EUGENIO PRATI
Caldonazzo, 27 gennaio 1842 â Caldonazzo, 8 marzo 1907

Eugenio Prati
a cura di Cornelio Galas
(estratto dal libro “Eugenio Prati Poeta della spiritualitĂ ” di Alberto Pattini)

Alberto Pattini
Eugenio Prati, pittore, primo di quattordici figli, nasce a Caldonazzo in via Case Nuove al n.254, poi via Roma n. 36, il 27 gennaio 1842 da Domenico Prati e da Lucia Garbari.
Lâalbero genealogico della famiglia risale al XIV sec. e fa riferimento al capostipite Giovanni a Pratis, di Cincta (Centa); in seguito i Prati si trasferiscono a Caorso nella piana di Caldonazzo fino al 1758, anno in cui è distrutto per evitare le continue inondazioni del torrente Centa e poi a Caldonazzo in via Case Nuove.
Il padre Domenico Prati, soprannominato Meneghin, nasce a Caldonazzo il 22 settembre 1808, ultimo figlio maschio di Stefano Prati e di Lucia Zamboni. Studia a Trento al ginnasio assieme al barone don Giovanni a Prato di cui diviene amico. Si diploma geometra, diventa costruttore edile ed in particolare costruisce e vende a Caldonazzo molte delle abitazioni site in via Case Nuove.

Domenico Prati
Ă anche possidente terriero ed agricoltore specialmente nel campo dei bachi da seta e del grano. In localitĂ Centa, alla periferia di Caldonazzo, costruisce un molino ad acqua per la produzione della farina che commercia. Il molino lo aveva costruito âcon criterio moderno di quel tempo; aveva al piano terreno il molino completo con tutti i suoi accessori, ed al primo piano, tre grandi stanze, con finestre alte e larghe, con i loro scuretti, un tinello ampio, una piccola sala di entrata e una vasta cucina con fornasella a legna, grande e comoda, con forno grande e buono, e un complemento di mattoni per mettere sotto la legna, un secchiaio e due grandi crassidei di rame stagnatiâ.
Domenico Prati si sposa con Lucia Garbari a Caldonazzo nella chiesa di San Sisto il 22 febbraio 1841 alla presenza dei testimoni di nozze, il dott. Giovanni Battista de Egger e lâavv. Carlo Capolini di Levico. Il matrimonio è celebrato dal fratello maggiore arciprete e parroco di Calceranica don Giacomo Prati (1782-1854).

Lucia Garbari
Domenico Prati commercia anche vino assieme al fratello Stefano e nel gennaio 1859 avvia a Venezia una bottega di vini con gran successo, come lui stesso racconta in una lettera dellâ11 gennaio 1859 conservata presso lâArchivio Prati di Ivano Fracena: â⌠Sabato 8 corrente di sera, dopo allestito in bellâordine il locale, abbiamo dato luogo allâapertura, ed incominciato a vendere. La concorrenza fu tale da spaventarci, ma restai sorpreso dallâabilitĂ del nostro cameriere Martinelli nel disimpegno del suo servizio; colla nostra assistenza la cosa è andata in ordine. La domenica partimente grande concorso, jeridĂŹ non se ne parla, poichĂŠ piĂš di cinquecento persone sono entrate in magazzino ed hanno bevuto âŚâ.
Domenico Prati muore a Caldonazzo lâ11 novembre 1867 lasciando la famiglia in un grave dissesto economico, dovuto al mancato pagamento di una gran partita di vino venduta allâingrosso a Venezia.
Lucia Garbari nasce lâ11 giugno 1819 da Giuseppe Garbari di Vezzano e da Lucia de Negri di San Pietro di Calavino. Suo fratello, Gioacchino Garbari, (1824-1888), è noto per il suo patriottismo irredentista e per essere stato sindaco di Caldonazzo per molti anni. Gioacchino, proprietario di una filanda, di molti terreni agricoli e dellâHotel Caldonazzo, si sposa con Placida Gasperi nel 1862 ed è costretto allâesilio nellâagosto del 1866 durante la terza guerra dâindipendenza per evitare lâarresto dopo la ritirata del gen. Giacomo Medici e delle sue truppe, reo di aver ospitato e festeggiato con gli ufficiali italiani presso il suo hotel poi sede del Kinderdorf.
Il 9 agosto 1866, il giorno prima della ritirata degli Italiani, nasce la figlia Laura Garbari che in seguito il 16 luglio 1896 sposa Leone Prati, fratello di Eugenio ed emigra con il marito in Brasile ad Uruguaiana.
Il nonno paterno di Eugenio, Stefano Prati, nato il 16 febbraio 1763, sposa dapprima Caterina Tomasi da cui ha il primo figlio don Giacomo Prati e poi, in seconde nozze, Lucia Zamboni che dĂ alla luce otto figli: Giuseppe, Stefano, Domenico e cinque femmine. Si racconta che, divenuto sindaco di Caldonazzo dallâaprile 1797 allâaprile 1798 e Consigliere comunale fino al 1805, sia stato depredato insieme ai membri del Consiglio comunale il 6 settembre 1796, durante la prima invasione napoleonica, delle scarpe e delle calze dai francesi, ai quali era andato incontro al capitello dellâUlba per un omaggio che avrebbe dovuto invano mitigare le loro intenzioni. Muore allâetĂ di settantasette anni il 6 marzo 1840.
Si narra in famiglia che nel 1801, durante la terza invasione napoleonica del generale Mc Donald, un soldato francese, entrato nella casa Prati di via Roma per rubare, abbia rotto con la baionetta un cassetto di uno dei due cassettoni della sala da pranzo, dove erano custoditi gli ori della famiglia. Si racconta che una sorella di Stefano sia stata amputata di alcune dita per opera del soldato mentre cercava con una mano di impedire lâapertura del cassetto. Si tramanda che lâaccaduto sia stato denunciato e che per questo reato il soldato sia stato fucilato. Il cassettone, ancora lesionato, è quello dipinto da Eugenio Prati nel 1880 nellâopera âAbileâ in occasione della partenza per il servizio militare del fratello Giulio ed ora si trova a Roma presso un discendente.
Dal matrimonio di Domenico e Lucia Prati nascono quattordici figli, quattro dei quali, Fausto Ignazio (1843-1846), Stefano Ignazio (1846-1846), Carolina (1853-1854) e Melania (1856-1856) muoiono in tenera etĂ , mentre gli altri dieci sono: Eugenio (1842-1907), Maria Luigia (1845-1931), Leone (1847-1922), Isabella (1849-1938), Stefano Probo (1850-1928), Anna Maria (1851-1920), Anacleto (1856-1934), Giuseppe Benedetto (1858-1944), Giulio Cesare (1860-1940), e Michelangelo (1865-1915). Le due sorelle, Luigia e Isabella sono state molto legate al fratello maggiore Eugenio.

Giulio Cesare Prati
Il penultimo fratello di Eugenio Giulio Cesare, nato a Caldonazzo in via Case Nuove il 19 dicembre 1860, è stato un valente pittore di genere e di paesaggio. Comincia a dipingere prediligendo il paesaggio agli interni come dimostra la cronologia approssimativa dei suoi dipinti realizzati intorno al 1882 (âTramonto sul lagoâ, âAlba sul lago di Caldonazzoâ, âRiflessi sul lagoâ). A ventiquattro anni nel 1885, su sollecitazione del fratello, sâiscrive allâAccademia di Belle Arti di Brera a Milano e segue i vari corsi annuali di Raffaele Casnedi e Ferdinando Brambilla.
Nel 1885 partecipa allâesposizione della Promotrice di Belle Arti di Firenze con due sue opere che sono premiate: âIl fuoco si spegneâ del 1883 e âNon so la lezioneâ del 1885. Al terzo anno dellâAccademia nel corso di prospettiva vince nel 1887 un premio con medaglia dâargento per lâopera âLa chiesa di S.Antonio di Milanoâ e, grazie a questo premio, riceve una borsa artistica di studio di 500 fiorini della durata di tre anni elargita dalla Giunta Provinciale Tirolese di Innsbruck per continuare gli studi a Milano sotto la guida di Giuseppe Bertini.
Partecipa nel 1891 alla prima Esposizione Triennale di Brera, insieme al fratello Eugenio, con la tela âTralcio dâuvaâ ed ottiene encomi speciali. Luigi Chirtani in âLâIllustrazione Italianaâ cosĂŹ descrive il dipinto: âLâuva di Giulio Prati, col tordo morto sotto un grappolo nero, par fatta da un olandese, e non è meno disinvolta di quella che ha piĂš indietro il Sottocornolaâ.

Giulio Cesare Prati
Nel 1893 prende parte a maggio allâEsposizione tirolese di Innsbruck con lâopera âLa vendemmiatrice-Autunnoâ del 1893, acquistata dal Museum Ferdinandeum di Innsbruck e nel 1895 partecipa allâEsposizione Promotrice di Firenze e alla prima Esposizione Biennale Internazionale dâArte di Venezia insieme al fratello Eugenio con la tela âUva e il nidoâ.
Alla fine del 1895, emigra in Brasile e poi in Argentina a Buenos Aires aprendo uno studio a Calle Florida dove da lezioni di pittura e di composizione. Durante la sua permanenza in Argentina partecipa allâEsposizione Internazionale della Colmena Artistica a Buenos Aires nel 1897, conseguendo la medaglia di bronzo e nel 1898 vincendo il primo premio con âDittico dâuvaâ.
Nel 1898 ritorna a Caldonazzo per sposarsi il 23 aprile con Maria Antonietta Conci con la quale rientra in Argentina verso la fine del 1898 a Belgrano, cittĂ distante dieci chilometri da Mendoza dove inizia a lavorare come professore personale di pittura di don Domingo Tomba, fratello di Antonio, re del vino e possidente di una grande azienda vitivinicola.
Nel 1903 ritorna a Caldonazzo e, costretto dalle difficili condizioni economiche della famiglia e su pressione delle sorelle Luigia e Isabella, sâimpegna nella conduzione economica del molino di famiglia che trasforma da artigianale ad industriale, trascurando la sua passione artistica.
Da questo momento Giulio sporadicamente dipinge e torna ad esporre solamente nel 1910 al Salon degli artisti di Parigi con lâopera âDittico dâuvaâ. Durante la Prima Guerra Mondiale il 2 giugno 1915 Giulio riceve lâordine perentorio di abbandonare entro tre giorni la casa-molino e di trasferirsi, con tutta la famiglia, in Moravia a Slusovice, condividendo le sorti di molti abitanti della Valsugana.
Conclusa la guerra, nel gennaio del 1919 nel freddo di un gelido inverno a quasi sessantâanni, ritorna a Caldonazzo dove trova il molino completamente distrutto. La casa viene ricostruita ed inaugurata il 23 aprile 1923, anniversario delle nozze dâargento di Giulio e di Maria. In questi anni si dedica principalmente allâagricoltura pur non tralasciando lâattivitĂ artistica, che lo vede impegnato soprattutto nella pittura di nature morte e di paesaggi. Muore nel paese natale, al molino Prati, allâetĂ di ottantâanni, il 25 novembre 1940.
Un altro noto pittore della famiglia Prati è Romualdo Prati, nipote di Eugenio, nato il 3 febbraio 1874 a Hofgarten presso Salisburgo in Austria da Stefano Probo Prati (1849-1938), fratello di Eugenio e da Natalia Fianick, nativa di Praga.

Romualdo Prati
Romualdo Prati è stato lâunico artista trentino a vivere dieci anni a Parigi nel vivacissimo quartiere latino in pieno periodo della Bella Ăpoque ed è stato anche lâunico, originario della nostra terra, a partecipare per dieci anni al Salon degli artisti di Parigi ed a vincere una medaglia dâoro nel 1907 e due medaglie dâargento.
Dopo un anno la sua famiglia si trasferisce a Caldonazzo, dove trascorre la sua giovinezza con il fratello Rinaldo piĂš giovane di un anno, frequentando gli zii Eugenio e Giulio Cesare.
Nellâautunno del 1890, mentre lo zio Giulio termina i suoi studi allâAccademia di Brera a Milano, su consiglio dello zio Eugenio sâiscrive allâAccademia di Belle Arti di Venezia, seguendo gli studi del maestro Pompeo Molmenti. In questa cittĂ si guadagna due premi con medaglia e un diploma nei concorsi banditi dallâAccademia.
Nel 1895 raggiunge il padre Stefano Probo, la madre e gli zii Leone e Anacleto emigrati in Brasile, con la speranza di trovare lavoro dal momento che in Sud America vi sono molte possibilitĂ lavorative per gli artisti.

Romualdo Prati
A Porto Alegre, capitale del Rio Grande del Sud, dove vi rimane per dieci anni, riesce ad avere un incarico dâinsegnante in una scuola di pittura e dipinge molti ritratti su commissione.
Nel 1898 partecipa allâesposizione nazionale di Rio de Janerio con il suo dipinto âGuarda, guardaâ ottenendo la medaglia dâoro e nel 1901 partecipa allâesposizione di Porto Alegre con lâopera âCalzoni vecchi, buchi nuoviâ vincendo la medaglia dâargento. Nel 1902 concorre nuovamente allâesposizione nazionale di Rio de Janerio con lâopera âDolce far nienteâ ed ottiene nuovamente la medaglia dâoro. Nello stesso anno conosce e sâinnamora della nobile dâorigini portoghesi Olga de Carvalho e, nonostante sia osteggiato dai suoi genitori, decide di sposarla e dal matrimonio nascono Ofelia (1903) e Susanna (1912-1998).
Nel luglio 1904 arriva a Parigi e sâiscrive allâAccademia di Belle Arti frequentando i corsi dellâeccellente pittore e maestro Ferdinand Humbert, dedicandosi prevalentemente al ritratto ma anche immortalando alcuni angoli caratteristici della cittĂ .
Partecipa come allievo anche allâAccademia privata del famoso pittore simbolista francese Eugène Carrière (1849-1906), frequentata da Henri Matisse e Andrè Derain. Finiti i tre anni dâAccademia apre uno studio, che non lascia mai fino allâestate del 1909 quando decide di passare alcuni mesi a Caldonazzo, e si crea una tale buona fama, che i migliori nomi della societĂ parigina si rivolgono a lui per farsi fare il ritratto.

Eugenio Prati
Sempre nel 1906 partecipa allâEsposizione nazionale di Milano per lâinaugurazione del valico del Sempione con âUvaâ e âSpiaggia del Gualryba â Brasileâ. Anche nel 1907, anno in cui muore a Caldonazzo lo zio Eugenio, concorre allâesposizione del Salon degli artisti francesi con il quadro âUn accidenteâ ottenendo la medaglia dâoro.
Nel 1908 sempre al Salon vince la medaglia dâargento con lâopera âVenditrice di fruttaâ e nel 1910 partecipa nuovamente al Salon con âDolce far nienteâ dove vince la medaglia dâargento. Durante le sue vacanze estive a Caldonazzo si dedica prevalentemente alla pittura di paesaggio della Valsugana e ritrae: âIl monte Pizzo da Vattaroâ, âPrimavera sulle pendici del lagoâ, âIl lago di Caldonazzoâ e gli scorci caratteristici di case rustiche di Calceranica, Levico, Bosentino e Caldonazzo.
Nel 1911 partecipa a maggio al Salon di Parigi con la tela âAbbeveratorioâ. Nel luglio del 1914 ritorna a Caldonazzo per le vacanze estive e, scoppiata la Prima Guerra Mondiale, decide, nel gennaio del 1915, di recarsi in Italia e precisamente a Venezia attraverso la Svizzera, dove rimane alcuni mesi. Successivamente, raggiunto dalla moglie Olga e dalle due figlie si trasferisce a Firenze dove soggiorna fino al 1919.
A Firenze dipinge âPonte Vecchioâ, diversi scorci del fiume toscano come âArno a Firenzeâ e rustici di campagna. Nel 1919, dopo una breve permanenza a Caldonazzo in cui immortala la distruzione del paese nel dipinto âRovine di Caldonazzoâ, raggiunge Roma ed apre uno studio ed una scuola di pittura per stranieri in via Margutta 33.
Vive da solo, perchĂŠ separato dalla moglie Olga e frequenta il circolo artistico romano la âSocietĂ dei XXVâ in compagnia del celebre pittore Camillo Innocenti e dellâantiquario, poeta e scrittore Augusto Jandolo.

Camillo Innocenti
Camillo Innocenti lavora tra il 1918 e il 1922 anche come scenografo per il cinema dei films âRedenzioneâ, âCiranoâ, âI promessi sposiâ, âBen Hurâ, disegnando scene e costumi e convince Prati a partecipare come comparsa moschettiere nel film âCiranoâ.
Dipinge molti paesaggi della campagna romana come âCovoniâ, âMeriggio in campagnaâ, âColline romaneâ e personaggi popolari abruzzesi in costume tradizionale tra cui âDonna in costume di Scannoâ e âRitorno dalla festa nuzialeâ. Nel 1926 partecipa alla III biennale dâarte della Venezia tridentina a Bolzano e nello stesso anno, in una galleria in via Condotti a Roma, organizza la sua ultima mostra personale.
Nel 1927 espone alla mostra di Padova istituita dal Sindacato Trentino di Belle Arti e nel 1928 espone a Trento nel Palazzo del Governo alla prima Mostra dâArte Trentina con sei opere. In estate ritorna in Trentino a Villa Agnedo, sofferente ed ammalato, in compagnia del cugino Angelico; alcuni mesi dopo muore allâetĂ di 56 anni a Roma il 16 settembre 1930 allâospedale Santo Spirito dopo un breve ricovero, mentre si accingeva a recarsi in Brasile per unâesposizione delle sue opere.

Angelico Prati
Un altro artista della famiglia è stato lo scultore Edmondo Prati, nato a PaisandĂš in Uruguay il 17 aprile 1889 da Michelangelo Prati (1865-1915) e dalla brasiliana Carolina Mattjè (1864-1951), nipote di Eugenio e Giulio Cesare, fratello gemello del pittore Eriberto (1889-1970) e fratello del musicista Italo (1899-1982), violinista nellâorchestra di Toscaini alla Scala di Milano.

Edmondo Prati
Nel 1891 la famiglia rientra a Caldonazzo ed Edmondo, seguendo gli insegnamenti degli zii Eugenio e Giulio artisti affermati, si avvicina allâarte e sâiscrive con il fratello Eriberto alla scuola dâarte e dellâartigianato di Trento. Nel 1903 partecipa ad una prima mostra allâHotel Caldonazzo della famiglia Garbari, dove, insieme al fratello gemello, presenta dei bozzetti di creta. Nellâautunno del 1907 a diciotto anni riparte per il Brasile assieme al fratello gemello Eriberto, soggiornando per tre anni ad Uruguayana nella casa del padre, trasferendosi a Salto in Uruguay nel 1910.
Nel 1911 assieme al fratello Eriberto costituisce una societĂ di pittura e decorazione âFratelli Pratiâ decorando i principali edifici pubblici di Salto come per esempio lâAteneo e il Palazzo Gallino, ora sede del Museo di Belle Arti di Salto. Sposa Teresita Scanavino (1888-1963) che da alla luce due figli, Mila (1915-1921) e Gabriele (1916-1922). Ritorna in Italia nel 1920 con la moglie Teresita ed i figli per iscriversi allâAccademia di Brera che frequenta fino al 1927, aggiudicandosi ogni anno il primo premio e conseguendo il titolo accademico con il primo premio e la massima lode.

L’Accademia di Brera
Nel 1925 esegue il busto di bronzo dello zio âEugenio Pratiâ che è inaugurato in piazza Municipio il 30 agosto 1925 e due anni dopo, nel 1927, realizza il âCrocifissoâ per la cappella del cimitero di Caldonazzo, il busto di bronzo di âDamiano Graziadeiâ, collocato in largo Graziadei a Caldonazzo e del bis cugino âLorenzo Pratiâ (1842-1899), giudice distrettuale a Borgo Valsugana, conservato presso una nipote di questâultimo.
Conclusa lâAccademia perfeziona i suoi studi a Milano studiando con i pittori Bignami, Alcide Ernesto Campestrini e con lo scultore Graziosi e poi si trasferisce a Firenze, Roma e visita gran parte dellâEuropa per conoscere meglio la scultura dellâepoca. LâAccademia di Brera gli commissiona lâincarico per lâesecuzione di un busto del âRe Vittorio Emanueleâ per il salone dellâAccademia.
Nel 1930 ritorna a Montevideo per poi rientrare in Italia come inviato del Ministero dellâIstruzione in missione ufficiale dal 1931 al 1937. A Montevideo realizza grandi statue di bronzo e rilievi allegorici per i grandi portali del salone dei Passi Perduti del Parlamento uruguaiano e per il Palazzo di Giustizia dal titolo âLa battaglia di Las Pedrasâ.
Nel 1932 scolpisce i busti di bronzo della moglie Teresita dal titolo âVento del Sudâ, conservato a Trento nel Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto presso il Palazzo delle Albere e del prof. âRaffaello Pratiâ, conservato a Caldonazzo in collezione privata. Nel 1936 partecipa alla XX Biennale di Venezia con lâopera âGaucho uruguayanoâ e allâEsposizione universale di Parigi del 1937 vince la medaglia dâargento con lâopera âQuattro esemplari di cavalli di varie razzeâ.
Ritornato in Uruguay nel 1937 partecipa al I Consorso nazionale per il monumento a âJosè Enrique Rodòâ, vincendo il primo premio e nello stesso anno ottiene il primo e secondo premio al concorso per il modello della medaglia ufficiale del salone Nazionale delle Belle Arti organizzato dal Ministero dellâIstruzione.
Edmondo Prati nel 1938 vince a Montevideo il Concorso nazionale per il monumento âAi fondatori della patriaâ. Nel 1940, per incarico del Municipio della cittĂ di Salto, realizza il monumento del âGenerale Josè Artigasâ e scolpisce un âCrocifissoâ di bronzo conservato nella Cattedrale di Salto. A Montevideo, nel dicembre del 1943, vince il concorso per il monumento al âGenerale San Martinâ che realizza in seguito.
Ă autore nel 1944 del primo monumento al âGenerale Artigasâ in Argentina, del busto dello stesso generale nella cittĂ di Avana a Cuba (1946) e nelle cittĂ argentine di Corrientes (1958) e di ParanĂ (1959), a Guayaquil in Ecuador ed a San Salvador. Nel 1950 realizza una lunetta di bronzo âA ricordo delle zieâ e nel 1951, in seguito alla morte della madre, il bronzo âPer i miei genitoriâ entrambi collocati nel cimitero di Caldonazzo.

Bronzo di Garibaldi
Nel 1957 è autore della statua di bronzo del âGenerale Garibaldiâ per la cittĂ di Dolores in Uruguay. Opere di Edmondo si trovano nel Museo italiano a Buenos Aires, nel Museo Edmondo ed Eriberto Prati di Salto e nei Musei nazionali dellâUruguay; al Castello del Buonconsiglio di Trento si possono ammirare tutte le medaglie da lui realizzate e il busto di bronzo di âCesare Battistiâ, nel Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto il busto di bronzo âVento del Sudâ (la cui modella è la moglie Teresita) e nella Biblioteca comunale di Caldonazzo il busto di bronzo di âMichelangelo Buonarrotiâ (1931).
Oltre a dedicarsi alla produzione artistica scultoria ha svolto i seguenti incarichi: capo conservatore e direttore dellâUfficio Artistico del palazzo del Parlamento a Montevideo dal 1946 al 1956, professore titolare di disegno e scultura e poi direttore per concorso della Scuola dâarti applicate dellâUniversitĂ del Lavoro dellâUruguay; inoltre è stato membro della commissione nazionale uruguaiana di Belle Arti dal 1938 al 1945 e poi a partire dal 1957 fino alla morte. Scompare il 24 novembre 1970 a Montevideo allâetĂ di ottantuno anni e le ceneri, assieme a quelle della moglie e dei due figli, riposano nel cimitero di Caldonazzo.

Ida Prati
Un breve accenno alla pittrice della famiglia Ida Prati, bis nipote e allieva di Eugenio, nata a Borgo Valsugana nel 1885 da Lorenzo Prati (1842-1899), giudice distrettuale a Borgo Valsugana e da Maria Floriani (1860-1941). Internata insieme alla madre a Katzenau nel 1916 perchĂŠ ritenuta politicamente pericolosa dal momento che aderiva alla Lega Nazionale, dopo la guerra si sposa con il dentista dott. Carlo Lachmann e vive a Trento in piazza Silvio Pellico, dove scompare il 26 febbraio 1929 allâetĂ di quarantaquattro anni. Romualdo Prati ha immortalato entrambi i coniugi Lachmann, Carlo e Ida, in due distinti ritratti ad olio su tela, recentemente apparsi nel 2007 allâasta presso la casa dâasta von Morenberg di Trento. Ida Prati ci ha lasciato dei pregevoli dipinti ad olio come âMadonna addolorataâ eseguito a Katzenau il 29 agosto 1916 e regalato alla cugina Pia Prati a consolazione della morte della madre deceduta per malattia in campo di concentramento; ci sono pervenute altre sue opere interessanti come âPastorellaâ, âLa laguna di Veneziaâ, âAngioletto e lâasinoâ, âMadonna con bambinoâ, âUvaâ, âRitratto di damaâ oltre a numerosi acquerelli.
Tutta la famiglia Prati è stata di fede italiana partecipando attivamente allâirredentismo trentino e finanziando la Lega Nazionale. La sezione della Lega di Caldonazzo è fondata nel 1903 e rimane attiva fino al luglio 1914, anno della sua soppressione in cui contava 130 sostenitori, e vede tra i suoi iscritti, oltre ad Eugenio Prati, molti membri della famiglia Prati: i fratelli Giulio, Anacleto, Benedetto e Michelangelo, il violinista e medico dott. Vittorio Prati, il cugino Giuseppe Prati (1851-1931) presidente della Lega di Caldonazzo, ex sindaco e proprietario di un gran magazzino allâingrosso dâalimentari, con la moglie Angelina Perini e le due figlie Pia (segretaria della lega e ritratta in un dipinto ad olio nel 1906 da Eugenio Prati) e Bianca, internate poi con il padre e la madre a Katzenau, il cugino ex sindaco Gustavo Prati che ha inaugurato la stazione della ferrovia di Caldonazzo nellâaprile del 1896, Elia Prati, ex garibaldino con le due figlie Cesira ed Adina anchâesse internate a Katzenau, Clementino, Camillo, Giovanni ed Anita.
Benedetto Prati (1858-1944), musicista e fratello di Eugenio, sposato con Adile Marchesoni, fornaio, tabaccaio, per ben tre volte ha provato ad immigrare in Brasile ma ogni volta ha rinunciato per gelosia della moglie rimasta a Caldonazzo. Dirige lâorchestrina della Lega Nazionale di Caldonazzo dal 1903 al 1914, anno della sua soppressione. Molto spesso lâorchestra partecipa alle serate organizzate per beneficenza come quella del 1908 allâHotel di Caldonazzo a beneficio delle vittime del terremoto di Messina, o quella del 10 febbraio 1912 sempre allâHotel di Caldonazzo dove è organizzato un gran ballo riservato solo ai soci e ai famigliari aderenti alla Lega Nazionale con lo scopo di raccogliere denaro per i soldati italiani combattenti per la conquista della Libia e del Dodecaneso.
Il suo primo figlio Benedetto Mario (1888-1976), perito edile e musicista, è stato Presidente della banda di Caldonazzo e Presidente dellâAssociazione sportiva del tiro alla fune vincendo il titolo regionale. Anacleto Prati (1856-1934) anche lui musicista e macellaio, fratello di Eugenio, diviene Presidente della Banda di Caldonazzo dal 1910 fino al 4 luglio 1914, rimanendo nella direzione dopo la guerra per molti anni. Nel 1912 facevano parte della banda come musicisti anche Luigi Prati detto Gigiotti e Renato Prati.

Anacleto Prati
Da ricordare inoltre Michelangelo (1865-1915), lâultimo fratello di Eugenio, musicista e padre dello scultore Edmondo, del pittore Eriberto e del musicista Italo, datosi alla macchia nel giugno del 1915 come partigiano filo-italiano con Emanuele Curzel per non essere internato a Katzenau ed ucciso il 13 dicembre, dopo sette mesi di latitanza. Muore durante lo scontro a fuoco con una compagnia di LandschĂźtzen al maso Brocher di Marter in localitĂ âBrustolaiâ, mentre il Curzel riesce a salvarsi.
La loro azione di guerriglia e di sabotaggio è abilmente descritta da Mario Garavelli nel giornale âIl Brenneroâ del 18 luglio 1934: âHa inizio una loro spietata guerriglia condotta con accanimento contro le opere militari austriache, guerriglia sorda ed ostinata, forse lâunica nel suo genere, sul fronte trentino.
Cavi telefonici e telegrafici tagliati, centraline di accumulatori distrutte, segnavia sviati, segnali capovolti, opere di rinforzo stradali crollate. Una volta spintisi fino alla fucine di Val Grande si munirono di seghe del ferro e poco dopo iniziarono il taglio dei cavi della teleferica di Monte Rovere, importante organismo per i servizi logistici dellâAltopiano.
Un infernale frastuono rimbombante nella vallata scosse gli abitanti di Caldonazzo e trovò spiegazione nel fatto che i vagoncini non piĂš trattenuti dal cavo aereo, erano piombati nel fondovalle immobilizzando la teleferica per due giorni. La lotta senza quartiere fu condotta per mesi e mesi senza che gli standschĂźtzen riuscissero a por mano sugli audaci che imperterriti continuavano le loro gestaâ.
Dopo innumerevoli ricerche effettuate dal figlio Edmondo, la salma di Michelangelo è ritrovata ventuno anni dopo, solo il 4 febbraio 1936, sotto le chiome di un gelso presso una casa di un contadino di Barco, sfruttata durante la guerra come comando militare. Nellâaprile del 1936 viene organizzata una cerimonia di suffragio a Barco, nel luogo di ritrovamento della salma, con la presenza del figlio Edmondo e dei fratelli Isabella e Giulio; viene posto un cippo sul luogo del sacrificio come anche nel âCroz dellâAgolaâ sul monte Cimone.
Anche i figli di Eugenio, Angelico e Guido, sono stati dei personaggi che hanno eccelso nella cultura come scrittore il primo e come disegnatore il secondo.
Angelico Prati, secondo figlio di Eugenio, glottologo e dialettologo, nasce ad Agnedo il 3 maggio 1883. Compiuti gli studi elementari e ginnasiali a Trento e nel collegio salesiano Manfredini di Este, ha studiato per qualche mese presso lâUniversitĂ di Friburgo. Prima dello scoppio della guerra 1914-18 è stato professore ad Orvieto ed in seguito a Modena. Avuta la libera docenza in glottologia con una brillantissima laurea, è stato professore della materia allâUniversitĂ di Pisa.
Il suo nome era conosciuto come esperto nelle maggiori UniversitĂ europee ed americane, come lo testimoniano i numerosi messaggi pervenuti alla famiglia in occasione della sua scomparsa. Nellâultimo periodo della sua vita ha vissuto a Velletri dove aveva acquistato anche una casa. Ammalato, le nipoti Sandrina e Tosca hanno voluto riportarlo in Trentino ma durante il viaggio in treno muore, il 31 gennaio 1960 ed ora riposa nella tomba di famiglia nel piccolo cimitero di Agnedo.
Numerose sono state le sue pubblicazioni, riportate sul libro di Antonio Zanetel dal titolo âDizionario biografico di uomini del Trentino sud-orientaleâ del 1978. Guido Prati, ultimo figlio di Eugenio nasce ad Agnedo lâ8 novembre 1884 e muore il 31 luglio 1967 nel suo paese natale.
Ultimati gli studi superiori a Trento, prende parte come ufficiale volontario degli Alpini alla guerra 1914-18. Ritornato dalla guerra sâunisce ad una tribĂš zingara condividendone la vita libera e vagabonda. à stato espertissimo suonatore di chitarra classica con la quale era solito dilettare i suoi compaesani nella piccola osteria di Agnedo ed anche un ottimo disegnatore e membro dellâAccademia di Vienna. Con Italo Cinti illustra il libro del fratello Angelico âFolclore Trentino per le persone colte e per le scuole medieâ del 1925.
Con il fratello Angelico collabora poi nella stesura di âVoci di gerganti, vagabondi, etc.â del 1940, mettendo a frutto le osservazioni raccolte durante il periodo gitano. Presso collezionisti privati sono conservati numerosi disegni a china di pregevole fattura come âVeduta di Borgo Valsuganaâ, âCastel Ivanoâ, âLa torre di Marterâ, âIncendio durante la ritirata degli italiani nel 1916â, tutti firmati per esteso e in corsivo âGuido Pratiâ ed oli su tela raffiguranti paesaggi di montagna e nature morte o figure come âSignora con bambino nel parcoâ.
Si è anche dilettato a scrivere poesie ed una sua poesia a noi pervenuta che celebra le lodi del âValtinelloâ, il vino delle colline di Fracena, che anticamente era consumato alla corte di Vienna, è pubblicata in âPoesie dialettali Valsuganotteâ del 1969.
Il pittore Tullio Garbari nel 1927 nel catalogo della mostra di Prati a Milano presso la galleria lâEsame ritiene di poter iscrivere Eugenio Prati assieme a Giovanni Segantini e Bartolomeo Bezzi nella triade dei trentini piĂš noti nel panorama pittorico dello scorso secolo.

Giovanni Segantini
“Ă impossibile staccare il Trentino da Eugenio Prati: qui egli ha trovato tutti gli spunti e le ragioni della sua pittura; ma è soprattutto nellâaver amato cosĂŹ profondamente la sua terra, châegli si è salvato nel tempo come ogni autentico artista. Non avrebbe mai potuto dedicare al suo Trentino unâarte che non fosse viva e pura. Per questo dobbiamo ricordarlo e onorarlo degnamenteâ, cosĂŹ finisce il suo saggio il pittore trentino Gino Pancheri nel 1942 nel centenario della nascita di Eugenio Prati.
I suoi dipinti sono dâelevato interesse pittorico, perchĂŠ espressione di unâarte legata alla realtĂ quotidiana, al mondo rurale, contraddistinta da un inconfondibile stile personale che possiamo definire poetico e spirituale, poichĂŠ è rivolto alla ricerca della calda e rassicurante atmosfera del Trentino, ma anche di valore storico, poichĂŠ testimonianze dâusi, costumi e di luoghi ormai scomparsi della nostra provincia.
La sua singolare pittura piena dâentusiasmo per la vita riflette i movimenti contemporanei dellâarte ottocentesca interpretati in chiave lirica e spirituale. Eugenio Prati partecipa al realismo veneto assieme ai suoi compagni di studio dellâAccademia Giacomo Favretto, Guglielmo Ciardi, Luigi Nono e apprende gli influssi, soprattutto nei colori tenui e caldi, dei macchiaioli toscani Giovanni Fattori, Telemaco Signorini e Silvestro Lega che conosce nei tredici anni trascorsi a Firenze; viene ispirato dalla pittura dei fratelli Induno e della scapigliatura milanese di Tranquillo Cremona, compagno di studi a Venezia e di Daniele Ranzoni, riuscendo a liberarsi da queste molteplici influenze ed a individuare un linguaggio pittorico personale che conquista molto il pubblico e la critica dellâepoca proprio per la sua originalitĂ nella varietĂ dâispirazioni che raccoglie e che poi rinnova.

Guglielmo Ciardi
La sua notorietà è diffusa in tutta Italia grazie allâassidua presenza alle piĂš importanti mostre nazionali di Venezia, Milano, Torino, Bologna, Genova, Firenze, Roma, Como, Verona, Gorizia, Trento e Palermo. Ottiene notevoli apprezzamenti e riconoscimenti anche alle esposizioni internazionali di Berlino, Monaco di Baviera, Chicago, Londra, Nizza, Parigi, San Pietroburgo e Vienna.
I migliori critici dellâarte a livello italiano di fine ottocento da Luigi Chirtani a Fontana, da Silvio Domenico Paoletti a Victore Grubicy gli riservano notevoli apprezzamenti e lo giudicano tra i migliori protagonisti dellâarte contemporanea italiana (in seguito nel testo saranno riportati i loro giudizi critici).

Victore Grubicy
La critica dâarte Elisabetta Rizzioli in âIl Trentinoâ del 29 giugno 2002 nella recensione dellâEsposizione di Trento a Palazzo Geremia dal titolo âLa magia e la poesia del Trentino nella pittura di Eugenio Pratiâ ritiene che Prati sia abilmente in grado di documentare: âLâintima arcadia di poetiche atmosfere trentine, il mistero della loro sacralitĂ , paesaggi, frutta, fiori e vita quotidiana di paesani, contadini, pastori ritratti nella loro ombratile luce piĂš propria, riverberati nel corpo stesso degli oggetti, ripensati attraverso un filtro di contemporaneitĂ che spinge il pittore a cogliervi impressi i segni di un presente che non va vagheggiato intellettualisticamente, ma rilevato nella sua attualitĂ e presenza nel tessuto stesso della campagna, nei corpi e nei volti dei trentini piĂš veri e plebei, nelle loro case semplici e spoglie, e infine nellâavvicendarsi di impressioni stagionali â solari e felici o trascoloranti di ombra, nebbia e malinconia-, stati dâanimo, ricordi di amori e abbandoniâ.

Eugenio Prati
Uomo sereno, Eugenio Prati ha saputo ritrarre con spontaneitĂ e brio la dura vita di campagna del tempo cogliendo gli stati dâanimo, gli aspetti piacevoli e dolorosi della realtĂ . Nelle sue opere immortala i monti e i boschi della Valsugana e del Trentino, il lago di Caldonazzo, la laguna di Venezia, il territorio di Ala e la gente comune della nostra terra, stabilisce un continuo colloquio con la natura e lo spirito libero che lo contraddistingue lo porta ad unâespressione artistica che difficilmente possiamo circoscrivere ad una particolare scuola.

Eugenio Prati
Chi meglio del suo amico pittore veneziano Silvio Paoletti dalle colonne del giornale âAlto Adigeâ nel luglio 1908 può descrivere il suo amore per la sua terra e il suo lago: âLo si vedeva tante volte mentre gli altri andavano discorrendo di cose mondane che poco a lui importavano, fermarsi a guardare i paesaggi e descriverli con tanta vaghezza di frasi e di pensieri che egli pareva un vero poeta. E a qualunque forestiero che andava a cercare Eugenio Prati nella sua villetta modesta in Caldonazzo, non mostrava tanto volentieri i suoi quadri quanto il bel lago, le colline, le alte montagne alpineâ.
Eugenio non ama impiegare colori vivaci ed intensi, ma preferisce tonalitĂ delicate e tenui degli indachi, dei rosa, degli ocra al fine di inserire la figura umana nellâambiente circostante creando una splendida armonia tra uomo e natura. I colori rarefatti ed evanescenti vengono da lui sovrapposti esaltando cosĂŹ la luminositĂ del quadro e conferendo unâatmosfera mistica quasi a rilevazione della presenza di Dio.
Dai dipinti di Prati traspare la fatica del duro lavoro giornaliero e la serena accettazione del proprio umile destino ma anche la profonda comunione con la natura le cui bellezze sono esaltate dal pennello dellâartista che le ritrae di solito in momenti cromaticamente suggestivi quali tramonti ed albe.
à in queste fasi della giornata in cui la luce del giorno non è nitida, ma è piÚ delicata e tenue che i contorni di cose e persone si fanno meno marcati e la fusione figura-paesaggio è ancora piÚ intensa.
Eugenio Prati è anche pittore della maternitĂ e della femminilitĂ . La figura femminile raramente posta in secondo piano nel quadro, è una presenza ricorrente e predominante nella produzione pratiana. Anche quando lâartista sâavvicina e tratta temi religiosi, non segue i canoni dellâiconografia classica ma umanizza i personaggi rendendoli il piĂš possibile vicini al popolo umile della sua terra. Umanizza il divino e allâepoca per questo subisce anche critiche per il suo distacco dai canoni classici dellâarte religiosa.
La Madonna ha le sembianze delle sue modelle, Dosolina ed Elodia Ciola, della gente comune, GesĂš del suo ultimo figlio Guido. Ma sono i paesaggi con le figure come âSaluto a Dioâ, âRiflessi lunari sul lagoâ, âSuono dellâAngelusâ, âAmor mioâ, âAve Mariaâ, âMadonna dellâuvaâ, Agnellino smarritoâ, âFugaâ, âPoesia della montagnaâ, âConsumatum estâ, âLe due madriâ che ci trasmettono come la sua spiritualità è insita nella natura stessa, nei boschi, nellâacqua, nei prati, nella purezza dei suoi agnellini. Prati in questo si allontana dagli artisti contemporanei, diventando innovatore e ci lascia un Trentino puro dove la natura è un mezzo per avvicinarsi alla grandezza del creato, la speranza e la tranquillitĂ interiore.
Prati in Trentino ci ha lasciato una cospicua produzione artistica religiosa: âPala di San Adalbertoâ, 1873, Cappella di Villa Bernardelli, Gocciadoro di Trento, ora in deposito temporaneo presso il Castello del Buonconsiglio, âPala dellâImmacolataâ, 1874, Aula magna del Seminario Maggiore di Trento, âPala dellâImmacolataâ, 1875, Chiesa Arcipetrale di Strigno, che fu ritagliata da ignoti durante la ritirata austriaca del 1918, âSan Vigilioâ, (1874), scomparso il 13 maggio 1944 durante il bombardamento del Seminario minore di Trento, âSan Antonio da Padovaâ, 1875, Chiesa parrocchiale di Lasino, âSan Giuseppeâ, 1878, Chiesa parrocchiale di Villa Lagarina, âCristo mortoâ, 1881, Monastero delle Clarisse di Borgo Valsugana, âAddolorataâ, 1885, Chiesa dei Ronchi in Valsugana, scomparso durante la Prima Guerra Mondiale, âSan Luigiâ, 1891, Chiesa Arcipetrale di Pergine in deposito presso il Museo Diocesano Tridentino, âPala dei S.S. Cosma e Damianoâ, (1894), Chiesa parrocchiale della Vela di Trento, âPresepio o NativitĂ â (1898), Chiesa San Sisto di Caldonazzo, âFuga in Egittoâ, (1898), Chiesa San Giovanni di Ala, âPala del Sacro Cuore di GesĂšâ, (1901), Chiesa parrocchiale di Sopramonte.

Gino Pancheri
Il pittore trentino Gino Pancheri (1905-1943) negli articoli apparsi su âIl Brenneroâ nel 1942 in occasione del centenario della nascita di Prati osserva con acutezza: âCome il Prati indugi sugli accenti, i trapassi, le notazioni di forma, affini le particelle, le variazioni tonali, sâinsinui in ogni crepa, frughi ogni stesura con una sensibilitĂ che è come un fascio di raggi solari attraverso una camera buia: le minuzie della impalpabile polvere vi si rivelano dentro e sâilluminano nel riverbero come se fosse oroâ.

Umberto Maganzini
Il pittore futurista trentino Umberto Maganzini (1894-1965) nel 1956 commentando la monografia su Prati di Maroni e Wenter precisa: âLâho scorsa apprezzando lâamorosa passione con cui il Prati ha guardato alla vita semplice ed umile. Ho notato le preziositĂ degli impasti, il senso vivo del colore che hanno richiami del caldo pitturare dei macchiaioliâ.
Prati è amante della letteratura poetica italiana, in particolare nutre un vero culto per Dante e si compiace spesso, conversando, di citazioni del divino poeta. Ă amante parimenti della musica, suona la chitarra, il pianoforte e la cetra ed a Trento è un assiduo frequentatore dei concerti della Filarmonica e del Teatro Sociale. Compone anche un Sioredio assieme al musicista Raffaello Lazzari. Conosce nel 1882-83 il compositore Richard Wagner. Intrattiene unâamicizia con Giacomo Puccini e Tito Ricordi che conosce alla terme di Levico durante i loro soggiorni termali.
Eugenio nel 1856, anno in cui sâiscrive anche il famoso impressionista Federico Zandomeneghi, allâetĂ di quattordici anni, si trasferisce a Venezia, culla dellâarte rinascimentale, per frequentare i corsi di pittura dellâAccademia di Belle Arti, sollecitato dallâIspettore scolastico e decano di Levico Mons. Domenico Caproni che aveva notato la sua bravura nel disegno nelle lezioni scolastiche.

Pompeo Molmenti
Ă allievo del ritrattista Michelangelo Grigoletti (1801-1870) titolare della cattedra di figura, del classicista Pompeo Molmenti (1819-1894) titolare della cattedra di elementi di figura e del pittore austriaco Karl von Blaas (1815-1894) titolare della cattedra di pittura. Grigoletti è stato un importante ritrattista nellâ800; i suoi ritratti sono dei veri capolavori dâindagine psicologica e di sensibilitĂ umana. Lâartista ama soffermarsi sullo sguardo e lo sfondo neutro fa sĂŹ che lâattenzione dellâosservatore si concentri sul volto ritratto.

Michelangelo Grigoletti
Apprende le regole accademiche dai suoi maestri e le applica con successo ai lavori scolastici vincendo sei medaglie dâargento e due di bronzo agli annuali concorsi dellâAccademia. Suoi compagni di studio sono Tranquillo Cremona (1837-1878) il maggior esponente della scapigliatura milanese, Guglielmo Ciardi (1842-1917), Federico Zandomeneghi (1841-1917), Tranquillo Tagliapietra ed in seguito Giacomo Favretto (1849-1887) e Luigi Nono (1850-1918), i maestri della pittura dellâottocento veneziano. Durante lâAccademia il padre Domenico lo segue con premura dandogli anche dei consigli: âNei tuoi lavori mi sembra, che dovresti molto impegnarti a contornare, ed ombreggiare a mezza macchia, e ciò soprattutto negli elementi di figura; giacchĂŠ presentemente interessa di adestrarti la mano al disegno, e dare il segno del contorno con precisione e delicatezza. Sappi che ho comperato il Vasari, che ora posso anchâio dare qualche precettoâ (lettera del 7 aprile 1858, archivio Prati).
Il 19 novembre 1859 Domenico Prati scrive al figlio una lettera, conservata presso lâArchivio Prati: âHo provato la consolazione di vedere i tuoi lavori allâesposizione dellâAccademia e premiati della medaglia dâargento tanto in ornato che in figura. Questo tuo profitto è il miglior compenso che tu possa dare ai genitori per le cure, premure e spese che devono incontrare nella buona educazione dei figli. Guardati di non insuperbire per questi primi buoni risultati nella difficile carriera che hai intrapresa, giacchĂŠ puoi immaginarti quanto ti resta a fare per riuscire artista di buon nome, ma ti servano solo di incoraggiamento per progredire con alacritĂ e superare le immense difficoltĂ dello studio. Chiudi le orecchie alle lodi e alle adulazioni e con proprietĂ ringrazia coloro che si congratuleranno dei tuoi premiâ.
Del periodo dellâAccademia a Venezia disponiamo di due suoi âAutoritrattiâ entrambi olio su tela, uno del 1860 conservato presso la famiglia e lâaltro del 1863 presso la Biblioteca Comunale di Caldonazzo, un disegno a carboncino-acquerello, inedito, dal titolo âTesta di Araboâ del 1860, un acquerello âVeneziana sul Canal Grandeâ del 1860 circa, i ritratti ad olio inediti di âCristiano Chiesaâ del 1861 e del figlio âGiuseppe Chiesaâ del 1864, il ritratto a matita di âElia Pratiâ del 1862 ed infine la matita su carta âTintoretto scaccia Marioâ.
Prati con âVeneziana sul Canal Grandeâ esegue il suo primo dipinto dal vero, molto importante nella sua carriera. Una donna, in primo piano seduta su una sedia, con la testa reclina verso il basso, impegnata nelle mansioni quotidiane mentre due colombi davanti a lei completano la scena in un grazioso giardino interno con numerose piante fiorite in vaso, con pavimento di cotto, dove giace un ombrello ed una giacca. Sulla sinistra dipinge il Canal Grande, dove un veneziano conduce la propria gondola davanti alla basilica di San Marco nella laguna dalle acque lisce, mosse solamente dal passaggio della barca. I colori molto caldi, lievi e sfumati preludono al suo inconfondibile stile che lo caratterizzerĂ nella sua pittura futura.
Nel 1861 esegue il suo primo ritratto ad olio âCristiano Chiesaâ, influente personaggio di Caldonazzo, possidente terriero, commerciante ed amico del padre. Si nota giĂ allâetĂ di diciannove anni la gran bravura di Prati come ritrattista, appresa dal maestro Michelangelo Grigoletti di Venezia.

Quadro di Grigoletti
Due anni dopo dipinge il ritratto a matita su carta di âElia Pratiâ del 18 settembre 1862, bis cugino di Eugenio ed ex Garibaldino, uno dei due testimoni delle nozze fra lo zio Gioacchino Garbari e Placida Gasperi. Sotto il ritratto di Elia è inserita una quartina inneggiante alla patria gentile italiana e alla libertĂ : âViva lo sposo viva la sposa â Tutta la prole che nascerĂ â Viva il consesso, la generosa Patria gentile, la libertĂ â, pubblicato sulla copertina di âStudi Trentini di Scienze Storicheâ nel terzo volume del 2002 e nel libro âEugenio, Giulio e Romualdo Prati â Artisti di Caldonazzoâ del 2007.
Elia Prati detto âStefenòlâ nasce a Caldonazzo il 24 gennaio 1828 e, sposato in terze nozze con Maria Graziadei, padre di Cesira, Idina (commesse nella farmacia Graziadei di Caldonazzo, irredentiste ed internate a Katzenau) e Ciro, farmacista prima a Caldonazzo e poi a Padergnone, muore il 28 aprile 1916. Di lui si racconta che non uscisse mai di casa senza il suo cappello da garibaldino, il che era motivo di scandalo tra gli asburgici del paese. Si narra inoltre che, assieme al cugino Gioacchino Garbari, fratello della madre di Eugenio, sindaco per molti anni di Caldonazzo e possidente di una filanda, dellâHotel Caldonazzo e di numerosi terreni, si fosse fatto crescere la barba alla Vittorio Emanuele II e nonostante fosse stato obbligato dagli austro-ungarici a tagliarla, noncurante del divieto ricevuto, ben presto se la fosse fatta ricrescere.
Il pittore trentino Tullio Garbari nel 1927 nel catalogo della âGalleria LâEsameâ scrive: âIl Prati crebbe in questa atmosfera calda dâaffetti familiari e patriottici, dove questi aggettivi avevano un significato cosĂŹ integro e paesano. Patriota significava un nome ben radicato e un buon paesano non poteva non sentirsi, assiomaticamente, unitario; senza iattanze e viltĂ , verso nessuno, nĂŠ di dentro nĂŠ di fuori. Idea umana ed integra che i nostri vecchi portarono avanti quanto poterono. Ed egli seppe darne una dimostrazione non retorica mostrando quel dovere proprio dâun artista; facendo dei buoni quadri, lontani da qualunque volgare esibizione di cosiddetto patriottismoâ.
Durante la sua permanenza a Venezia intorno al 1858-59 conosce il pittore ritrattista Antonio Zona (1814 â 1892), illustre accademico, che esegue nel 1859 un suo ritratto ad acquerello e quello del padre Domenico , firmati entrambi âA. Zona 1859 dip.â e conservati presso i discendenti; inoltre stringe una profonda amicizia con il pittore veneziano Antonio Ermolao Paoletti (1834-1912). Presso la famiglia sono conservati due disegni a matita di Antonio Paoletti realizzati nel 1861 a Caldonazzo durante un suo soggiorno al molino in cui si nota la sorella Luigia che imbocca il fratello Giulio Cesare seduto su uno sgabello e nellâaltro Eugenio Prati seduto su una sedia e poi appisolato sul tavolo della cucina.
Nel 1865, ultimo anno dellâAccademia di Venezia, è premiato con la medaglia dâargento per il disegno a matita âTintoretto che scaccia Marioâ (Fig. 27) esposto nel marzo 1866 nella sala di lettura della Biblioteca Civica di Trento e nel 1907 alla mostra postuma ed ora di proprietĂ del Comune di Trento in deposito presso il Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.
Il 31 marzo 1866 âIl Patriotaâ di Trento pubblica un articolo riguardante il quadro âTintoretto che scaccia Marioâ di Eugenio Prati: âDa parecchi giorni trovasi esposto nella Sala di lettura della civica biblioteca un quadro di qualche dimensione di genere storico, rappresentante una scena nello studio del Tintoretto.
Campeggia sul davanti lâillustre pittore veneto nel vigor degli anni, di persona ben distesa, maestoso in volto, quantunque lâaspetto sia severo, risentito, colla destra protesa e vibrate le pupille verso un giovanotto, che titubante sulla soglia mostra scolparsi dâun fallo prima dâabbandonare la stanza. A manca del Tintoretto vedi una fanciulla fiorente di grazia e dâavvenenza, col capo mollemente chino, che volge un furtivo sguardo al perduto amante.
Alla vista delle varie commozioni che animano la scena, tosto un vivo desiderio ti punge di scoprire la causa di quel turbamento, sicchĂŠ ora interroghi la fronte autorevole del padre, ora compassioni la figlia sorpresa, amareggiata da un amore ardente quanto infelice; ora esplori il volto dello sgraziato allievo, che pur getta un ultimo sguardo supplichevole verso chi lo discaccia.
Tale è il quadro; e chi sa leggere in quel cartone presto si accorge, come lâautore abbia studiato lâintimo del cuore umano, sempre efficace ispiratore delle arti. Chi poi voglia considerare il merito artistico ammira la diligenza e il corretto disegno che vie piĂš fanno spiccare la composizione. Lo studio del Tintoretto è semplice, non disadorno; libera e viva circola la luce; le figure si presentano innanzi staccate dal fondo; spontanee e ben atteggiate le mosse, sicchĂŠ la diresti una scena teatrale; non manca il buon gusto nelle cose accessorie, nel morbido giro delle vesti piegate o cascanti, nellâabbigliamento pittoresco, nella finitezza delle parti e nella concordia del tuttoâ.

GIOVANNI A PRATO
Un ruolo caratteristico nella formazione del pittore Eugenio lo ha il barone don Giovanni a Prato (1812-1883), vicino fin dalla giovinezza al padre Domenico, definito âmio vecchio amico e condiscepoloâ in una lettera del 15 settembre 1867 nella quale lâabate ricorda: âTuo padre ed io avevamo percorso insieme tutto il ginnasio e fummo sempre nei migliori rapporti dâamicizia dappoiâ.
Proprio in nome di questi rapporti dâamicizia sâimpegna il 12 marzo 1866 nella raccolta di fondi in modo tale da assicurare ad Eugenio un sussidio annuo di 1200 franchi per tre anni, pagabili in cento franchi al mese, per la continuazione degli studi a Firenze, perchĂŠ il padre Domenico, colpito da gravi dissesti economici e con numerosi figli a carico, non è in grado di sostenere le spese per mantenere Eugenio a Firenze.
Il contratto prevedeva che il Prati dovesse consegnare alla societĂ e al bibliotecario della Biblioteca di Trento entro lâ1 aprile 1870 un quadro rappresentante un fatto di storia patria, di dimensioni non inferiore ad un metro di altezza e lunghezza, che dovesse essere esposto fino alla fine di giugno per poi essere attribuito ad un azionista estratto a sorte.
Nellâaprile del 1866, dopo aver soggiornato alcuni giorni a Milano, si reca quindi a Firenze, allâetĂ di 24 anni, con varie lettere di presentazione dei professori dellâAccademia di Venezia tra cui quella di Karl Blass e del pittore veneziano Antonio Zona (allâepoca a Milano), per il pittore fiorentino Stefano Ussi (1832-1901), insegnante allâAccademia di Firenze dal 1860, artista noto e stimato per i suoi dipinti storici.

Antonio Zona
Si presenta contemporaneamente per intercessione del barone Don Giovanni a Prato a Francesco Gentili, direttore dellâagenzia delle Assicurazioni Generali di Firenze, il quale si fa carico di seguirlo durante tutto il suo soggiorno fino al 1879, anno in cui il 26 maggio si sposa e torna a vivere in Valsugana, ad Agnedo, il paese della moglie Ersilia Vasselai.
Francesco Gentili lo presenta dapprima al poeta Aleardo Aleardi, insegnante dâestetica allâAccademia di Firenze (Prati in una sua lettera manifesta la sua gioia per lâevento e si rallegra dellâimpegno assunto dallâAleardi ad istruirlo nellâarte e nella storia). Subito dopo lo fa conoscere al pittore ticinese Antonio Ciseri (1821-1891), esponente di rilievo del tardo purismo toscano e legato a temi religiosi, che lo accetta nella sua rinomata scuola privata di nudo, sita in via delle Belle Donne n. 8, dove studia anche il pittore trentino conte Giovanni Pietro Pompeati (1835-1903), compagno di studi anche allâAccademia di Venezia.

Aleandro Aleardi
Ciseri è stato molto importante per la crescita artistica di Eugenio, seguendolo con amorevolezza come un padre al punto di volerlo immortalare come modello di San Giovanni nel suo dipinto âTrasporto di Cristo al Sepolcroâ (1869-71), considerato uno dei suoi capolavori e conservato presso il Santuario della Madonna del Sasso a Locarno in Svizzera.
Nel maggio si reca dal trentino Andrea Maffei, poeta ed illustre esponente del mondo letterario, in quel momento a Firenze, con una lettera del barone Giovanni a Prato che gli vale da raccomandazione al presidente dellâAccademia di Belle Arti.

Andrea Maffei
Di Andrea Maffei Eugenio scrive a Giovanni a Prato il 21 settembre 1866: âNon può immaginarsi qual contento provai sentendo quel modo di parlare cosĂŹ virtuoso istruttivo, beato chi possiede quelle belle doti, dico il vero che la sua angelica fisionomia mi ha fatto unâimpressione cosĂŹ dolce da non potermi mai allontanareâ.
Nello stesso periodo fa la conoscenza con il bibliotecario Giuseppe Canestrini, con lo scultore Enrico Pazzi e con il poeta Giovanni Prati, definito da Giosuè Carducci ââŚil solo veramente e riccamente poeta della seconda generazione dei romantici in Italiaâ, trasferitosi da Torino a Firenze quando nel 1865 diventa capitale.

Enrico Pazzi
Lâammirazione per il poeta Giovanni Prati appare in una lettera del 13 novembre 1866 inviata al barone Giovanni a Prato in cui Eugenio riferisce del banchetto tenutosi in casa di Francesco Gentili per festeggiare lâannessione del Veneto al Regno dâItalia: âAlla fine poi il celebre poeta declamarono diverse strofe di suoi recenti versi, lĂŹ eseguĂŹ con tal maestria che fece meravigliare tutti. Sfido io ha una cosĂŹ bella e melodiosa voce che fa innamorare e incantare, poi fece un gentile presente a tutti dâun fascicolo delle sue poesie intitolato Entrata a Venezia inno al Reâ.

GIOVANNI PRATI
A Firenze prende in affitto una camera dapprima al II piano di via Ghibellina n. 102 e poi, per 20 franchi al mese, in via delle Belle Donne n. 16, sulla stessa via dello studio del prof. Antonio Ciseri, dove ai giorni nostri al piano terra câè la trattoria âBelle donneâ. Mentre un tempo era una vecchia âmescitaâ, dove si vendevano vini e liquori, oggi, questa trattoria piccola e movimentata, è un tempio per buongustai.
La sua permanenza a Firenze, durata tredici anni, è interrotta da saltuarie visite in Trentino nel periodo estivo e durante le feste natalizie e da due soggiorni a Roma nel 1872 e nel â74 con la sorella Isabella. Nel 1867 esegue il suo primo quadro âTrovatoreâ definito cosĂŹ da lui stesso in una lettera che invierĂ nel 1870 a Trento al barone Giovanni a Prato in cui lo prega di venderlo e disegna anche a carboncino âRitratto del poeta Aleardo Aleardiâ. Si conserva anche un acquerello âMichelangelo incontra Cosimo de Medici ed Eleonora di Toledoâ, donato con dedica dalle sorelle Luigia ed Isabella Prati allâing. Diego Tomasi.
La morte di Domenico Prati avvenuta lâ11 novembre 1867 lascia la famiglia in gravi difficoltĂ economiche. Il barone Giovanni a Prato interviene con successo affinchĂŠ la famiglia possa mantenere il molino di proprietĂ come abitazione con una lettera inviata il 30 gennaio 1868 al sig. Cirillo Broso, amministratore di uno dei creditori, approfittando dellâoccasione per tessere le lodi di Eugenio.

Eleonora di Toledo
“Io non conosco da vicino della famiglia lasciata dal povero Domenico che lâalunno pittore Eugenio, del quale ricevo frequenti notizie da parte di persone le piĂš accreditate in Firenze, che tutte mi scrivono Eugenio Prati promette di raggiungere una rara perfezione nellâarte. Egli lavora molto diligentemente ed è uno dei piĂš lodati discepoli dellâillustre pittore Ciseri e gode la protezione speciale del signor Canestrini, bibliotecario della Magliabecchiana e dei poeti Prati e Aleardi, nonchĂŠ del direttore dellâagenzia dâAssicurazioni Generali signor Francesco Gentili e di molti altriâ: cosĂŹ scrive Giovanni a Prato.
Di questo periodo si conserva un disegno a matita dâispirazione patriottica ed irredentistica dal titolo âItalia incatenataâ; due figure femminili, una incatenata, vestita con vesti tipiche popolari trentine e lâaltra con la corona in testa che rappresenta lâImpero austro-ungarico. Prati, dopo lâesito negativo della III guerra dâIndipendenza, ha voluto rappresentare lo stato dâoppressione del Trentino. Eugenio avrebbe voluto realizzarlo con la tecnica dellâolio su tela, ma è costretto a desistere, come si narra in famiglia, per le gravi conseguenze a cui sarebbe andato incontro.
Lo zio paterno Stefano, nato il 17 dicembre 1803 e morto il 18 agosto 1891, commerciante di vino a Caldonazzo ed a Levico e possidente terriero, da questo momento aiuta economicamente la famiglia come testimonia una lettera di Lucia Garbari Prati del 9 giugno 1868 inviata al figlio Eugenio: â⌠Lâaltro giorno lo zio Stefano Prati ci comperò un buon mulo e anche un maiale, che in tutto spese quatordici marenghi, e adesso per lavori che ci vuole dietro al mulino dovrĂ fare la spesa di altri venti. Egli ci vuole bene e vi fa da padre, perchĂŠ se non era lui che ci faceva sigurtĂ per comperare il mulino per cinque mila fiorini, (che è giĂ due mesi che siamo qui ad abbitarlo) saressimo su dâuna strada, dunque tu vedi che bisogna essergli riconoscenti âŚâ.
Si dedica in questo periodo prevalentemente a pitture di genere storico. Nel mese dâottobre del 1867 esce il bando con regolamento del concorso nazionale triennale di pittura dellâAccademia di Firenze che prevede la raffigurazione dellâincontro tra Michelangelo e Federico Barocci allâepoca degli studi del giovane di Urbino a Roma. Su suggerimento del prof. Antonio Ciseri vi partecipa e dopo vari mesi di lavoro presenta il dipinto con cui il 26 dicembre 1868 riceve la medaglia dâoro e una somma di denaro di 1.120 lire (il primo premio non era assegnato dal 1860). Il quadro ora è esposto al pubblico in terza fila nel salone dellâOttocento della Galleria dellâAccademia di Firenze. Presso la famiglia sono conservati un disegno a matita del giovane Federico Barocci e lâinedito bozzetto ad olio su tela âIl Barocci presentato a Michelangeloâ.

Federico Barocci
Si riporta la descrizione del dipinto dello stesso Prati, conservata nellâArchivio Prati di Ivano Fracena: ââŚIn questo giovane (Barocci) mi proposi ritrarre principalmente la natural verecondia e lâumile timiditĂ ; châegli quindi arrossisca compreso di reverenza sĂŹ grande Uomo, non senza lasciar trasparire sul suo volto unâaria di contentezza per le lodi e gli incoraggiamenti che riceve. Nello Zuccheri volli esprimere la franchezza e lealtĂ dellâamico, che gioisce con rispettoso sorriso delle lodi prodigate al compagno. Nelle rimanenti figure ho inteso rappresentare gli altri giovani mossi chi da curiositĂ , chi da interesse o benevolo o invidioso, per quello che succede. Nel fondo ho messo una delle tante facciate di case, alle quali ha lavorato Polidoro, e dove stavano i giovani a disegnare. Per ricordare che lâazione succede a Roma ho disegnato e dipinto in lontananza il Castel St. Angeloâ.

Anton Hautman
Al banchetto offertogli dagli amici e sostenitori, a cui il poeta Giovanni Prati pronuncia un discorso in onore dellâartista, suo compatriota, sono presenti anche i poeti Aleardo Aleardi e Andrea Maffei. Alla fine degli anni â60 conosce il sig. Anton Hautmann, pioniere della fotografia e proprietario in societĂ di un famoso studio fotografico a Firenze in via della Scala n. 18. Presso lâarchivio Prati di Trento è conservata una fotografia del 1869 della sorella di Eugenio Isabella, eseguita dallo studio Hautmann. Eugenio da lezioni di pittura alla figlia Paolina Hautmann della quale sâinnamora ma i genitori sâoppongono al matrimonio perchĂŠ ritengono che un artista alle prime armi non sia in grado di offrire delle garanzie economiche per la loro figlia. Di questo avvenimento è conservato presso lâarchivio Tullio Garbari di Trento una lettera dellâabate Giovanni a Prato del 4 agosto 1870, inviata ad Eugenio, in cui cerca di rincuorarlo per il dispiacere amoroso.

Antonio Ciseri
Dopo la morte della madre Lucia Garbari avvenuta il 10 aprile 1869 allâetĂ di cinquantâanni, anche i fratelli del pittore continuano a vivere al molino di Caldonazzo accuditi dalle zie, tranne Michelangelo, che è affidato ad una zia di Borgo Valsugana. Eugenio a giugno inizia a lavorare su commissione del prof. Domenico Chiossone di Genova a âIl Generale Garibaldi a Milazzoâ, esposto alla SocietĂ Promotrice di Belle Arti di Genova dal 7 al 30 novembre del 1869.
Prati decide di rendere omaggio a Giuseppe Garibaldi, immortalandolo in un ritratto che si oppone ai canoni della ritrattistica celebrativa risorgimentale di gusto romantico, in cui il Generale è visto come semplice uomo capace di percepire le sensazioni del momento. Il paesaggio avvolge Garibaldi grazie al sapiente uso della luce e dei colori dai toni caldi e morbidi mentre in primo piano risalta il realismo del cavallo bianco. Nel foglio di sala redatto in occasione dellâesposizione del dipinto presso Palazzo Geremia, sede del Comune di Trento, nel luglio 2002 si commenta: âUn lavoro compiuto nel primo periodo di attivitĂ dellâartista, che lascia giĂ trasparire alcune caratteristiche della sua pittura migliore, dalla predilezione per alcune tonalitĂ di colore, allâindagine psicologica delle persone raffigurate.
Il paesaggio avvolgente, interloquisce con la figura in una consonanza affettiva tra lâuomo e il luogo dove lo sfondo, non di invenzione ma veritiero, si perde allâorizzonte nella luce tenue e dolce dellâimbrunire. La raffigurazione del cavallo bianco, per la cui realizzazione Prati ha chiesto di poter studiare dal vero un esemplare appartenente alle scuderie reali, è dipinto con forte realismo, come lo sono la vegetazione circostante, le agavi, i sassi e la terra, il cui beige rosato sarĂ una tonalitĂ molto amata e frequentemente utilizzata nei dipinti del periodo di Agnedo (1880-1892)â.
Nel foglio di sala si scrive inoltre: âDi notevole abilità è lo studio psicologico di Garibaldi, visto come persona comune e non come eroe vittorioso. Un uomo stanco, dallâespressione assorta, il cui pensiero va ai compagni perduti sul campo di battaglia. Incurante del saluto rivoltogli dal gruppetto di garibaldini che trasportano la bandiera tricolore, volge lo sguardo indietro, tormentato dal vivo ricordo della violenta battaglia. Alle spalle di Garibaldi, protetta dal mare e dalle possenti mura di cinta, si erge la fortezza di Milazzo, espugnata con tanta difficoltĂ . I toni caldi e morbidi che tingono le pareti della rocca, rendono meno minacciosa la struttura militare affacciata sullâacqua. Le pennellate verde-blu del mare si confondono con quelle della piana verdeggiante su cui camminano i soldatiâ.

GARIBALDI
In due lettere dirette a Giovanni a Prato, Eugenio Prati parla di alcuni aspetti della composizione del quadro di Garibaldi, della visita del figlio Ricciotti Garibaldi a Firenze e dellâentusiasmo degli artisti per lâopera durante la sua esposizione a Genova: âQueste parole mi han fatto molta consolazione, perchĂŠ ne avevo proprio di bisogno, avendo incontrato nel quadro molte difficoltĂ , prima di tutto per la luce di sole che ho voluto applicare al quadro, e poi quel benedetto di cavallo mi fece affatticare in modo unico io avrei fatto molto presto per fare un cavallo ma siccome alla generalitĂ artistica piaceva in un modo unico la mula che feci nel quadro del Michelangelo e perciò non ho voluto far meno il cavallo, anzi piacque ancora piĂšâ.
Eugenio racconta in questo modo della visita del figlio di Garibaldi: âGiorni fa ebbi lâonore e la fortuna di essere presentato davanti al Riciotti Garibaldi che mi usò tante gentilezze e nello stezzo (stesso) tempo godeva nel sentire che io ritratto (ritraessi) il suo Eroe genitore a cavallo. Contento di aver fatta la mia conoscenza mi a (ha) chiesto se gli permettevo di visitare il mio studio. Si figuri dissi, per me sarebbe uno di quei regali da non poterlo descrivere anzi mene (me ne) andrei superbo. Dirò il vero che sono stato commosso a conoscere la bontĂ e semplicitĂ senza superbia di questo caro e buon giovine. Mi han promesso che quando verrĂ qui a Firenze il suo padre me lo condurranno nello studio cosĂŹ mi servirĂ di modello per dare qualche tocco al ritratto del medesimoâ.

Ricciotti Garibaldi
In una lettera diretta ad Eugenio Prati, lâincisore David Chiossone di Genova, fratello del committente, esprime la sua soddisfazione, degli artisti e frequentatori dellâAccademia di Belle Arti di Genova per il dipinto âIl Garibaldi a Milazzoâ ed afferma che: âil ritratto del Generale è perfettoâ.
Nellâottobre del 1869 Eugenio ottiene anche uno studio gratis presso lâAccademia di Belle Arti di Firenze e Prati considera lâevento âuna bella fortunaâ e la prova che Dio non lo aveva abbandonato dopo tante disgrazie.Durante il lungo periodo di formazione accademica si avvicina alla pittura realista veneta, subisce lâinfluenza dei Macchiaioli toscani e quella degli Scapigliati lombardi sviluppando uno stile alquanto personale in cui la rigiditĂ del disegno va via via scomparendo per lasciare il posto ad una pennellata vaporosa dai contorni sempre piĂš sfumati.
Nel 1870 dipinge il ritratto dei baroni âValentino e Isidoro Salvadoriâ di Trento e il 26 marzo 1870 a Firenze conosce la contessa trentina Virginia Alberti Poja e sua figlia, la baronessa Giulia Turcati (1848-1912), in visita al maestro Antonio Ciseri; cosĂŹ scrive Giulia nel suo diario: â1870-26 marzo (Firenze): nello studio di Eugenio Prati erano parecchie tavole antiche e un pianoforte scordato. Un insieme strano e geniale. Andammo allâAccademia a vedere alcuni quadretti di Pratiâ.
Sâinstaura un rapporto amichevole ed è invitato nella residenza estiva di Sopramonte. La villa Turcati, che sorge al centro del piccolo paese Sopramonte lungo la strada fra Trento e il monte Bondone, è un luogo dâincontro per artisti, letterati, musicisti. Prati frequenta la famiglia Turcati anche a Trento e nasce un intenso rapporto epistolare con la baronessa Giulia che durerĂ per sempre.
Lâ1 novembre 1871 ottiene una borsa di studio artistica provinciale di 500 fiorini annui conferitagli dalla Giunta provinciale tirolese di Innsbruck. La borsa di studio richiesta da Prati con una lettera del 29 agosto 1871, potrĂ essere rinnovata negli anni successivi solo se lâartista sarĂ in grado di dimostrare un soddisfacente progresso pittorico.

Andrea Malfatti
Dipinge nello stesso anno il ritratto dello scultore âAndrea Malfattiâ (1832-1917), di proprietĂ del Comune di Trento conservato presso il Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, il ritratto di âMonsignor Giovanni Battista Boghiâ, conservato presso la Biblioteca Comunale di Caldonazzo, dei coniugi di Pergine dott. âFortunato Montelâ e signora âCattarina Montelâ conservati presso il Comune di Pergine Valsugana, del conte âGuglielmo Bossi-Fedrigottiâ ed infine due ritratti inediti dello zio âStefano Pratiâ (1803-1891) Â e del cugino âLorenzo Pratiâ (1842-1899), giudice distrettuale a Borgo Valsugana.
In questi anni allâEsposizione Solenne di Belle Arti di Firenze del 1872 espone lâopera âDante dalla sua casa vede Beatriceâ e dipinge il ritratto di âGiobatta Graziadeiâ, zio del farmacista e amico Damiano Graziadei, conservato nellâufficio del Sindaco di Caldonazzzo; poi si trasferisce a Roma in compagnia della sorella Isabella (1849-1938) dove esegue il âRitratto della sorella Isabellaâ in costume ciociaro che porta nelle mani un cestino di frutta ed espone alla Mostra Nazionale di Brera a Milano dello stesso anno âDonna romanaâ, una contadinella nellâinterno di una casa della campagna romana e il carboncino della baronessa Giulia Turcati .
Realizza nel 1873, su commissione dellâingegnere Saverio Tamanini, âSan Adalbertoâ per la cappella della Villa Bernardelli a Gocciadoro di Trento, ora conservato temporaneamente presso il Castello del Buonconsiglio di Trento, il ritratto del âRe Vittorio Emanuele IIâ, scomparso a Caldonazzo durante la Prima Guerra Mondiale (1914-18) e della âPrincipessa Margherita di Savoiaâ Â in costume sardo, ora a Caldonazzo in possesso di un discendente.
Nel 1874 esegue il âritratto della sorella Luigiaâ e si trasferisce nuovamente per alcuni mesi a Roma in compagnia della sorella Isabella per compiere ulteriori studi. Frequenta il poeta Giovanni Prati, divenuto senatore e direttore dellâIstituto superiore di Magistero e riceve la visita della baronessa Giulia Turcati, a Roma insieme con la madre Virginia nei primi giorni dâaprile. Infatti, dal diario della Turcati si apprende: â1874 â 1 aprile (Roma): La giornata si finĂŹ al Caffè con alcuni trentini, fra cui il pittore Prati, che è sempre in giro con noi e il poeta Prati.
Quando Pratino junior (il pittore) gli raccontò che “io studiavo Leopardi, si drizzò con fare altero e rispose: le Signorine di Roma studiano tutte il signor Prati! (In quel giorno Giulia Turcati compie 26 anni). 6 aprile: piĂš tardi feci un giro artistico col Prati, per vedere parecchie cose che ancora non conoscevoâ.

Beatrice Cenci
Durante il suo soggiorno a Roma esegue il ritratto della contessa romana âBeatrice Cenci o Biceâ in cui Prati rappresenta la storia drammatica della giovane nobildonna, simbolo dellâinnocenza calpestata, affacciata ad un davanzale in un atteggiamento di disperazione. Delicati il vestito di raso, il diadema, la collana e gli orecchini che ornano elegantemente un aristocratico e triste viso di donna, dai colori morbidi e tenui.
La storia di Beatrice Cenci (1577-1599), condannata a morte con lâaccusa di parricidio da Papa Clemente VIII sulla piazza di ponte SantâAngelo ha colpito la fantasia di artisti, musicisti, poeti e drammaturghi particolarmente dallâOttocento in poi. Beatrice Cenci visse unâesistenza perseguitata dalle attenzioni sessuali e dalle percosse del padre Francesco Cenci finchĂŠ con lâaiuto della matrigna e dei fratelli si ribellò alla tirannia del padre.

Beatrice Cenci
Del dipinto scrive la baronessa Virginia Alberti Turcati (lettera dellâ1 luglio â74 a Eugenio Prati): âRitorna Giulia a cui la Cenci piacque assai, meno anche a lei quella macchia al naso a cui bisognerebbe proprio rimediare. Ma trovo bello il colorito e assai somiglianteâ.
Esegue âSan Vigilioâ per il Seminario minore e lavora su commissione alla tela âImmacolataâ per la cappella del Collegio Arcivescovile di Trento, ora conservata presso lâAula magna del Seminario Maggiore di Trento. Di questâopera si conserva anche un acquerello preparatorio. La Madonna poggia sul mondo avvolto da nuvole impalpabili e guarda, con le mani giunte, verso lâalto in segno di devozione e reverenza. Prati ritrae lo sfondo sfruttando i toni del grigio e del rosa in modo evanescente e rarefatto. Nello stesso anno dipinge âil Paggettoâ e âGiovane ragazzoâ, pubblicati per la prima volta.
Nel 1875 realizza un altro âRitratto della sorella Luigiaâ (1845-1931) e âImmacolataâ per la chiesa di Strigno, in Valsugana e durante la cerimonia dâinaugurazione conosce Ersilia Vasselai di Agnedo che tre anni dopo diviene sua moglie. Nel 1918 durante la ritirata dellâesercito austro-ungarico da ignoti è asportata dalla cornice, tagliandone la tela. Lavora alla pala âSantâAntonioâ per la chiesa di Lasino, commissionatagli dalla Contessa Maria Revedin Bassetti per la guarigione della figlia Antonia.

Il Conte Lodron
Nello stesso anno dipinge ad olio âCaldonazzo con piccola capraiaâ, âBieno con due capraie in costume tesinoâ, inedito, âLevicoâ, âRecoaroâ e âStrignoâ che rappresentano le sue prime opere di unâarte legata alla realtĂ quotidiana, la pittura âen plein airâ, in altre parole lâesecuzione allâaria aperta con il soggetto illuminato dalla luce del giorno quasi sul tramonto, appresa dai macchiaioli a Firenze.
Ă lâinizio ufficiale del suo verismo; nella tela ambientata a Caldonazzo Prati raffigura con dovizia di particolari una graziosa bambina con una capra davanti ad una caratteristica abitazione in via Villa. Lo scrittore e poeta Raffaello Prati nel 1957, in occasione del cinquantenario dalla scomparsa di Eugenio Prati nel libro di don Ettore Viola, parroco di Caldonazzo, dal titolo âEugenio Prati pittore ottocentistaâ la descrive in questo modo: âLa vecchia Caldonazzo, quella del Prati che va sfumando nellâalone buono dellâetĂ passata: lâombra scende compatta su le cose e lotta con il sole, che ancor resiste: la casa con scarsi segni di vita, quasi vuota vacua esamine. Le porte dense di oscuritĂ . E su le spente cose: un segno di vita: in alto una camicia che si agita allâaria, in cerca di sole, in primo piano due semplici creature, che anchâesse passano. Meraviglioso paesaggio che ormai non è e non sarĂ piĂš quelloâ.
Nel 1876 il conte Lodron gli commissiona il âSan Giuseppeâ per la chiesa di Villa Lagarina che consegna nel 1878. Prati dipinge San Giuseppe nelle vesti di falegname con in braccio GesĂš Bambino, dallâespressione dolcissima e tenera, ed in pugno nellâaltra mano il bastone fiorito di gigli bianchi, simbolo, secondo lâiconografia classica religiosa, di purezza e del fatto che Giuseppe fosse stato il prescelto per diventare sposo di Maria. Si notano nel pregevole dipinto, recentemente restaurato, un banco da lavoro, una pialla e sul pavimento a piastrelle una pinza e dei trucioli di legno descritti con tale realismo da sembrare veri.
Nel 1877 partecipa allâEsposizione di Belle Arti di Milano esponendo âMadre Amorosaâ e âSequestroâ (Fig. 47) del 1876, fra gli ultimi dipinti eseguiti a Caldonazzo prima di trasferirsi ad Agnedo che rappresenta una pagina dolorosa della famiglia Prati, quando dieci anni prima, in seguito al mancato pagamento di una grande partita di vino da parte di un cliente veneziano, suo padre Domenico dovette subire lâonta del pignoramento dei mobili.
Vittorio Zippel cosĂŹ descrive âSequestroâ in âArchivio Trentinoâ nel settembre del 1907: âNella cucina di una casa colpita dalla miseria il funzionario giudiziale sequestra il mobilio di una povera famiglia; la madre, seduta con un bambino fra le ginocchia e con due altri figlioli vicini, fissa lo squadro accorato nel volto del marito che, presso la finestra, assiste mestamente alla rovina di tutto il suo avere. Lâespressione del dolore è resa in modo assai toccante in questo quadro, che ha dei particolari grandemente pregevoli, oltre che per la composizione, anche per la tecnicaâ.
Partecipa anche nel 1877 allâEsposizione Solenne di Firenze con âPiccola Mendicanteâ del 1875, raffigurante una giovane ragazza dal viso mesto mentre sulla porta stende la mano in atto di chiedere lâelemosina; lâopera è premiata con la medaglia di bronzo ed acquistata dal Governo italiano per la Galleria Nazionale dâArte Moderna di Roma; espone anche âMadre amorosaâ del 1877 ambientato in una tradizionale cucina trentina, in cui descrive gli sguardi allegri e amorevoli scambiati tra mamma e neonato mentre la donna si sofferma davanti alla culla ed attira lâattenzione del piccolo facendolo giocare con il rocchetto di filo che pende dal fuso.
Nel catalogo della mostra del 2004 dal titolo âIl Secolo dellâImperoâ organizzata dal Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto al Palazzo delle Albere di Trento sono descritti i particolari di âMadre amorosaâ: âCon il rocchetto del filo che pende dal fuso, attira lo sguardo del bimbo dal piccolo capo biondo adagiato su un cuscino. Sul manico del cesto di vimini che fa da culla, è posta una copertina a righe dal morbido tessuto. La bravura con cui Prati dipinge la coperta si trova in tanti altri particolari, dai fiocchetti che chiudono lateralmente la fodera del cuscino, al lenzuolino della culla, allâintreccio di vimini del cesto. Il tegame per terra coperto da uno straccio e i rami appesi sono delle nature morte ben riusciteâ.
Nello stesso anno dipinge âDama che fumaâ, un olio su tavola rientrato da poco in Italia dalla Spagna, in cui ritrae in modo originale e scherzoso la baronessa trentina Giulia Turcati durante una visita a Firenze in quellâanno. Da una lettera conservata presso la famiglia Prati si apprende che Giulia Turcati cercava in tutti i modi di convincere Prati a dipingere solo soggetti storici o religiosi e non raffigurazioni veriste o di paesaggio: âScegliete un argomento che scenda dritto al cuore⌠questa cara Italia ne offre tanti nella mirabile sua storia!⌠Voi stesso, sollevandovi da quella rete di piccole idee vi sentirete nobilitato, e non solo per le vostre proprie impressioni, ma anche per lâeffetto che otterrete su quelli cui sarĂ dato contemplare un lavoro piĂš altamente inspirato dei soliti. Non vi mancheranno i ritagli di tempo da dedicare a quei dipinti che possono recare materiale vantaggioâ.
In questâopera Eugenio realizza un piacevole scherzo dipingendo lâamica che, volgendosi verso il pittore con sguardo partecipe, compie un gesto indecoroso per una signora, quello di fumare. Sullo sfondo del ritratto Prati con grande abilitĂ tecnica realizza un arazzo, quasi un secondo quadro di ispirazione realista, compiendo cosĂŹ un affronto allâamica che lo incitava ad eseguire solo raffigurazioni storiche e non veriste. Durante il soggiorno a Sopramonte Prati esegue quasi un centinaio di disegni a matita, ad acquerello, pastello ed a china che poi lascerĂ allâamica Giulia Turcati, sua allieva di pittura. Grazioso è il disegno a matita inedito âFatevi monaca?â che faceva parte dellâalbum di Eugenio Prati .
Nellâambiente aristocratico e culturale trentino il salotto letterario della baronessa Giulia Turcati è noto per essere stato un punto di riferimento dellâarte pittorica, della musica e della letteratura, ma anche delle istanze liberali e del sentimento di italianitĂ . Le cronache e le fonti riportano la frequentazione della villa Turcati a Sopramonte di Raffaele Frontali (1849-1916), primo violinista al Teatro La Fenice di Venezia, del tenore Enrico Caruso (1873-1921), del musicista e compositore Giacomo Puccini (1858-1924), di Riccardo Selvatico (1851-1901), sindaco di Venezia e promotore della prima Biennale di Venezia, di Ugo Ojetti (1871-1946), critico dâarte, giornalista e scrittore, di Angelo de Gubernatis (1840-1913) letterato e scrittore, di Luisa Anzoletti (1863-1925), poetessa, letterata e pianista e del micologo don Giacomo Bresadola (1847-1929).
Tra i pittori ricordiamo oltre ad Eugenio Prati, maestro di pittura della famiglia, la frequentazione degli artisti piĂš famosi dellâOttocento tra cui il cugino della baronessa Bartolomeo Bezzi (1851-1923), Filippo Carcano (1840-1914), Francesco Paolo Michetti (1851-1929), Alessandro Zezzos (1848-1914), Ettore Tito (1867-1941) e Angelo DallâOca Bianca (1858-1942).
Il critico dâarte Carlo Piovan nella rivista mensile âTrentinoâ del 1932 descrive che Eugenio Prati e Bartolomeo Bezzi assistono alla scoperta del talento trentino Umberto Moggioli (1886-1919) che, nel 1902 allâetĂ di sedici anni, si reca a Trento in via S.TrinitĂ nella casa Turcati per sottoporre ai suoi ospiti un suo dipinto di paesaggio. âLa signora e i due pittori, incuriositi e allettati dallâinsolito caso, si fan venire dinnanzi il ragazzo. Ă il battesimo dellâarte sua. Ecco il quadro: Bezzi guarda, Prati guarda. Poi Eugenio Prati sorride: âscometo che te lâai piturĂ dopo che lâaveva piovĂšâ. âLâè veraâ esclama il piccolo Moggioli. E il cuore gli ride dâallegrezza. Dunque il quadro è vero! E corre a casa. E ora sfoga la sua gioia con la madre, con tutti, perchĂŠ Eugenio Prati ha indovinato. Colpiti dalla sensibilitĂ pittorica di Moggioli, lo presentano al mecenate trentino Antonio Tambosi che gli paga una piccola pensione per frequentare lâAccademia del Belle Arti a Veneziaâ.

Umberto Moggioli
La âGazzetta di Trentoâ il 10 agosto 1878 pubblica un articolo a proposito di âSequestroâ in cui è descritto con estrema ammirazione: âBisognerebbe essere senza occhi e senza anima per non rimanere estatici davanti a quelle sublimi creazioni che sembrano propriamente venute da una mano sovrumanaâ e il 5 maggio 1878 il quotidiano âLa Valsuganaâ pubblica un sonetto di Battista Dosso ispirato al dipinto dal titolo âSequestroâ.
Il 26 maggio 1879 Eugenio trentasettenne sposa Ersilia Vasselai (1861-1913). Il matrimonio è celebrato da Don Giuseppe Grazioli, tutore di Ersilia, orfana di entrambi i genitori ed in viaggio di nozze si recano a Venezia. Vive con la moglie un anno a Caldonazzo al molino dove esegue tre ritratti della moglie, due ad acquerello mentre ricama sul balcone del molino, ed uno ad olio e poi si trasferisce ad Agnedo alla fine del 1880 nella casa della moglie, ora di proprietĂ del Comune e sede dâaccoglienza per anziani.
Termina il soggiorno fiorentino piĂš volte interrotto dai viaggi a Roma, a Caldonazzo, a Sopramonte ed a Trento. Con il rientro in Trentino, cambiano i temi della sua pittura ed ha modo di osservare la vita quotidiana di paesani, contadini e pastori che ritrae con pennellate briose e con una sottile vena umoristica tanto apprezzata da pubblico e critica. Ă considerato lâartista trentino piĂš attento alle tradizioni locali ed alle bellezze naturalistiche della sua terra.
Il matrimonio con Ersilia porta al pittore una certa agiatezza economica che gli permette di dedicarsi ai temi di genere senza essere piĂš obbligato ad assecondare i committenti con quadri religiosi e storici. Espone âAmor non prende ruggineâ (prima versione) che vuole rappresentare lâamore che lega ancora due persone anziane con gesti dâaffetto mentre la donna fila la lana con il fuso di legno e presenta âUva e pescheâ e âMeditazione e lavoroâ nel 1879 a Monaco di Baviera dove sono acquistati.
Nellâanno successivo partecipa allâEsposizione Solenne di Firenze del 1880 con quattro opere: âAmor non prende ruggineâ (seconda versione), âVittoria Colonna visita lo studio di Michelangeloâ, scomparso a Caldonazzo durante la Prima Guerra Mondiale (1914-18), âPiccolo prigionieroâ) del 1880 che raffigura un bambino melanconico, rassegnato, scalzo, seduto e legato con una corda alla gamba di una sedia della cucina e âIl piccolo cantiniereâ.
âAmor non prende ruggineâ è una scena dâintimitĂ tra due anziani che sostano in cucina presso il focolare, scambiandosi numerosi gesti dâaffetto. Ritrae con estrema maestria e realismo i singoli particolari come gli oggetti della cucina, i tegami e la stufetta. La luce illumina il viso dei due anziani segnato dal tempo come a sottolineare che sono loro il centro focale della scena rappresentata. Mette in evidenza perfino in modo preciso le vesti e i tessuti al punto da farne quasi apprezzare lo spessore.
Nel 1881 partecipa allâEsposizione solenne di Firenze con âUvaâ del 1881, âPiccolo prigionieroâ, âGirovaghiâ (1878) venduto ad un collezionista di New York, âLa vedovaâ, âPiccolo cantiniereâ, âStudio e lavoroâ, âVerrĂ â e âLa Mendicanteâ ed espone sette dipinti alla mostra nazionale di Milano al palazzo del Senato tra cui âAmor non prende ruggineâ (seconda versione), âPiccolo prigionieroâ, âIstruzione della nonnaâ, acquistato per 1.200 lire dal collezionista Val Schof di Londra, âAlla mia vecchiettaâ, âLa mendicanteâ, âLa vedovaâ, comprato da un collezionista svizzero di Berna, âNozze dâoroâ, ammirato dallâimperatrice dâAustria Sissi che visita personalmente le sale dellâesposizione e âAbileâ del 1880.
âLa mendicanteâ del 1881, rappresenta una giovane ragazza dal viso affilato, melanconico e dagli occhi incavati, che apre timidamente una porta per chiedere lâelemosina. Lâopera, ricca di pathos, è racchiusa in unâoriginale cornice xilografata a spruzzo dallâartista raffigurante unâaltra mendicante contornata da margherite, ora conservata presso il Comune di Ardore in provincia di Reggio Calabria.
Prati nella tela âLa vedovaâ dipinge una donna vestita a lutto seduta su una sedia che tiene nelle mani il suo scrigno con i gioielli e davanti a lei un uomo che sta valutando con la lente il valore di un anello. Nel dipinto âAbileâ, ritrae una giovane recluta in procinto di partire per il servizio militare mentre consola la sorella piangente.
Eugenio è ispirato dal fratello Giulio Cesare, anche lui pittore, che proprio nel 1880 parte per il servizio militare come LandschĂźtzen (Tiratori scelti provinciali) nellâesercito austro-ungarico. La scena è ambientata nel soggiorno del molino Prati a Caldonazzo; a fianco della ragazza, che ha le sembianze della sorella Isabella, ritrae con estrema dovizia di particolari il cassettone, scalfito dalla baionetta di un francese durante lâinvasione napoleonica del 1801. Come si può notare dallâautoritratto di Giulio Cesare (1882 circa) risulta evidente la somiglianza tra Giulio e il ragazzo rappresentato in questâopera.
Nellâopera âAlla mia vecchiettaâ ritrae una tenera scena di quotidianitĂ tra due anziani ambientata nella loro umile abitazione. Il vecchietto brinda in onore della moglie che gli ha portato il pranzo mentre era intento a svolgere il suo lavoro di calzolaio. Eugenio, manifestando le sue ottime abilitĂ realistiche, ritrae i singoli particolari con estrema adesione alla realtĂ . Descrive le pieghe dei tessuti, le sfumature che la luce realizza sui tessuti, sugli oggetti e sul pavimento e perfino lâintonaco delle pareti sporco di fuliggine, fornendoci una fedele rappresentazione della realtĂ del tempo.
âNozze dâoroâ, dipinta in tre versioni, la prima del 1880, la seconda del 1881 e la terza del 1896, rappresenta la festa del cinquantesimo anniversario di matrimonio; è ambientata a Villa Agnedo in inverno dove una coppia di anziani sposi, in costume tipico festivo della Valsugana orientale, scende da una scala in pietra coperta di neve, seguita dai figli, nuore e nipoti, avviandosi verso la chiesa, accompagnata in segno di festa dallo sparo in alto di due pistole, impugnate dai nipoti. Sullo sfondo la collina coperta di neve di Castel Ivano. Prati in questo dipinto di scuola realista nella terza versione si diletta persino a rappresentare le orme del passeggio sulla neve e il loro diverso colore.
Si è giunti ultimamente alla conclusione che esistano tre versioni confrontando le due fotografie dâepoca, una conservata presso lâArchivio di Ivano Fracena con la segnatura âE. Prati 80â e la seconda scoperta di recente, custodita presso un collezionista di Caldonazzo con la segnatura âE. Prati 1881â, con la fotografia a colori del dipinto conservato alla Galleria Belvedere di Vienna e gentilmente concessa per la pubblicazione a colori per la prima volta, dove è apposta solo la firma âE. Pratiâ senza la data.
La seconda versione è presentata in seguito a numerose altre mostre tra cui: il Salon des artistes francais di Parigi del 1883, lâEsposizione Internazionale di Nizza del 1883-84 dove è premiato con la medaglia dâargento, lâEsposizione italiana di Londra del 1888. Nel 1896, la terza versione per richiesta dellâimperatrice Sissi, è acquistata dallâimperatore Francesco Giuseppe ed ora si trova alla Galleria Belvedere di Vienna.

FRANCESCO GIUSEPPE
Dipinge âRitorno dalla sagra di Santa Apolloniaâ, dove due innamorati si dirigono a casa al tramonto dopo la giornata di festa passata a Spera in Valsugana. Siamo in inverno e precisamente il 9 febbraio, giorno di SantâApollonia, gli alberi sono brulli e il terreno ripido e scosceso è arso dal gelo. Entrambi stanno scendendo a valle: lei si appoggia alle spalle del suo ragazzo ed ascolta le sue dolci parole. Sullo sfondo la Pieve di Spera che svanisce nella sfumata luce del tramonto.
Nello stesso anno esegue anche âCristo mortoâ, unica opera su tavola di noce di soggetto religioso dipinta assieme al carboncino âGesĂš nellâorto degli Uliviâ del 1889 durante il periodo di Agnedo, conservato nel refettorio del Monastero San Damiano di Borgo Valsugana, sede dal 1984 dellâordine delle suore Clarisse di clausura. Si tratta di un Cristo martoriato, carico di tensione emotiva, mentre riposa nel sepolcro avvolto in un candido lenzuolo dalle numerose pieghe che presenta ai suoi piedi i chiodi e la corona di spine, strumenti del supplizio della crocifissione.
Il viso, segnato dalle ferite della corona di spine, esprime una profonda commozione dellâartista e il terreno su cui riposa avvolge lâintera figura grazie al sapiente uso dei colori dai toni caldi e morbidi. Dona il quadro ai frati Francescani del Monastero San Damiano di Borgo Valsugana che ogni settimana lo ospitano a pranzo. La data dâesecuzione di questâopera, apposta a fianco della firma, è coperta dalla cornice e ciò ha fatto sĂŹ che gli studiosi di Prati pervenissero ad unâerronea datazione riferendola al 1884. In realtĂ lâesecuzione dellâolio è del 1881 come apposto dallâartista.
Nella recensione dellâesposizione di Milano al palazzo del Senato del 1881, Luigi Chirtani racconta ai lettori del âCorriere della Seraâ come il pittore trentino abbia ââŚpersa la bianchezza biaccosa che lo attristava o per meglio dire lâha soffusa di un calore penetrante e leggeroâ realizzando ââŚuno stile originale e unâespressione animata dal sentimento di vita intima che distingue molti pittori inglesiâ.
La rivista âFanfullaâ il 30 dicembre 1881, descrivendo la mostra di Milano, commenta: âE quanta grazia, quante veritĂ negli elementi, quanta espressione nella fisionomia, quale aristocratico tiepolesco, disinvolto colpo di pennello nei lavori di Eugenio Prati. La sua Mendicante, Il piccolo prigioniero, la Vedova, il VerrĂ ?, Studio e lavoro mi sembrano cose bellissime. Perfino il suo grappolo dâuva ha una vita, che non si trova in altre diligenti imitazioni di frutta. Le uve degli altri sono morte; lâuva del Prati appare in comunicazione di linfa col ceppo, la leccatura artistica non ne ha spogliato la trasparente epidermide della polvere cerea che ne attesta la vigorosa maturitĂ â.
Nello stesso anno collabora con molti artisti trentini tra cui Bartolomeo Bezzi, Giovanni Pompeati, Andrea Malfatti ed altri alla pubblicazione della âStrenna Trentinaâ in beneficenza a favore dei bambini degli asili infantili come descritto nel giornale âIl Raccoglitoreâ del 20 gennaio 1881: âIl pittore Prati si presenta in una veste affatto originale. Nel suo bozzetto della âCaritĂ â, non solo ci dĂ un quadretto a contorni, ma riproduce gli effetti del chiaroscuro a lume di candela. Pare quasi impossibile che con lâautografia si possa riuscire a tanto effetto. Gli sprazzi vivi di luce che si disegnano sul volto.
Sul grembiule e sullo scialle della donna pietosa che scende dalla scala fanno vivo contrasto collâombra fosca deâ vestiti. Il chiarore della candela si diffonde tranquillo ad illuminare il gruppo dolce ed espressivo di quei tre fanciulli che affranti dalla fame e stanchi dal lungo cammino, chiedono quasi vergognosi il soccorso mentre da uno spiraglio della porta, si disegnano confuse le ombre della cittĂ a notte inoltrata.
Questo quadro solo basterebbe per provare che il Prati è nato artista. Ma vi sono nella Strenna alcune testine che accrescono, se è possibile, il merito dellâartista. Un moschettiere sinistramente adombrato dal largo cappellaccio, una vecchierella con gli occhiali sul naso che fila pacificamente, una vispa sposa di Tesino assorta in dolce mestizia, sono tutte creazioni amabilissime e di vero meritoâ.
In questo periodo si reca molto spesso a Venezia dove esegue un pregevole âInterno della Chiesa di San Marcoâ databile intorno al 1882 di proprietĂ della Cassa Rurale di Caldonazzo, dove ritrae anche due figure femminili tra cui è riconoscibile la moglie Ersilia. Eugenio dimostra la sua bravura nella riproduzione dei chiaroscuri generati dai raggi di sole che filtrano dai finestroni della chiesa.
Nel 1882 nasce la prima figlia Raffaella (1882-1942) e allâEsposizione di Brera a Milano presenta âDivorzioâ in cui la moglie Ersilia con la figlia Raffaella di pochi mesi si presta da modella e la prima versione di âStudio e lavoroâ; espone âLa vedovaâ, âPiccolo prigionieroâ e âVerrĂ ?â (prima versione) alla Promotrice di Firenze.
Nel 1883 nasce il secondo figlio Angelico (1883-1960) e partecipa per la prima volta al Salon des Artistes Francais di Parigi presentando tre tele: âNozze dâoroâ, âAbbandonataâ, e âPiccolo prigionieroâ, venduto a Parigi. Nello stesso anno espone allâEsposizione Nazionale di Belle Arti di Brera âAlba o in campagnaâ. Prati il 12 settembre 1883 scrive a Victore Grubicy: âHo ricevuto con mia grande soddisfazione lettera dallâamico Bezzi (Bartolomeo), che il mio dipinto che figura allâEsposizione di Brera âIn campagnaâ piace moltissimo agli artisti di costĂŹ per la sua originalitĂ : pure il Malfatti (Andrea) mi scrisse con maniere soddisfacentissimeâŚâ.
Sempre nello stesso anno presenta con successo allâEsposizione Nazionale di Belle Arti di Firenze le opere âRitorno allâovileâ, âEvviva!â e âAlla mia vecchiettaâ e allâEsposizione Nazionale di Belle Arti di Roma cinque dipinti: âIn autunnoâ, âLa mendicanteâ, âRitorno allâovileâ, âLa frutta o Contadino con canestro dâ uvaâ e âSequestroâ.
Nel 1883 prende parte anche allâEsposizione Internazionale di Nizza con lâopera âAbbandonataâ venduta ad un collezionista di Londra e âNozze dâoroâ, premiata con la medaglia dâargento. Vittore Grubicy vende due sue opere âLezione della nonnaâ e âPiccolo cantinereâ al prezzo di 450 e 350 lire.
Il Coccapieller nel âRaccoglitoreâ dellâ 8 giugno 1883 segnala cosĂŹ la sua partecipazione: âIl Prati ha esposto alcuni quadri di pregio grande quantunque di dimensioni piccole. Sono circondati da una stessa cornice nera laccata di fregi dâoro, direi quasi una cornice giapponese: la è nuova od almeno allâesposizione è unica ma, quantunque sia bella non conferisce molto alla bellezza dei dipinti che sono âLa mendicanteâ, âLâovileâ e âLa Fruttaâ.
Anche âLâIllustrazione Italianaâ il 17 giugno 1883 commenta la partecipazione di Prati allâEsposizione Nazionale di Belle Arti di Roma: âEugenio Prati è un Trentino che sta con i Veneziani, come Bezzi, non meno Trentino sta coi Milanesi. LâIllustrazione ha segnalato Prati da due o tre anni, ed ogni anno ha avuto motivo di rendergli le lodi piĂš esplicite. Prima era duretto, un pò arido e gessoso di colorito, secchino negli impasti, egli si è venuto riscaldando e facendosi morbido senza cambiare natura; questâanno si presenta coi difetti trasformati in qualitĂ , la durezza è diventata precisione descrittiva, e nitidezza di forma; il bianchicchio gessoso sâè fatto perlino, trasparente e sâè un pò indorato diventando sobrietĂ di tono, la magrezza scomparsa sotto un leggero strato cellulare è rimasta allo stato di finezza di costituzione poetica: il tutto insieme forma una pittura che esala quel dolce profumo di sentimenti intimi che forma il fascino di certi pittori inglesi: non somiglia a nessun veneziano.
Egli ha fatto questâanno unâaltra cosa, le cornici come fa Michetti: ma non come le fa Michetti. Ha trovato certe cornici che mi sembrano di vetro dipinto di dietro, a fondo nero, con su foglie, pampini, grappoli dâuva, da far credere alle panzane degli uccelli che beccano lâuva dâApelle e di Paolo Veronese.
Un genere affatto nuovo quelle cornici ed elegantissimo, bizzarro e simpatico, che poi si addice in modo singolare alle pitture che inquadrano rendendole ancora piĂš fini e graziose. Questo pittore tratta soggetti campestri, pastorizie, contadinelle, pecore e agnelline, e senza fare dellâArcadia spicca dai temi agresti unâeleganza piena di seduzioni e di fascinoâ.
Nel 1883 dipinge anche lâinedito dipinto dal titolo âLa processioneâe âAlla fontanaâ ambientate entrambi ad Agnedo. AllâEsposizione Nazionale di Torino del 1884 espone sette quadri tra cui âIdillioâ, âUvaâ, âMomento propizioâ, âFate paceâ, âLa mendicanteâ, âIn autunnoâ e âAlba o in campagnaâ. Lâopera âMomento propizioâ ritrae una vecchia che si addormenta mentre lavora a maglia, il gatto che gioca con il filo approfittando di non essere visto e il nipote che cerca di rubarle un grappolo dâuva.
Luigi Chirtani in âCorriere della Seraâ del 23-24 settembre 1884 commenta il dipinto âIdillioâ definendolo: ââŚuna vera poesia di silenzio amoroso, di linee e di profili spiccati sulle tinte modernamente accese di un tramonto roseoâ. Infatti, il quadro rappresenta un pastorello sdraiato sul prato in contemplazione di una giovane fanciulla che finge di ignorarlo e cerca di concentrarsi sul ricamo. Seduta sulla cima del colle di Agnedo con un agnellino bianco ai piedi, la sua esile figura si staglia sul panorama della Valsugana tra il monte Fravort, la Panarotta e il profilo di Castel Telvana che sovrasta la valle sopra Borgo”.
Nello stesso articolo Chirtani descrive anche le sue cornici: âTalora, come ne ha dato esempio il Michetti, dipinge anche le cornici, ma diversamente del maestro di tocco, con un miscuglio bizzarro di fogliame a spruzzo e figurine a chiaro scuro giallastro su fondo nero di lacca lucida nel quale fa piccare di quei grappoli dâuva che ricordano gli uccelli di Zeusi, raggiungendo una perfezione di lavoro singolarissima, bizzarra e sopramodo aggraziataâ.
La baronessa Giulia Turcati descrive cosĂŹ la sua visita alla mostra di Torino: â1884 â 8 maggio (Torino): ammirate le tele di Favretto, DallâOca, Giudici, Santoro, Mariani, Calderini, Gignous, Carcano e Bezzi, il piĂš sobrio e casto ammiratore della natura, con colori di squisita finezza, con soggetti poetici e delicati apprezzabili tanto nello studio, ma che si perdono nella fanfara di certi colori gialli, rossi e blu. Prati espone una bella uva e quadri di genere di grande meritoâ. Sempre nello stesso anno partecipa allâEsposizione di Firenze con âAllâovileâ, âAlla mia vecchiettaâ ed âEvviva!â. Nasce il terzo figlio Guido (1884 â 1967).
Nel 1885 espone âTimoreâ allâEsposizione di Brera a Milano, definito per la tecnica dal critico Luigi Chirtani sul âCorriere della seraâ del 2 ottobre 1885: ââŚLa piĂš grande bizzarria di un grande ingegno di pittoreâ. Due ragazze in un ambiente esterno indefinito, dopo aver letto una lettera, rivolgono lo sguardo una a destra e lâaltra a sinistra nel timore di essere viste. La pittura di Prati in questo dipinto diventa meno precisa rispetto a quella degli anni precedenti, piĂš sfumata con colori meno accentuati e meno brillanti. A fine settembre âLâItaliaâ pubblica una recensione su âTimoreâ: âUn quadro da indovinarsi, pel modo strano con cui è dipinto, per lâincerto che vi domina è il Timore di Eugenio Prati, pittore che un tempo finiva i suoi lavori con una cura cosĂŹ minuziosa da riuscire esagerata. I suoi colleghi in arte lo avevano battezzato quello del baule, perchĂŠ alcuni anni or sono espose un quadro (Divorzio) nel quale era appunto riprodotto un baule di cui si contavano ad uno ad uno i peli della pelle ondâera coperto. Questâanno il Prati è saltato nellâeccesso opposto col suo Timoreâ.
Lâopera è stata per molti anni di proprietĂ del pittore Angelico Dallabrida (1874-1959), avuta forse in dono dal suo amico e maestro Eugenio. Durante la Prima Guerra Mondiale il braccio destro della ragazza seduta è stato lesionato dal fuoco nellâincendio dellâabitazione di Dallabrida a Caldonazzo ed il dipinto è stato in seguito restaurato dallo stesso in modo non perfetto.
Nel 1885 realizza anche âVezzo di coralliâ (n. 12) che ha come protagonista una giovane ragazza che si trova di fronte allâabside della chiesa di Agnedo e alle case del proprio paese, tra cui si scorge anche la casa di Ersilia e di Eugenio, illuminate dal sole, mentre porge nella penombra lo sguardo su una collana di coralli tenuta sulla mano destra, probabilmente appena regalata.
Il 25 aprile 1886 la SocietĂ per le Belle Arti ed Esposizione Permanente di Milano inaugura la sua nuova sede e, alla mostra organizzata per lâoccasione, Prati espone âTempesta a ciel serenoâ del 1886 e âUomo che piange è presoâ, acquistato per 500 lire dalla SocietĂ per andare in dono ad uno dei soci sorteggiato a sorte.
Lâopera âTempesta a ciel serenoâ riproduce il dialogo tra due giovani fanciulli seduti su una scalinata interrotto improvvisamente dallâarrivo di unâanziana signora. Questâultima, protesa in avanti sferzando un rametto di un albero, richiama concitatamente il giovane con lâintento di allontanarlo dalla ragazza che è impegnata a filare la lana allâarcolaio. La vecchietta decide di interrompere la conversazione, sia perchè è motivo di distrazione per la giovane che sta svolgendo le sue mansioni quotidiane, sia perchĂŠ allâepoca era sconveniente che una donna non sposata trascorresse del tempo sola con un ragazzo. Questo dipinto pertanto descrive un altro interessante spaccato di vita quotidiana del tempo rappresentando, come molte altre opere di Eugenio, una fonte insuperabile di informazioni sugli usi e costumi trentini dellâepoca.
Dellâopera âUomo che piange è presoâ, rimane il bozzetto preparatorio presso la famiglia, una fotografia dâepoca ed unâeloquente descrizione di Benapiani e Barattani riportata su âArsâ, il volume di appunti critici pubblicato in occasione della mostra di cui citiamo uno stralcio: âDue innamorati, che devono avere avuto qualche ragione di bisticciarsi, seguono vicino lâuno allâaltra: lei ha lâaspetto imbronciato, di malumore; lui piange e ha il volto mezzo coperto; muto testimone della piccola querelle dâamants, lâarcolaio che ha cessato i suoi giri perchĂŠ la bella ragazza ha altro pel capo che il lavoro.
Nellâatteggiamento dei due câè molta naturalezza; lâespressione della collera passeggera nel viso della giovane è efficace come lo è lâatteggiamento addolorato dello spasimante avvilito. Curiosa questa maniera del Prati: a prima vista pare che si sia servito soltanto del nero fumo e poi ogni oggetto si distingue con una trasparenza miracolosa. Certo è che il Prati ha una pittura sana, positiva e unâingenuitĂ soavissima di temi che gli si presentano senza tregua lĂ tra i monti natii del suo Trentinoâ.
Compie il ritratto di âdon Giuseppe Grazioliâ, tutore della moglie, donato al Municipio di Trento nel 1889 e firmato e datato solo in tale occasione. Il ritratto, ora conservato presso il Museo Storico in Trento, è di grande espressivitĂ : spicca la sua barba bianca e soffice che conferisce lucentezza al volto ed i suoi occhi penetranti che trasmettono allâosservatore la gran bontĂ del sacerdote, descritto nella sua veste di uomo, piuttosto che di religioso.
Espone nel mese dâagosto dello stesso anno tredici dipinti ad una sua mostra personale a Levico in Valsugana in una stanza al piano terreno della Villa di Antonio Sartori ora Hotel Bellavista. Come descrive il âRaccoglitoreâ del 5 agosto 1886 sono presentati: âUvaâ, âIn Autunnoâ, âNozze dâoroâ, âAbbandonataâ, âAllâovileâ, âVerrĂ â, âAlla mia vecchiettaâ, âEvviva!â, âSequestroâ, âRitratto di don Giuseppe Grazioliâ, âUna disgraziaâ, âTempesta a ciel serenoâ e âLa mendicanteâ.
Successivamente invia tre quadri alla mostra annuale di Brera: âAbbandonataâ, âRitorno allâovileâ, âTempesta a ciel serenoâ e partecipa alle esposizioni promosse dalle SocietĂ Promotrici di Genova con âAbileâ e âTraditoreâ e di Firenze con âPiccolo prigionieroâ (seconda versione), âPer i miei poverelliâ, âPer la mammaâ e âSono soldatoâ.
Nel 1887 espone a Venezia presso la SocietĂ promotrice di Belle Arti una piccola rassegna di tele: âAbileâ (1880), âTraditoreâ (1883), âIl tempo è denaroâ (1886), âVerga magicaâ (1887), âIn attesa dello sposoâ (1887), âAncora un momentoâ (1887) e âRitorno da Massauaâ (1887).
In âAncora un momentoâ, di cui esistono tre versioni di cui una incompiuta (n. 14), Prati descrive gli scherzi e i sorrisi scambiati tra due innamorati; la ragazza, seduta su una panca, nasconde dietro la schiena il cappello dellâuomo per costringerlo, come spiega il titolo, a fermarsi ancora un momento indicandogli con il dito la sedia da cui si è appena alzato. Due versioni di questo quadro ritraggono i soggetti allâinterno di unâabitazione, mentre la terza è ambientata a Venezia e presenta sullo sfondo la chiesa della Salute.
Luigi Chirtani in âVI Esposizione nazionale artistica, Venezia 1887â cosĂŹ commenta lâopera âRitorno da Massauaâ acquistata dalla SocietĂ di Belle Arti di Venezia: âNei monti natii quando la neve li copre ancor tutti, il tipo fiero e bruno riarso dal sole stacca dallo sfondo come un carbone caduto su dâun lenzuolo di bucato. Il bersagliere è perfetto, possiede tutta la serietĂ unita alla vivacitĂ che rende tanto simpatico e popolare questo corpoâ e âAbileâ: âUn coscritto, dichiarato buono pel servizio militare, si licenzia dalla sua bella, vicino alla di lei casa, sulla via. Essa piange e lui sâè messo sul cappello a cencio una dozzina di penne da piumetto di bersagliere e fa un poâ il buloâ.
âTraditoreâ, acquistato da miss Anghel di Londra, raffigura una ragazza la quale avendo scorto il proprio fidanzato con unâaltra, indignata, spezza la rocca dellâarcolaio e distoglie lo sguardo per non vederlo. Vittorio Zippel (1860-1937), editore, sindaco di Trento e senatore in âArchivio Trentinoâ del settembre 1907 descrive con queste parole lâopera intitolata âTraditoreâ: âUn altro dipinto eccellente è Traditore, eseguito ad Agnedo. Sul di questo quadro una bella e robusta contadina che tiene tra le mani lâarcolaio, un poâ nascosta dietro un cancello, scopre non molto lungi il suo damo che, credendosi non veduto, se la intende con unâaltra fanciulla; questa composizione, che ha per sfondo delle bellissime case rustiche, è dipinta con squisita virtuositĂ di pennello e costituisce una delle piĂš interessanti e simpatiche creazioni del Pratiâ.
Luigi Chirtani in âIllustrazione Italianaâ del 24 luglio 1887 cosĂŹ commenta il dipinto âIn attesa dello sposoâ: âBella pagina dei costumi trentini dove trovi lâespressione delle qualitĂ morali e della robustezza fisica delle belle montanareâ e poi conclude: âSono tutte composizioni piene di vivacitĂ , di garbo e dipinte con una genialitĂ di colorista affatto speciale, che fa di questo pittore un tipo dei piĂš spiccati nella schiera dei buoni pittori italianiâ.
Nello stesso anno Prati espone a Milano al palazzo della Permanente: âSono soldatoâ acquistato dalla SocietĂ organizzatrice e concesso poi ad uno dei soci estratto a sorte, âPiccolo prigionieroâ, âPer i miei poverelliâ e a Firenze âPer la mammaâ e âTempesta a ciel serenoâ. Nel dicembre dello stesso anno, su proposta del professor Stefano Ussi, è nominato membro onorario dellâAccademia fiorentina delle Arti del Disegno per il suo dipinto âMomento propizioâ del 1887.
Il noto critico dâarte Luigi Chirtani in âIllustrazione Italianaâ del 13 novembre 1887 interpreta cosĂŹ lâopera âIl tempo è denaroâ: âEcco una famiglia nella quale non si sciopera. Ă unâimmagine fedele dâun interno di casa in unâalta vallata alpina del Trentino, patria del bravo pittore Prati, nostra vecchia conoscenza. NellâInghilterra, ove egli vende la massima parte deâ suoi quadri, questo proverĂ che non sono soli gli Inglesi a odiare il dolce far niente, e che il proverbio Time is money ha una traduzione italiana negli usi casalinghi dei nostri montanari. Siamo in autunno, la stagione è ancora buona, non sâè accesa la stufa, ma essa è come il ritrovo dei componenti la famiglia.
La ragazzina vi si è appollaiata sopra, senza sospettare che facilita allâartista la linea armonica della composizione. Il vecchio e lâuomo di casa sgranano il formentone; la giovine sposa, come tutte le donne dei paesi dove si portano sul capo pesi e anfore, è ritta sulla sua sedia come una regina sul trono: questa posa non è una posa nĂŠ una esagerazione, ma esprime con naturalezza il sentimento austero che la madre di famiglia virtuosa, prova anche da giovane, appena dopo sposa è fatta madre e si trova alla testa dâuna casa.
La vecchia, che ha cedute le cure e gode della famiglia nuova che è cosa sua, è la piĂš allegra, e arriva anchâessa ove tutti lavorano, recando il mulinello per filare la canapa e il lino. Questo quadro ha le qualitĂ alpine di tutte le composizioni del Prati montanaro per eccellenza: la gentilezza accoppiata alla austeritĂ e al contegno serioâ.
Nel 1887 muore di tifo il pittore realista veneziano Giacomo Favretto (1841-1887), grande amico, conosciuto allâAccademia di Venezia ed al suo funerale Prati onora lâamico trasportando sulle spalle la bara assieme ad altri uomini.
La cittĂ di Londra il 12 maggio 1888 inaugura lâEsposizione italiana di Belle Arti, organizzata da Victore Grubicy, ed Eugenio Prati vi partecipa su sua sollecitazione con âNozze dâoroâ, âPioggia dâoroâ (1888) e un altro dipinto. Vengono presentati altrettanti dipinti di grande bellezza dei migliori artisti italiani dellâepoca come âVacca bruna allâabbeveratoioâ (1887) di Giovanni Segantini, âAmore maternoâ (1873) e âHigh Lifeâ (1876-77) di Tranquillo Cremona, âI ragazzi Troubetzkoy col caneâ (1874) di Daniele Ranzoni, âAlle cucine economiche di Porta Nuovaâ (1886-87) di Attilio Pusterla, âVenduta!â (1884) di Angelo Morbelli.
Victore Grubicy de Dragon (1851-1920), pittore, critico e mercante, è stato un personaggio cardine per la diffusione dellâarte italiana allâestero a cavallo tra â800 e â900, soprattutto per le opere di artisti che hanno abbracciato le tecniche del divisionismo e per la divulgazione dellâarte francese, olandese e belga nel nostro paese.
Nel 1888 il suo desiderio di organizzare una mostra importante di artisti italiani allâestero si realizza con la presentazione a Londra di 54 opere dei migliori artisti italiani. Gli artisti scelti da Grubicy sono quelli piĂš affermati nel panorama artistico di quel tempo: Giovanni Segantini, vincitore della medaglia dâoro ad Amsterdam nel 1883, Eugenio Prati, vincitore della medaglia dâargento a Nizza nel 1883, Angelo Morbelli, Attilio Pusterla, Achille Tominetti, Giuseppe Giani, Mario Quadrelli e i due maggiori esponenti della scapigliatura milanese Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni.
Come risulta dalle lettere tra Grubicy e Prati, conservate presso il Mart di Rovereto, tra i due dal 1882 nasce un rapporto commerciale e tale collaborazione è stata fondamentale per permettere la diffusione delle opere di Prati allâestero.

Giovanni Segantini – Ritratto caricaturale di Alberto Grubicy – 1880, inchiostro su carta, 15,7×11,3 cm. (Collezione privata italiana)
La prima lettera di Prati, spedita a Grubicy il 30 agosto 1882, testimonia lâinizio del rapporto commerciale tra i due: â⌠Quando vedrò che lei farĂ buoni affari anche con i miei dipinti cercherò sempre di spedirgliene di nuoviâŚâ. Lâanno successivo il 3 ottobre 1883 Prati scrive a Grubicy, che gli richiede delle opere da vendere: ââŚLe nozze dâoro sono ancora a Parigi. Ho conceduto dietro dimanda di far il disegno per la pubblicazione. Pure lâAbbandonata si trova colĂ . Mi dispiace che tanto uno che lâaltro sono ormai insinuati (promessi) e per i 10 corr. Li consegneranno al palazzo dei Champs-Eliseès di Parigi; per poi inviarli a spese dellâamministrazione nel locale dellâEsposizione Internazionale di Nizza. Se mai a qualche amatore piacesse la fotografia, potrebbe acquistarlo anche allâEsposizione. Nel caso contrario tengo qualche altro quadretto con cornici a spruzzo fato da me, che il Fontana nelle sue critiche le chiama graziosissimeâ.
In seguito è stato proprio Gubricy a convincere Prati ad avvicinarsi alla pittura simbolista dâoltralpe; nel 1888 a Londra presenta la sua prima tela simbolista âPioggia dâoroâ (n. 16), unâopera pregna di misticismo e di spiritualitĂ , in cui descrive la comunione tra realtĂ e divinitĂ . Infatti, rappresenta una giovane donna che guarda dolcemente ed amorevolmente quello che probabilmente è il suo bambino circondata da una luce dorata. Eugenio potrebbe aver voluto rassicurarci, alla luce della sua profonda fede, su come lâuomo non sia solo al mondo ma sia sempre protetto dalla luce e dallâamore di Dio. La scala potrebbe anche rappresentare il simbolo della possibilitĂ per il fedele di avvicinarsi gradualmente a Dio mediante una vita retta ed onesta.
Presenta âIn attesa dello sposoâ e âTempo è denaroâ, giĂ segnalati dalla stampa alla mostra nazionale di Venezia del 1887, allâEsposizione Nazionale di Bologna e âTempesta a ciel serenoâ del 1886 allâEsposizione della SocietĂ di Belle Arti di Firenze.
Nello stesso anno dipinge la seconda versione di âStudio e lavoroâ (n. 17) in cui rappresenta la nonna mentre lavora a maglia e controlla sul libro la lezione della nipotina; realizza anche âInvernoâ (n. 18), paesaggio invernale ad Agnedo, che ha per protagonista una vedova, tutta vestita di nero che con il proprio bambino percorre mestamente una strada innevata in prossimitĂ di Castel Ivano rappresentato sullo sfondo e âLa letteraâ.
Soggiorna nel 1889 a Venezia per lavorare al dipinto âPrimi fiori a Veneziaâ (n. 19). La tela, di tonalitĂ calde, è ambientata sulle scalinate del ponte della Paglia, dove due ragazze si fermano presso un venditore per acquistare i primi fiori primaverili. Dino Bonari, nella recensione della tela, scrive nel 1955: âLâopera, che può tenersi tra le somme e fondamentali dipinte da Eugenio Prati, è âPrimi Fioriâ, toccato da una delicatezza cosĂŹ splendidamente signorile, dipinto con la bravura propria di un autentico maestro, dominato in ogni suo attimo e limite, da una perfetta coscienza del problema pittorico; è unâopera questa che sotto molti aspetti potrebbe portare le somme firme di un Favretto, di un Nono, ma ben differenziata da un gusto piĂš dolce e affinato, cosĂŹ attinente alla personalitĂ dellâautoreâŚâ.
Eugenio mentre si trova a Venezia a lavorare allo sfondo per il dipinto âPrimi fiori a Veneziaâ scrive una lettera al fratello Giulio a Milano (lettera del 15 giugno 1889): âHo sentito con sommo piacere dalla lettera che hai scritto al caro Dante che vieni a trovarci qui a Venezia. Certo ti farĂ grande impressione questa splendida cittĂ . Io continuo con lena a lavorare dietro al mio quadro. Dimani, Domenica, vado col Dante sulla riva degli Schiavoni ad ultimare lo studio pel fondo del sudetto dipinto. Ti raccomando, come ripeto, di andare qualche giorno avanti la tua partenza dal Signor Grubicy, e sollecitalo a darti lâimporto che mi premeâŚâ.
A Venezia dipinge anche altri numerosi paesaggi inediti tra cui âTramonto sulla laguna di Veneziaâ (n. 20), conservato sempre in famiglia e mai esposto: sul retro della tavola si legge lâiscrizione âEugenio Prati-Caldonazzo 26 dicembre 1942-Regalo della Zia Emilia Prati (figlia di Anacleto, fratello di Eugenio)â. In questâopera, mettendo in pratica i suoi studi sullâuso del colore, riesce a rendere sulla tavola il movimento dellâacqua leggermente increspata dalle onde e le varie tonalitĂ di rosa e azzurro del cielo nella suggestione di un tramonto. Su questo sfondo cosĂŹ realizzato si staglia una barca a vela di pescatori ormeggiata su uno scoglio.
Sempre nel 1889 partecipa a Torino al Concorso internazionale di pittura, scultura e disegno per una testa raffigurante GesĂš Cristo con un originale ed espressivo carboncino su carta, inedito, dal titolo âGesĂš nellâorto degli Uliviâ. Prati descrive i momenti iniziali della passione di GesĂš Cristo sul monte Getsemani a Gerusalemme mentre inginocchiato prega; un viso affranto, debilitato e coperto da gocce di sudore che si trasformano in sangue con la schiena ricurva in unâespressione di profonda sofferenza e alle spalle tre figure, appena abbozzate: i suoi discepoli. Riportiamo dei versi del Vangelo che descrivono questo episodio. Dal Vangelo secondo Luca 22, 39-46: âGesĂš se ne andò, al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono.
Giunto sul luogo, disse loro: Pregate per non entrare in tentazione. Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontĂ . Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda allâangoscia, pregava piĂš intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. Poi rialzatosi dalla preghiera andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: PerchĂŠ dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazioneâ.
Partecipa con âGioco innocenteâ del 1889, insieme con altri quattro dipinti, allâEsposizione Internazionale Glaspalast di Monaco di Baviera con il numero 205 e in questa circostanza riesce a trovare un acquirente. Si tratta di un delizioso ritratto di una sorridente bambina, dal viso dai lineamenti delicati e candidi, con il suo gattino che gioca con il filo di lana, dai colori grigi e freddi ma di mirabile espressione di dolcezza. Colpisce la serenitĂ dello sguardo compiaciuto della bimba e la delicatezza con cui regge il filo con il mignolo rivolto verso lâalto in un gesto dâingenua aristocrazia.
Dipinge âVecchiaia laboriosaâ (n. 23), ambientato nelle caratteristiche viuzze di Agnedo, in cui ritrae un anziano che procede lentamente, sotto il peso della propria vecchiaia, spingendo la sua carriola. Spicca sullo sfondo davanti al monte Lefre una donna nelle vesti tipiche del tempo con il classico fazzolettino rosso sul collo ed un pozzo sulla sinistra inserito in una volta scolpita nella roccia.
Ă del 1890 circa un pregevole disegno a carboncino dal titolo âMadre con bambinoâ (n. 24) che rappresenta un meraviglioso studio sulla luce. Per realizzare il fascio di luce che investe il volto della giovane donna sfrutta il bianco della carta stessa mentre sfuma il carboncino per ritrarre la folta chioma riccia mossa dal vento in cui si distinguono i singoli boccoli. La madre tiene a sĂŠ il bambino di cui sâintravede solo la testina e guarda lâorizzonte avanti a sĂŠ.
Nello stesso anno dipinge âUva con ritratto di donnaâ (Fig. 64), singolare tela in verticale, in cui raffigura persino una mosca tra i grappoli dâuva e la tela âPozza di Lefreâ (n. 25), ambientata sul monte Lefre in cui ritrae una giovane ragazza che volge lo sguardo verso la superficie dâacqua di uno stagno. Inserisce la figura umana nella natura senza desciverne realisticamente i singoli particolari esaltando la profonda comunione dellâuomo con la natura. Utilizza pennellate decise e a tratti graffianti per rappresentare la dinamicitĂ della natura ed in particolare il movimento dei ciuffi dâerba e il contrasto di colore tra le varie tonalitĂ di verde.
Espone nel 1891 con buon esito alla Prima Triennale di Brera âUva e pescheâ (n. 26), âOtelloâ e âUn raggio di soleâ cosĂŹ descritto in âEsposizione Triennale di Belle Artiâ: âTenta un effetto di luce mettendo il colore schietto a macchie: e la figuretta di contadinella ne risulta assai vivaâ. Alla mostra degli amatori e cultori di Belle Arti di Roma presenta âTempesta a ciel serenoâ e âGirovaghiâ (seconda versione del 1889) e alla mostra della Permanente di Milano questâultimo è acquistato dalla SocietĂ organizzatrice al prezzo di Lire 550 e dato in sorteggio ad un membro del Consiglio Provinciale di Milano (Fig. 65). Lâopera rappresenta un ragazzo che suona la chitarra ed una ragazza che canta chiedendo unâofferta ad una donna seduta davanti allâarcolaio.
âOtelloâ (n. 27), presentato alla prima Triennale di Brera del 1891 assieme ad altre opere innovative come la âMaternitĂ â del ferrarese Gaetano Previati e âLe due madriâ di Giovanni Segantini, ha un importante valore nella vita artistica di Prati perchĂŠ è da annoverare tra le sue prime opere simboliste assieme a âPioggia dâoroâ. Ă un omaggio a Giuseppe Verdi, raffigurato mentre, seduto al pianoforte, con una visione ispiratrice compone, alla luce di una lampada ad olio, il quarto atto del dramma lirico Otello. Lâopera, tratta dalla tragedia di William Shakespeare, è stata presentata alla Scala per la prima volta nel 1887.
Nella parte alta del dipinto Prati raffigura Otello in piedi a lato del letto nuziale dove giace immobile Desdemona avvolta in candide lenzuola a dimostrazione della sua purezza. Non è perfettamente chiaro se Eugenio avesse avuto lâintenzione di rappresentare il momento precedente allâomicidio della moglie strangolata perchĂŠ travolto dalla gelosia per una falsa accusa dâadulterio o quello immediatamente successivo allâuccisione. In ogni caso Prati intende alludere allâevento senza però soffermarsi su particolari cruenti e sanguinolenti dimostrando una sorta di rispetto reverenziale per la sensibilitĂ del fruitore del dipinto.
Esegue nel 1891 âSan Luigiâ (Fig. 66) per la Chiesa Arcipretale di Pergine, ora in deposito a Trento da quindici anni presso il Museo Diocesano Tridentino di Trento. Questa tela è stata finora dagli studiosi del Prati erroneamente datata 1895, mentre sulla tela è dipinta in basso a sinistra la data 1891.
In inverno partecipa allâEsposizione Nazionale di Palermo con âUva e pescheâ e âUn raggio di soleâ. Dipinge âPiccolo chitarristaâ, graziosa e minuta opera in cui raffigura il nipote di due anni Eriberto Prati (1889-1970) mentre suona la chitarra, conservata ora in Uruguay e âMinatoriâ, due scalpellini che estraggono le pietre da una cava di cui si conserva una fotografia scattata dallo studio artistico G. Bendelli di Trento con il timbro â4 giugno 91â.
Alla fine di maggio del 1892, appena terminato, uno dei suoi piĂš celebri capolavori, âPrimi fiori a Veneziaâ è esposto nella sala maggiore del Municipio di Trento prima di essere inviato alla mostra delle celebrazioni Colombiane di Genova e da lĂŹ allâesposizione internazionale di Chicago dove, il 10 agosto 1893, è premiato con una medaglia dâoro. Partecipa alla mostra di Torino a cura della SocietĂ di Belle Arti con âSerate dâinverno in Trentinoâ.
Nello stesso anno presenta a Parigi alla mostra promossa dal PĂŠladan âRosa Misticaâ del 1892, acquistato da Enrico di Borbone, e âAmore e doloreâ.
Partecipa allâEsposizione cinquantenaria dâArte Moderna di Torino con âTimoreâ, âUvaâ, âSerate dâinverno in Trentinoâ, âPastorella sul torrente Centaâ (n. 28), allâEsposizione Permanente di Venezia con âTimoreâ, âUvaâ e âSerate dâinverno in Trentinoâ ed infine allâEsposizione della Permanente di Milano con âCaraâ.
La tela âSerate dâinverno in Trentinoâ rappresenta un intimo spaccato femminile di una famiglia che trascorre le proprie serate al lume di una lanterna, chi leggendo e chi lavorando al fuso. Questâopera descrive come si svolgessero durante lâinverno le serate in famiglia quando le donne dâogni etĂ si riunivano nei pressi di una lampada ad olio in circolo sedute su sedie di legno per svolgere le loro attivitĂ serali. Una giovane ragazza, come del resto anche la nonna, fila la lana, mentre una ragazzina legge un libro probabilmente ad alta voce per essere ascoltata dalle altre.
La luce illumina i dolci visi indagando sulle espressioni assorte delle donne, sulle vesti ritratte con pennellate decise e sulla pelle matura della donna anziana su cui ricadono ciuffi di capelli bianchi. Sulla parete in penombra è appeso un quadretto che raffigura una Madonna con Bambino a dimostrazione della religiositĂ della famiglia. Di notevole espressione artistica è la figura centrale rappresentata di spalle: Prati riesce a rendere con maestria la torsione del capo mediante un fascio di luce che illumina la piega del collo ed un gioco dâombre che si crea sulla nuca sgombera dai capelli raccolti sulla testa.
Nello stesso anno realizza una serie di paesaggi di Venezia come âCanal Grandeâ, âCanal Grande con figuraâ, âCanal Grande con barca o Veneziaâ, donato dal figlio Guido Prati il 13 agosto 1848 allâavv. Gino Marzani, âRio a Venezia con gondolaâ, âPaesaggio di Veneziaâ (Fig. 69), âSera a Veneziaâ e âVeduta di San Marco al tramontoâ. In questo dipinto Prati dimostra la sua grande abilitĂ nel ritrarre i riflessi dellâacqua della laguna mossa dalla brezza, nellâemozionante ora del tramonto. Prati ci presenta in âCanal grandeâ una pittura tenue rappresentando la superficie liscia e metallica dellâacqua della laguna dalle intonazioni crepuscolari diffuse dai colori azzurro, rosa, verde e madreperla capaci di trasmettere allo spettatore un alto momento di spiritualitĂ e dâincantevole meraviglia.
âSognoâ, inedito, e âSogno di Santa Ceciliaâ sono due opere simboliste simili e dedicate alla celebrazione della musica e alla sua concezione spirituale. La prima raffigura, in unâatmosfera dai colori rarefatti e caldi, una ragazza assopita in un sogno profondo in cui vede il coro angelico e due angeli che suonano rispettivamente lâarpa e lâorgano, la seconda, rappresenta la Santa patrona dei musicisti.
Santa Cecilia, anche lei musicista, martire a Roma nel III sec. sotto lâImperatore Marco Aurelio, ha ispirato piĂš di un capolavoro artistico, tra cui âLâestasi di Santa Ceciliaâ del 1514 di Raffaello Sanzio, conservata a Bologna, in cui la raffigura mentre rapita dalla visione mistica vede il coro angelico, âLa Santa Ceciliaâ di Rubens, che si può ammirare a Berlino e quella del Domenichino a Parigi. Dedicato alla Santa nel XIX sec. nasce il Movimento Ceciliano, diffuso in Italia, Germania e Francia, con lâadesione di musicisti, liturgisti allo scopo di restituire dignitĂ alla musica liturgica che aveva perso terreno in seguito alla diffusione del melodramma e della musica popolare.
Prati raffigura lâestasi della Santa mentre a fianco di un organo, ispirata dallâArcangelo, vede il coro angelico, un angelo intento a leggere uno spartito musicale e gli altri angeli che suonano lâarpa e le trombe in uno sfondo dai colori raffinati, tenui, sfumati ed onirici.
Nel 1893 si trasferisce con la famiglia a Trento in via Grazioli n. 3 (ora n. 11) nella casa Tomasi per permettere ai figli di ricevere unâadeguata istruzione e dove impartisce lezioni di pittura ad alcuni aristocratici trentini, come Virginia Alberti Poja, Giulia Turcati Lazzari, il marito musicista Raffaello Lazzari, lâavvocato Gino Marzani, la baronessa di Telve Maria Pia Buffa, il cavalier Antonio de Pizzini di Ala, Giuseppe Pallaver e il conte Pio Sardagna.
Lâavvocato ed irredentista Gino Marzani (1878-1964) ricorda la sua partecipazione alla scuola di Eugenio Prati scrivendo queste parole in una lettera del 26 gennaio 1942: âDa quando, nel lontano 1893 imparai a conoscerlo, frequentando la Sua scuola di pittura in via Grazioli, ebbi campo di apprezzare altamente non solo la Sua Eccellente produzione artistica, ma anche il Suo animo, pieno di bontĂ , di delicatezza e di trasparente limpidezzaâ.
Nel 1894 Prati soggiorna spesso nel Palazzo del suo allievo a Villa Lagarina, ora sede della Biblioteca Comunale e ci ha lasciato come testimonianza un carboncino su carta (datato 2 aprile) della corte interna del Palazzo.
Dal 1893 al 1907 entriamo nel terzo periodo della sua produzione artistica nel quale abbandona i soggetti prediletti del secondo periodo come la figura umana animata dai vari sentimenti. Dâora in poi la sua produzione perde il suo carattere verista essenzialmente psicologico e nelle sue opere si compie la completa fusione tra figura e natura proiettata verso la spiritualitĂ che diventa la nota predominante.
In questâultimo periodo dipinge anche soggetti mistici, sacri, simbolici, mutando anche la stessa tecnica. Nel 1894 ad Ala di Trento esegue âFavretto al Listonâ, a memoria dellâamico e collega Giacomo Favretto, prendendo spunto dalla seconda versione incompiuta del dipinto âIl Liston modernoâ a cui Favretto stava lavorando nel 1887, anno in cui allâetĂ di quarantasei anni muore di tifo. Lâopera di straordinaria intensitĂ con un pregevole gioco di luci ed ombre raffigura un gruppo di persone che passeggiano e stazionano nella piazza soleggiata davanti alla chiesa di San Marco; si distinguono nella parte centrale il fratello Giulio Cesare che conversa con la moglie Ersilia e il figlio Guido, mentre sulla destra Giacomo Favretto, riconoscibile dalla bombetta in testa.
Lâopera, fotografata a Prabubolo di Ala mentre viene ultimata, non è mai stata esposta da Prati, ma gelosamente custodita nella propria abitazione come ricordo dellâamico; partecipa per la prima volta ad una mostra nel 1957 in occasione del cinquantenario della sua scomparsa, organizzata a Palazzo Pretorio di Trento.
Per circa sei anni dal 1892 al giugno 1898 Eugenio Prati soggiorna molto spesso ad Ala presso la famiglia del cav. Antonio de Pizzini come maestro di pittura ed amico, ospite nel palazzo seicentesco di via Santa Caterina e nella dimora estiva di Prabubolo sulle montagne di Ala. Anche dopo la morte del Pizzini, avvenuta nel giugno del 1898, Prati ha continuato le sue visite ad Ala ospite degli amici Giuseppe Pallaver e del conte Pio Sardagna.
Durante il suo soggiorno in questâamena ed ospitale cittĂ , come ci ha tramandato Guido Prati, figlio di Eugenio, dipinge ventotto opere i cui suggestivi titoli sono: âSerate dâinverno in Trentinoâ, âLetturaâ, âAlle sorgenti dellâAlaâ, âCapraia o Prime luciâ, âLuci nel boscoâ, âPrime luciâ, âStudio e Lavoroâ (terza versione), âSolitudineâ, âGuardiana dâoche in Vallagarinaâ, âSuono dellâAngelusâ, âCarè Altoâ, âLa voce sua soaveâ, âCrepuscolo ad Alaâ, âAve Mariaâ, âGuado o Dolce pesoâ, âLezione di cantoâ, âLe due madriâ, âAmico fedeleâ, âPiccolo cantiniereâ, âAmor mioâ, âPecoreâ, âRitratto di Antonio de Pizziniâ, âFuga in Egittoâ, âMadonna dellâuvaâ, âRiposo in Egittoâ, âDittico dâuva nera e biancaâ, âRitratto dei baroni Carlo, Marta e Stefano de Malfattiâ e âA Passo Buoleâ.
Durante unâescursione sulle montagne di Ala con il cav. de Pizzini, dipinge lâ8 aprile 1894 dapprima un carboncino, finora inedito e poi un olio dal titolo âAlle sorgenti dellâAlaâ. Ci troviamo sulle piccole Dolomiti di Ala in prossimitĂ della Val delle Perlere, dove nasce il torrente Ala. A quei tempi, considerato che lâattuale strada non era stata ancora costruita, si presume che Prati, in compagnia dei suoi allievi di pittura, sia giunto sul posto da Ronchi utilizzando âla strada dela stelaâ, strada di contrabbando che porta alle acque nere e poi verso il BrusĂ o passo Pertica.
Presso lâarchivio Prati di Ivano Fracena sono conservate due fotografie scattate a Prabubolo di Ala nel 1894: una immortala Prati che dipinge âFavretto al Listonâ a fianco di Antonio de Pizzini con la moglie Giuseppina Sardagna e il barone Stefano de Malfatti con le loro consorti, mentre lâaltra lo ritrae intento, sotto lo sguardo attento di Pizzini, a dipingere una modella per lâopera âStudio e lavoroâ (terza versione); la giovane ragazza sta lavorando a maglia in un prato e sullo sfondo si riconosce la Vallagarina nei pressi di Ala ed Avio.
Sempre ad Ala nel 1894 disegna come studi preparatori di âSolitudineâ due carboncini su carta datati ed inediti, scoperti recentemente in Vallagarina, che dimostrano lâerrata datazione dellâopera âSolitudineâ degli studiosi del Prati che ritenevano fosse stata realizzata nel 1889.
Il primo, datato 12 maggio 1894, dal titolo âStudio preparatorio di Capraia e di Solitudineâ (Fig. 75), rappresenta lo studio del fitto bosco di âSolitudineâ nella parte sinistra con lâinserimento di una piccola pastorella che passeggia nel faggeto alle prime luci dellâalba illuminata dalla luce che filtra tra i rami ed i tronchi secolari; il secondo, invece, dal titolo âSolitudine-studio preparatorioâ, datato 20 maggio 1894, rappresenta lo studio della parte destra del dipinto che nellâanno successivo viene esposto alla Prima Biennale Internazionale di Venezia. Dopo gli studi preparatori esegue anche un bozzetto ad olio di piccole dimensioni conservato presso la famiglia ed in seguito il dipinto definitivo.
Nellâopera âSolitudineâ Prati raffigura il compositore musicista Richard Wagner (1813-1883) immerso in meditazione nel faggeto, mettendo cosĂŹ in pratica i suoi studi sulla luce e sui raggi di sole che filtrano tra le fronde in una sinfonia di grande espressione lirica. Eugenio ebbe modo di conoscere Wagner e sua moglie Cosima in visita a Castel Ivano tra il 1882-83 e, da appassionato amante conoscitore della musica, ha voluto immortalarlo in un suo dipinto.
Molto simile è lâopera âPrime Luciâ. Allâalba, in cui la luce ci regala la sua melodica evoluzione cromatica, Prati con maestria rappresenta una contadinella che tiene in braccio un fascio di legna e passeggia nel faggeto alle prime luci. La luce filtra tra le fronde dei rami e tra i tronchi secolari, in una sinfonia di grande espressione lirica.
Sempre il 12 maggio 1894 esegue un altro splendido carboncino su carta dal titolo âChiesaâ (Fig. 77) dove i chiaroscuri sono usati con grande maestria in un efficace e straordinario intreccio di luci ed ombre. Espone nel 1894 alla seconda Triennale di Brera a Milano cinque dipinti: âAlba o in campagnaâ, âSerate dâinverno in Trentinoâ, âCanzonetteâ, âAmoreâ e âUvaâ e in questa occasione riesce a vendere gli ultimi tre.
Il periodico âNatura ed arteâ dellâottobre 1894 scrive: âĂ trentino Eugenio Prati, uno dei piĂš originali esponenti, e del quale ognuno può rintracciare cinque dipinti che disseminati e distanti tra loro, attirano egualmente lâattenzione mentre sfuggono ad ogni descrizione per genialitĂ di pittura attraente e sinceraâ.
Durante uno dei suoi soggiorni a Venezia nel 1894 dipinge âVerrĂ ? o Mesto ritornoâ (seconda versione) raggiungendo la massima espressione del suo romanticismo. Ă il dramma dellâamore e del dolore. Allo spuntar del sole nella luce soffusa della laguna di Venezia, due giovani donne siedono infreddolite in una barca, mano nella mano. In unâatmosfera impalpabile dalla nebbiolina vivono il loro dramma attendendo il ritorno dei loro innamorati pescatori, lâuna assorta nei suoi pensieri, lâaltra confidandosi con lâamica.
Ă di questâanno il dipinto ad olio âInnocenzaâ in cui utilizza la tela senza colori per creare quellâalone di luce che illumina il dolce viso di una giovane ragazza di profilo dai capelli bruni chiari raccolti sopra la testa. Le labbra sono schiuse, di un rosso intenso e sul collo brilla una semplice collanina dai toni freddi del violetto. Ha uno sguardo ingenuamente sospeso, simbolo di purezza.
In âMarina di Triesteâ, omaggio di Prati a Trieste, quadretto di piccole dimensioni, ci presenta un paesaggio fantastico in cui cielo e mare sono rappresentati con tenui colori che rendono palpabile lo sciabordio delle acque sugli scogli.
Il 27 settembre 1894 è inaugurata la gran pala dâaltare dei âSanti Cosma e Damianoâ (n. 38) per la chiesa della Vela alla periferia di Trento alla presenza dellâArcivescovo di Trento mons. Valessi che in chiesa lo abbraccia per riconoscenza. Lâiniziativa parte dal curato don Dario Trentini e la spesa di 250 fiorini è sostenuta dalla famiglia Garbari di Trento. Nello stesso anno realizza le seconde versioni di âAncora un momentoâ, ambientato a Venezia, âRosa Misticaâ e di âPrendete!â.
Nel 1895 partecipa, insieme al fratello Giulio Cesare, Giovanni Segantini e Bartolomeo Bezzi, alla prima Esposizione Biennale Internazionale dâArte di Venezia, inaugurata il 22 aprile alla presenza dei regnanti Umberto I e Margherita di Savoia, con âSolitudineâ del 1894-95, ora conservata presso il Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e âPrendete!â, prima versione del 1892.
Anche lâamica, la baronessa Giulia Turcati Lazzari si reca col marito a Venezia per ammirare lâEsposizione come scrive nel suo diario: â1895 â 20 aprile (Venezia): fummo accolti alla stazione dai nostri buoni amici Bezzi e Prati. Bezzi occupatissimo ci lasciò presto e Prati ci accompagnò al nostro alloggio. 21 aprile: Venne Prati a prenderci e incontrammo Isabella, la cara sposa di Bezzi. La sera pranzammo con Delleani, Carcano e Michetti. Al Florian (famoso Caffè Florian in piazza San Marco) battaglia fra Selvatico e altri artisti sul solito argomento dellâEsposizione. In casa Bezzi, simpatico appartamento dâartista. Ammirati i quadri di Lino (si tratta di B. Bezzi). Ritornati dai Giardini con Carcano, Zezzos, Bezzi, Prati e Titoâ. Nello stesso anno espone allâEsposizione Permanente di Milano il dipinto âLa posta del villaggioâ (n. 42), conservato presso la Cassa Rurale di Rovereto, piacevole raffigurazione di un anziano postino che sâinchina davanti ad una sorridente giovane di Agnedo consegnandole una lettera.
Lâopera è cosĂŹ descritta dal giornale âLâAlto Adigeâ del 7-8 gennaio 1899: âE mezzogiorno, il sole illumina pienamente le bianche muraglie delle case sulla via polverosa; nel villaggio sono tutti in casa per ripararsi dal solleone ardente. AllâestremitĂ del paese, vicino ad un cortile, tra alcuni vasi di fiori, una ragazza aspetta il passaggio del procaccia, certa che avrebbe avuto qualche lettera da rimetterle. Il vecchio portalettere, stanco dal giro fatto, è fermo innanzi a lei e dalla bisaccia aperta ha levato un piego. Ride nel consegnarglielo e lei pure ride sgranando i suoi bei denti fissando il foglio cogli occhi ardenti. Il riso che passa tra lei e il procaccia accenna forse che quella è la lettera dâamore?â
Dipinge nel 1895 âLa Guardiana dâoche in Vallagarinaâ, bellissimo paesaggio delle campagne di Ala con il fiume Adige e la veduta di Sabbionara sulla destra e dellâantica chiesa di San Pietro in Bosco, detta anche la chiesa di Teodolinda ed Autari, sulla sinistra.
La storia di questa chiesa è legata per tradizione al solenne incontro che sarebbe avvenuto nel 589 d.C. in questo luogo tra la principessa Teodolinda di Baviera e il re dei Longobardi Autari ed alle loro nozze che sarebbero state celebrate il 15 maggio di quel anno nel campo, detto Sardi, a poco piÚ di 3 km a sud di San Pietro. Successivamente Teodolinda avrebbe fatto edificare la chiesetta dopo la conversione al cattolicesimo del suo popolo avvenuta agli inizi del VII sec. per opera del Papa Gregorio Magno.
Don Ettore Viola nel 1957 nel libro âEugenio Prati pittore Ottocentistaâ cosĂŹ descrive âLa Guardiana dâoche in Vallagarinaâ: âIncarna lâincontro del Prati con la luce, intesa come elemento costruttivo. Tutto lâincanto della elegia è affidato ad un torrente di luce, che scende tra le forre del Baldo. Rade i tetti, investe le case di Sabbionara lontana, sâadagia sulle rive opposte, imbevendo la valle di fondo di un rimbalzante pulviscolo purpureo. Dal primo piano avanzano le ombre, assorbendo lâultimo sghembo del monte, una donna, due densi cipressi, e la chiesa millenaria di San Pietro, legata, con le prime ombre, ai fantasmi di Teodolinda, un dĂŹ ivi reginaâ.
Anche nel 1895 dipinge âLa letteraâ, ottima rappresentazione di una ragazza intenta a leggere una lettera circondata da uve bianche e nere in cui Prati riesce a dipingere anche la trasparenza degli acini in uno sfondo dalle pennellate vaporose e dalle tonalitĂ calde, esposto nel 1897 alla mostra internazionale Glaspalast di Monaco di Baviera. Si narra in famiglia che la modella per questo dipinto sia stata Angelina Ciola, detta Perottina che abitava nellâattuale via Roma a Caldonazzo.
Sono di questâanno le opere âFusettaia venezianaâ (n. 45), âCastel Ivanoâ- bozzetto (n. 46) âProfumo di roseâ  e âAmore mio o Veneziana con bambinoâ (Fig. 78), inedito, dolce raffigurazione di una madre con bambino a Venezia sul Canal Grande, âCascata di rose o Serra Turcatiâ, eseguita nella villa della baronessa Giulia Turcati a Sopramonte di Trento ora sede della Circoscrizione del Bondone del Comune di Trento, dove dipinge una nobildonna a fianco di una scintillante cascata di rose, bianche, rosse e rosa.
Dipinge âVisione del Tiepoloâ  in cui è raffigurata la musa ispiratrice degli artisti che getta dallâalto delle rose bianche e rosa sulla tavolozza di Giovanni Battista Tiepolo (1696-1770), mentre il pittore, rapito da unâestasi, riceve lâispirazione per le sue rappresentazioni. Il Tiepolo è stato un gran pittore ed incisore veneziano del periodo rococò, famoso per le sue ardite scenografie e visioni dai colori delicati di angeli e santi tra le nuvole, come si evince dalle opere âAbramo visitato dagli Angeliâ e âTrionfo delle virtĂšâ.
Prati, in questâomaggio a Tiepolo, ci rappresenta unâonirica visione umana e terrena, in cui le figure perdono ogni consistenza plastica e raffigura una donna nel sogno accanto al marito che desidera la maternitĂ . Ă un Tiepolo in chiave moderna che non intravede santi o angeli ma il dono divino della vita. Dinanzi a questo suo dipinto colpisce il senso di lievitĂ che il pennello ha saputo produrre con grande abilitĂ nelle linee soffici e nelle morbide sfumature. Lâimperatore dâAustria Francesco Giuseppe acquista nello stesso anno la terza versione di âNozze dâoroâ, ora conservato allâĂsterreichische Galerie Belvedere di Vienna.
Partecipa inoltre con i dipinti âVecchiaia laboriosaâ, âLa voce sua soaveâ, âServitevi!â alla mostra indetta a Torino dalla SocietĂ Promotrice di Belle Arti, con âPrimi fiori a Veneziaâ alla Mostra internazionale di Berlino, con âTra il si e il noâ, di cui si conserva anche uno studio preparatorio ad olio non rifinito, diverso dallâoriginale, ma sullo stesso tema, alla mostra di Monaco di Baviera e con âStudio e lavoroâ (seconda versione) alla Festa dellâarte e dei fiori di Firenze.
Il giornale âAlto Adigeâ il 12 maggio 1896 cosĂŹ descrive questâultimo capolavoro: âIn mezzo a un fresco frondeggio autunnale, da un muricciolo sul quale sono deposti grappoli dâuva e pesche fragranti, sporgono i busti, grandi al vero, di un giovane contadino e di una forosetta, alla quale il garzone offre un garofano rosso. La fanciulla sta âFra il si e il noâ se accettare o ricusare il gentile pegno dâamore. In questa sua bellissima tela il Prati ha splendidamente superato lâaudace tentativo di ritrarre due figure illuminate per di dietro dal sole, sicchĂŠ le facce rimangono in ombra e il sole circonda come di unâaureola la linea dei capelli biondi della fanciulla e il profilo del bruno giovanotto.
Lâespressione delle due fisionomie non potrebbe essere colta piĂš felicemente: lui che osa porgere il fiore collâanimo allietato dalla speranza, lei col cuore teneramente fra il desiderio e il timore. Nella sua semplicitĂ la tela offre un insieme simpatico, condotto con spontanea franchezza, con molte veritĂ , e con quel nitido impasto di colore che fa distinguere fra mille i quadri di Eugenio Prati. Corretto il disegno, giusta lâintonazione, morbidissimi i contorni, trasparenti le tinte, indovinato perfettamente lâeffetto luceâ.
Sempre nello stesso anno esegue âIl Tesorettoâ: una giovane madre, affacciata sul portone di casa, guarda dolcemente il proprio neonato, tenendolo abbracciato ed avvolto in una bianca copertina in segno di protezione. Eugenio riesce a rappresentare, con estrema delicatezza e semplicitĂ , lâamore incondizionato e la profonda adorazione che prova la madre per il figlio. La mamma guarda intensamente negli occhi il dono da lei ricevuto e dal suo sorriso traspare la felicitĂ e la serenitĂ che la maternitĂ le regala ogni giorno.
Nella tela âSaluto a Dioâ, opera simbolista di grande espressivitĂ , inedita, Prati rappresenta lâinconsistenza dellâatmosfera alle prime luci dellâalba e realizza una completa fusione tra le figure e il paesaggio. Allâalba, in cui la luce ci regala la sua melodica evoluzione cromatica, in una velata foschia mattutina nelle campagne di Caldonazzo, un pastore prega inginocchiandosi davanti alle proprie pecore a fianco di un capitello dedicato a GesĂš Cristo. Lâarmonia integrale dellâopera nasce dallâevanescenza dei colori e dalla spazialitĂ ottica e la sua spiritualitĂ interiore è resa con grande maestria con pennellate morbide e velate e con trasparenti colori.
Nel 1897, dopo un soggiorno ad Ala presso il cavalier Antonio Pizzini, partecipa alla Terza triennale di Brera dove espone âPrimi fiori a Veneziaâ e âRitratto del cav. Antonio de Pizziniâ.
Dipinge inoltre nel 1897 un paesaggio notturno del lago di Caldonazzo dal titolo âRiflessi lunari sul lagoâ (n. 54), esposto per la prima volta nel 2007 alla mostra âCaldonazzo e il lago nella pittura di Eugenio, Giulio e Romualdo Pratiâ. Rappresenta una delle poche opere di puro paesaggio senza figure, capolavoro di chiara impronta impressionista e simbolista, donato al suo allievo prediletto di pittura lâavv. Gino Marzani e da lui conservato fino alla morte nel 1964. Prati ritrae con grande maestria un fascio di raggi lunari che penetrando nelle nuvole si specchia con tutta la sua luminositĂ nellâacqua del lago, diffondendosi con una sinfonia di luci argentee e biancastre. Rappresenta mediante pennellate confuse ed evanescenti gli alberi che si stagliano nel blu-cenerino della notte su un lembo di terra che attraversa per un tratto le acque del lago e le loro ombre riflesse nellâacqua. Spicca, vicino alla riva, una ninfea di colore rosso chiaro, simbolo nella cultura occidentale di vita, di rinascita, ma anche di purezza, che grazie allâintensa luce della luna piena si è schiusa come fosse giorno.
Dal 24 giugno al 4 luglio del 1898, durante le feste vigiliane, Eugenio espone a Trento alla mostra dâArte Antica e Moderna, organizzata presso la palestra dellâUnione ginnastica, le seguenti sette opere: âPastorella sul torrente Centaâ, âVecchiaia laboriosaâ, âInnamorataâ, âCrepuscolo (ad Ala)â, âLa mendicanteâ e due dipinti di âFruttaâ.
âTutti notevoli per la maniera originale e per lâeleganza del pennelloâ come scrive il prof. Vittorio Zippel nella sua recensione della mostra pubblicata in âTridentumâ. In questâoccasione furono esposte anche opere di Giovanni Segantini, Bartolomeo Bezzi, Giulio Cesare Prati, Alcide Davide Campestrini, Basilio Armani, Andrea Malfatti e della baronessa Maria Pia Buffa, dellâavvocato Gino Marzani e del musicista Raffaello Lazzari, che erano tutti e tre allievi di Eugenio Prati.
I due dipinti di âFruttaâ citati dalla rivista âTridentumâ sono âDittico dâuva nera e biancaâ (n. 55) del 1898, inedito e conservato dal Comune di Avio (Trentino). Nei due dipinti racchiusi in una medesima cornice è possibile ammirare la naturalezza del multicolore aspetto dellâuva. Il critico e pittore Silvio Domenico Paoletti in un articolo del âCorriere delle Artiâ del 1889 a proposito della bellezza dellâuva del Prati scrive: â⌠devo essere breve e devo finire non senza però farvi notare una specialitĂ del Prati: lâuva. Ne ho visto di parecchi; ho ammirato quella superlativa fresca e succosa del Ferragutti, ma dellâuva cosĂŹ squisitamente vera come questa del Prati mai. Non câè tecnica artificiosa, non câè sistema studiato, non ricercatezza, nulla. La semplicitĂ del vero, resa meravigliosamente senza sforzi apparenti, il vario e multiforme e multicolore aspetto dellâuva, la qualitĂ della materia, tutto è evidente, naturaleâ.
Nel settembre del 1898 alla Mostra centrale italiana di Torino espone âPiccolo studiosoâ, âConsolazione della nonnaâ, âStudio e lavoroâ (terza versione) del 1894 e âSuono dellâAngelusâ e in occasione di questo evento trova gli acquirenti per gli ultimi due dipinti.
Il âSuono dellâAngelusâ ritrae una ragazza che prega sul calar della sera circondata da due caprette; sullo sfondo si distinguono le splendide montagne della Paganella, del ghiacciaio dellâAdamello e della Presanella. Il quadro nella suggestione del tramonto rappresenta il ritorno a casa dopo una giornata di lavoro nei campi di una giovane contadina. In una radura nelle vicinanze della sua baita, che sâintravede sulla destra allâorizzonte, in cui si scorge la luce del focolare, si ferma a pregare curva sotto il peso della gerla colma del frutto del suo lavoro. I colori sono quelli singolari dei nostri tramonti montani, nel cielo si addensano nuvole scure che incorniciano un cielo rosa-arancio nel quale si stagliano le montagne alpine dai dolci profili. Trapela lâintento di inserire la figura umana nella natura circostante in unâincantevole comunione e allo stesso tempo di ricercare un dialogo con Dio. Questâopera è pervia di spiritualitĂ .
Nello stesso anno espone âMater admirabilisâ, âPresepioâ, âRiposo in Egittoâ alla mostra dâArte Sacra organizzata a Torino. Nellâanno 1898 dipinge ad Ala anche âAmico suo fedeleâ “Crepuscolo ad Alaâ e âMadonna dellâuvaâ che raffigura, assieme alle opere precedentemente nominate, uno dei migliori soggetti sacri del Prati. In questâopera il Bambino e Maria sono circondati dalle foglie di vite e da floridi grappoli dâuva che Eugenio dipinge con estremo realismo come era solito fare. La Madonna guarda dolcemente, tenendolo abbracciato in segno di protezione, il figlio che tiene in mano un grappolo dâuva. Sullo sfondo sono ritratte delle palme ed un albero come in âFuga in Egittoâ ad indicare che ci troviamo in Palestina o in Egitto.
Anche in âMater admirabilisâ il soggetto è Maria con GesĂš Bambino poichĂŠ si può scorgere sopra la sua testa lâaureola. Il modello del bambino, come del resto nel quadro âRiposo in Egittoâ, è lâultimo dei figli di Eugenio, Guido, allâetĂ di circa dodici anni come raccontava lo stesso Guido Prati. GesĂš, affaticato e triste è seduto su un gradino ed è tenuto a sĂŠ dalla mamma che lo osserva serenamente. Le vesti sono ritratte con estrema verosimiglianza in modo da rendere perfino lo spessore dei tessuti.
Allâinizio del 1898 è iniziata da Antonio de Pizzini sotto la guida del maestro Prati una grande tela dal titolo âFuga in Egittoâ, ma a giugno il Pizzini scompare e quindi lâesecuzione viene termina dal Prati stesso. La Pala raffigura la Sacra Famiglia in fuga per salvare GesĂš dalla strage ordinata da Erode: i tre personaggi in primo piano appaiono dolci ed umani mentre alle loro spalle un asino, avvolto da un tramonto acceso ed emozionante, procede nel deserto lentamente e stanco.
Per molti anni la tela è collocata nella cappella privata di San Giuseppe della residenza estiva a Prabubolo. Durante il periodo della Prima Guerra Mondiale (1914-18), come ci riferisce Otto Tomasoni nel quotidiano âLâAdigeâ del 22 dicembre 1990, è stato nascosto per sottrarlo alle ruberie della guerra e poi ritrovato a Santa Margherita e restituito ai proprietari. Nel 1990 lâing. Antonio de Pizzini ha donato lâopera alla parrocchia di San Giovanni di Ala e dopo un opportuno restauro è stata collocata nella Chiesa omonima, dove tutti possono ammirarla nella sua maestosa bellezza a destra dellâaltare.
Presso il Seminario Maggiore Arcivescovile di Trento è conservato il particolare della Sacra famiglia con il titolo âMadonna con GesĂš Bambino”, firmato in basso a sinistra con lâacronimo âA.P.â (Antonio Pizzini) ma di stile inconfondibilmente pratiano. In effetti, GesĂš Bambino appare identico al bambino ritratto in âMadonna dellâuvaâ e in âMadonna con bambinoâ incompiuto, catalogati come opere di Eugenio Prati, come pure la modella della Madonna nelle due opere risulta essere la medesima.
Ă presumibile, data la somiglianza con le altre opere, che Prati abbia insegnato allâallievo come eseguire il dipinto e che questâultimo abbia poi ultimato da solo lâesecuzione. Anche in questâopera come nelle altre due, la Madonna dalle simili fattezze abbraccia suo figlio e lo guarda teneramente, mentre il bambino rivolge lo sguardo diritto a sĂŠ in direzione dellâosservatore.
Non si conosce purtroppo lâubicazione del luminoso ovale su tela rappresentante il ritratto dei baroni di Ala âCarlo, Marta e Stefano de Malfattiâ (da destra) in etĂ giovanile, figli del barone Stefano Malfatti e della principessa Matilde di cui si conserva solo una fotografia, pubblicata sul quotidiano âLâAdigeâ lâ8 novembre 1957. Carlo Malfatti successivamente diviene Ministro della Repubblica e Marta diviene contessa della Croce. Lâopera inizialmente conservata nel palazzo Malfatti è stata venduta e si sono perse le tracce.
Dopo la morte del cav. Antonio de Pizzini avvenuta nel giugno del 1898, Prati ha continuato a soggiornare saltuariamente ad Ala come lo dimostrano due lettere spedite da Ala nellâagosto e nel novembre del 1898 al segretario dellâEsposizione Permanente di Milano. Nella prima cita i due dipinti âCrepuscolo ad Alaâ e âFrutta o uvaâ: â⌠Essendo i quadretti ancora freschi, mi riservo di dare per intiero la vernice circa la metĂ del pros. settembre, quando ritornerò dallâEsposizione di Torino insieme al mio cugino lâing. Paldrof di LevicoâŚâ. Nella seconda lettera cita il suo domicilio ad Ala e scrive: ââŚpregandola di voler spedire in quel modo che a Lei sembrerĂ il migliore, il ricavato della vendita del mio quadro âLe Scarpe della sposaâ al mio indirizzo in Alaâ.
Il dipinto âPresepio o NativitĂ â è una delle piĂš belle commoventi rappresentazioni della nativitĂ , in cui emerge la dolcezza della Madonna e lâincredulitĂ di San Giuseppe che, nonostante desideri avvicinarsi con la mano al bambino, non osa farlo; è stato donato dalla famiglia nel 1925 alla parrocchia di Caldonazzo ed ivi conservato nella Chiesa di San Sisto in occasione dellâinaugurazione del busto di bronzo di Edmondo Prati dedicato ad Eugenio.
Prati gioca magistralmente con la luce che emana dal Bambino GesĂš ed illumina di riflesso la Madonna e San Giuseppe. Il giornale dellâEsposizione di Torino commenta lâopera: âCosĂŹ nel quadro del Prati, sventuratamente di modeste proporzioni, la madre inginocchiata accoglie nelle braccia il bambino; lâintensitĂ dellâaffetto materno per la fragile creatura, dal visino diafano, dalla sottile peluria della testa bionda, è espressa in modo mirabile; lâelegante atteggiamento della Vergine contrasta col rude profilo di San Giuseppe, che, visto di tergo, rammenta forse troppo Otello, ed avrebbe una espressione dura, se non la raddolcisse alquanto la luce che si diffonde dal celeste neonato sulle figure che lo circondano. In questo quadro, però, maestrevolmente disegnato e colorito e vibrante di sentimento, noi cerchiamo indarno il concetto sacro; troviamo invece la piĂš soave espressione dellâaffetto di tutte le madri della terraâ.
Don Ettore Viola nel 1957 recensisce cosĂŹ il dipinto: âLa santa scena della nativitĂ , è colta a lume, che emana lieve dal divino infante. Nella tranquilla e calcolata riverberazione, le sante figure hanno vivezza di grandi masse di luce di ombre, esatte nei contorni, scelte nelle forme, piene di grazia nellâestatico movimento di meraviglia, di materno amore. Il Prati ha qui espresso capacitĂ valida di rappresentare, con pio decoro, tra tante pagine umane, anche una pagina eterna ed emotiva delle sacre Scrittureâ.
Alla prima Esposizione Italiana di Belle Arti di San Pietroburgo nel 1898 vende âPrimi fiori a Veneziaâ, rientrata poi in Italia nel 1955 e nello stesso anno realizza âAve Maria o Preghiera della seraâ. à una scena dâintensa spiritualitĂ ambientata di sera sotto le fronde di un grande albero secolare, nodoso e contorto. Una donna dal volto coperto siede su un pendio intenta a pregare con le mani congiunte, accanto ai rami da lei raccolti che serviranno a riscaldare le lunghe serate invernali. Nel quadro dominano i colori caldi e sfumati del tramonto uniti ai colori aranciati dellâautunno. Eugenio inserisce la figura umana nella natura e allo stesso tempo realizza una profonda comunione tra uomo, natura e divinitĂ . La donna infatti si rivolge a Dio con sincera devozione consapevole di non essere sola al mondo.
In âAmor mioâ del 1898, dipinto ad Ala secondo la testimonianza di Guido Prati, Eugenio riesce a rappresentare con estrema delicatezza e semplicitĂ , lâamore incondizionato e la profonda adorazione che prova la madre per il figlio, avvolto teneramente in una coperta dipinta con morbide venature di colore. La mamma, mentre passeggia, guarda intensamente negli occhi il dono da lei ricevuto e dal suo sorriso traspare la felicitĂ e la serenitĂ che la maternitĂ le regala ogni giorno. La luce colpisce la testa da dietro illuminandola e rilevando i suoi riccioli aurei. Sullo sfondo ritroviamo un territorio montano sfumato attraverso pennellate rarefatte e soffici di tinte di tonalitĂ tenui. In questo dipinto Prati esprime il suo verismo idealizzato attraverso una luce mistica, espressione della sua anima.
Realizza âGuado o Dolce pesoâ cosĂŹ descritto dal giornale âLâAlto Adigeâ del 7-8 gennaio 1899: âNel torrente Chieppena, una cosina graziosa, il cui sfondo è occupato da un mulino e da una cascatella dâacqua, che raccoltasi in una conca, forma poi un ruscelletto, si osserva una macchietta di due contadinelli che tentano di passare il torrente.
Il pittore pensò di staccarla e di farne un soggetto a parte, e di fatto ci presenta il suo Guado. Cambia lo sfondo: non piĂš sul Chieppena ma bensĂŹ sullâAla. Un contadinello sorregge una vispa giovinetta che si tien stretta a lui con ambe le braccia, e tenta di guadagnare il torrente. Le mosse, la naturalezza viva, il colorito giusto naturale di questa pittura la fanno ritenere una dei migliori fra i nuovi lavori del Prati.â
Allâinizio del 1899 è organizzata ad Ala dal 6 al 15 gennaio (allâinizio era prevista per 3 giorni e poi viene prolungata) presso lâasilo dâinfanzia Malfatti una mostra personale di Eugenio Prati con lâesposizione di 51 opere tra olii ed acquerelli ed inoltre disegni a penna e a carboncino. Il ricavato delle vendite ammontante a 150 fiorini viene devoluto alla Congregazione di caritĂ di Ala per lâassistenza agli orfanelli dellâasilo.
Purtroppo non si conosce lâelenco completo delle opere esposte ma solo quelle descritte dal giornale âAlto Adigeâ nella cronaca del 7-8 gennaio 1899: Tempo è denaro, In attesa dello sposo, Mater Admirabilis, Riposo in Egitto, Nel torrente Chieppena, Dolce peso o Guado, Posta del Villaggio, Vecchiaia Laboriosa, La voce sua soave, La lettera, Rifiuto, Uva.
La âStrenna dellâAlto Adigeâ del 1900 dedica a Giovanni Segantini dopo la sua morte avvenuta il 28 settembre 1899, una commemorazione, pubblicando due litografie di Eugenio Prati disegnate appositamente per lâoccasione e per sua memoria: una dal titolo âPastoriâ e lâaltra âFanciullezza di Segantiniâ.
Nel 1900 inizia lâesecuzione del dipinto âSacro Cuoreâ per la chiesa di Sopramonte di Trento, consegnato alla parrocchia nellâaprile del 1901 e âMater admirabilisâ è nuovamente premiata alla mostra internazionale di Belle Arti di Gorizia del 1900. AllâEsposizione Nazionale di Verona presenta âVecchiaia laboriosaâ, âPiccolo cantiniereâ, âTimoreâ, e âStudio e lavoroâ (terza versione): la SocietĂ di Belle Arti acquista âStudio e lavoroâ che è poi assegnato alla socia Antonietta Camuzzoni Panizzoni. Nello stesso anno partecipa allâEsposizione di Brera con âConsolazione della nonnaâ ed esegue un delicato disegno a carboncino inedito di un volto di donna .
Nel 1900 per mano di un anarchico è assassinato il Re Umberto I e nello stesso anno è incoronato Re dâItalia Vittorio Emanuele III e La Regina Elena (1873-1952). Prati in onore della Regina Elena esegue il suo ritratto: una splendida tempera su tela, inedita, dallo sguardo assorto e preoccupato, circondata da uno sfondo delicato, soffuso ed evanescente dai colori rosa. In primo piano presenta delle rose vellutate, espediente che fa sĂŹ che lâosservatore sia costretto a concentrarsi sul ritratto.
Si cimenta con gran bravura in âFuga o Ultimi raggiâ in cui ritrae una fanciulla dai tratti delicati che conduce il gregge di pecore al riparo portando in braccio un agnellino nel momento in cui sta scoppiando una tempesta. La scena del dramma della tempesta è realizzata mediante lâaccostamento di pennellate di colore dalle tonalitĂ del verde-acqua; qua e lĂ la tela sembra quasi graffiata dal pennello al fine di rendere visibile la polvere sollevata e di delineare i contorni di cespugli e sterpaglie piegate dal vento.
Il cielo e il paesaggio sono realizzati con le stesse sfumature di colore e sono separati solamente da una fascia sottile dipinta con colori chiari e luminosi; attraverso lâespediente dellâaccostamento di pennellate bianche e gialle suggerisce la possibilitĂ di un miglioramento delle condizioni atmosferiche. Nel cielo Prati con la semplice sovrapposizione di pennellate di colore piĂš scuro delinea le sembianze di nuvole scure pregne di acqua. Le vesti della donna sono spinte indietro dal forte vento che agita anche le fronde degli alberi.
Osservando il quadro si avverte una forte sensazione di pericolo imminente, ma allo stesso tempo câè anche la consapevolezza che prima o poi la tempesta cesserĂ e si ristabilirĂ lâarmonioso equilibrio tra uomo e natura. Prati, infatti, in questo periodo artistico ama inserire la figura umana nella natura, come parte integrante del creato.
Appartiene allo stesso filone artistico anche âAgnellino smarritoâ, una delle migliori produzioni di Prati in cui raffigura allâimbrunire il ritorno a casa di una pastorella, tra i rami contorti e bruni di un castagno, con in braccio un agnellino, espressione della purezza dâanimo. Le delicate tonalitĂ e lâevanescenza di colori sovrapposti degli indachi, rosa e dei bianchi contribuiscono alla realizzazione dellâarmonia integrale dellâopera in unâatmosfera dâintensitĂ sfuggente e magica.
Durante questâanno porta a termine anche il bozzetto âScorcio di Caldonazzo e il lagoâ e âLezioni di cantoâ in cui Eugenio Prati ritrae un frate incappucciato seduto su un anfratto, mentre impartisce lezioni di canto a quattro giovani ragazzine illuminate dai raggi solari; sullo sfondo si scorge il lago di Caldonazzo, immortalato nei pressi di San Cristoforo e in lontananza il monte Pizzo e Cima Dodici innevata.
AllâEsposizione Annuale di Primavera della Permanente di Milano del 1901 espone âPiccolo Studiosoâ e le quattro stagioni: âPrimaveraâ, âEstateâ, âAutunnoâ ed âInvernoâ realizzate con la tecnica del pastello ad olio su pergamena. Sono conservati a Milano anche i quattro bozzetti inediti, pastelli ad olio di pregevole esecuzione.
Torselli nellâarticolo âLa primavera nellâarteâ, pubblicato nel 2005 sulla rivista Supereva, cosĂŹ descrive la âPrimaveraâ di Eugenio Prati: âRaffigura la sua primavera con le sembianze delicate di una giovane donna, resa con tratti leggeri e sfumati giocati su una ridotta gamma cromatica nei toni del seppia, soffusa di luce: lâatteggiamento raccolto su pensieri a noi ignoti e lo sguardo abbassato negano lâaccesso allâinterioritĂ , che lâartista preferisce suggerire con delicata riservatezza. Misurato eppur vivo e spontaneo, il ritratto della primavera esprime il sereno equilibrio di una personalitĂ schietta ed apertaâ.
AllâEsposizione annuale di Primavera della Permanente di Milano del 1902 presenta âPiccolo cantiniereâ, poi donato dalla famiglia nel 1907 al Comitato per le onoranze dello scultore trentino Alessandro Vittoria. Il dipinto è ora di proprietĂ del Comune di Trento in deposito presso il Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.
Partecipa anche allâEsposizione internazionale Glaspalast di Monaco di Baviera con il dipinto âLa spinaâ acquistato da un collezionista di Amburgo e alla prima Esposizione quadriennale di Torino con âTempesta a ciel serenoâ e âAmore e doloreâ.
Nella seconda versione di âLa spinaâ del 1903 raffigura un giovane pastorello intento a togliere una spina conficcata nel piede di una fanciulla il cui volto è contratto in una smorfia di fastidio. La ragazza appoggia il peso del suo corpo allâindietro sul braccio leggermente piegato mentre tiene lâaltro braccio dolcemente appoggiato sulle vesti della gonna. Accanto brucano le pecore descritte con dovizia di particolari come era solito fare Eugenio. Allâorizzonte si stagliano le alte montagne di Cima Dodici e del Pizzo innevate che incorniciano il lago di Caldonazzo.

Eugenio Prati
Nel 1902 durante una gita a Passo Buole in compagnia di Pietro Pallaver e del Conte Pio Sardagna dipinge âA Passo Buoleâ, uno dei pochi paesaggi puri senza figure in cui si stagliano le Pale del Cherle, teatro quattordici anni dopo della Prima Guerra Mondiale.
Sempre nel 1902 ad Ala di Trento è organizzata una mostra personale di Prati a favore degli Istituti per lâinfanzia con lâesposizione di cinquantacinque opere ed a Levico unâaltra mostra, organizzata dalla Lega Nazionale di Caldonazzo allo scopo di raccoglere fondi. Si segnala inoltre un delicato olio su tavola âScorcio di Ospedalettoâ; una veduta di una viuzza con le caratteristiche case in pietra e i balconi e le soffitte di legno.
Nel 1903 allâHotel di Caldonazzo è organizzata una mostra degli artisti Prati: Eugenio, Giulio Cesare, Romualdo e dei giovani gemelli Edmondo ed Eriberto. I lavori esposti sono eseguiti in gran parte da Eugenio Prati: âBacio fataleâ, âDolce pesoâ (Guado), âIn su la seraâ, âRosa dellâamoreâ, âAmor mioâ, âLe prime rose a Veneziaâ, âPiccola vivandieraâ, âUvaâ, âRitrattiâ e âDivino amoreâ; Giulio espone âRoseâ, âMattinoâ e âTramontoâ, Romualdo, pur non essendo presente, partecipa con due opere âRoseâ e âRitratto a carboneâ ed i quattordicenni Edmondo ed Eriberto con alcuni squisiti bozzetti di creta.
Nel 1903 presenta allâEsposizione Glaspalast di Monaco di Baviera lâopera âPoesia della montagnaâ, segnalata tra le migliori dellâultimo periodo, raffigurante una contadinella in ginocchio su un prato di Caldonazzo, colta in un momento di preghiera con la testa abbassata e avvolta da un fazzoletto bianco e le mani conserte appoggiate sul grembiule; di fianco una pecora con il suo agnellino, simbolo della purezza dâanimo e sullo sfondo il campanile di Caldonazzo e il lago.
Si narra tuttora a Caldonazzo che la modella di Prati sia stata Elodia Ciola. Prati in questâopera simbolista riesce perfettamente a realizzare la completa fusione tra natura e figura umana trasmettendo una sublime spiritualitĂ . Lâopera, venduta nel 1924 dal figlio Angelico Prati al Comune di Trento, è ora in deposito al Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto ed è stata esposta recentemente dal 14 luglio al 19 agosto 2007 allâEsposizione di Caldonazzo dal titolo âCaldonazzo e il lago nella pittura di Eugenio, Giulio e Romualdo Pratiâ.
Gabriella Belli, giĂ direttrice del Museo dâarte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, scrive nel 1991 sul retro della tavola dedicata allâopera âPoesia della montagnaâ nella raccolta âCapolavori dâarte del Trentinoâ in omaggio con il quotidiano âAlto Adigeâ: âFu dipinto da Prati allâinizio del â900 e rivela una sentita adesione alla linea del simbolismo mitteleuropeo che, proprio in quel torno di tempo, andava forgiando il gusto e lo stile di gran parte della cultura figurativa del Trentino. Il tema cosiddetto di genere che caratterizza quasi tutta la produzione di Prati, ricco di motivi ispirati alla vita quotidiana, trova in questo quadro una nuova dimensione narrativa, grazie allâevocazione di semplici simbologie che danno il senso pieno della profonda corrispondenza tra lâuomo e la natura, tema questo caro alla migliore pittura europea della fine â800â. In questa occasione lâopera viene pubblicata erroneamente al contrario in quanto è stato invertito il verso della diapositiva.
In una lettera di Eugenio Prati inviata al farmacista di Caldonazzo Damiano Graziadei nellâestate del 1903 da Sopramonte e conservata presso lâArchivio Eugenio Prati di Trento, cosĂŹ descrive il poetico paesaggio visto dal monte Bondone durante un suo soggiorno a Sopramonte presso la baronessa Giulia Turcati Lazzari: âLavoro sempre, come avrete sentito dal Ciro (Prati), ho trattato tre soggetti, âLa spinaâ che mancano poche pennellate, e che voi conoscete, âLe armonie della forestaâ anche questo è molto avanzato, cosĂŹ puro, âIl suono della campanaâ che come effetto credo sia dei tre il migliore. Che volete anche in questo ameno soggiorno si viene ispirati. Sfido io a non esser ispirati collâammirare quellâincantevole colosso che è il Carè Alto e la gigantesca Presanella tutta avvinghiata di catene e coperta dallâeterno candido lenzuolo. Anche la selva dei pini e dei larici e fagi è un incanto specialmente col splendor della luna che fa rammentar lâestasi dei canti poetici dellâinfelice Leopardiâ.
Nel 1903 esegue anche una china in due esemplari dal titolo âNo o rifiuto amorosoâ, splendida opera eseguita mediante lâaccostamento di trattini lâuno accanto allâaltro allo scopo di realizzare uno stupendo gioco di luci ed ombre. La luce colpisce il volto della giovane donna che si ritrae dal ragazzo rifiutandolo con estremo garbo e pudore esaltando i suoi tratti delicati e gentili. I contorni sono sfumati ed evanescenti e la luce che sfiora il viso della fanciulla le conferisce unâespressione di estrema tenerezza e benevolenza. Questâopera è un meraviglioso ritratto dâumanitĂ e dolcezza. Sullo sfondo intravediamo una finestra aperta verso un paesaggio brullo appena abbozzato eseguito con la sovrapposizione di chiari e scuri.
Nel corso dello stesso anno realizza anche due litografie: la prima celebra le gesta gloriose dei caduti italiani in Eritrea nella disastrosa âBattaglia di Amba Alagiâ del 7 dicembre 1895, in cui trova la morte anche il comandante italiano maggiore Toselli, pubblicata su Strenna dellâAlto Adige, la seconda ritrae il âCarnevaleâ, stampata per il cartellone del veglione al Teatro Sociale della Lega Nazionale di Trento di quellâanno. Inoltre partecipa allâEsposizione Internazionale di Vienna dove vince una medaglia di bronzo per unâarnia innovativa di sua invenzione.
Eugenio Prati molto spesso mette a disposizione i suoi disegni o dipinti per manifestazioni di beneficenza sia a Trento, che a Caldonazzo. Riportiamo un passaggio di una sua lettera inviata nellâestate del 1903 al suo amico farmacista di Caldonazzo Damiano Graziadei in cui esprime il suo desiderio di devolvere i proventi della vendita di un suo dipinto per il restauro della Torre dei Sicconi poi distrutta dagli austriaci nel 1915: âSentii con grande piacere che andò cosĂŹ bene, il giorno di S. Sisto, col vaso della fortuna a beneficio dei nostri Pompieri, e che il mio disegno attirò una gara per vincerlo. Non mi aspettavo certo sĂŹ felice risultato. Mi proposi e fui ispirato di trattare un soggetto dâoccasione adatto per interessare di piĂš il pubblico. Ricevetti due belle riproduzioni in platino, e fui assai contento della riuscita. Il signor maestro Gasperi ebbe tutta la premura col spedirmele prontamente. Mi scrive il caro Ciro (Prati) che la esposizione è frequentata, speriamo che porti qualche soddisfacente vantaggio anche per lâabbellimento. Desidererei che le incessive spese venissero prima di tutto fatte per assistenziare ben bene la torre (dei Sicconi), e di andare subito dâaccordo col Signor Conte Trappâ.
Nel 1904 esegue âCristo e la Maddalenaâ, affascinante dipinto della deposizione dalla croce di GesĂš Cristo, conservato presso il Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.
Rappresenta i momenti successivi alla morte di Cristo in cui egli giace avvolto da bianche vesti, sinonimo di purezza, accanto alla Maddalena che gli bacia i piedi. Dominano i toni dellâocra e del giallo e la luce irrompe nella scena simbolo di unâentitĂ superiore. La donna si sporge in avanti appoggiando il peso del suo corpo su un braccio e cingendo con lâaltro i piedi di Cristo in un gesto di profondo amore e devozione. I capelli fluenti sono mossi dal vento allâindietro e sul viso si scorge lâespressione seria e greve di chi ha compreso il significato del momento. Nello stesso anno disegna anche il carboncino âLa vidi sfolgoranteâ.
Nel 1905 in occasione dellâinaugurazione della nuova sede della SocietĂ Filarmonica in via Verdi a Trento dona alla SocietĂ il âRitratto di Wolfang Amedeus Mozartâ, esposto nel 2006 a Riva del Garda in occasione del duecentenario della scomparsa di Mozart e che ancora oggi è possibile ammirare in una delle sale della Filarmonica. Nello stesso anno dipinge âOttobreâ, tela ambientata nelle campagne paludose di Caldonazzo in cui ritrae i caratteristici lavori autunnali della terra e il ritratto della pronipote Pia Prati. Presso la famiglia è conservata una fotografia del 1965  in cui Pia Prati è immortalata a fianco del suo ritratto eseguito da Eugenio. Sul retro è scritto di proprio pugno :âDopo 60 anni 1905-1965. Per essere ricordata dai miei cari, con tutto il mio affetto. Mamma. 20.X. 65âł.
Eugenio dal 1905 fino alla morte vive separato dalla moglie Ersilia, come raccontava la nipote Pia Prati e risiede a Caldonazzo al molino Prati presso il fratello Giulio. Molto spesso si reca a pranzo dal cugino Giuseppe e dalla moglie Angelina Perini in via Roma, dove aveva uno studio di pittura come risulta anche da una sua lettera inviata alla sorella Luigia a novembre del 1906: âVi raccomando di mandarmi le scarpe che ho nello studio dal Beppiâ e per sdebitarsi promette di eseguire il ritratto delle figlie Pia e Bianca Prati.
Il ritratto di Pia Prati rappresenta un dipinto dâestrema bellezza e raffinatezza compiuto quando la nipote aveva diciotto anni. La graziosa ragazza posa di profilo con i capelli raccolti che le coprono le orecchie e lo sguardo fiero e determinato rivolto verso lâalto. Fa da contorno alle sue spalle un roseto di rose bianche tra cui ne spicca una di colore rosa che riprende il colore intenso delle labbra e delle gote.
Pia Prati, pro nipote di Eugenio Prati e figlia di Giuseppe Prati ed Angelina Perini (1854-1916) di Mattarello di Trento, nasce a Caldonazzo il 6 ottobre 1887 e il 10 febbraio 1919 sposa Mario Benedetto Prati, figlio di Benedetto, fratello di Eugenio. In seguito mette alla luce cinque figli: Beppino (morto a dieci mesi dâetĂ ), Bianca (1920), Giuseppe (1922), Nereide (1923) e Mirko (1925), ancora viventi, e muore allâetĂ di ottantanove anni a Pergine Valsugana il 30 novembre 1976.
Il padre Giuseppe Prati (1851-1931), cugino diretto di Eugenio, sindaco di Caldonazzo per tre mandati, proprietario di un negozio e di un magazzino allâingrosso dâalimentari e di una fabbrica di salumi, è stato presidente della Lega Nazionale di Caldonazzo, mentre lei svolgeva lâincarico di segretaria.
Con lo scoppio della guerra con lâItalia Pia Prati con lâaccusa dâessere irredentista, rea di patriottiche attivitĂ e politicamente pericolosa, è rinchiusa nel campo di concentramento di Katzenau come internato politico assieme al padre Giuseppe, alla madre Angelina, alla sorella Bianca, alle pro cugine Cesira ed Adina ed alla zia Maria Floriani Prati, vedova di Lorenzo Prati, giudice a Borgo Valsugana con la figlia Ida (1885-1929), pittrice ed allieva di Eugenio Prati.

Eugenio Prati mentre disegna all’aperto
Pia Prati in unâintervista rilasciata al quotidiano âAlto Adigeâ nel 1970, allâetĂ di ottantre anni, ricorda la sua partenza da Caldonazzo: âIl 3 giugno del 1915 il capo posto della gendarmeria ci fece presente che dovevamo lasciare il paese e partire per Innsbruck. Lasciammo il negozio e la casa. Nel magazzino avevamo tra lâaltro, lo ricordo bene, 60 forme di formaggio e 25 ettolitri di vino, ma dovemmo lasciare tutto e partireâ.
A Katzenau vede morire dapprima la madre Angelina il 24 settembre 1916 e poi la sorella Bianca allâetĂ di ventisei anni per lâinfluenza âspagnolaâ allâospedale di Kematen in Austria il 1 novembre 1918, proprio tre giorni prima della fine della guerra quando giĂ vede avvicinarsi il sospirato giorno del ritorno a Caldonazzo. âEravamo a Trento il 4 novembre 1918. Me lo ricordo bene quel giorno, lâanimazione che câera in giro, la bandiera sul Castello del Buonconsiglio, la gioia per il ritorno, e lâamarezza di vedere tanta distruzione, tanta miseria, tante rovine. A casa tornammo solo io e mio padreâ, conclude cosĂŹ la sua intervista del 4 novembre 1970, pubblicata sul quotidiano âAlto Adigeâ di Trento.

Il campo di Katzenau
La sorella Bianca Prati (1892-1918), immortalata in un ritratto (1913) dipinto da Romualdo Prati, ci ha trasmesso un commovente diario (conservato da Mirko, figlio di Pia Prati) che ricorda i dolorosi e travagliati anni della sua segregazione assieme alla famiglia nel Lager di Katzenau dal 1916 al 1917. Ci sembra indicativo riportare una frase del suo diario che evidenzia quanta fame abbiano patito i 1734 internati politici trentini rinchiusi a Katzenau: âSe tu avessi veduto quanti poveri chiedevano da mangiare, facevano pietĂ a dover il piĂš delle volte un rifiuto, piĂš volte ho veduto levare la pelle delle patate dalle cassette delle immondizie oppure rosicchiare delle ossaâ.
La cittĂ di Milano per lâinaugurazione del nuovo valico del Sempione organizza nel 1906 unâimportante Esposizione internazionale di Belle Arti, dove Prati partecipa per lâultima volta ad una mostra esibendo tre quadri tra cui âPoesia della montagnaâ, giĂ esposto a Monaco di Baviera nel 1903, âConsumatum estâ, opera simbolista-religiosa avvolta in luci tenebrose-crepuscolari, di cui si conserva anche un bozzetto e le âZappatriciâ del 1905.
Don Giulio Tomasini descrive âConsumatum est o Calvarioâ come una ââŚscena quasi apocalittica velata nella foschia e nella tenebra dei prodigiosi avvenimenti della morte del Redentore, dove campeggia il gruppo doloroso di Maria e di Giovanni davanti alle croci di cui si scorgono solo le basi e nel fondo le sagome sfumate e sfocate dei soldati che trasportano gli strumenti del supplizioâ.
Lo stesso Eugenio ne fa cenno in una lettera inviata alla sorella Luigia il 5 luglio 1906: âCara Gigia, dimani se il tempo resta bello, partirò da Trento per Caldonazzo, senza il bagaglio. Porterò meco la pura cassettina dei colori, per dare qualche tocco al mio dipinto del Calvario, avendo intenzione di mandarlo anche quello a Milano: per cui, se le strade sono buone mi recherò al mulino a piediâ.
Giuseppe Brunner nel 1907 descrive con queste parole le âZappatriciâ, opera di realismo sociale in parte ispirata alle âSpigolatriciâ di Jeans Francois Millet (presso lâarchivio fotografico Prati si conserva una foto originale dâepoca), ambientata nelle campagne di Caldonazzo, rubata nel 1916 a Padova alla figlia Raffaella durante lâesodo per la Prima Guerra Mondiale: âSpontaneitĂ e varietĂ di atteggiamenti e di movenze, ottimi effetti di chiaroscuro, carni morbide, rese con molta veritĂ ed efficacia, e uno sfondo dove tutte le linee dei monti vanno sfumando perdendosi in un cielo autunnale rotto da sprazzi di luce intensa, ed unâesecuzione franca e sciolta sono pregi che fanno annoverare questâopera fra le piĂš pregevoli e ammirateâ.
Sono di questâanno anche altre opere come âIl molino Prati a Caldonazzoâ, âAl Verdeâ, in due versioni entrambe incompiute di cui una è custodita presso la Biblioteca Comunale di Caldonazzo, âLe due madriâ, conservata al Museo dâArte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e âSorpresa spiacevole o Povere le mie roseâ.
La tela âAl verdeâ è ambientata in unâosteria a volte a botte in via Villa a Caldonazzo dove è rappresentata una graziosa ostessa mentre prende per il bavero della camicia un giovane paesano seduto su una sedia, che si rivolge a lei sorridendo e svuotando le proprie tasche, facendo intendere di trovarsi senza denaro. Sul tavolo il corpo del reato: una brocca di vino ed un boccale mezzo vuoto, sulle pareti i classici utensili in rame dellâepoca e sul soffitto un lampadario a luce elettrica. Si narra in famiglia che i modelli per questo dipinto siano stati Angelina Ciola detta âPerottinaâ e Angelo Cunico.
Il dipinto simbolista âLe due madriâ, raffigura una tenera e dolce scena dâaffetto, dai colori delicati e soffusi, tra una madre ed il suo bambino che tiene in braccio ed una pecora e il proprio agnellino. Eugenio realizza uno sfondo sfumato ed indefinito per mezzo di pennellate fugaci ed a tratti graffianti allo scopo di porre lâattenzione sul tema su cui intende soffermarsi: la magia e la semplicitĂ della maternitĂ . Come avviene in natura in cui una pecora si scambia teneramente gesti dâaffetto con il suo agnellino sfiorandosi delicatamente con il muso, cosĂŹ una mamma dialoga dolcemente con il suo bambino mediante lo scambio di sguardi tacitamente eloquenti.
Il critico dâarte Vittore Grubicy ritiene che âSorpresa spiacevoleâ sia una delle piĂš ardite e simpatiche opere da lui lasciate e Giuseppe Brunner nel âIl Trentinoâ del 25 giugno 1907 afferma: âNon abbiamo parole per descrivere la bellezza singolare di questâopera nella quale è un continuo cangiare di toni caldi e freddi, leggeri, delicati, rosei, violetti che si fondono armoniosamente e quasi impercettibili; di oggetti di cose ravvolte in una atmosfera opalina che le rende incerte, evanescenti, tutto una musica suggestiva e gradevolissima di tinte che vellicano deliziosamente le pupilleâ.
Citiamo un piccolo studio di paesaggio âCima Dodiciâ del 1906 in cui sul bordo inferiore appare lâimpronta digitale dellâartista. Il bozzetto su tavoletta realizzato con rapide pennellate di colore, fa trasparire silenzio e pace e denota lâabilitĂ acquisita nei giochi cromatici.
A proposito di questâopera riportiamo una poesia composta dalla classe IV A della Scuola elementare Crispi di Trento nellâanno scolastico 2002/2003 dopo la visita alla mostra dedicata ad Eugenio Prati dal titolo Cima Dodici: âMontagne, montagne, innevate montagne. Uno stagno blu intenso bagna la felicitĂ . Il prato verde violento diffonde la gioia. Montagne, montagne fantasiose montagne. Un campo lucente come il sole ai piedi di una montagna allegra sparge uno scintillante amore. Una velata montagna di neve sembra zucchero a velo. Un praticello verde intenso si bagna in un laghetto canterino. Il cielo azzurro frizzante gioca con nuvolette amicheâ.
AllâetĂ di sessantacinque anni Eugenio Prati alla fine di febbraio trascorre ancora le sue giornate a dipingere allâaperto nella gelida valle del torrente Centa per cogliere le sfumature cromatiche del paesaggio trentino come scrive nella sua ultima lettera inviata da Caldonazzo il 28 febbraio 1907 allâamica baronessa Giulia Turcati Lazzari: âGentilissima Giulia, ho iniziato a lavorare; le giornate cominciano a farsi miti, lâestro per dipingere mi anima sempre di piĂš âŚâ.

baronessa Giulia Turcati Lazzari
Incurante del freddo, i primi di marzo del 1907 si ammala gravemente di polmonite e lâ8 marzo alle ore 8,30 del mattino si spegne a Caldonazzo lasciando incompiuto un dipinto di grandi dimensioni, pregno di sentimento, intitolato âLa seconda madreâ che avrebbe dovuto esporre alla mostra internazionale di Monaco di Baviera e che scomparve a Caldonazzo durante la Prima Guerra Mondiale.
Nella tela della âSeconda madreâ campeggia nella notte la figura di un contadino, appena abbozzato grande al vero, intento al trasporto sulle spalle di una pecora morta seguito dalla giovane moglie che trasporta lâagnellino orfano tra le braccia.

Caldonazzo
La sua salma è deposta nel cimitero di Caldonazzo il 10 marzo ed Emanuele Longo, direttore del quotidiano âAlto Adigeâ, suo grande amico, legge sulla bara queste sentite parole, riportate da âVita Trentinaâ del 16 marzo 1907:
âSolo un saluto a Te. Eugenio diletto, amico mio: lâultimo saluto câhio ti mando, lacrimando davanti alla tua salma benedetta. Non è un panegirico câhio voglio fare su questa cara creatura, che la morte ha rapito al nostro immenso affetto. Di lui, dei suoi quadri, riflesso del suo carattere mite, sincero, modesto, hanno parlato, plaudendo, tanti autorevoli critici, hanno scritto tanti giornali.
La veritĂ , la serenitĂ dei suoi paesaggi, la genialitĂ delle sue figure, lâassenza di ogni esagerazione, di ogni stramberia, dâogni artificio, facevano di Eugenio Prati un poeta del pennello. Ma egli non era soltanto un geniale artista: era anche unâanima eletta, ingenua come quella di un fanciullo. Pareva châegli non credesse neppure alla esistenza di gente non buona: a lui le cattive azioni parevano impossibili, tanto erano lâonestĂ e la rettitudine suaâ.

Cesare Battisti
La sua morte desta un generale sconforto e tra tutti si cita lâarticolo di âVita Trentinaâ del 16 marzo 1907 diretta da Cesare Battisti: âChi non lo conosceva a Trento? Egli era qui amato e apprezzato, non solo come artista valoroso che dava gloria alla terra nostra, ma come uomo generoso, come amico sincero di ogni buona causa. Pare a noi impossibile dover rassegnarci a non vedere piĂš per le vie di Trento, o lungo le sponde del lago di Caldonazzo, la bonaria figura del pittore che aveva prediletto il soggiorno fra le Alpi natie. Altri dei nostri grandi avrĂ conquistato maggiori allori; nessuno sâera come lui guadagnato cosĂŹ vivo lâunanime affetto. E non era che un giusto ricambio. PoichĂŠ al pari della sua vita, tutta affetto, tutta dolce e soave poesia furono le sue tele, nelle quali cosĂŹ spesso rivive e splende lâimmagine della patria nostra nelle sue gioie come nei suoi dolori, nel fulgore splendido della natura, come nellâasprezza della vitaâ.

Busto di Eugenio Prati a Caldonazzo
La concittadina Giuseppina Sassudelli (1883-1925), poetessa e aderente alla Lega Nazionale di Caldonazzo scrive unâappassionata poesia per la morte di Eugenio che è pubblicata sulla rivista âAmico delle famiglieâ il 16 marzo 1907.
IN MORTE DI EUGENIO PRATI
Poesia di Giuseppina Sassudelli
PerchĂŠ mai la natura giuliva
Si ridesta e sorride in tal di?âŚ
PerchĂŠ lâaria è si mite e tranquilla?âŚ
PerchĂŠ il sole risplende cosĂŹ?âŚ
Non piangete voi pur? Non sâoscura
Lâastro diurno? Non sibila il vento
Fra montagne, colline e pianura
Come un mesto, infinito lamento?âŚ
Io vorrei che la pioggia cadesse
In tal giorno di duolo profondo,
Io vorrei che il ciel pure piangesse
Chi fu tolto, questâoggi, dal mondo.
PoichÊ è un giorno di lutto, o Trentini,
Che con oggi sâinaugura! Il Grande
Che viveva nei quadri divini,
Non è piĂš! Via per lâaria si spande
La lugubre campana serale
Che ne segna la perdita amara.
Chi non piange in tal ora fatale?
Patrioti! Inchinate la bara !
Egli è morto! Fra breve le zolle
Chiuderanno la gelida salma;
Ei sâè spento, baciato dal sole
Che lâavvolse in fulgente ghirlanda,
E lâadusse lassĂš, nelle belle
Sfere immense, gloriose, incantate,
Al di lĂ delle amate sue stelle,
A riviver le eterne giornate.
Egli è là ⌠SÏ, è pur vero; ma intanto
Da unâambascia solenne atterrata,
Del suo funebre letto dâaccanto,
Lâarte, in lutto lo piange affannata.
Io pur chino lo sguardo smarrito,
Sopraffatta da un nuovo dolor,
Io pur piango, dolente, lâamico,
Venerato dallâimo del cor.
Châio deponga almen lâultimo vale
Dir rispetto, dâamore, aâ suoi piè;
Châio gli dica:âŚAhi! dal petto non sale,
Che un estremo, mestissimo: Ahimè!..
Caldonazzo, 8 marzo 1907
Dallâ8 al 30 giugno 1907, il Comitato presieduto dal conte Lamberto Cesarini Sforza gli dedica la prima mostra postuma presso la SocietĂ Filarmonica di Trento con lâesposizione di 55 opere.