I “SEGRETI” DEL FASCISMO – 15

a cura di Cornelio Galas

IL DELITTO MATTEOTTI/3

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

Convegno Nazionale del Partito Fascista

Discorso tenuto
da

Benito Mussolini
7 agosto 1924

  Crederei di commettere un peccato di nerissima ingratitudine se io non vi manifestassi, in termini di assoluta sincerità, il godimento intimo che questa nostra riunione mi ha procurato. [È stato veramente un Consiglio, un Congresso, una Adunata che nessun partito potrebbe tenere in questo momento in Italia.]

Io vi manifesto il mio alto plauso [altissimo] non solo per la serietà con cui avete manifestato le vostre idee ma anche per la discrezione che avete messo in una discussione che, svolgendosi alla presenza del Capo del Governo, è sempre di carattere assai delicato. Voi avete superato brillantemente questa prova tanto che oggi io deploro che il consiglio nazionale non sia stato convocato prima.

Sono tre anni che il Partito non parlava. Se voi ricordate, l’ultimo congresso fu tenuto a Roma nel 1921. Da allora giammai ebbe luogo una assemblea cosí seria, cosí imponente, e cosí feconda [utile] come quella che in questo salone si è svolta, tanto che io opino in senso favorevole circa la possibilità di tenere, in tempo non lontano, un congresso Nazionale che potrebbe svolgersi, per esempio, a Firenze dove c’è un grande teatro capace di accogliere i rappresentanti degli ottomila fasci Italiani.

Vi sono delle difficoltà di ordine pratico da superare ma la possibilità esiste ed io credo che il nuovo Direttorio Nazionale, fra gli altri suoi compiti, dovrà avere anche questo: preparare il quarto grande congresso nazionale del Partito.

    Questo consiglio è stato importante perché ha dimostrato, prima di tutto, che non esistono tendenze. Il fascismo non le ha mai avute né le avrà mai. Ognuno di noi ha il suo temperamento, ognuno ha le sue suscettibilità, ognuno ha la sua individuale psicologia ma c’è un fondo comune sul quale tutto ciò viene livellato; e siccome noi non promettiamo qualche cosa di definito per l’avvenire ma lavoriamo per il presente con tutte le nostre forze, cosí credo che il Partito Nazionale Fascista non sarà mai tediato, vessato e impoverito dalle interminabili discussioni tendenzaiole che facevano, una volta, il piccolo trastullo della non meno piccola borghesia italiana.

    Queste parole di revisionismo estremismo terribilismo ecc. sono state superate in una maniera che si può dire definitiva [brillante]. Credo che non se ne parlerà per un pezzo. Del resto era piú una esercitazione dei nostri avversari che una cosa per sé stante [il contenuto della cosa in sé]. In realtà mi pareva impossibile che l’amico Bottai che è un fascista del ’19 che è piú giovane di me che è un ardito di guerra volesse impaludare il suo intelletto nelle acque piú o meno acquitrinose di un pantano sia pure neoliberale [temperamento e il suo cervello, che lo ha, in questo piú o meno acquitrinoso pantano demo-liberale].

E mi pareva impossibile, d’altra parte, che Farinacci che a sua volta ha un temperamento ed un cervello ed è [, di] un fascista del ’19, volesse sul serio chiedere cose che non sono possibili, giacché abbiamo tutto; Governo, provincie, comuni, abbiamo le forze armate dello Stato arricchite di recente da un’altra forza armata, che è entrata di fatto e di diritto nella Costituzione [e un’altra forza che è entrata nella costituzione]. [Quindi] la seconda ondata non avrebbe che dei bersagli fuggenti ed effimeri.

Se nel 1922 ci fu un fatto rivoluzionario la rivoluzione deve continuare [oggi continua] attraverso l’opera legislativa, attraverso l’opera dei Consigli fascisti, del Gran Consiglio Fascista, del Governo Fascista.

    Si dice dai giornali, i quali pare ci tengano veramente [si prendono veramente un serio impegno] a non capire nulla delle nostre cose, che io sono prigioniero delle mie soldatesche. Prima di tutto voi non siete soldatesche. Respingo questo termine che vorrebbe essere dispregiativo. [in questi termini che vorrebbero essere dispregiativi, ed] in secondo luogo osservo che è sempre infinitamente meglio essere prigioniero delle proprie soldatesche che essere prigioniero delle soldatesche avversarie.

    Avete toccato diversi argomenti sui quali conviene anche che io mi soffermi. Avete parlato della burocrazia: bisogna distinguere la burocrazia che ordina e la burocrazia che esegue. Tante volte ho chiesto che si spostassero le pietre della vecchia burocrazia per incastrarvi le pietre della nostra. Tante volte io ho chiesto dei prefetti, dei questori da mettere in quei punti che chiamo lo scacchiere strategico della politica italiana[, ma non li ho ottenuti]. D’altra parte la burocrazia è [una cosa] necessaria ed avendo la coscienza della sua necessità è [e] assai difficile a manovrare .

Ha [ed ha] una psicologia sensibile a tutte le variazioni atmosferiche: [come certi animali sentono il tempo, cosí] la burocrazia sente anche le piú leggere trasformazioni dell’ambiente sociale che ci circonda. Quando il Governo è forte e dà anche l’impressione di esser forte, allora la burocrazia funziona, esegue, non discute. Il giorno in cui la burocrazia ha l’impressione contraria [viceversa], o presuppone, o spera un cambiamento , vi accorgerete che la [voi vedete che questa] macchina ha dei rallentamenti misteriosi [periodici quotidiani]: [vi è] qualche cosa [che] non cammina piú.

Questo è avvenuto nel giugno, nel luglio la situazione era già migliorata; nell’agosto cominceranno a convincersi [si sarà convinta] che non vi sarà nulla di nuovo e tutto funzionerà [continuerà a funzionare] diligentemente , come del resto fu fatto sin qui [e ad eseguire gli ordini]. [Dunque è necessaria e non si può pensare uno stato moderno, civile senza la burocrazia.

C’è poi una parte che ci è indifferente, perché è quella che esegue, che è nei gradi inferiori, fino agli uscieri, agli archivisti, ai copisti. C’è una burocrazia che ordina e quella veramente dovrebbe essere nostra. Non solo nella macchina dell’amministrazione dello Stato, ma in tutti gli altri campi vi è una burocrazia, perché non c’è solo una burocrazia nello Stato ma vi è anche una burocrazia nelle grandi industrie, nelle banche, nelle Società commerciali, nelle società di navigazione, ed è importante vigilare anche questa parte dello scacchiere per evitare che l’azione del Governo sia attraversata ed interrotta da questa potenza estranea.]Insisto su alcune note da voi toccate. [Avete detto anche delle cose molto importanti.]

Bisogna quando si è al potere, e non ci sono soltanto io, ma ci siete anche voi tutti, perché la responsabilità è diffusa, comune, e la portiamo tutti insieme in solido, bisogna avere l’ignoranza, se non il disprezzo dell’affare. Bisogna proprio essere estranei all’affare e non farne; rifiutarsi persino di sentirne parlare; dichiarare che alla nostra mentalità tutto ciò è estraneo e quando ci siano in ogni caso necessità di ordine nazionale che impongano di trattare simili faccende bisogna farlo [di affari bisogna farli] alla chiara luce del sole ed in termini che non ammettano sofisticazioni o speculazioni di nessun genere.

    Altra cosa osservata è questa. Non vi è dubbio che abbiamo un po’ peccato di vanità: ci siamo un po’ troppo ingingillati: troppi commendatori, troppi cavalieri; tutto ciò doveva essere fatto per gli altri. Noi dovevamo magari distribuire le commende [a milioni] ma fuori del campo fascista [e poi] dovevamo avere l’orgoglio di arrivare nudi alla meta.
    Anche per quello che riguarda la condotta [morale] privata approvo, quanto si è detto pur evitando di cadere [non cadendo] in un rigorismo quacquero, che ci condurrebbe fuori della realtà della vita. È evidente, ad esempio, che quando si occupano eminenti posti nel Partito o nel Governo, si deve tenere una condotta che non dia luogo ad osservazioni [assai seria].

    [Quando un villico che viene a Roma vede un membro del Partito o del Governo in uno dei ritrovi equivoci, se ne torna in provincia, esagera, amplifica, mette in evidente imbarazzo i nostri compagni, fa credere che a Roma non si fa altro che ciò, che tutti se la spassino benissimo e se la godano; e, siccome le paghe visibili sono modestissime, la conclusione è che si fa una vita brillante, spendereccia, inconcludente e vana perché c’è la possibilità di spillare denaro piú o meno equivoco. Ora anche su questo bisogna cambiare in certo senso il nostro stile.]

    Voi avete appena [non avete] toccato un argomento: quello piú delicato veramente: la tragedia del giugno. [Ebbene, io ho vissuto quelle giornate tutte in un diario che è impresso profondamente nel mio spirito, e] ne parlo a voi con assoluta fraternità, veramente da compagno a compagni. Il 7 giugno io pronunciai un discorso alla Camera che aveva letteralmente sgominato le opposizioni. Quale era la base niente affatto paradossale del mio discorso? O voi signori dell’opposizione, farete [fate] l’opposizione in questa linea che vi propongo [impongo], o non la farete [ma vi suiciderete; o farete una opposizione limitata al dettaglio].

    La Camera approva. C’è una distensione di nervi in tutta Italia. [Per la prima volta all’indomani, mi prendo una giornata di riposo.] Credevo che tutte le cose andassero secondo i piani e secondo le speranze e le possibilità umane. Voi credete veramente che l’emozione profonda che c’è stata, non nascondiamolo, sia dipesa soltanto dalla scomparsa di quel deputato [signore]. No. [Niente affatto.] L’emozione ha questa origine: prima di tutto il tempo, perché nessuno si aspettava ciò all’indomani di un discorso che aveva sgominato le opposizioni; il modo e soprattutto i protagonisti.

Se questi fossero stati lontani dal Governo e fossero venuti su dai bassi fondi all’infuori del Partito, l’impressione sarebbe stata minima. Viceversa gli uomini che ho dovuto colpire erano abbastanza [assai] vicini a me e su questa vicinanza si è miserevolmente speculato [questo ha determinato in tutta l’opinione pubblica questa domanda: sapeva o non sapeva? Prima di tutto osservo che è difficilissimo conoscere gli uomini. Inutile che io vi dica che quegli uomini li vedevo fugacemente e non avevo dimestichezza quotidiana con loro. C’è stato, sono di una sincerità brutale, debbo esserlo, c’è stato un raffreddamento nella simpatia diffusa del pubblico a mio riguardo.

Prima di tutto si diceva: è strano che non lo sapesse, doveva saperlo. Le opposizioni hanno lavorato in questo terreno. Hanno detto: non lo sapeva? Non è ammissibile che un capo non sappia. Poi,] quando hanno visto che io agivo, che la posizione tornava a migliorare, gli oppositori [veniva ad alterarsi] sono passati ad un altro genere di insinuazioni e hanno chiesto il [opposizione. Dicono: sapeva:] processo al regime.

    [Insomma se c’era mito, diciamo questa parola, essi come se nominassi questa bottiglia, questo ha subito una forte inclinatura. E perché non è crollato? per una ragione molto semplice: perché aveva simpatie grandissime nella enorme popolazione italiana e poi, in secondo luogo, perché il Governo aveva nel suo bilancio un attivo formidabile. Perché] se il signor Turati ed altri da trenta anni non hanno fatto che scrivere articoli nei giornali e votare [d] ordini del giorno, il fascismo ha già fatto cose che sono scritte e non si possono ignorare.

Se oggi Trieste è il grande emporio che avevamo sognato e sono smentite tutte le fosche profezie dei disfattisti, lo si deve al Governo fascista; se oggi c’è una ripresa nei traffici, se oggi c’è la sicurezza nelle officine, se oggi si creano dei nuovi istituti, e le provincie e le città si allargano, se c’è una aereonautica che quando io la presi aveva ottancinque apparecchi ed ora ne ha millenovecento, se c’è un esercito non perché stia nelle caserme, ma perché è l’anima guerriera della Nazione, se nelle Colonie vi è la sicurezza e se abbiamo potuto aumentare di novantamila chilometri i nostri possessi oltre il Giuba [in Somalia], se abbiamo potuto ottenere e fare la politica di diciassette trattati di commercio, questi sono diciassette fatti, non ordini del giorno: questo è un enorme attivo che ha sostenuto il Governo ed ha reso vano lo sforzo delle opposizioni piú o meno coalizzate.

    Voi credete realmente che si tratti di normalizzazione, di libertà di stampa, di Milizia? No, no. Le opposizioni non sono sul Monte Sacro o sull’Aventino per questo. Non mistifichiamo[ci]. Esse sono sull’Aventino e vi restano perché hanno una speranza: [in quantoché] credono di potermi agganciare.

Se domani questo tentativo riuscirà vano, come riuscirà, allora vedrete questa gente scendere in file disordinate dal loro rifugio [che scende anche in file disordinate dal colle dell’Aventino]. Non sperano altro. Essi sperano [vogliono] che attraverso l’istruttoria arrivi qualche cosa per cui sia possibile mettere in giuoco il Capo del Governo [, e sperare di poter determinare una situazione politica delicatissima in cui anche molti milioni d’italiani siano profondamente turbati].

Non dico nulla di inedito [straordinario], se rivelo il piano strategico delle opposizioni che è quello di isolare il fascismo nel paese, isolarlo moralmente, isolarlo materialmente. Si è giunti fino a proporne l’isolamento fisico: un giornale ha detto perfino che bisognava evitare i fascisti come se fossero dei lebbrosi. Noi dobbiamo rispondere a questo piano tattico e strategico dei nostri avversari cercando di uscire da questo isolamento nel paese cioè facendo dell’azione [una lotta politica] amministrativa e [facendo] del sano sindacalismo che ci avvicini alle masse.

    Secondo tempo di questo piano: isolamento del fascismo nel Parlamento con la disintegrazione della maggioranza parlamentare. Perché oggi qualche giornale [il «Giornale d’Italia», l’organo del liberalismo italiano] prende sotto le sue ali cartacee i combattenti i mutilati? Perché li esalta? perché li sprona? perché li schiera in un certo senso moralmente contro il fascismo? Perché sebbene la maggior parte dei liberali è fedele al Governo nazionale ed alcuni tra i migliori di essi gli danno anzi la loro salda e sincera collaborazione, si [Perché] spera che sui [su] trecentocinquanta deputati del listone dei demoliberali [i cinquanta liberali] ad un certo momento, facciano da sé e [, che] siano seguiti da qualche mutilato e combattente indeciso [dagli altri trenta o quaranta mutilati indecisi], anche di parte fascista, in modo che a un certo momento si possa dire: «Voi Governo non avete piú la maggioranza. Chiedete [Arrischiate] un voto di fiducia».

Allora [i casi sono due o] il Governo ha un voto di fiducia e [allora] ritorna [ri]consacrato e non se ne parla piú. Ma se non ci fosse questo voto e se avessimo [avvenisse] questa defezione allora sarebbe subito pronta una successione che non sarebbe nel primo tempo una successione di sinistra ma di destra con contorno [elementi] di combattenti e di mutilati: degnissime [bellissime] figure che sarebbero magari disposte a darmi un discreto buonservito. [pronte a congedarmi sotto archi di trionfo di fiori, che direbbero: sí, è vero ha fatto molte cose, ma mandiamolo in villeggiatura].

    [E] se il Partito fascista reagisce davanti a questo piano con le sue masse fasciste essi penserebbero – frase testuale – che poche giornate di sangue basterebbero per domare le provincie [per rendere sicuro questo governo]. E se questo Governo non riuscisse si farebbe un Governo militare che dovrebbe fiaccare il fascismo ed aprire la strada a un Governo demoliberale. Tutto come prima, anzi peggio di prima [costituzionale liberale democratico con tutti i sacramenti nella costituzione].

    Questo è il piano. Ne consegue che [E allora] se per evitare lo scompaginamento [l’isolamento] nel Paese dobbiamo andare verso le masse che lavorano, per evitare l’isolamento nel Parlamento dobbiamo cominciare a contarci fra di noi. E se anche un gruppo di [i cinquanta] deputati demo-liberali, e di [se i] combattenti passasse[ro] dall’altra parte non si potrebbe fare un Governo perché vi sarebbero sempre duecentocinquanta fascisti che voterebbero contro. Il [Di modo che questo] Governo dovrebbe ricercare allora l’appoggio della sinistra ossia di don Sturzo e di Turati e non gli basterebbe.

Quanto al paese [Bisogna pensare a questa possibilità e bisogna prepararvisi benché io sia convinto che non esista questo pericolo perché] si può schiacciare un focolare di rivolta ma non si possono schiacciare settantacinque provincie dove il fascismo terrebbe assolutamente le piazze [che con la forza siano sulla piazza a sostenere il Governo].

    [Ad ogni modo] voi vedete che la battaglia è [difficile e] delicata ed esige [e ci vuole] una strategia assai fine. Bisogna tenere conto soprattutto dello [cloroformizzare, permettetemi questo termine medico, le opposizioni e anche il popolo Italiano. Lo] stato d’animo del popolo italiano , che ha un profondo bisogno di pace. [è questo: fate tutto ma fatecelo sapere dopo.

Non pensateci tutti i giorni dicendo che volete fare i plotoni di esecuzione. Questo ci scoccia. Una mattina quando ci svegliamo diteci di aver fatto questo e saremo contenti, ma non uno stillicidio continuo. Questo ci allontana le simpatie. In fondo dovete rendervi conto di questo profondo bisogno di pace che non è affatto vigliaccheria ma che è una cosa naturale. Si tratta di gente che ha avuto prima il neutralismo poi la guerra poi il ’1920/21 anni di bolscevismo, poi la rivoluzione, poi la seconda ondata.

Ma la gente dice: basta.] Non bisogna ferire questa sensibilità psicologica delle popolazioni perché altro [diverso] è muoversi in un ambiente simpatico dove le popolazioni vi accolgono, vi incitano [sorridono] e altro è muoversi in un ambiente ostile[, e allora la battaglia sarebbe molto piú difficile].

    [Che cosa avviene? prima di tutto un esercito ha la sua strategia, ma a un dato momento questa strategia viene condizionata dalla strategia dell’esercito avversario. Una battaglia è fra due eserciti. In un momento prendete voi l’iniziativa dell’operazioni, poi subite l’iniziativa dell’avversario, poi vi fermate, poi la riprendete. Bisogna stabilire questo: che nel ’22 si è compiuto un fatto rivoluzionario e un’insurrezione vittoriosa non una rivoluzione.

La rivoluzione viene dopo. Che cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo sbarazzato il terreno noi abbiamo fatto quello che avrebbero fatto altri ministri ma l’abbiamo fatto noi. Gli altri non l’osavano: l’abbiamo fatto noi perché abbiamo coraggio. Questo non basta per giustificare una rivoluzione. Noi siamo stati intelligenti. Naturalmente può essere necessario cambiare qualche cosa. Ecco allora dove entriamo nel campo politico della rivoluzione. In fondo io vorrei spiegare storicamente l’illegalismo che io ho represso e reprimo.

    Che cosa abbiamo fatto? Discutendo con l’amico Grandi e con altri ho detto loro: abbiamo preso un giovane robusto e gagliardo, pieno di vita e di vigore: aveva venti anni e lo abbiamo messo su un lettino piccolo su un letto di Procuste e gli abbiamo detto: stai lí.
    Da una parte c’era la Corona e questo ci dava un certo imbarazzo, dall’altra parte stavano le opposizioni e ci si diceva: non toccate le opposizioni, perché andate fuori della legge.

E allora questo gigante giovinetto soffriva molto e siccome non poteva andare a destra dava qualche calcio, qualche spinta verso le opposizioni le quali invece di rispettarlo, invece di compiangerlo e di pensare alla sua sorte ingrata lo aduggiavano, lo vessavano e lo insultavano e allora era naturale che questo giovane non potesse sempre rimanere là immobile come un paralitico di sessanta anni. Quindi la necessità di allargare il letto, quindi la necessità di dare istituti al nostro ordinamento in modo che la rivoluzione proceda verso la sistemazione della propria creatura.

    Combattere l’opposizione energicamente, strenuamente, non vuol dire disconoscere tutte le energie che sono nel popolo italiano. Aveva ragione Farinacci che nella organizzazione delle nostre provincie sono necessari anche quelli che non hanno la tessera del nostro partito.] A questo si riferiva l’ordine del giorno in cui si parlava di una accettazione leale del fascismo e del suo avvento insurrezionale. Questo ordine del giorno è ancora un ramoscello di olivo.

In fondo noi diciamo a questi pessimi italiani: perché volere negare la realtà, perché non rendervi conto che nell’ottobre c’è stato un tracollo di un determinato regime, e perché non accettare il fatto insurrezionale che non si può negare alla luce del sole e della storia? E perché allora non accettare la collaborazione sopra questo terreno di leale accettazione del fatto compiuto anche perché è irrevocabile? [E accettare la disciplina e la concordia nazionale sulla base che mette insieme la forza del pensiero e della produzione?] Non credo che lo faranno; non mi faccio illusioni: io sono pessimista circa lo sviluppo degli avvenimenti. [Sarò pessimista fino al giorno in cui le opposizioni avranno perduto la speranza di colpirmi. Quel giorno sarà il loro tracollo.]

    Noi dobbiamo prevedere che un giorno vi sarà un nuovo tentativo di irruzione contro il fascismo e siccome lo vediamo, lo possiamo fronteggiare. Se il fattaccio del giugno ci ha sorpreso, quello che potrebbe avvenire in agosto o settembre non ci sorprenderebbe piú. È scontato. [Poiché se voi pensate a quello che è successo in Italia, io credo che vi saranno moltissimi italiani che si vergogneranno fra qualche tempo di ciò. Perché il contegno della stampa, dei giornali filo fascisti, soprattutto, è stato semplicemente indegno.

Non si era mai veduto uno spettacolo in cui un popolo viene mistificato dalla mattina alla sera facendo fotografie di gente che dovrebbe essere in fondo al Tevere, inventando delle medaglie d’argento, stampando notizie la mattina per essere smentite la sera, cercando insomma di alimentare la emotività delle popolazioni le quali però cominciano ad essere stanche, perché non si può, né è umano, né è italiano di inchiodare tutta la storia di una Nazione ad un episodio, sia pure deplorevole.

Cosí a un certo momento vi sarà un rigurgito, la gente dirà: vi è una giustizia, vi sarà un processo, ma non ammettiamo che la storia di quaranta milioni di abitanti sia legata a questo episodio.
    Del resto la migliore strategia è quella di rimanere al proprio posto. lo ho avuto in quei giorni il senso dell’isolamento, perché i saloni di palazzo Chigi, cosí frequentati negli altri giorni, erano deserti come una raffica, una bufera vi fosse passata. C’era qualcuno che pretendeva che io facessi un gesto di forza in quei giorni. No signori, allora bisognava tacere.

Si può picchiare su un popolo, lo si può spremere con le tassazioni, gli si può imporre una dura disciplina, ma non si può andare incontro a certi sentimenti profondamente radicati. Ebbene che cosa bisogna ora dire? Bisogna dire che] Il regime non si processa quindi. Se le opposizioni pensano di fare il processo al regime mettendolo in catena, come si legge [dice] nei loro giornali, tutti gli episodi [quelli accusati] di illegalismo [per farli sboccare in un epicedio d’illegalismo, questo] dichiariamo che ciò non è possibile.

Si processerebbe la marcia su Roma [Questo sarebbe il suicidio, la castrazione sarebbe la nostra auto eliminazione dal terreno politico e dalla storia. Se vi sono dei colpevoli saranno puniti. Ogni regime ha di questi episodi. Questi signori democratici e liberali dovrebbero essere puniti in questo modo: dovrebbero rileggere molte volte, come un pensum, le pagine del terrore della rivoluzione francese. Un terrore tale che rileggendo anche oggi le pagine del Taine fa rabbrividire: a Marsiglia si facevano i matrimoni repubblicani, mettendo in un sacco un frate e una monaca e poi gettandoli in mare; si bruciavano interi villaggi; a Parigi per quattro mesi la vedova ha ghigliottinato venti o cinquanta teste al giorno tra cui di bambine e di donne. E non parliamo poi della rivoluzione russa ove il massacro della famiglia dello Zar compiuta in una cantina – su sedici persone almeno quattordici erano innocenti – disonora il genere umano. Tutte le rivoluzioni hanno di questi episodi perché le rivoluzioni non sono fatte su misura.

    Il nostro compito è oggi quello di sceverare in questa fiumana, quello di incanalare questo fiume e di renderlo produttivo e di far si che non perda le sue acque nei fiumi sottostanti. Ma se domani si volesse fare il processo al regime, dire: voi non avete fatto niente finora, ebbene quel giorno si dovrebbe vedere in tutte le piazze d’Italia lo stato d’insurrezione di tutto il fascismo italiano.]

    Questo Consiglio Nazionale è stato importante prima di tutto perché ha rivelato molta gente, poi perché ci ha fatto conoscere. Non ci si conosceva: ognuno stava nella sua provincia e lí pareva finire [finiva] il mondo.


    Bisogna mettere i fascisti in contatto[, non solo nella loro attività camionale – per cui i fascisti di Sicilia vanno in camion a Torino con un’attività simpatica – ma], far sí che la loro [questa] attività sia anche un’attività di dottrina, un’attività spirituale e di pensiero. Questo congresso non ha definito delle dottrine nel senso teorico della parola, ma ha gettato una serie di semi fecondissimi che ognuno di noi elaborerà [, se, molto probabilmente in un secondo congresso nazionale daremo veste definitiva a certi abbozzi dottrinali in tema di stato, di nazione, di sindacalismo]. In questo congresso si sono rivelati degli oratori e soprattutto dei pensatori fra quei fascisti, che, secondo i nostri avversari sarebbero tutti degli analfabeti.

    Il giuoco dell’opposizione è di negare ogni forza di pensiero ai fascisti. Siccome durante cinque anni abbiamo dovuto prodigarci sempre in un’attività di ordine militare sia pure squadrista, cosí salvo dei tentativi che sono avvenuti in questi ultimi tempi attraverso delle riviste, non ci siamo mai abbandonati veramente alla trattazione completa di determinati problemi. Cosí accade che i nostri avversari ci trattino dall’alto al basso.

    Non importa che nel fascismo ci siano degli scienziati come Marconi, dei filosofi come Gentile, dei professori delle migliori facoltà. Ora, se i nostri avversari fossero stati presenti alla nostra riunione si sarebbero convinti che il fascismo non è soltanto azione, è anche pensiero, anzi dovendo oggi cambiare il suo fronte di battaglia, bisogna raffinare sempre piú la nostra capacità di pensiero, la nostra capacità polemica, ed avere non soltanto l’attacco irruento ma anche l’ironia ed il disprezzo come accade talvolta nei miei discorsi [in cui prima di combattere l’avversario, lo disprezzo].

    [Bisogna scendere anche su questo terreno e dire ai nostri avversari: se voi siete intelligenti noi lo siamo piú di voi, se voi ci coprite di ridicolo, non ci colpite perché voi siete dieci volte piú ridicoli di noi. Se voi ci trattate d’ironia, noi vi colpiamo col nostro disprezzo. Tutto ciò non può essere che un affinamento delle nostre qualità intellettive.]

    Poi questo congresso è importante perché ha consolidato [ristabilita] l’unità del Partito [– che non aveva mai corso nessun pericolo, fra parentesi – ma l’ha rinforzata]. [Noi] abbiamo discusso per quattro giorni in una maniera fraterna [mirabile]. [Voi avete sopportato tutti i discorsi senza dar mai segni di impazienza: avete toccato tutti gli argomenti con la delicatezza necessaria.]

Ci siamo sentiti veramente come fratelli, non come capi e gregari, ma come fratelli che venivano da tutte le parti d’Italia, e che venivano a stringere i vincoli di un indistruttibile cameratismo [della nostra indistruttibile fraternità]. Ciò è importante perché ha dimostrato che il fascismo non si può distruggere [perché è una forza invincibile]. Neppure un pazzo frenetico può [i pazzi possono] pensare di cancellare il fascismo dalla storia italiana.

    Conclusione: bisogna tenersi pronti a tutte le necessità. Noi non possiamo inibirci nessuna delle possibilità future. Infine se i nostri avversari sono animati da un vero amor di patria essi trovano in questo ordine del giorno intransigente la possibilità di demordere dal loro atteggiamento; se viceversa i nostri avversari vogliono mettere la questione sul problema «forza», agiremo di conseguenza [della forza, ossia che vinca chi è il piú forte, allora non possiamo rifiutarci a questa necessità che è una questione di vita e di morte, di essere o non essere].

    Non rifiutiamo a nessuna delle possibilità future, prepariamoci cerchiamo di evitare l’allarmismo nelle popolazioni, cerchiamo di presentarci sotto il nostro aspetto guerriero, ma umano [non feroce, ma soltanto capace di quella necessaria crudeltà, la crudeltà del chirurgo]. Non vessiamo i nervi già alterati di questa popolazione [: in fondo il popolo farà quello che noi vorremo che faccia. Domani, mille individui ben decisi tengono Roma, domani, se si agisce sul serio, con la decisione di coloro che hanno i ponti bruciati dietro di sé e devono, per forza, andare avanti, le popolazioni si ritirerebbero perché in fondo, l’umanità è ancora quella dell’oste di Alessandro Manzoni: che dice: «non me ne occupo, ognuno ha i propri affari personali».

Vi sono uomini valentissimi che lavorano che sono utili al consorzio umano, ma che cercano di rendere sempre meno possibile il rischio della loro pelle]. Cosicché se domani il fascismo sarà armato di tutto il suo ingegno, di tutta la sua forza morale e spirituale, se potrà dire: noi teniamo la Nazione non per nostro profitto, ma perché pensiamo che nessun altro potrebbe fare quello che noi facciamo, allora il fascismo sarà veramente invincibile.

[Signori, i mezzi di Governo sono in relazione agli scopi che le elezioni si prefiggono. Perché il liberalismo era utile nel secolo scorso? Perché si trattava di scacciare lo straniero. Oggi la Nazione non tende piú all’indipendenza dello straniero, oggi tende alla potenza e la potenza impone una necessaria disciplina.

    In che cosa consiste questa necessaria disciplina? Nel reagire contro l’anarcoidismo liberale. Noi diciamo al padrone: «Tu vorresti sfruttare l’operaio fino all’ultimo» e noi rispondiamo «No»: noi diciamo all’operaio: «Tu vorresti scioperare fino alle estreme conseguenze?» noi rispondiamo «No». Perché allo scatenamento di questi appetiti individuali noi opponiamo la continuazione di tutti gli sforzi a un determinato obbiettivo comune.

Questa è la base fondamentale della nostra dottrina, che deve condurre a un secolo di distanza dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo, alla dichiarazione dei diritti dello Stato, che non è il Governo.
    Il Governo è l’espressione tangibile, materiale dello Stato; lo Stato è l’espressione giuridica di un determinato aggregato nazionale. Noi eravamo popolazione: oggi siamo diventati popolo: adesso siamo Nazione. E vogliamo diventare sempre piú.]

    Uno dei grandi meriti del fascismo è di avere abolito le distanze tra regione e regione. Il Nord non deve chiedere troppo, perché anche il Sud deve fare i suoi progressi. Noi vogliamo unificare la Nazione nello Stato sovrano, che è sopra a tutti e può essere contro tutti, perché rappresenta la continuità morale della storia. Senza lo Stato non c’è Nazione, ci sono soltanto degli aggregati umani, suscettibili di tutte le disintegrazioni che la storia può infliggere loro.

    Voi tornerete ai vostri paesi, alle vostre città, portando l’impressione di questa nostra veramente mirabile adunata: essa segna una tappa, essa costituisce una data gloriosa nella storia di questo fascismo, che ha cinque anni di vita. Credo, in verità, che nella storia nessuna Nazione del mondo abbia qualche cosa che rassimiglia a questo fenomeno: un piccolo partito, poche decine di individui che a poco a poco ingrossano come una valanga fatale [, che scende dall’alto], poi diventano masse, poi osano assumere il potere.

Ma il giorno in cui hanno assunto il potere – e voi ne fate parte – assumono una responsabilità tremenda di governare un popolo di quaranta milioni di abitanti [, e non secondo le norme antiche dei Governi demo-liberali].
    [Se governare significa essere aderenti alla vita nazionale, ascoltare tutti e sentire i problemi non come pratiche burocratiche, ma come cosa palpitante, soffrire pei ritardi che questi problemi hanno nella loro soluzione, fare del materiale umano qualche cosa che crea la storia, quando si governa cosí, si governa in modo diverso dagli altri. Ebbene questo è il nostro stile di governo, il nostro sistema di governo.

    Io credo che governando il fascismo come governa, fra cinque o dieci anni l’Italia sarà una delle prime Nazioni del mondo. Abbiamo un materiale umano esuberante, abbiamo delle possibilità che non sono state ancora sfruttate, abbiamo una posizione geografica formidabile, perché ci pone a cavaliere del Mediterraneo, fra l’occidente e l’oriente: abbiamo l’industria attrezzata potentemente, delle maestranze che possono lavorare, forse ancora meglio delle maestranze e cantieri americani e inglesi, abbiamo un popolo laborioso e probo nel complesso, i mali della civiltà non ci hanno ancora toccato profondamente; bisogna evitare che questi mali ci tocchino: attenzione all’alcolismo e alle droghe, attenzione a tutte queste esportazioni ignobili e miserabili, che indeboliscono la razza.]

    Se noi concentreremo tutte le nostre energie, se terremo alto nel nostro spirito il senso della [, la] responsabilità che ci siamo assunta conquistando [assumendo] il potere, cioè [portando su le nostre spalle] il destino presente e futuro delle generazioni italiane non falliremo la nostra meta [– cosa che ci fa tremare le vene e i polsi – ebbene quell’impegno che esce da questa assemblea, quell’impegno che voi portate a tutte le vostre città, ai fascisti che attendono, è piú che un impegno, è un giuramento].

   Non vogliamo piú che si dica che siamo pronti ad uccidere ed a morire; ebbene diremo: siamo soltanto pronti a morire, pur di fare grande l’Italia.



NB: Il testo è quello del discorso realmente pronunciato. Tra parentesi quadre sono indicati i passi espunti dal testo reso pubblico.

 

Il discorso di Mussolini
sul delitto Matteotti

di Enzo Antonio Cicchino


Nella seconda metà del ’24, assassinato Matteotti, per abbattere il governo Mussolini sarebbe occorso un accordo il più politico e vasto possibile, ma le opposizioni, decidendo di continuare la loro secessione parlamentare di protesta sull’Aventino, non solo precludono alla Corona di sbloccare la crisi mandando via Mussolini ma impediscono anche agli uomini più autorevoli Giolitti, Salandra, Orlando, Tittoni e agli stessi nazionalisti di prendere valida iniziativa.

Globalmente quasi tutti puntano su un governo Giolitti, solo che è Giolitti a non essere d’accordo con i colleghi che hanno voluto l’Aventino, ritenendolo un grossolano errore.

Giovanni Giolitti

Se quei deputati fossero rimasti in aula a compiere il loro ufficio ne sarebbe conseguita certo una atmosfera di violenza ma gli effetti sarebbero stati tali che sicuro il Re si sarebbe dovuto convincere della crisi e provvedere con un nuovo governo, invece colpa della secessione Aventina questo non avviene.

Che tutto proceda strano lo testimonia l’ironia con cui Giolitti, interpellato all’inizio dell’aula da parte dei deputati ha detto: “L’onorevole Mussolini ha tutte le fortune politiche: a me l’opposizione ha sempre dato fastidi e travagli, con lui se ne va e gli lascia libero il campo”.

Quanto avviene è soprattutto effetto di miopia politica! Altrimenti gli aventiniani si sarebbero accorti che molti deputati del fascismo moderato si stavano offrendo per sostenere il possibile Ministero Giolitti.

L’assenza delle opposizione dà così spazio agli estremisti, ed in particolare Farinacci, per convincere Mussolini a quella svolta liberticida che trova la forma ufficiale nel discorso del 3 gennaio 1925.

Giacomo Suardo

Si aggiunga però conto di un importante antefatto: il due Gennaio 1925 – il Duce – dopo essersi già recato al mattino dal Re per la firma, verso le 6 del pomeriggio invia a S. M. per mano di Suardo una lettera che contiene il decreto di scioglimento della Camera, chiedendo a sua Maestà la firma reale.

Vittorio Emanuele fa delle obbiezioni di tipo costituzionale, è molto perplesso quanto all’aderire a simile richiesta. Ma poi, contestatogli da Suardo il fatto che senza uno scioglimento della Camera dei deputati la situazione sarebbe potuta precipitare in atti di violenza e di prevaricazione da parte dei fascisti più reazionari con effetti incontrollabili, – il Re – dopo aver titubato un po’ dice «Dica al presidente che io firmo il decreto, ma che voglio consegnarlo a Lui personalmente e che perciò lo attendo qui subito per concertare con Lui il modo col quale rendere nota al popolo questa novità».

Vittorio Emanuele non firma il decreto in bianco, senza condizioni, deve aver fatto intendere a Mussolini che, non appena si sarebbe concluso il processo per l’uccisione di Matteotti, e solo nel caso lui ottenga la fiducia della Camera e questa approvi la nuova legge elettorale, gli avrebbe permesso di sciogliere anticipatamente le Camere!

La condizione del Re è certo molto meno di quello che Mussolini avrebbe voluto; e’ però abbastanza per arrischiare il giuoco grosso, per prendere cioè la Camera di petto e mettere Vittorio Emanuele di fronte al fatto compiuto. Con questa premessa, nel primo pomeriggio del 3 gennaio, Mussolini affronta la Camera.

Non appena Mussolini chiuso il discorso, la seduta è sospesa; poi chiede che le sedute sia rinviate e la Camera «riconvocata a domicilio».

E intanto quanto Mussolini chiede è approvato. Per la prima volta, dopo la marcia su Roma, i fascisti acquistano così piena consapevolezza della loro forza…

Alessandro Casati

Fatto strano è che i capi dell’Aventino pare non se ne siano resi conto. Non abbiano compreso che lo Stato liberale a cui essi si richiamano stia entrando nell’ultima fase della sua crisi. Unico fatto di una certa qualità sono le dimissioni del senatore Alessandro Casati, il prestigioso ex presidente del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione.

Dopo i provvedimenti presi nella notte tra il 3 e il 4 gennaio, il fatto politico più importante è la discussione, prima alla Camera poi al Senato, della nuova legge elettorale basata sul ritorno al sistema uninominale. Essa è approvata a Montecitorio il 16-17 gennaio, con 307 voti a favore e 33 contrari.

Parlano contro Orlando, Riccio, Giolitti e Rossini, che si fanno portavoce di un ordine del giorno controfirmato da oltre trenta deputati liberali, democratici ed ex combattenti, con il quale si fa presente che nella attuale situazione del paese non è affatto possibile tenere libere elezioni!

Giolitti interviene alla Camera dei Deputati

Nel complesso tutto si svolge secondo le regole. L’unica sorpresa venne dai fascisti che propongono un emendamento con cui si chiede l’adozione del voto plurimo, la cui introduzione è stata richiesta dalla maggioranza e accolto, il 7 gennaio, dal Consiglio dei Ministri.

Intanto il 14 gennaio, la Camera approva, in blocco, ben 23 decreti legge, recepiti poi anche dal Senato ai primi di aprile.
Ad oltre un mese dal discorso del 3 gennaio tuttavia il malcontento dei fascisti contro la lentezza «passiva» del governo diventa sempre meno controllabile, con forti critiche anche ai nazionalisti, da sempre scesi in campo accanto ai fascisti. Si comincia a parlare di nuovi contatti tra gli esponenti piú estremi perché diano una svolta. Intanto rialzano il capo anche le squadre dei manganellatori.

Tommaso Tittoni

Per molti aspetti sino al novembre ’25, la situazione politica rimane abbastanza confusa. Le opposizioni, sia quella aventiniana sia quella in aula, pur essendo entrambe in gravi difficoltà, continuano a costituire per Mussolini un problema tutt’altro che trascurabile. Vittorio Emanuele torna subito a defilarsi – ambiguo – dietro il suo pseudocostituzionalismo e sino a giugno del ’25 ha tenuto rapporti anche con l’opposizione aventiniana.

Il trapasso dal vecchio Stato liberale al Regime è tutt’altro che semplice e si realizza in un arco di tempo di da due a quattro anni.


°°°°°°

Roma, Camera dei Deputati 3 gennaio 1925

Signori!
Il discorso che sto per pronunziare dinanzi a voi forse non potrà essere, a rigor di termini, classificato come un discorso parlamentare. Può darsi che alla fine qualcuno di voi trovi che questo discorso si riallaccia, sia pure attraverso il varco del tempo trascorso, a quello che io pronunciai in questa stessa Aula il 16 novembre. Un discorso di siffatto genere può condurre, ma può anche non condurre ad un voto politico.

Si sappia ad ogni modo che io non cerco questo voto politico. Non lo desidero: ne ho avuti troppi. L’articolo 47 dello Statuto dice:
“La Camera dei deputati ha il diritto di accusare i ministri del re e di tradurli dinanzi all’Alta corte di giustizia”.

Domando formalmente se in questa Camera, o fuori di questa Camera, c’è qualcuno che si voglia valere dell’articolo 47. Il mio discorso sarà quindi chiarissimo e tale da determinare una chiarificazione assoluta. Voi intendete che dopo aver lungamente camminato insieme con dei compagni di viaggio, ai quali del resto andrebbe sempre la nostra gratitudine per quello che hanno fatto, è necessaria una sosta per vedere se la stessa strada con gli stessi compagni può essere ancora percorsa nell’avvenire.

Sono io, o signori, che levo in quest’Aula l’accusa contro me stesso. Si è detto che io avrei fondato una Ceka. Dove? Quando? In qual modo? Nessuno potrebbe dirlo! Veramente c’è stata una Ceka in Russia, che ha giustiziato senza processo, dalle centocinquanta alle centosessantamila persone, secondo statistiche quasi ufficiali. C’è stata una Ceka in Russia, che ha esercitato il terrore sistematicamente su tutta la classe borghese e sui membri singoli della borghesia. Una Ceka, che diceva di essere la rossa spada della rivoluzione.

Ma la Ceka italiana non è mai esistita. Nessuno mi ha negato fino ad oggi queste tre qualità: una discreta intelligenza, molto coraggio e un sovrano disprezzo del vile denaro. Se io avessi fondato una Ceka, l’avrei fondata seguendo i criteri che ho sempre posto a presidio di quella violenza che non può essere espulsa dalla storia. Ho sempre detto, e qui lo ricordano quelli che mi hanno seguito in questi cinque anni di dura battaglia, che la violenza, per essere risolutiva, deve essere chirurgica, intelligente, cavalleresca.

Ora i gesti di questa sedicente Ceka sono stati sempre inintelligenti, incomposti, stupidi. Ma potete proprio pensare che nel giorno successivo a quello del Santo Natale, giorno nel quale tutti gli spiriti sono portati alle immagini pietose e buone, io potessi ordinare un’aggressione alle l0 del mattino in via Francesco Crispi, a Roma, dopo il mio discorso di Monterotondo, che è stato f orse il discorso più pacificatore che io abbia pronunziato in due anni di Governo? Risparmiatemi di pensarmi così cretino.

E avrei ordito con la stessa intelligenza le aggressioni minori di Misuri e di Forni? Voi ricordate certamente il discorso del I° giugno. Vi è forse facile ritornare a quella settimana di accese passioni politiche, quando in questa Aula la minoranza e la maggioranza si scontravano quotidianamente, tantochè qualcuno disperava di riuscire a stabilire i termini necessari di una convivenza politica e civile fra le due opposte parti della Camera.

Discorsi irritanti da una parte e dall’altra. Finalmente, il 6 giugno, l’onorevole Delcroix squarciò, col suo discorso lirico, pieno di vita e forte di passione, l’atmosfera carica, temporalesca.

All’indomani, io pronuncio un discorso che rischiara totalmente l’atmosfera. Dico alle opposizioni: riconosco il vostro diritto ideale ed anche il vostro diritto contingente; voi potete sorpassare il fascismo come esperienza storica; voi potete mettere sul terreno della critica immediata tutti i provvedimenti del Governo fascista.

Ricordo e ho ancora ai miei occhi la visione di questa parte della Camera, dove tutti intenti sentivano che in quel momento avevo detto profonde parole di vita e avevo stabilito i termini di quella necessaria convivenza senza la quale non è possibile assemblea politica di sorta.

E come potevo, dopo un successo, e lasciatemelo dire senza falsi pudori e ridicole modestie, dopo un successo così clamoroso, che tutta la Camera ha ammesso, comprese le opposizioni, per cui la Camera si aperse il mercoledì successivo in un’atmosfera idilliaca, da salotto quasi, come potevo pensare, senza essere colpito da morbosa follia, non dico solo di far commettere un delitto, ma nemmeno il più tenue, il più ridicolo sfregio a quell’avversario che io stimavo perché aveva una certa crarerie, un certo coraggio, che rassomigliavano qualche volta al mio coraggio e alla mia ostinatezza nel sostenere le tesi?

Che cosa dovevo fare? Dei cervellini di grillo pretendevano da me in quella occasione gesti di cinismo, che io non sentivo di fare perché repugnavano al profondo della mia coscienza. Oppure dei gesti di forza? Di quale forza? Contro chi? Per quale scopo?

Quando io penso a questi signori, mi ricordo degli strateghi che durante la guerra, mentre noi mangiavamo in trincea, facevano la strategia con gli spillini sulla carta geografica. Ma quando poi si tratta di casi al concreto, al posto di comando e di responsabilità si vedono le cose sotto un altro raggio e sotto un aspetto diverso.

Eppure non mi erano mancate occasioni di dare prova della mia energia. Non sono ancora stato inferiore agli eventi. Ho liquidato in dodici ore una rivolta di Guardie regie, ho liquidato in pochi giorni una insidiosa sedizione, in quarantott’ore ho condotto una divisione di fanteria e mezza flotta a Corfù.

Questi gesti di energia, e quest’ultimo, che stupiva persino uno dei più grandi generali di una nazione amica, stanno a dimostrare che non è l’energia che fa difetto al mio spirito.
Pena di morte? Ma qui si scherza, signori. Prima di tutto, bisognerà introdurla nel Codice penale, la pena di morte; e poi, comunque, la pena di morte non può essere la rappresaglia di un Governo. Deve essere applicata dopo un giudizio regolare, anzi regolarissimo, quando si tratta della vita di un cittadino!

Fu alla fine di quel mese, di quel mese che è segnato profondamente nella mia vita, che io dissi: “voglio che ci sia la pace per il popolo italiano”; e volevo stabilire la normalità della vita politica.

Ma come si è risposto a questo mio principio? Prima di tutto, con la secessione dell’Aventino, secessione anticostituzionale, nettamente rivoluzionaria. Poi con una campagna giornalistica durata nei mesi di giugno, luglio, agosto, campagna immonda e miserabile che ci ha disonorato per tre mesi. Le più fantastiche, le più raccapriccianti, le più macabre menzogne sono state affermate diffusamente su tutti i giornali! C’era veramente un accesso di necrofilia! Si facevano inquisizioni anche di quel che succede sotto terra: si inventava, si sapeva di mentire, ma si mentiva.

E io sono stato tranquillo, calmo, in mezzo a questa bufera, che sarà ricordata da coloro che verranno dopo di noi con un senso di intima vergogna. E intanto c’è un risultato di questa campagna! Il giorno 11 settembre qualcuno vuol vendicare l’ucciso e spara su uno dei nostri migliori, che morì povero. Aveva sessanta lire in tasca.

Tuttavia io continuo nel mio sforzo di normalizzazione e di normalità. Reprimo l’ illegalismo. Non è menzogna. Non è menzogna il fatto che nelle carceri ci sono ancor oggi centinaia di fascisti! Non è menzogna il fatto che si sia riaperto il Parlamento regolarmente alla data fissata e si siano discussi non meno regolarmente tutti i bilanci, non è menzogna il giuramento della Milizia, e non è menzogna la nomina di generali per tutti i comandi di Zona.

Finalmente viene dinanzi a noi una questione che ci appassionava: la domanda di autorizzazione a procedere con le conseguenti dimissioni dell’onorevole Giunta. La Camera scatta; io comprendo il senso di questa rivolta; pure, dopo quarantott’ore, io piego ancora una volta, giovandomi del mio prestigio, del mio ascendente, piego questa Assemblea riottosa e riluttante e dico: siano accettate le dimissioni. Si accettano.

Non basta ancora; compio un ultimo gesto normalizzatore: il progetto della riforma elettorale. A tutto questo, come si risponde? Si. risponde con una accentuazione della campagna. Si dice: il fascismo è un’orda di barbari accampati nella nazione; è un movimento di banditi e di predoni! Si inscena la questione morale, e noi conosciamo la triste storia delle questioni morali in Italia.

Ma poi, o signori, quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arco di Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto.

Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!

Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi.

In questi ultimi giorni non solo i fascisti, ma molti cittadini si domandavano: c’è un Governo? Ci sono degli uomini o ci sono dei fantocci? Questi uomini hanno una dignità come uomini? E ne hanno una anche come Governo? Io ho voluto deliberatamente che le cose giungessero a quel determinato punto estremo, e, ricco della mia esperienza di vita, in questi sei mesi ho saggiato il Partito; e, come per sentire la tempra di certi metalli bisogna battere con un martelletto, così ho sentito la tempra di certi uomini, ho visto che cosa valgono e per quali motivi a un certo momento, quando il vento è infido, scantonano per la tangente.

Ho saggiato me stesso, e guardate che io non avrei fatto ricorso a quelle misure se non fossero andati in gioco gli interessi della nazione. Ma un popolo non rispetta un Governo che si lascia vilipendere! Il popolo vuole specchiata la sua dignità nella dignità del Governo, e il popolo, prima ancora che lo dicessi io, ha detto: Basta! La misura è colma!
Ed era colma perché? Perché la spedizione dell’Aventino ha sfondo repubblicano!

Questa sedizione dell’ Aventino ha avuto delle conseguenze perché oggi in Italia, chi è fascista, rischia ancora la vita! E nei soli due mesi di novembre e dicembre undici fascisti sono caduti uccisi, uno dei quali ha avuto la testa spiaccicata fino ad essere ridotta un’ostia sanguinosa, e un altro, un vecchio di settantatre anni, è stato ucciso e gettato da un muraglione.

Poi tre incendi si sono avuti in un mese, incendi misteriosi, incendi nelle Ferrovie e negli stessi magazzini a Roma, a Parma e a Firenze. Poi un risveglio sovversivo su tutta la linea, che vi documento, perché è necessario di documentare, attraverso i giornali, i giornali di ieri e di oggi: un caposquadra della Milizia ferito gravemente da sovversivi a Genzano; un tentativo di assalto alla sede del Fascio a Tarquinia; un fascista ferito da sovversivi a Verona; un milite della Milizia ferito in provincia di Cremona; fascisti feriti da sovversivi a Forlì; imboscata comunista a San Giorgio di Pesaro; sovversivi che cantano Bandiera rossa e aggrediscono i fascisti a Monzambano.

Nei soli tre giorni di questo gennaio l925, e in una sola zona, sono avvenuti incidenti a Mestre, Pionca, Vallombra: cinquanta sovversivi armati di fucili scorrazzano in paese cantando Bandiera rossa e fanno esplodere petardi; a Venezia, il milite Pascai Mario aggredito e ferito; a Cavaso di Treviso, un altro fascista è ferito; a Crespano, la caserma dei carabinieri invasa da una ventina di donne scalmanate; un capomanipolo aggredito e gettato in acqua a Favara di Venezia; fascisti aggrediti da sovversivi a Mestre; a Padova, altri fascisti aggrediti da sovversivi.

Richiamo su ciò la vostra attenzione, perché questo è un sintomo: il diretto l92 preso a sassate da sovversivi con rotture di vetri; a Moduno di Livenza, un capomanipolo assalito e percosso. Voi vedete da questa situazione che la sedizione, dell’Aventino ha avuto profonde ripercussioni in tutto il paese. Allora viene il momento in cui si dice basta! Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza. Non c’è stata mai altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai. Ora io oso dire che il problema sarà risolto. Il fascismo, Governo e Partito, sono in piena efficienza.

Signori!
Vi siete fatte delle illusioni! Voi avete creduto che il fascismo fosse finito perché io lo comprimevo, che fosse morto perché io lo castigavo e poi avevo anche la crudeltà di dirlo. Ma se io mettessi la centesima parte dell’energia che ho messo a comprimerlo, a scatenarlo, voi vedreste allora.

Non ci sarà bisogno di questo, perché il Governo è abbastanza forte per stroncare in pieno definitivamente la sedizione dell’Aventino. L’Italia, o signori, vuole la pace, vuole la tranquillità, vuole la calma laboriosa. Noi, questa tranquillità, questa calma laboriosa gliela daremo con l’amore, se è possibile, e con la forza, se sarà necessario.

Voi state certi che nelle quarantott’ore successive a questo mio discorso, la situazione sarà chiarita su tutta l’area. Tutti sappiamo che ciò che ho in animo non è capriccio di persona, non è libidine di Governo, non è passione ignobile, ma è soltanto amore sconfinato e possente per la patria.

Enzo Antonio Cicchino

nato a Isernia nel 1956. Vive a Roma.

matricola Rai 230160.

enzoantoniocicchino@tiscali.it

Autore e regista documentari RAI.

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