioperi, sviluppatosi nella fabbrica di aeroplani di Inglewood , in California, ricorrendo all’intervento armato dell’esercito, nonostante la ripugnanza che provava per una simile decisione.

Questa la situazione in cui Hopkins iniziò il suo lavoro come rappresentante riconosciuto e designato dal Presidente per tutte le questioni attinenti alla produzione, ai trasporti, alle materie prime ed alle assegnazioni. Egli non aveva alcuna esperienza sul modo di affrontare questi problemi. Non aveva la pratica di un Knudsen o di un Batt. Ma nemmeno, quando aveva cominciato a combatterla, sapeva quali fossero i danni della silicosi!

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Egli aveva una straordinaria facoltà di sapersi orizzontare presto in ogni situazione, di valersi dei competenti e di rendersi conto di quel che andava fatto e del come si doveva farlo.

L’ammiraglio Emory S. Land, capo della commissione marittima, con cui Hopkins ebbe aspri, ma sempre corretti, contrasti, lo chiamò, fra il serio ed il faceto, “il generalissimo della bussola”. E infatti questa era una della migliori qualità di Hopkins. Quando scopriva qualche deficienza, era capacissimo di attaccarsi la telefono e di chiamare il generale Tal dei tali. Se il Dipartimento della Guerra rispondeva che il generale si trovava in viaggio per Los Angeles, Hopkins sbraitava: “Datemelo comunque e dovunque si trovi”.

E gli abilissimi centralinisti della Casa Bianca lo andavano a pescare sul treno o sull’aeroplano fino a Dodge City, nel Kansas e lo collegavano la telefono perché spiegasse “come mai ci fossero 280 P.39 nelle officine Bell, che aspettavano ancora le pompe Pesco. Che diavolo si sta facendo qui?”.

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Telefonate simili Hopkins ne faceva a tutte le ore del giorno e della notte, anche mentre si sottoponeva alle cure per la salute. Per la spiccata preferenza a impartire verbalmente tutti gli ordini, non esistono fra le sue carte molti documenti di tal genere, ma il numero e la varietà di quelli che passavano sulla sua scrivania o s’ammucchiavano sul suo letto, riguardanti i problemi degli aiuti, dei rifornimenti e dei trasporti, sono invece degni di essere considerati.

Ecco qui alcuni frammenti scelti fra una gran pila di documenti della primavera del 1941:

(Il ministro di Grecia a Hopkins): Come sapete, nell’elenco consegnatovi la scorsa settimana è fatta menzione del numero di aeroplani di cui la Grecia ha la massima necessità. Vi sarei molto obbligato se voleste …

Da sinistra Daniel Roper, John D Biggers ed Henry Wallace

Da sinistra Daniel Roper, John D Biggers ed Henry Wallace

(John D. Biggers a Hopkins): Mi chiedete leghe d’acciaio, al nickel, al cromo, ecc. Non posso fornirvi cifre esatte, ma le tavole qui allegate possono darne almeno una percentuale …

(Sumner Welles a Hopkins): Accludo copia di un promemoria sulla mia conversazioni di ieri notte con il ministro di Jugoslavia. Accludo l’elenco delle navi jugoslave da lui rimessomi …

Bernard M. Baruch

Bernard M. Baruch

(Bernard M. Baruch a Hopkins): Le domande da voi postemi, a cui dissi di non essere in grado di rispondere e che mi avete chiesto di esaminare, mi hanno dato parecchie preoccupazioni. La nostra organizzazione è ancora inefficiente. Così come vanno le cose, noi spendiamo un 20% in più del necessario e quel che più conta perdiamo tempo nella misura del 33 1/2 % più del necessario, ciò che è un danno incalcolabile …

Sono spiacente di non poter essere più incoraggiante, ma se volete il mio parere, nessuno sa meglio di voi che dobbiamo guardare in faccia la realtà …

(Hopkins al sindaco La Guardia): Ho qui sotto mano le fotografie d’un paio di documenti comunisti, che ci dicono chiaro come agiscono in questa faccenda. Mi sembra opportuno scoprire il mezzo di mandare a monte i loro piani. Secondo me, essi costituiscono per noi in potenza un nemico non meno della Germania.

Comprendo perfettamente che non abbiate l’autorità di perseguire i violatori della legge, ma …

William J. Donovan

William J. Donovan

(Il colonnello William J. Donovan a Hopkins): Ricorderete che l’ultima volta che ebbi il piacere di parlarvi, discutemmo il pericolo che la Germania possa mettere piede nell’Africa del Nord francese o in Spagna e in Portogallo. Se ciò avvenisse …

(Arthur B. Purvis a Hopkins): riferendomi alla vostra nota sui nuovi principi tecnici per la produzione dell’alluminio …

(Robert A. Lovett a Hopkins): Vi confermo quanto ebbi già a dirvi domenica pomeriggio sulla nostra attuale critica penuria di leghe d’acciaio.

James Forrestal

James Forrestal

(James Forrestal a Hopkins): La mancanza di acciaio per le pale d’elica è dovuta agli scioperi della Universal Cyclops Steel Corporation che ha cessato la consegna di eliche per gli aerei da caccia della Marina …

generale Burns

generale Burns

(Il generale Burns a Hopkins): Quanto alla vostra richiesta sulla quantità di munizioni per armi di piccolo calibro che vengono fabbricate a scopo privato …

(Nota a matita del Presidente): H. H. – annunciare Lauch Currie come assistente per gli aiuti alla Cina. Lo annunciamo? F.D.R.

(Lauchlin Currie a Hopkins): Come già sapete dal Presidente, egli non ha preso nessun specifico impegno per gli aiuti alla Cina nell’odierna conferenza stampa. Mi avete messo in un bel imbroglio oggi, quanto alla procedura e al regolamento…

Russel W. Davenport

Russel W. Davenport

(Russel W. Davenport a Hopkins): Questa lettera forse sarà un po’ lunga. Molte idee ho avuto per il capo da che vi ho visto e ho scoperto che ci siamo dimenticati di discutere una quantità di cose che dovevamo chiarire. Però insisterò soprattutto su un punto, la politica di guerra …

(Ancora Lovett a Hopkins): Il Presidente mi ha chiesto se un nostro apparecchio quadrimotore B.24 può portare un motore di ricambio. Gli ho risposto che dal punto di vista della portata …

(Il Presidente a Hopkins): Studiate la cosa con Bloom e Walter George e vedete un po’ se si può ottenere l’emendamento della legge. Tutto sta di fronte al Congresso, nel poter mandare il petrolio su navi di proprietà del Governo, ma non registrate …

Sir Arthur Salter

Sir Arthur Salter

(Sir Arthur Salter a Hopkins): Ho fatto del mio meglio, in risposta alla vostra richiesta, per rendermi conto dell’aliquota di nuove costruzioni occorrenti per ovviare (s’intende, oltre le costruzioni britanniche) alle perdite belliche, nell’ipotesi che …

(L’ammiraglio Land al Presidente e a Hopkins): Ho cenato ieri con Vickery da Sir Arthur Salter. Ecco la mia convinzione: se non stiamo più che attenti ai mali passi, presto ci troveremo noi e la Casa Bianca in viaggio per l’Inghilterra, con il monumento a Washington a far da remo e da timone.

(Il segretario Knox al Presidente): Mi convinco sempre più che gli Inglesi si troveranno di fronte a una imminente sconfitta se non ricevono un immediato aiuto dagli Stati Uniti, per fornire il necessario numero di trasporti al Regno Unito …

James Norman Hall

James Norman Hall

(James Norman Hall a Hopkins): In nome della vecchia amicizia di Grinnell, vi voglio chiedere un favore e vi prego di non mandarmi al diavolo prima di sapere di che si tratti. La piccola isola di Tahiti, nell’Oceania francese, è stata privata, ormai da più di tre mesi, del diritto di acquistare benzina o petrolio dagli Stati Uniti …

(Il tenente colonnello Rex Benson dell’Ambasciata britannica a Hopkins): L’ambasciatore mi ha chiesto di rendervi noto che, su informazioni confidenziali trasmesse a Mr. Casey circa la rivalità esistente tra le truppe australiane e neozelandesi nel Medio Oriente …

(Isadore Lubin a Hopkins): Ho ricevuto notizie della situazione all’arsenale di Frankfort e il rapporto dimostra che le attrezzature esistenti possono sopportare una maggiore produzione …

Isadore Lubin

Isadore Lubin

(Eduard Stettinius a Hopkins): L’ambasciatore russo ha telegrafato due giorni fa a Mosca, insistendo per avere una esatta cifra del rame greggio di cui ha bisogno la Russia …

(Word Canaday, presidente della Willys Overland Motors, Inc. a Hopkins e Biggers): La seguente è riassuntiva del nostro colloquio della settimana scorsa, per il trasporto di bauxite nelle isole della Vergine …

(L’ambasciatore Anthony Biddle a Hopkins): Bisognava vedere la faccia del generale Skorsky quando gli trasmisi il vostro messaggio che lo informava della nostra decisione di includere anche la Polonia nell’elenco degli affitti e prestiti … Vi è profondamente grato e mi ha pregato di dirvelo immediatamente … e nello stesso tempo di inviarvi i suoi più calorosi ossequi.

(Harriman a Hopkins): In riferimento al vostro 2121 … Anche gli Inglesi sono d’accordo quanto alla necessità di dare la precedenza alla produzione di materiale aeronautico …

Richard G. Casey

Richard G. Casey

(Richard G. Casey, Ministro d’Australia a Hopkins): Le richieste americana di lana australiana, zinco piombo, cromo e sabbia di zircone e altri materiali meno importanti e le nostre di materiali bellici e di macchine utensili degli Stati Uniti, sono allo studio dei vostri consiglieri e noi speriamo molto …

(Di nuovo Baruch a Hopkins): Ogni turbamento nel Pacifico può mutare volto al nostro programma di produzione per la difesa. L’alluminio è l’esempio più chiaro d’incompetenza e di lentezza, ma ci sono altri punti che gli fanno concorrenza …

(Il segretario Hull al Presidente, che ne riferì a Hopkins): Nei fogli allegati, Mr. Moffett dichiara che se il Re Ibn Saud non riceverà aiuti finanziari, si va a rischio che l’indipendenza araba non possa sopravvivere all’attuale stato di cose …

Cordell Hull

Cordell Hull

(Di nuovo Lovett a a Hopkins): Osserverete che l’accordo di ridurre del 20% la produzione dell’industria motoristica è rimasta praticamente senza effetto dato il sostanziale aumento della produzione automobilistica …

(L’ammiraglio Land al senatore Vandenberg): Fra il 1° gennaio e il 30 aprile 1941, sono state affondate i tutti i mari del mondo 158 navi per 781.914 tonnellate lorde …

(Di nuovo Harriman a Hopkins): Sarebbe opportuno che mi poteste telegrafare oggi stesso il motivo per cui Land ha reso note informazioni per cui gli Inglesi gli avevano fornite in via confidenziale …

Charles Lindbergh

Charles Lindbergh

(La signora Emil Hurjan a Hopkins): Denuncio sdegnosamente come americana e come oriunda scandinava, gli insulti lanciati la notte scorsa da William Bullitt contro il colonnello Lindbergh e quelli dello stesso Presidente. Io ho l’orgoglio di essere annoverata fra le migliaia di persone che fanno parte di “America anzitutto”. Vi sarei grata se poteste rendere nota questa mia al Presidente …

(Hopkins a Miss LeHand): Mi dicono che il film “Il cittadino Kane”, produzione RKO, è molto bello. Pare che vi si dia una strigliatina a Mr. Hearst. Se potete, fatelo vedere al Presidente. Si divertirà …

Missy LeHand

Missy LeHand

(Di nuovo Harriman a Hopkins): Il vasto programma per la produzione e l’uso di bombe incendiarie è causa di forti aumenti nelle cifre del paragrafo 3 del mio 1786. Infatti il numero calcolato …

(L’ammiraglio H. L. Vickery a Hopkins): Mi trovo ancora in grande imbarazzo per l’acciaio …

(L’ex uomo di mare al Presidente e a Hopkins): La grande diversità che esiste tra i tipi di carri americani e i tipi britannici mi preoccupa molto. Qui si sono già prodotti tre tipi del vostro M. 3 medio.

Lord Beaverbrook

Lord Beaverbrook

(Lord Beaverbrook a Hopkins): Non so se riuscirò a persuadervi a dare l’assoluta precedenza alla costruzione del M. 3. Se Prenderete questa decisione, ci darete il miglior aiuto che si possa immaginare …

(Il Presidente al ex uomo di mare): Abbiamo preso in seria considerazione durante questi ultimi giorni la situazione dei carri armati: vi rendo noto i risultati. Abbiamo in programma di produrre carri di media grassezza da 600 a 1.000 al mese, in modo da poter …

Hopkins era convito che il miglior sistema per superare tutti gli ostacoli fosse quello di esporli con franchezza, contro la tendenza comune a tutti i funzionari governativi di celarli all’opinione pubblica. Egli pensava invece che il conoscerli fosse salutare.

Quando, come è detto in un dispaccio di Forrestal, un’intera partita di aeroplani rimase a terra per uno dei soliti disguidi nella produzione di eliche, Hopkins volle che si pubblicassero le fotografie di questi aeroplani, non solo sulla stampa, ma negli stessi stabilimenti responsabili della mancata fabbricazione delle eliche. Pensava così di stimolare industriali ed operai, colpendoli nel loro amor proprio.

Roosevelt

Roosevelt

La malagrazia di Hopkins verso i vecchi amici ancora persuasi che il New Deal fosse cosa di ben maggiore rilievo che non l’avvenire dell’Impero britannico, cui egli dava ormai tutto l’apporto del proprio lavoro e del proprio pensiero procurandosi la taccia di “traditore della propria classe”, è un sinonimo che non va esagerato, perché nell’adempimento del suo ufficio di “generalissimo della bussola” egli si affidava ancora di massima a newdealers.

A fianco dei principali assistenti, Cox, Lubin e Young, vi erano infatti Leon Henderson, direttore dell’amministrazione dei prezzi e degli approvvigionamenti civili e Sidney Hillman, Robert Natan e Stacy May, dell’O.M.P. tutti fautori violentissimi del principio di una produzione illimitata e avversi alla tendenza dei più cauti industriali e degli ufficiali dell’Esercito e della Marina che protestavano: “Questo non si può fare”.

Ciò dava nuova esca all’accusa spesso ripetuta che il tipico new dealer fosse uomo che credeva in una “economia saturata”, senza aver fiducia nella potenza produttiva americana.

Wendell Willkie

Wendell Willkie

Nella campagna del 1940 Willkie aveva detto: “Le sole occupazioni create dati newdealers, sono degli impieghi governativi … Per otto anni non si sono stancati di dirci che l’America è una terra senza futuro”. Ma gli industriali che avevano più stretti contatti con Hopkins e con il suo entourage, scoprirono che quegli uomini, ben lungi dal diffidare dell’industria americana, avevano in essa una illimitata fiducia, credendola capace di raggiungere anche l’impossibile.

Può darsi che ciò fosse dovuto in massima parte a incompetenze o a mancanza di esperienza d’affari, ma anche così essi non avevano torto. Tra i consiglieri che pur restando sempre nell’ombra esercitarono una grande influenza su Hopkins, non si può dimenticare il francese Jean Monnet.

Jean Monnet

Jean Monnet

Non era un new-dealer, era anzi un uomo d’affari freddo e calcolatore, che aveva visto il suo Paese subire una terribile disfatta e la Gran Bretagna raggiungere quasi l’orlo dell’abisso, per l’incapacità o il rifiuto degli industriali e dei soldati di fronteggiare gli eventi di una guerra totale. Monnet fu il grande e isolato apostolo della produzione totale, predicando la tesi che va meglio avere mille carri armati in più piuttosto che uno solo in meno.

Bisogna però dire che gli uomini d’affari che appartenevano al Governo no tardarono a rispondere quando compresero che ne andava di mezzo la vita o la morte della Repubblica. Essi sapevano che cosa potesse fare la produzione e non furono impari alla prova. In molti casi anzi furono spietati nell’inculcare il timore di Dio (e dell’opinione pubblica)nell’animo dei loro vecchi compagni del Detroit Athletic Club che difficilmente potevano sfuggire al controllo di chi conosceva perfettamente tutte le risorse della loro attività.

Jean Monnet

Jean Monnet

Hopkins che era partito credendo che grande industria e cupidigia egoistica fossero sinonimi, si trovò a dover lavorare su un piano diverso ma comune, con quegli stessi uomini che una volta temevano in lui un riconosciuto evasore “del tenor di vita americano”.

Uno degli industriali più noti che entrò nel Governo nel 1941 fu James S. Knowlson, repubblicano di Chicago, presidente e consigliere delegato della Steward-Warner Corporation. Fu un gran giorno per Hopkins quello in cui anni dopo, lesse nell’Atlantic Monthly un articolo di Knowlson che parlava delle proprie esperienze di Washington:

Persi dieci libbre e un gran numero di pregiudizi personali. Mi sembra quasi strano di aver potuto scrivere una volta un appunto come questo: <<Ho parlato con Hopkins e non posso esimermi dal riconoscere che egli è qui dentro la mente più fredda e ragionatrice.

Egli scioglie i problemi più complicati nel modo più semplice ed ha saputo dare una guida al mio stesso pensiero>>. Io non so nulla dei piani sociali di Hopkins, né conosco le altre sue idee, ma mi dispiace assai di non averlo potuto vedere più spesso a Washington.

Pearl Harbour

Pearl Harbour

Tutta la matassa dello sforzo produttivo prima di Pearl Harbour è un complicato intrigo di strappi e di contrasti fra i fautori di uno sforzo totale di guerra e i protettori dell’economia civile. Una lotta sorda che ebbe punte acutissime. Per un certo tempo andò sotto il nome di “battaglia dei 7-up”, in seguito alle aspre lamentele di Robert Patterson, perché un gran numero di trasporti veniva ancora usato per smerciare ai giovani snob la bibita chiamata appunto “7-up”, anziché per portare armi e munizioni alle truppe.

In questo conflitto, Hopkins fu al cento per cento ostile a quelli che erano favorevoli ai consumi civili. Diventava furente al solo pensiero del grande sperpero di aeroplani da trasporto per mantenere gli orari delle linee aeree commerciali e pensava giorno e notte al modo di sottrarre quegli apparecchi alle aviolinee ed usarli nel servizio atlantico per l’Inghilterra e l’Africa o per la Cina attraverso “la Barriera” (The Hump).

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La prima misura presa nei confronti della Cina fu il tentativo di decongestionare le comunicazioni terrestri, per la strada di Birmania. Una fatica come quelle delle stalle di Augia, che cominciò a studiare con il suo amico John M. Hertz, per affidarla poi a Daniel Arnstein, un esperto di autocarri e di tassi, che si trovava con Hopkins alle corse il giorno in cui Max Gordon ebbe quella conversazione che detto poi origine alla nota frase attribuita a Hopkins: “Tasse sopra tasse, spese sopra spese, elezioni su elezioni”.

Daniel Arnstein

Daniel Arnstein

Arnstein ha così descritto gli inizi della sua avventura:

Nella primavera del 1941, me ne stavo a prender il sole in Florida, quando Harry mi chiamò al telefono dicendomi: <<Dan, devo fare un lavoro difficile e ho bisogno del tuo consiglio. Non puoi tornare a Washington?>>. Gli dissi di sì e così fu. Quando lo vidi a Washington, Hopkins mi disse che il transito per la strada birmana era una dannazione …

Proprio l’anno prima aveva assunto la gestione della Terminal Cab Company di New York; essa prendeva tutte le mie cure e non la volevo abbandonare a nessun costo. Ma Hopkins mi parlò in un modo tale che accettai di andare in Cina e gli promisi che presto avrebbe ricevuto qualche buona notizia.

Partii per la Cina. Subito a Rangoon vidi una gran quantità di materiali immagazzinati e fermi, senza che si pensasse minimamente a farli proseguire. La ragione stava nel fatto che la Birmania aveva posto un dazio sopra tutte le merci che transitavano dalla strada verso la Cina.

Reginald Smith

Reginald Smith

Stavo per impazzire, ed andai a parlare al governatore generale, Sir Reginald Smith, per dirgli: <<Il popolo americano è disposto a versare 70 milioni di dollari senza fiatare se glieli chiedono, ma fa fuoco e fiamme se gli vuole portare via dieci centesimi e vi dico che ho un diavolo per capello>>.

Arnstein fece un buon lavoro in Birmania e in Cina, ma non bastava. Gli affitti e prestiti non furono estesi alla Cina che due mesi dopo essere stati approvati e furono sempre scarsi e insufficienti, data la grande distanza e le richieste degli altri.

Allora si tendeva anche a fare una politica di pacificazione verso il Giappone e non lo si voleva provocare in alcun modo. Quando poi aprirono le ostilità, dopo Pearl Harbour, i Giapponesi stessi riuscirono a tagliare le comunicazioni attraverso la Birmania.

Nella primavera del 1941, l’attenzione era concentrata sull’Atlantico e particolarmente sull’Islanda, le Azzorre, Capo Verde e Dakar. Di queste località, l’Islanda era indubbiamente la più importante per la sua posizione proprio sul fianco della linea diretta dall’Africa del Nord al Regno Unito.

Immagini del 7° "Reichsparteitag" (Norimberga 1935): a Hitler viene consegnata la "Spada dell'Impero"

Immagini del 7° “Reichsparteitag” (Norimberga 1935): a Hitler viene consegnata la “Spada dell’Impero”

Pur essendo una repubblica indipendente, aveva dei vincoli d’unione con la Danimarca, il che attribuiva a Hitler, che controllava la Danimarca, un certo diritto sull’isola. Perciò le forze britanniche vi erano sbarcate per difenderla da una improvvisa occupazione tedesca.

Nel dicembre del 1940, il console americano a Reykjavik, Barbel E. Kuniholm, discusse con il Primo ministro islandese un proposta per includere l’Islanda nella sfera prevista dalla Dottrina di Monroe, ponendola così in condizione di essere difesa dagli Stati Unti.

Thor Thors

Thor Thors

Il mese seguente Hull mise il fermo a ulteriori trattative, ma il 14 aprile 1941, Hopkins e Welles si incontrarono con Thor Thors, console generale d’Islanda a Washington, aprendo quei negoziati segreti che dovevano sfociare nell’invito del Primo ministro d’Islanda “a rafforzare (con la nostra prima brigata di fucilieri di marina) ed eventualmente a sostituire nella difesa dell’isola le forze britanniche qualora queste si rendessero necessarie altrove”.

Per la precisione, nei primi mesi, prima che si mandassero altre truppe di rinforzo, ci furono in Islanda 4.000 uomini della Fanteria della Marina statunitense e circa 20.000 inglesi. Le autorità britanniche si preoccuparono subito di questo dualismo e proposero all’ammiraglio Ghormley a Londra di stabilire senz’altro una unita di comando, che doveva essere logicamente inglese almeno finché le forze americane nell’isola non superassero quelle britanniche.

ammiraglio Ghormley

ammiraglio Ghormley

L’ammiraglio Stark scrisse a Hopkins: “So che il Presidente si è particolarmente interessato e l’ha opportunamente vagliata, ma è un ordine così carico di dinamite e di impreviste conseguenze, che vorrei avere il suo benestare prima di firmarlo. Il segretario Knox è d’accordo con me; vi mando questa, perché non voglio che sia consegnata con il corriere normale”.

Persino in una simile delicata questione diplomatico-militare, il capo delle operazioni navali si serviva di Hopkins per accedere più facilmente a Roosevelt. Stark univa alla lettera l’ordine al comandante in capo della Flotta atlantica degli Stati Uniti (ammiraglio King) e al comandante generale della prima brigato di fucilieri di marina perché organizzassero il trasporto e la sistemazione delle truppe in Islanda.

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E diceva: “Mi rendo conto che questo è praticamente un atto di guerra”. Egli pensava infatti che si stesse esagerando perché, ponendo le truppe americane alle dipendenze di un comando britannico, si sarebbe corso il rischio di vederle combattere per ordine inglese, nel caso di un attacco tedesco all’Islanda. Stark, perciò specificava nei suoi ordini operativi. “Coordinerete le vostre operazioni di difesa dell’Islanda alle operazioni di difesa delle forze britanniche, secondo il principio di una reciproca cooperazione”.

Nessuno aveva il benché minimo dubbio che i fucilieri di marina avrebbero combattuto in caso di un attacco tedesco, eppure, nonostante le nuove e reiterate pretese degli isolazionisti, il popolo americano non si turbò all’annuncio dello sbarco, ma lo accolse con calma, giudicandolo una opportuna misura precauzionale.

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Dal canto suo Hitler e il Governo nazista ebbero il tatto di non interpretarlo come un atto di guerra. Sorse naturalmente una questione delicata; se in Islanda i fucilieri statunitensi erano sul piede di guerra, pronti a respingere ogni attacco tedesco, la Marina degli Stati Uniti non avrebbe dovuto ricevere analogamente l’ordine di agire contro le navi corsare tedesche (sommergibili compresi) lungo le rotte tra il continente nord americano e l’Islanda? Fu il problema di maggior gravità che si pose a Roosevelt in quel lasso di tempo.

Un’azione navale tedesca per occupare l’Islanda non era molto probabile. Ma il rischio di altre azioni era tutt’altro che da escludere. Quelle rotte erano battutissime dalle navi da corsa tedesche e non solo dai sommergibili, ma dalle navi da battaglia Bismarck e Tirpitz e dagli incrociatori Scharnhorst Gneisenau e Prinz Eugen.

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Sino dal 2 aprile Roosevelt aveva accennato alla possibilità di assicurare una scorta navale statunitense ai convogli dell’Atlantico. Diede quindi ordine alla Marina di preparare un piano, denominato il “il piano numero 1 per la difesa dell’emisfero”, comprendente precise disposizioni per un’azione offensiva delle navi da guerra americane contro le navi e i sommergibili tedeschi nell’Atlantico occidentale.

Il 13 aprile però, una notizia del patto di neutralità tra il Giappone e l’Unione Sovietica sollevò non poco allarme per la situazione del Pacifico e si stabilì di preparare subito un “piano numero 2 per la difesa dell’emisfero”, che entrò in vigore in seguito ad ordine presidenziale il giorno 24.

Il piano, riveduto e corretto, prevedeva che le navi americane si limitassero ad osservare i movimenti di quelle tedesche a ovest dell’Islanda, comunicando le relative notizie. Non si doveva aprire il fuoco se non in caso d’attacco.

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La responsabilità della protezione dei convogli era ancora interamente affidata ai Britannici. In una dichiarazione, redatta da Roosevelt e da Hopkins, sui limiti di questo servizio di pattugliamento, il Presidente scrisse: “Tutte le acque navigabili del Nord e Sud Atlantico poste ad Ovest del 25° di longitudine.

La linea parte da un punto a mezza via tra la costa dell’Emisfero americano e le coste dell’Europa e dell’Africa, in altre parole, a mezza via tra il Brasile e la costa occidentale dell’Africa”. Si può notare che il 25° meridiano passa proprio a occidente dell’Islanda, ma la linea fu poi estesa sino a comprendere anche l’isola.

Roosevelt e Hopkins ne diedero notizia a Churchill con il seguente dispaccio:

Ci proponiamo di fare immediatamente i passi seguenti in relazione alla sicurezza dell’Emisfero occidentale. I passi interessano da vicino la sicurezza della vostra navigazione. Prima di prendere una iniziativa unilaterale, desidero rendervi nota la proposta.

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Questo Governo propone di stendere la zona di sicurezza e l’area di pattugliamento come segue:

Proponiamo di estendere l’area di pattugliamento impiegando l’aviazione e le navi della Groenlandia, da Terranova, dagli Stati Uniti, dalla Nuova Scozia, dalle Bermude e dalle Indie occidentali, fino possibilmente al Brasile.

Desideriamo essere informati in via strettamente riservata del movimento dei convogli, perché le nostre unità di pattuglia possano cercare le unità del nemico, operanti a Ovest della zona di sicurezza.

Consigliamo che i vostri trasporti marittimi seguano il più possibile le rotte a ovest della nuova linea, sino alle latitudini nord-occidentali.

Proponiamo di inviare tutti i tipi di merce su navi disarmate battenti bandiera americana fino all’Egitto o ad altro porto di nazione non-belligerante, via Mar Rosso o Golfo Persico.

Pensiamo di poter mandare grano ed altre derrate trasportabili su navi americane in Groenlandia e in Islanda, entro i prossimi sei mesi. Speriamo di poter utilizzare un vasto tonnellaggio di nostre navi ora adibite ad altri scopi, per il diretto trasporto dei materiali in Inghilterra.

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Contiamo di poter utilizzare a più presto le navi danesi e, tra due mesi circa, quelle italiane. 

In tal frangente, Hopkins insisteva continuamente per un’azione più decisa, mentre Roosevelt, propendeva per la moderazione e la cautela. Basta leggere le memorie di Henry Stimson, dove parla della propria insoddisfazione per il corso degli avvenimenti nella primavera 1941, per vedere quanto Roosevelt cercasse di moderare i bollori di taluni suoi fedeli consiglieri, che lo assediavano dicendo che era passato il tempo in cui era valido lo slogan: “tutti gli aiuti possibili, all’infuori di una guerra”.

Era in programma per il 14 maggio un discorso del Presidente, in occasione della ricorrenza della giornata panamericana. Era una delle occasioni preferite dal Dipartimento di Stato che, nel preparare il progetto del discorso, batteva il tasto della solidarietà americana.

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Bastò l’annuncio del discorso, per sollevare in patria e fuori un nugolo di commenti e di previsioni, perché era il primo discorso importante pronunciato dal Presidente dopo l’approvazione degli affitti e prestiti. Era forse giunto il momento della tanto attesa e temuta richiesta di una dichiarazione di guerra? Grande fu il lavoro della propaganda nazista, comunista e anti rooseveltiana in quei giorni e Lindbergh venne fuori addirittura con un aperto invito alla rivolta contro l’autorità governativa.

Nel medesimo tempo, i più accesi interventisti, sotto le insegne del comitato della “Lotta per la Libertà”, fecero a gara con gli isolazionisti nel sollevare inopportune richieste. Fu un momento di grande allarme e di aspri dibattiti in tutto il Paese.

Roosevelt fu turbato da tutte le speculazioni intorno a suo discorso, dato che non aveva ancora ben chiaro quello che volesse dire. Non gli era infatti possibile parlare dei piani per l’Islanda o per il servizio di vigilanza, né poteva esporre i molti progetti sull’occupazione delle Azzorre o rendere noto che una parte della flotta del Pacifico era già in movimento per trasferirsi nell’Atlantico.

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A sostegno del Presidente, Steve Early aveva ammonito i giornalisti a non dare eccessiva importanza al discorso, che non avrebbe avuto altro valore di un discorso d’occasione. Ma il monito di Early, che sceglieva sempre con cura le sue parole, creò di riverbero altre preoccupazioni nella stampa anti-isolazionista, in Inghilterra ed in altri paesi.

La tensione era accresciuta anche da altre dichiarazioni pubbliche di alti funzionari del Governo, vedi Stimson e Knox, che già davano gli Stati Uniti sull’oro della guerra. Ii loro discorsi erano stati letti da Roosevelt prima d’essere pronunciati e quindi si riteneva generalmente che egli approvasse le opinioni espressevi.

Ma ciò non vuol dire che egli, personalmente, fosse disposto a compromettersi tanto. Improvvisamente Roosevelt rimandò il suo discorso per motivi di salute. Quando fu poi annunciato che il discorso sarebbe stato tenuto il 27 maggio, i giornalisti chiesero a Early se fosse disposto a ripetere il monito già dato. Rispose di no! E l’attesa divenne morbosa.

The port eight barrelled Vickers two pounder Mark VIII 'pom-pom' gun in action during anti-aircraft practice on board HMS RODNEY whilst she is at sea.

Dal canto proprio, Roosevelt passò la maggior parte di quei giorni di fine maggio in letto e fece rare apparizioni in ufficio. Diceva di non aver mai avuto un simile raffreddore. Un giorno, uscendo di camera sua dopo un colloquio avuto con lui, dissi a Missy LeHand: “Il Presidente mi sembra di bell’aspetto. Non h avuto un solo colpo di tosse e non si è soffiato il naso nemmeno una volta, mentre c’ero io e mi è parso che stesse benone. Che cos’ha in fondo”. Missy sorrise e rispose: “soffre d’esasperazione e nient’altro”.

Invero, in quei giorni egli sembrava sofferente di tutto e di tutti, esasperato, insomma: contro gli isolazionisti che gli chiedevano le sue dimissioni, contro gli interventisti che chiedevano l’immediato invio di un Corpo di spedizione in Inghilterra e nelle Azzorre e a Dakar, nelle Indie orientali olandesi, a Singapore, nelle isole Aleutine e non so in quale altro punto strategico del globo.

Churchill

Churchill

Ben pochi riuscirono a vedere il Presidente in quei giorni. E i più nervosi fra gli uomini politici di Washington si domandavano quale fosse la causa di tanta inaccessibilità, quando il Presidente si sarebbe ancora fatto vivo e come si sarebbe comportato.

Noi che eravamo in quel tempo alla Casa Bianca ci sentivamo sotto il fuoco di fila di tutte le domande e di tutti gli sguardi dei vari funzionari che ci chiedevano di trasmettere al Presidente o di fargli notare qualche promemoria che forse riposava ancora in un cassetto.

Io riferivo a Hopkins le richieste che mi sembravano di maggior interesse ed egli mi rispondeva invariabilmente di “lasciar perdere”. Il 10 maggio, ecco giungere improvvisamente la notizia dell’atterraggio di Rudolph Hess in Scozia, nelle terre del duca di Hamilton. Era un sabato sera e Churchill si trovava a Dytchley. Anzi si trovava al cinema a vedere una pellicola dei Fratelli Marx – così almeno dissero ad Hopkins .

Il duca di Hamilton telefonò dalla Scozia, ma Churchill non volle lasciare lo spettacolo; disse al segretario di informare Sua Grazia che il Primo ministro aveva altri impegni. Il duca insisteva però, che era una cosa seria e di grande interesse per il Gabinetto.

Brendan Bracken

Brendan Bracken

Così Churchill mandò Bracken a ricevere il messaggio, mentre egli continuava a divertirsi alle vicende di Groucho, Harpo e Chico. Bracken ritornò annunciando che Rudolph Hess era giunto in Gran Bretagna. Churchill brontolò: “Non potevi dire al duca di Hamilton d’andarlo a raccontare ai Fratelli Marx?”.

In seguito si mandò dal duca, Ivone Kirkpatrick, per identificare Hess. Kirkpatrick era stato per parecchi anni all’Ambasciata britannica a Berlino, prima della guerra e conosceva Hess, anzi, lo odiava cordialmente. Quando egli accertò l’identità dell’individuo, si fece un breve annuncio e poi ci si trincerò dietro il silenzio più assoluto.

Tutti coloro infatti che in tutte le parti del mondo leggevano i nostri giornali o ascoltavano la radio, si sentivano presi dalla febbre di sapere quale fosse la vera portata di quello stranissimo caso. Non si contavano le voci e le dicerie. Anche io come tutti, ero divorato dalla curiosità, ma sapevo che non mi era permesso chiedere alla Casa Bianca informazioni che esulassero da quello che era il mio lavoro.

La regina, re Giorgio e Churchill

La regina, re Giorgio e Churchill

Una sera, circa dieci giorni dopo l’arrivo di Hess, mi trovavo a pranzo con il Presidente, con Hopkins e con Sumner Welles. Improvvisamente, nel mezzo della conversazione, Roosevelt si rivolse a Welles e disse: “Sumner, voi dovete aver incontrato Hess, quando siete andato in Europa l’anno scorso”. Welles rispose affermativamente. Io ero tutt’orecchi, perché pensavo di cogliere finalmente la spiegazione del mistero.

– Che tipo è? – chiese Roosevelt. elles diede ampia e precisa relazione dell’impressione che gli aveva fatto allora il Tedesco – una devozione fanatica, mistica al Fuehrer, una congenita stupidità o ottusità di mente, ecc. Roosevelt fece un attimo di silenzio e poi: – Sono proprio curioso di sapere che cosa ci sia sotto a questa storia! Welles rispose che non ne aveva la minima idea.

Così seppi che il Presidente si poneva le stesse domande di migliaia se non di milioni di altri americani. Qualche mese dopo anche Stalin chiese a Lord Beaverbrook quale fosse la verità sul caso Hess. Ne parlerò in un capitolo successivo. Tutti se lo chiedevano e nessuno lo sapeva.

Roosevelt con Stalin

Roosevelt con Stalin

Il 24 maggio, la grande nave da battaglia tedesca Bismarck, uscita dalla base di Bergen, in Norvegia e scortata dall’incrociatore Prinz Eugen, venne intercettata fra l’Islanda e la Groenlandia dalla corazzata Prince of Wales e dall’incrociatore da battaglia Hood. In uno scontro della durata di pochi minuti, il Prince of Wales fu lievemente danneggiato e lo Hood andò a picco.

Le navi tedesche riuscirono a rompere il contatto. Il Bismarck si diresse verso sud-ovest, per portarsi sulla rotta tenuta dai convogli diretti verso Terranova e la costa orientale degli Stati Uniti. Per quasi due giorni non si ebbero più notizie della sua posizione. Si facevano le più varie congetture sulle sue intenzioni e sulla sua destinazione. Fra le varie queste: – Voleva cannoneggiare Halifax, New York e le altre località. – Voleva andare a Rio de Janeiro per far propaganda nel Sud-America. – Voleva girare il Capo Horn e battere le vie del Pacifico fino al Giappone (e varie erano le ipotesi circa il modo in cui potesse effettuare i suoi rifornimenti. Dopo l’episodio di Hess, nulla sembrava tanto assurdo e impossibile da non potersi realizzare. Roosevelt pensava, non fuori di proposito, che il Bismarck intendesse giungere nel Mar dei Caraibi, fino alla Martinica per prendere possesso di quel avamposto strategico.

E diceva: “Supponete che faccia la sua apparizione nel Mar dei Caraibi. Noi abbiamo là dei sottomarini. E supponete che noi si tenti di attaccarlo e di affondarlo. Pensate che il popolo mi potrebbe mettere in stato d’accusa?”.

Churchill e Lord Beaverbrook

Churchill e Lord Beaverbrook

Roosevelt parlava con un tono così indifferente che si poteva pensare che egli stesse scherzando con la sua stessa fantasia, come se avesse detto in realtà: “Supponete di trovarvi un giorno in piena epoca trecentesca … “. Eppure la presenza di una nave pericolosa nelle nostre acque territoriali non era una frottola, era una realtà di cui si potevano conoscere le conseguenze, un elemento che forse, guidato dalla volontà di un uomo che fosse un maniaco o un genio o tutt’e due messi insieme, avrebbe trasformato con un solo colpo decisivo il corso della storia.

E il Presidente degli Stati Uniti, seduto nella Casa Bianca in un’atmosfera di calma opprimente, aspettava con ansia le notizie che gli potevano pervenire da qualche dispaccio della Marina, elucubrando nel frattempo tutti i rimedi che poteva apportare alla situazione. Se ne stava dietro la sua scrivania nello studio ovale ed aveva levato la giacca. Era una giornata di gran caldo.

Nel suo studio e in camera c’era un impianto d’aria condizionata, ma egli l’odiava e non se ne voleva servire. Le finestre erano aperte. Una di esse era ombrata da un grosso albero di magnolia che, a detta di lui, era stato piantato da Andrew Jackson ed ora era completamente coperto dei suoi grossi e bianchi fiori che spandevano per la stanza il loro grato profumo.

Roosevelt

Roosevelt

Da quelle finestre si spingeva lo sguardo fino alla Virginia, che, quando viveva in questa casa Abramo Lincoln, era considerata territorio nemico. Ma Roosevelt era preoccupato di non essere messo sotto accusa. Era opinione comune di tutti noi, ch’eravamo seduti intorno alla scrivania, che se la Marina statunitense avesse mosso decisamente contro la Bismarck, al largo della Martinica, o comunque in acque occidentali, il popolo americano avrebbe applaudito entusiasticamente.

Le accuse sarebbero venute solo se la Marina avesse fatto fuoco fallendo il bersaglio. Però, la grossa nave tedesca dirottò verso est per dirigersi ad un porto della Francia. Due giorni dopo, 26 maggio, giunse notizia che essa era stata segnalata da un PBY Catilina, uno dei nostri bombardieri di sorveglianza, che Hopkins aveva fatto mettere a disposizione del comando costiera della R.A.F. Il giorno seguente la Marina inglese uscì in forze contro il Bismarck, lo circondò e lo affondò. Fu il giorno del discorso di Roosevelt e Hitler lo aveva aiutato a dargli un tono melodrammatico .

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Io non so quale intenzione avesse avuto Hitler nell’ordinare al Bismarck quella sua incursione nell’Emisfero occidentale, rischiando di perdere la più bella nave della sua Marina e forse del mondo. L’unica spiegazione che mi pare logica e quella che egli pensasse di affondare uno o più convogli e di intimidire gli Stati Uniti, screditando quanto avrebbe potuto dire Roosevelt nel suo discorso. Lo stesso può dirsi per l’affondamento della prima nave mercantile americana, Robin Moor, che i Tedeschi attaccarono proprio in quei giorni, benché la notizia venisse diramata solo più tardi.

Durante lo stesso periodo di fine maggio 1941, dopo la rapida conquista della Jugoslavia e della Grecia, sembrava logico che la Germania cercasse di eliminare completamente l’Inghilterra dal Mediterraneo. Leahy aveva informato Roosevelt da Vichy che il maresciallo Pétain si aspettava una prossima avanzata di truppe tedesche nella Spagna, per prendere Gibilterra o occupare alcuni capisaldi della costa da cui tenere sotto il tiro lo Stretto e eventualmente trasportare le truppe nel Marocco spagnolo: ed è lecito pensare quel che sarebbe avvenuto se Hitler l’avesse fatto e rallegrarsi che non vi sia riuscito.

Darlan andò a Berchtesgaden per abboccarsi con Hitler, e Churchill inviò segnalazioni che confermavano le parole di Leahy, sul pericolo che correva l’Africa del Nord dalla parte della Spagna. I messaggi di Churchill in quel periodo erano assai pessimisti e non a torto. Roosevelt, che pensava all’Africa del Nord quale eventuale campo di operazioni, fu profondamente turbato dalle conseguenze che la nuova situazione avrebbe potuto provocare nelle isole portoghesi e spagnole dell’Atlantico e ordinò di affrettare i piani per l’occupazione americana delle Azzorre.

Sam Rosenman

Sam Rosenman

Il giorno in cui erano giunte alla Casa Bianca le prime notizie del Bismarck, Hopkins aveva detto a Rosenman e a me che il Presidente intendeva finire il suo discorso proclamando una “illimitata emergenza nazionale” (fino ad allora l’emergenza era stata “limitata”) e aggiunse che dovevamo porci subito all’opera per stendere la minuta di tale dichiarazione.

Ne rimanemmo scossi e sconcertati e scendemmo nella sala del Gabinetto a battere un proclama che consisteva d’un solo periodo. Quando la nuova copia del discorso fu preparata e battuta a macchina da Grace Tully (nessun altro lo poteva fare, per ragioni di segretezza), vennero da noi Sumner Welles e Adolph Berle a dare un’occhiata per incarico del Dipartimento di Stato. Giunto al proclama, Welles esclamò: “Ma chi l’ha scritto?” Gli confessammo di essere stati noi. Ci chiese poi se il Presidente ne fosse al corrente. Non ancora, gli dicemmo. Non si può rimproverare Welles e Berle se pensarono che il nostro fosse un ben strano modo di procedere.

Roosevelt

Roosevelt

Andammo su in quattro per cenare con il Presidente e con Hopkins e poi dare lettura della copia. Finito il pranzo, infatti, il Presidente si sedette alla scrivania e cominciò a leggere il discorso. Leggeva forte, come era sua abitudine, per vedere che effetto facesse e per rendersi conto delle frasi ch’era troppo difficile pronunciare per radio e del tono di voce che avrebbe dovuto prendere.

Un istante prima che giungesse all’ultimo periodo, quello fatale, Hopkins si levò da tavola e dovette lasciare la stanza per andare a prendere non so quale medicina. Restammo soli io e Rosenman ad affrontare il punto incriminato. Impallidimmo. E Roosevelt lesse: ” … per cui proclamo che da oggi esiste una illimitata emergenza nazionale. – Che cos’è questa roba?”.

Sollevò lo sguardo dal dattiloscritto con quell’aria di perfetta innocenza che prendeva così spesso e chiese con molto garbo: “Qualcuno di voi non si è presa un po’ troppa libertà?”. Io incomincia a spiegare con voce malsicura, che Harry ci aveva informato che il Presidente aveva intenzione di dire qualcosa di simile …

Sono sicuro che Welles e Berle mi vedevano già con il capo mozzo. Ma Roosevelt non aggiunse verbo: e le parole rimasero nel discorso. Su due punti il Presidente mise assolutamente il veto: non volle fare il minimo accenno né al Giappone, né all’Unione Sovietica. E non volle affatto pronunciare la parola “dittatura”, di cui si era servito tante volte per definire gli Stati nazisti, fascisti e comunisti. La politica del momento non voleva che si provocasse il Giappone, per cercare di tenerlo lontano dalla guerra e neppure l’Unione Sovietica, se putacaso la Germania l’avesse costretta ad entrarci. Perciò l’unico termine di dispregio che si poteva usare era la parola “Asse”. Ecco un esempio di come si osservavano rigidamente queste disposizioni.

Russland, Lagebesprechung mit Hitler

Nel discorso si passavano in rassegna gli avvenimenti della guerra, a cominciare dal settembre 1939 e li si faceva seguire da queste righe: “Nei mesi successivi, le ombre s’approfondirono e s’estesero in ampiezza. La notte coprì la Polonia, la Finlandia, la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda, il Lussemburgo, la Francia”. Ma, prima di pronunciare il discorso, dopo attenta considerazione, la Finlandia venne omessa.

L’occasione non era la più appropriata per un simile discorso. Era la ricorrenza della giornata panamericana, ed erano ospiti gli ambasciatori e i ministri di delle venti repubbliche latine, con le loro famiglie. Roosevelt insisté per includere ne numero anche il ministro canadese, Leigthon McCarthy, suo vecchio amico, benché il Canada non fosse mai stato entusiasta del panamericanismo. Era una cerimonia in abito da sera: gli ospiti, durante il discorso, sedettero su piccole poltroncine dorate nella sala orientale e si mossero poi nei giardini meridionali, per partecipare a una specie di ricevimento all’aperto con rinfreschi e lanterne giapponesi. (Sam Rosenman mi disse: “Avremmo dovuto fare attenzione e chiamarle “lanterne dell’Asse”).

Faceva un caldo opprimente nella sala, mentre parlava il Presidente. Tutt’intorno, ai lati della sala, erano in attesa fotografi e macchine da presa, ma non poterono far scattare gli obiettivi e i lampi di magnesio finché il Presidente non ebbe finito di parlare. Il film venne ripreso dopo che gli ospiti erano usciti, mentre Roosevelt ripeteva i passi più efficaci del discorso.

Bundesarchiv_Bild_183-M1112-500,_Waffenstillstand_von_Compiegne,_Hitler,_Goering

Il discorso no provocò entusiasmo negli ascoltatori, ed ebbe alla fine un semplice applauso di circostanza. Coloro che capivano l’inglese si dimostravano preoccupati e allarmati delle cose che erano state dette. No era certo il solito discorso inneggiante all’unione panamericana e alla solidarietà dell’Emisfero. Dopo brevi parole di benvenuto e di cortesia ai convenuti, Roosevelt infatti pareva essersi completamente dimenticato di chi era presente.

Egli parlava agli ascoltatori della radio negli Stati Uniti e nel mondo e questo fu il passo più forte del discorso:

Dal punto di vista di una stretta necessità militare, daremo ogni possibile aiuto alla Gran Bretagna e a tutti coloro che con la Gran Bretagna resistono all’hitlerismo o ai suoi equivalenti con la forza delle armi.

Le nostre squadriglie di sorveglianza operano già per garantire la consegna e il trasporto dei materiali necessari all’Inghilterra. Si prenderanno tutte le ulteriori misure che si renderanno necessarie per la consegna delle merci e si troveranno nuovi e più sicuri mezzi, per una azione combinata, qualora ciò sia richiesto …

le parole in corsivo erano certamente interpretabili nel senso che l’America avrebbe reagito contro ogni tentativo tedesco d’interrompere le vie di comunicazione dell’Atlantico del Nord, ma dovevano passare dei mesi, prima che un ordine simile venisse effettivamente diramato.

Irving Berlin

Irving Berlin

Con me, al discorso c’era Irving Berlin, il quale poi salì a visitare Hopkins in camera sua. Harry si trovava sdraiato, in vestaglia, perché i discorsi preferiva ascoltarli per radio per sentirli dalla viva voce di chi li pronunciava. Dopo la partenza dei diplomatici ospiti, la signora Roosevelt ci venne ad invitare nella sala di Monroe dove il Presidente aveva radunato gli intimi. Fu felicissimo di vedere Berlin e gli chiese subito di andare al piano per suonare e cantare “Alexander’s Ragtime Band” e molte altre canzoni.

Quando più tardi entrai nella camera da letto del Presidente, per dargli la buonanotte, egli era già in letto con una gran quantità di telegrammi sparsi sulle coperte. Ce n’erano circa un migliaio o giù di li e li aveva guardati tutti. – il novantanove per cento sono favorevoli, – disse, – Ed io che mi stimavo felice se me la fossi cavata con poche escoriazioni!

La stampa e, per quel che si può sapere, il popolo, risposero infatti in modo straordinariamente favorevole. Le parole di Roosevelt furono effettivamente considerate come un monito solenne: l’entrata degli Stati Uniti in guerra contro la Germania era ormai considerata inevitabile, anzi, imminente.

ADN-ZB/Repro/23.1.85/Bez. Erfurt: Gedenken an Antifaschisten/ In unterirdischen Stollen des faschistischen Konzentrationslagers "Mittelbau Dora" bei Nordhausen hatte das Rüstungsunternehmen Mittelwerk GmbH einen Rüstungskomplex errichtet. Unter Ausbeutung von KZ-Häftlingen wurden hier Raketen gebaut (V 1 und V 2). Durch gezielte Sabotage der Widerstandsorganisation, zu der auch der am 23.1.45 im KZ ermordete Antifaschist Albert Kuntz gehörte, war etwa ein Drittel der Raketen, die den Krieg für Hitler entscheiden sollten, unbrauchbar. Das Foto zeigt einen der Montagestollen für V-Waffen (Reproduktion einer Aufnahme von 1945).

Eppure, l’indomani del discorso, Roosevelt si era preoccupato di sminuirne la portata in una conferenza stampa, smentendo nel modo più assoluto di avere l’intenzione di usare la Marina degli Stati Uniti a protezione dei convogli o di chiedere al Congresso un qualsiasi emendamento all’atto di neutralità. Hopkins, che credeva di conoscere quale fosse il pensiero del Presidente, era rimasto sconcertato da questo improvviso rovesciamento di fronte e dal repentino passaggio da una posizione di forza ad una di apparente e indifferente debolezza.

Il fatto si doveva ripetere altre volte. Nella grave crisi prodottasi in Occidente in seguito alla Blitzkrieg, dopo Dunkerque e il crollo della Francia, Roosevelt era stato pressoché il solo a propugnare una decisione di forza, che appariva allora disperata. Ora, esattamente un anno dopo, mentre le fortune della Gran Bretagna erano ancora in acque molto basse, egli si trovava di nuovo solo o pressappoco, ma non ad agire, a mostrarsi indeciso sul da farsi.

Forse la lunga feroce campagna isolazionista contro il Presidente, che pure non era riuscita ad accecare l’opinione pubblica americana di fronte alla grande portata degli avvenimenti che si susseguivano, aveva esercitato un effetto deleterio proprio su di lui.

Settembre 1937. Hitler e Mussolini a colloquio nella Cancelleria di Berlino

Settembre 1937. Hitler e Mussolini a colloquio nella Cancelleria di Berlino

Qualunque fosse il pericolo, non voleva essere lui a condurre in guerra il Paese: voleva aspettare di esservi trascinato per i capelli. Quando alla Casa Bianca giunse la notizia del siluramento della Robin Moor, Hopkins scrisse al Presidente:

L’affondamento della Robin Moor ha violato le leggi internazionali marittime: viola la nostra politica di libertà dei mari.

Il servizio di vigilanza della nostra Marina che ha lo scopo di informarci di tutte le mosse delle navi che ci possono essere nemiche, potrebbe forse mutarsi in un servizio di sicurezza, con il compito di proteggere tutte le navi battenti bandiera americana, che viaggiano sul mare fuori dalla zona del pericolo.

Mi sembra che dovreste dare istruzioni al Dipartimento della Marina, perché le forze di vigilanza degli Stati Uniti – specificare quali sono – instaurino la libertà dei mari, lasciando al giudizio della Marina le misure di sicurezza ritenute più opportune allo scopo.

Ma Roosevelt rifiutò di aderire al consiglio. Il 2 giugno Hitler e Mussolini si incontrarono al Brennero in una delle loro più gravi conferenze e il mondo trattenne il respiro in attesa di chissà quali nuovi orrori.

Ma non vi erano segni d’invasione né sulle coste della Francia, né su quelle del Belgio, mentre si avevano segni certissimi di un concentramento di forze tedesche sul fronte orientale, nella conquistata Polonia.

Lawrence Steinhardt

Lawrence Steinhardt

E Lawrence Steinhardt, ambasciatore americano a Mosca, telegrafava che tutte o quasi le mogli degli alti funzionari tedeschi ed italiani si preparavano a tornare in patria, dando ragioni poco convincenti del loro esodo e il consigliere dell’Ambasciata germanica aveva perfino mandato a Berlino, in un aereo speciale, il cagnolino dal quale non si separava mai.

Queste informazioni erano l’ultima e definitiva prova delle notizie che da mesi andavano accumulandosi al Dipartimento di Stato e che erano state passate per conoscenza al Governo inglese (il quale ne aggiungeva di sue) e al governo sovietico.

Io non so assolutamente che valore attribuissero i Russi a queste informazioni: il loro atteggiamento ufficiale dava l’impressione che essi le considerassero come un tentativo anglo-americano di scavare un solco fra la Germania e la Russia per rompere il patto di mutua non-aggressione firmato da Ribbentrop e Molotv.

Joachim von Ribbentrop

Joachim von Ribbentrop

Roosevelt attribuiva certamente ad esse una grande importanza  ed era decisissimo a scoprire cosa effettivamente significassero. Lo scoprì in men che non si dica.

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