ARCO E LA SAT – LA STORIA – 3

Terza puntata della storia della Sat di Arco. Con fotografie e documenti storici tratti, come nelle puntate precedenti, dal libro “Arci e la Sat: 70 anni di storia”. Dal 1973 arriviamo al 1983. Sono praticamente i primi anni che ho seguito la Sat di Arco non solo da appassionato della montagna ma anche come cronista locale per il giornale l’Adige. Sono gli anni di Sergio Calzà presidente, del futuro (attuale) presidente Fabrizio Miori che appare in tante foto mentre scala pareti impossibili. Anche tra la nebbia. Sono gli anni anche dell’ex sindaco Mario Morandini, pure alle prese con una difficile salita.

In quel periodo, grazie tra gli altri a Giuliano Stenghel, grande scalatore roveretano, le “vie di roccia” dell’Alto Garda vengono valorizzate. E messe, nero su bianco, su quella che forse è la prima guida alle scalate sul Colodri, sul Brento, sulle altre pareti ora diventate famose in tutto il mondo tra gli appassionati, tra i climbing.

Dei primi anni Settanta mi piace condividere due episodi. Il primo. Assieme a Giovanni Toller (ora veterinario), Francesco Ardoin di Riva e Fabio Corradini di Vigne (Mi scordo qualcuno? Facilissimo … ah sì, forse c’era il futuro dentista rivano Paolo Leonardi). Bene, si è alla vigilia degli esami di maturità del liceo classico Maffei di Riva. E si decide di andare sul rifugio Marchetti, sul Monte Stivo, per studiare. Per ripassare … i “Bignami” più che altro. Sergio Calzà, che conosco bene per via della comune appartenenza allo Sci Club Arco, mi consegna le chiavi. E allora via. In macchina fino ai Piani di S. Antonio. E poi su, fino alle “antenne”. Tirandoci dietro una cassa di acqua minerale e una cassa di vino. Stremati si arriva al rifugio. E cominciano i festeggiamenti. Accompagnati dalla mia chitarra. E da quelle che si definiscono genericamente abbondanti libagioni. Risultato: si va nei sacchi a pelo quando comincia ad albeggiare. E in condizioni facilmente intuibili. Solo che alle 6 (sei) di mattina, qualcuno bussa al rifugio. Si tratta – scopriremo nostro malgrado – di una comitiva di turisti tedeschi. Vogliono far colazione e prenotarsi subito per il pranzo. E lì cominciano i guai. Non siamo in grado di capire nemmeno chi siamo. E soprattutto cosa ci facciamo lì, in un rifugio di montagna di fronte a gente che chiede a noi (a noi?) di poter bere e mangiare qualcosa. E allora? E allora li facciamo accomodare all’interno del rifugio. Qualcuno va all’esterno, sul retro, e arriva con un pentolone pieno di neve. Bisogna sciogliere quella per avere l’acqua. Perchè le condutture sono ghiacciate (o la vasca per l’erogazione dell’acqua era vuota? Boh). Tiriamo fuori i “nostri” panini. E con quello che troviamo nella dispensa prepariamo da mangiare. Con qualche canzone su ritmi altoatesini (Per fare i canederli …  trink trink … porta dek vin … ecc.) si crea un’atmosfera meno opprimente. Soprattutto ci si sveglia. E si “ammazza” la sbornia a colpi di vin brulè. Ci hanno dato anche la mancia. E quando siamo tornati a valle Sergio Calzà, il presidente della Sat, era felicissimo del ricavato per quella brevissima gestione studentesca del rifugio Marchetti. E anche noi, per aver dimenticato lassù i “bignami” (a proposito, qualcuno li ha poi trovati?).

L’altro episodio riguarda Giuliano Stenghel. Che ho avuto la fortuna di conoscere. Si era nella piazzola d’atterraggio dell’elisoccorso al Gaggiolo di Dro. Il posto dove arrivano le ambulanze, i carabinieri, il soccorso alpino e l’elicottero quando succede qualcosa di brutto in parete. Da alcuni anni in particolare per incidenti, molti purtroppo mortali, di chi pratica il base jumping. Siamo lì, noi giornalisti, in attesa di notizie. Perché pare che il recupero del ferito questa volta sia particolarmente difficile. Infatti l’elicottero riesce a calare il vericello ma non a raggiungere il luogo dell’infortunio. Così come in difficoltà sono quelli del soccorso alpino che devono calarsi dall’alto con le corde. Ed ecco che il caso è risolto da Giuliano Stenghel. Che si fa calare dall’elicottero, mette in sicurezza il ferito alla sua imbragatura e così, aggrappato al vericello sorvola il Basso Sarca come un angelo prima di essere calato, insieme al rocciatore soccorso, nel prato del Gaggiolo. Ah, il ferito, tedesco, pare non abbia detto nemmeno grazie quando finalmente ha toccato terra. Ma forse era ancora scosso dal “volo”. Lui, Giuliano, invece quando mi ha visto ha detto, sorridendo, solo due parole che non dimenticherò mai. “Tei vecio, no gh’era miga altro modo de vegnirghen fora neh …”.

Comincio anche questa terza puntata con le voci del Coro Castel della sezione Sat di Arco:

IL CORO CASTEL IN CONCERTO A PRAGA

 FOTO E DOCUMENTI STORICI

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