I “SEGRETI” DEL FASCISMO – 16

a cura di Cornelio Galas

– appunti di lavoro di Enzo Antonio Cicchino

IL DELITTO

DEI FRATELLI

CARLO E NELLO ROSSELLI

Bagnoles-de-l’Orne

9 giugno 1937

Carlo Rosselli nasce a Roma nel 1899 da famiglia ebrea benestante, dall’eta’ di due anni è a Firenze con i suoi genitori e qui segue il regolare corso di studio sino alla laurea. Il fratello Aldo muore nella Grande Guerra nel ‘16.

Dopo l’assalto da parte dei fascisti al Circolo di Cultura -creato sotto la guida di Gaetano Salvemini-, nel 1925 Carlo Rosselli insieme a Nello ed Ernesto Rossi fonda il primo giornale antifascista clandestino a Firenze NON MOLLARE stampato in tremila copie. In febbraio del ‘25 pubblica il memoriale di Filippelli, l’uomo che ha prestato la macchina per l’assassinio di Matteotti, della cui morte è accusato apertamente Mussolini. La tiratura si impenna le copie salgono a dodicimila. Qualche giorno dopo irrompe la polizia, si chiude.

Ma l’attivismo di Carlo non s’arresta. Nel 1926, con Ferruccio Parri e Sandro Pertini organizza la fuga del leader socialista Filippo Turati da Milano, lo fanno espatriare in Francia. Torna in Italia. Viene condannato a cinque anni di confino, a Lipari; sul principio fa credere di starsene buono in quella remota isola siciliana. Invece con Fausto Nitti ed Emilio Lussu, la sera del 27 luglio del 29 con una spericolata fuga in motoscafo raggiungono l’Algeria, poi Parigi. Qui nel 1930 pubblica in francese Socialisme Liberal che per la sua radicale critica al marxismo è accolto da asperrime critiche sia dai socialisti riformisti che dai comunisti.

In Francia fonda il movimento rivoluzionario Giustizia e Libertà, con cui chiama a raccolta tutte le forze non marxiste pronte all’azione. A novembre del 1930 pubblica, fra acerbe critiche degli amici socialisti e comunisti, il suo testo teorico più importante SOCIALISMO LIBERALE con il quale sviluppa i due termini SOCIALISMO E LIBERTÀ in modo indissolubilmente connessi.

Carlo e Nello Rosselli

Carlo si illude di poter operare nella lotta politica finalmente libero dalle pastoie della polizia fascista. Lui non lo sa. Ma intanto gli agenti del Sim: il Servizio Segreto Militare e l’OVRA la polizia politica, hanno già cominciato a stringerlo in una morsa inelluttabile fatta di pedinamenti, di spie, di infiltrati all’interno delle stesse organizzazioni antifasciste.

Per il Regime Carlo Rosselli è diventato l’antifascista più pericoloso. Anche con lo stesso fratello Nello cerca di incontrarsi in luoghi anonimi, affollati, o in remote località di villeggiatura. Ma per ora non e’ ancora giunto il momento! anche se il vento della tragedia si approssima.

Nel 1936 la guerra di Spagna, Carlo Rosselli vi partecipa con passione, non solo come combattente ma anche da giornalista e politico. Diventato responsabile della propaganda, da Radio Barcellona parla alle truppe italiane inviate da Mussolini a sostegno di Francisco Franco. Le invita alla diserzione, alla riflessione critica, ad abbadonare la bandiera fascista per passare dalla parte di coloro che lottano per la libertà.

E queste colonne di volontari antifascisti, combattendo al fianco delle truppe rupubblicane della Spagna Libera, il 18 marzo del 1937 riportano la clamorosa vittoria di Guadalajara. Ma questa è anche la data che segna il tragico punto di svolta per la vita di Carlo Rosselli! Per rimediare alla cocente umiliazione militare, il Regime di Mussolini -che alla Guerra di Spagna partecipa con uomini e mezzi- decide di eliminare i leader dell’antifascismo più combattivi capaci di creare seri problemi al conseguimento della vittoria. Uno di questi è Carlo Rosselli.

A Montecarlo, quattro giorni dopo, lunedi’ 22 marzo 1937, il maggiore dei reali carabinieri Roberto Navale, comandante del Sim di Torino, incontra un dirigente della più feroce organizzazione fascista francese: la Cagoule, e gli commissiona il delitto di Carlo Rosselli. Per metterlo a punto, gli uomini della Cagoule si vedranno con gli agenti del Servizio Informazione Militare e con il responsabile del controspionaggio Italiano colonnello Santo Emanuele altre due volte, a Torino ed a San Remo. Una di queste volte era presente anche Filippo Anfuso, il capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri.

FILIPPO ANFUSO

Intanto Carlo Rosselli ferito, gli si riacutizza la flebite di cui soffriva da ragazzo, torna dalla Spagna ed a fine maggio va a curarsi presso il centro termale di Bagnoles-de-l’Orne, parte in macchina con la moglie Marion… ma non sa che li stanno seguendo i suoi assassini. Il cerchio si è chiuso.

Carlo ha 37 anni, Nello 36. L’assassinio dei due fratelli avviene nel tardo pomeriggio del 9 giugno 1937 in una strada di campagna nei dintorni di Bagnoles-de-l’Orne nella Bassa Normandia, per mano della O.S.A.R.N. organizzazione filofascista francese meglio conosciuta come la Cagoulegli incappucciati-.

Quattro cagoulards e (a destra) i fratelli Rosselli

La O.S.A.R.N. è fondata nel giugno del 1936 dall’ingegnere navale quarantasettenne Eugene Deloncle, nato a Brest, uomo di estrema destra, la cui personale connotazione politica però resta sempre molto ambigua nonostante i cospicui aiuti del Sim -il Servizio di Sicurezza Italiano- che giungono sotto forma di finanziamenti in denaro e forniture di armi.

Epilogo della sicura ambiguità infatti è lo schierarsi di molti dell’O.S.A.R.N. a favore di De Gaulle durante il governo Vichy. Lo stesso Deloncle è ucciso dai nazisti per tradimento. A dimostrazione di quanto fossero fluidi i rapporti tra le diverse forze in campo sta il fatto che presso gli Archivi Francesi il fascicolo relativo alla Cagoule sarebbe ancora secretato.

Cofondatori del gruppo: Charles Maurras, proveniente dalla Action Francaise, che aveva lasciato perché troppo moderata; Francois Marius Metenier, anche lui ingegnere ed Aristide Corre, che della organizzazione lascerà un diario informatissimo di qualche migliaio di pagine.

Tornando al delitto. I sette protagonisti del commando sono:

  • -Jean Filliol, 28 anni, iscritto anche all’Action Francaise di Charles Maurras, negoziante e tipografo in Via Felicien David a Parigi. Ha già alle spalle un vile assassinio e più tentativi falliti, come per esempio quello a Leon Blum.
  • -Una donna! Alice Lamy, circa 30 anni, modista, capelli bruni, molto vitale, originaria di Verneuil sur Igneraie. Nel 1948, condannata a cinque anni di lavori forzati.
  • -Fernand Ladislas Jakubiez, 27 anni, parigino, figlio di un immigrato polacco e di madre tedesca. Professione disegnatore, ha lavorato saltuariamente come barista e come buttafuori in teatro. Nell’O.S.A.R.N. si occupa in particolare dell’acquisto di armi in Belgio ed in Svizzera. Killer di mano svelta, però non di gran carattere, interrogato dalla polizia crolla subito con angosciose ritrattazioni.
  • -Robert Gaston Emile Puireux è invece di forte temperamento, nato a Parigi, 27 anni, lavora nell’ambito del commercio ed è proprietario della Peugeot 402 nera con cui partecipa all’agguato. Entrambi i suoi genitori sono, al contrario di lui, filomonarchici.
  • -Francoise Baillet, 25 anni, di grossa statura, ha fatto il pugile; professione cuciniere. Ha avuto i natali a Egreselles le Bocage, stessa area geografica di Bagnoles il cui territorio conosce molto bene. Per moltissimi anni nessuno avrà prove per accusarlo di essere uno degli assassini. Il suo nome emerge solo molto più tardi.
  • -Jacques Fauran, 25 anni, è un simpatizzante, viene cooptato nella Cagoule solo due giorni prima dell’agguato per la ragione sostanziale che possiede una decappottabile rossa che serve inderogabilmente in quel lavoro.
  • -Jean Marie Bouvyer, 20 anni, il più giovane del gruppo, nei giorni del delitto sta beneficiando di una licenza dal suo reggimento in cui è impegnato come soldato semplice.
  • -Andrè Tenaille, uomo rude, 28 anni, fabbro ferraio, rappresentante di ferramenta, è nato a Calgary in Canada. La cugina di sua madre è moglie di Eugene Deloncle, il fondatore della Cagoule. Suo fratello Charles, ingegnere, è intimo degli agenti del Sim operanti in Francia. Subito dopo il delitto, il 9 giugno Andrè varca la frontiera italiana e si stabilisce a Torino, lavorerebbe alla Fiat.
  • -Luis Huguet, 35 anni, pugile dilettante, anche lui fabbro. Subito dopo l’uccisione dei Rosselli viene catturato dalla polizia ed imprigionato.

La Cagoule si sta interessando attivamente a Carlo Rosselli già dall’8 maggio del 1937, a Parigi, quando lo spiano mentre parla con il dirigente del partito comunista Giuseppe Dozza. Due giorni dopo… un altro contatto e pedinamento presso il Cafè alla Coupole, questa volta Carlo Rosselli è insieme a sua moglie: l’inglese Marion Cave.

Trascorsi alcuni giorni, Bouvyer addirittura si presenta alla portineria del palazzo ove abitano i Rosselli a Parigi con la scusa di proporre una polizza di assicurazione. Ma non incontra i Rosselli in quanto la responsabile del condominio, diffidente, lo manda via.

I cadaveri dei fratelli Rosselli

Incipit della tragedia. Marion e Carlo Rosselli partono da Parigi per l’hotel Cordier di Tesse-la-Madeleine, centro termale di Bagnoles, il 27 maggio, sulla loro vecchia Ford nera. Hanno lasciato i tre figli a Parigi nelle mani della fedele governante inglese, loro amica da anni.

29 maggio. Ecco giungere a Bagnoles, provenienti da Parigi, i primi due killer del commando: Bouvyer e Huguet, con l’ordine di tenere sotto controllo ogni attività dei Rosselli, i quali sono continuamente pedinati pur se in modo tanto maldestro che più volte rischiano di essere identificati.

Nello Rosselli invece si porta a Bagnoles, proveniente da Parigi a mezzogiorno del 6 giugno, raggiungendo anche lui il fratello nel medesimo hotel Cordier. La macchina della morte è pronta. Il 7 giugno su due auto, da Parigi, parte il resto del commando, altri cinque uomini tra cui Alice Lamy, con l’ordine di uccidere.

Il corpo senza vita di Carlo Rosselli

La moglie di Carlo, Marion, intanto ha deciso di tornare a Parigi, il 10 infatti è il compleanno di uno dei loro bambini. La donna parte con il treno delle 16.00. I due fratelli, dopo averla accompagnata restano soli.

Di ritorno all’albergo, in quel pomeriggio del 9 giugno, provenendo da Alencon a bordo della loro Ford, lasciano la strada principale, prendendo una scorciatoia secondaria molto stretta che avrebbe fatto loro risparmiare qualche chilometro. Al bivio però sono all’improvviso sorpassati dalla Peugeot 402 di Puireux con a bordo Filliol e Baillet. Li precede la decappottabile rossa di Fauran, che certamente ha lo scopo di impedire alla Ford di tornare indietro.

Jean Filliol

Nei pressi della foresta di Couternes, all’improvviso l’auto con Filliol -quella che precede i Rosselli- facendo finta di un guasto si ferma, gli occupanti appena scesi vanno a guardare le ruote posteriori facendo credere che possano essere bucate. Nello Rosselli esce dall’auto, Filliol gli si è avvicinato e con un parabellum calibro 9 mm lo fredda sul ciglio della strada con una raffica, poi si avvicina a Carlo ancora sul sedile e spara anche a lui finendolo a colpi di pugnale. Intanto anche il corpo straziato di Nello, che dà ancora segni di vita, è raggiunto da Jakubiez che lo riempie di pugnalate.

I fratelli sono morti, gli occupanti della seconda macchina, la decappottabile da dove fa capolino Alice, riparte veloce per informarne il loro comando a Parigi. Lasciano Jakubiez e Baillet che tentano di camuffare alla peggio quanto è accaduto, trascinando i due corpi per qualche metro all’interno del bosco. Coperti di foglie i cadaveri vengono posti l’uno sull’altro.

Alcuni imputati del delitto dei fratelli Rosselli

Nel frattempo il cinico Filliol fruga nelle tasche delle due povere vittime alla ricerca pressante di qualcosa. Finalmente estrae dalla giacca insanguinata di Carlo un pacchetto di documenti, ha un gesto di sollievo, è quello che cerca.

Si son fatte le 19.30, siamo in giugno, c’è ancora luce, l’azione è durata solo una decina di minuti. Mentre Jakubiez sta spingendo la Ford dei due assassinati per rovesciarla in un burrone e poi tentare vanamente di farla saltare in aria con la dinamite, passa in bicicletta una ragazza diciassettenne, parrucchiera, il suo nome è Helen Besneux, che però, forse per paura, o chissà per altro, non sporgerà denuncia. Ma testimonierà al processo.

La scoperta ufficiale del delitto avviene due giorni più tardi quando un uomo, in bicicletta anche lui, si ferma da quelle parti per appartarsi fra i cespugli, e qui all’improvviso scopre le salme. Anni dopo si metterà in discussione la causalità del ritrovamento. Il giorno prima, dirà un testimone, erano stati visti parlare con un uomo, proprio dinanzi alla piazzetta dell’albergo, con cui c’era stata una discussione molto animata e dinanzi al quale erano stati categorici dissenzienti. Quest’uomo non si è mai identificato.

Altro fatto curioso, ma probabilmente si tratta di una pura coincidenza, dalle parti dell’Hotel Cordier ove avevano preso alloggio i Rosselli, ad appena qualche chilometro distante, in un altro albergo, nei pressi di Tesse-la-Madeleine era giunto, non si sa per quale motivo e scortato da agenti in borghese della polizia italiana e francese, anche il principe Ajmone di Savoia -ammiraglio di Divisione- e fratello del più noto Amedeo duca D’Aosta. Rimane in zona dall’ 8 all’11 giugno, riparte in fretta non appena si è sparsa la notizia dell’uccisione e del ritrovamento.

Un aspetto inquietante è la vicinanza che gli assassini hanno avuto per tanto tempo con le vittime. Il gruppo del commando, circa sette persone tra cui appunto Alice, che dava piuttosto nell’occhio, erano rimasti alle costole dei Rosselli per un paio di settimane e più di una volta si erano incontrati, addirittura lo stesso giorno del delitto, mentre pranzavano nella sala dell’hotel insieme a Marion, v’erano due degli assassini seduti al tavolo accanto… eppure… ahimè nessun sospetto!

Marion poi sarebbe ripartita quello stesso pomeriggio in treno per Parigi, ignara di tutto, forse, se fosse rimasta sarebbe stata coinvolta nella tragedia anche lei.

JeanMarie Bouvyer (al centro), complice nell’omicidio dei fratelli Rosselli, organizzato dal gruppo di estrema destra Cagoule.

Per integrare il discorso riguardo al delitto si riporta quanto scrisse Montanelli pochi anni fa:

“Dopo la Liberazione, si cerco’ di ricostruire quell’infame delitto sugli archivi della polizia fascista, e soprattutto di quella segreta dell’OVRA. Da Senise, che della polizia era stato, dopo Bocchini, il capo, ma aveva esercitato il suo mandato in maniera ineccepibile, seppi che i protagonisti di quella nobile impresa erano stati i Cagoulards, i fascisti francesi, da sempre sul libro paga dell’Ovra, ma niente indicava che essi avessero agito su sua richiesta. Correva voce che a darne ordine fosse stato Ciano, allora Ministro degli Esteri.

Indro Montanelli

Ma Senise non ci credeva. “Ciano -mi disse- era un ometto di peso leggero, ma non un sanguinario: un’impresa del genere era più grande di lui”. Comunque l’accusa coinvolse Filippo Anfuso, che di Ciano era stato capo di gabinetto ed accorto consigliere; e che, catturato a Berlino come ambasciatore di Salo’, era stato consegnato ai tribunali francesi (quelli della Liberazione) che stavano istruendo il processo contro i residui Cagoulards. Anch’esso era accusato di essere stato un loro mandante ma fu scagionato ed assolto per assoluta mancanza di prove.

Al suo ritorno in Italia, ne parlai varie volte con lui (eravamo amici di vecchia data). Alla domanda: “Ma perche’ i Cagoulards presero l’iniziativa senza averne ricevuto l’ordine da chi li pagava?” rispose “Forse per dimostrare che il salario se lo meritavano!”
Indro Montanelli Corriere della Sera 9 febbraio 1999.

Galeazzo Ciano

Una delle ragioni per cui sarebbe stato Ciano il mandante del delitto sarebbe il fatto che pochi mesi prima i giornali antifascisti francesi avevano ipotizzato Carlo Rosselli come il possibile successore di Mussolini dopo la caduta del regime. Anzi avevano definito Rosselli Il delfino di Mussolini e ciò avrebbe acceso le gelosie dell’ex Ministro degli Esteri che si riteneva lui il delfino incontestabile. Questo movente parrebbe troppo esile, ma dopo la Guerra le prove a carico di Ciano sono diventate incontestabili.

E Mussolini… ne era al corrente? Approvò? La cattiva esperienza che si era fatta col delitto Matteotti non avrebbe dovuto metterlo in guardia dagli effetti deleteri del sopprimere i capi dell’opposizione!

Che ne fosse all’oscuro sembra improbabile anche se, nel luglio del 37, commentando a Yvonne De Begnac la morte dei Rosselli ebbe a dire: “La storia deciderà sul perché della loro sorte. Non sempre il potere arriva a controllare le azioni dell’apparato che rappresenta”. Questa frase ha fatto supporre a coloro che hanno simpatie clementi verso il Duce, che lui forse è colpevole solo di disattenzione e che in realtà sia stato Ciano a decidere del delitto senza informarne il suocero.

Mario Roatta

Il Sim, Servizio Informazione Militare, a quel tempo era diretto formalmente dal generale Roatta, ma ad interim dal colonnello Paolo Angioy e in concreto per la parte riguardante la Francia dal colonnello Santo Emanuele, capo della terza sezione e che si occupava di controspionaggio. Il Sim chiese che il primo uomo da eliminare fosse appunto Carlo Rosselli. Almeno così si deduce da un documento firmato dall’agente Nobile il 2 aprile 1937.

 

Nello Rosselli

mio padre

incontro con

Silvia Rosselli

Intervista di Enzo Antonio Cicchino

Come si sviluppa la storia drammatica di Carlo e Nello Rosselli?

La storia di Carlo e Nello è curiosa. Ogni tanto ci ripenso. Loro hanno avuto storie diverse ma sempre in qualche modo parallele. Hanno cominciato a studiare insieme e poi hanno avuto lo stesso maestro, Gaetano Salvemini, che lo seguì per la stesura della sua tesi su Mazzini. Anche Carlo rimase molto vicino a Salvemini. Insieme hanno fatto il Circolo di Cultura – a Firenze – nei primi anni venti. Appena iniziò il fascismo capirono subito che era una cosa da combattere. Questo non era in dubbio. Partirono insieme, con le stesse idee.

Sua nonna Amelia ha avuto un ruolo molto importante nelle vita del suo papà e di suo zio…

Mia nonna, era una donna molto pronta ed estremamente forte, Carlo e Nello li seguì sempre, anche se all’inizio non sembrava molto propensa, soprattutto per le posizioni politiche di Carlo. Certe prese di posizione non si confacevano al suo carattere, però lei li ha sempre seguiti. Si sono sposati tutti e due nello stesso anno, nel 1926. Il primo è stato lo zio Carlo, con una ragazza inglese – Marion – che viveva a Firenze. Una ragazza libera, anche lei interessata alla politica, ha fatto parte del Circolo di Cultura. Condivideva molto le loro esperienze.

Nel Dicembre si sono sposati mio padre, Nello, e mia madre Maria. Era un momento drammatico. Quando i miei genitori si dovevano sposare, Carlo era stato arrestato e attendeva di venire processato per la fuga di Turati. Ma nonostante questo fatto, zio Carlo chiese che non si turbasse la festa per colpa del suo arresto e di cui era a conoscenza solo mio padre, mia madre e mia nonna, il resto della famiglia non lo sapeva.

E così i miei genitori si sono sposati, come una qualsiasi coppia borghese. Sono persino andati in viaggio di nozze, anche se inizialmente non lo volevano più fare. …Poi hanno avuto figli a catena. Prima nasce mio cugino nel ‘27, poi ne nascono altri nel ‘28, mia sorella nel ‘29, Amelia nel ‘30. Loro si tenevano molto in contatto, si scrivevano, si prendevano in giro scherzosamente con battute sulla loro famiglia. Carlo ha avuto 4 figli, dopodiché è cominciato quel periodo in cui lo zio subì arresti e processi.

Cominciano i momenti difficili…

Il periodo che seguì alle vicissitudini di Carlo, fu determinato da fatti che coinvolsero più direttamente anche mio padre Nello, perché Carlo dopo che fu arrestato venne mandato al confino.

Nel 1929 Carlo aveva da scontare ancora 5 anni di confino a Lipari e non voleva assolutamente farli. Fu per questo che accadde la conosciutissima fuga in motoscafo. Appena lui fuggì in Francia, mio padre venne subito arrestato, anche se Carlo per proteggerlo non lo aveva neppure informato di quella fuga, né aveva informato la madre. Nonostante nessuno sapesse, mio padre Nello fu arrestato perché si pensava che avesse partecipato all’organizzazione di questa fuga. Dopo essere stato messo in carcere, fu mandato al confino prima a Ustica poi a Ponza, ma non era la prima volta che andava al confino, perché anche prima c’era stato.

Insomma questi due fratelli facevano una vita curiosa, a ripensarci dopo. Perché si erano sposati come fanno le persone normali, avevano avuto figli, come tutti e poi nello stesso tempo andavano in carcere, andavano al confino, uscivano, fuggivano…

12 dicembre 1926 – da sinistra: Lorenzo De Bova, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Ferruccio Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo da Savona.

Come era il loro carattere?

C’era una certa differenza, perché lo zio Carlo era un uomo molto attivo politicamente. Operò a Parigi dal ‘29 al ‘37. Mio padre Nello era invece uno storico, che però manteneva idee chiaramente contro il fascismo. Ricordo che loro si scrivevano moltissimo. Nelle sue lettere, Nello diceva che lui sentiva che sarebbe potuto uscire anche lui dall’Italia, andare in Francia, però sentiva anche che qualcuno doveva pur rimanere in Italia, per dare anche un esempio, per dire che si poteva resistere.

Lui, mio padre, poteva prendersi questa responsabilità. Lui era uno storico, ma non ha voluto insegnare, perché bisognava fare un giuramento, i professori dovevano prendere la tessera e naturalmente lui non lo ha fatto. Rimase in Italia perché pensò che se lo poteva permettere, aveva i mezzi e voleva tenersi quel suo ruolo. Era in collegamento con Carlo e andava spesso a Londra per motivi di studio. Là coglieva l’occasione per organizzare incontri con Carlo, evitando così di incontrarlo a Parigi, perché si sapeva che là Carlo era vigilato, mentre dall’Inghilterra sarebbe stato più facile far giungere notizia di questi incontri ai servizi segreti, al Duce e a Ciano.

Alcuni redattori della rivista “Non mollare”. Da sinistra a destra: Nello Traquandi, Tommaso Ramorino, Carlo Rosselli, Ernesto Rossi, Luigi Emery, Nello Rosselli. 1925.

Mio padre non poteva rischiare di venire arrestato, o di vedersi ritirare il passaporto. Inoltre i posti dove ancora i due fratelli si incontravano erano quelli di villeggiatura, dove si poteva fare un incontro tra famiglie, in genere questi avvenivano in Francia.

E’ mai stata presente ad alcuni di questi incontri?

Uno me lo ricordo benissimo, perché è stato il mio primo incontro con tutti loro. Io non avevo mai conosciuto né lo zio Carlo, né la zia Marion, né il cugino John che aveva un anno più di me. In quell’occasione eravamo sulla riviera della Costa Azzurra in un albergo, a Juan Les Pin, siamo stati una settimana insieme. Per loro era un modo per incontrarsi, per poter parlare.

Che cosa ricorda dell’uomo Carlo Rosselli?

Parlare dello zio Carlo mi è difficile perché io ho conosciuto di più mio padre, che ricordo molto bene. Di tutto ciò che ha fatto Carlo, mio padre Nello ne conosceva senz’altro i dettagli, ma anche la loro madre, perché avevano modo di scriversi, da Londra e da Parigi. Ma quello che posso avere avuto come impressione era che certamente l’attività di Carlo creava sicuramente dei problemi alla famiglia; ma mia nonna Amelia, mio padre Nello, mia madre Maria sono stati sempre assolutamente solidali con lui.

Lo zio era un uomo straordinario e anche se mio padre non faceva la sua stessa attività, era molto solidale con il fratello. Sia mia nonna, sia mia madre, lo erano e non ricordo che nessuno mi abbia mai detto nulla contro Carlo, anche se è vero che questo ha creato tanta difficoltà, non solo per la nostra famiglia, ma anche per la sua, per i suoi figli, sua moglie, che hanno dovuto soffrire di questa cosa.

Quando Lussu, Rosselli e Nitti andavano in “vacanza” a Lipari

Magari una parte della famiglia più allargata, come quella di mia mamma sicuramente avranno criticato Carlo, pensando che era un persona eccessiva, pericolosa, non lo so questo, credo che sia possibile, ma non nel nostro stretto ambito familiare.

Veniamo ai momenti terribili di quel giugno del 1937…

Lo zio Carlo convalescente per la ferita che aveva ricevuto nella guerra di Spagna, è tornato prima a Parigi e poi in Normandia per fare delle cure per la flebite di cui aveva sempre sofferto ad una gamba e che ora gli si rimanifestava a causa della ferita.

In Normandia, all’inizio lo aveva accompagnato la moglie, però era molto inquieto, irrequieto, per lui stare fermo era una tortura. Aveva bisogno che qualcuno trascorresse del tempo insieme a lui. Prima pensò di andare nonna Amelia, lei andava spesso a Parigi. Però lei si ammalò e non sentendosi bene chiese a Nello di andare al suo posto per tenere compagnia al fratello Carlo.

Carlo Rosselli (Roma 16.11.1889 – Bagnoles-de-l’Orne 09.06.1937)

Mio padre era sempre andato molto volentieri a trovare il fratello, ma stranamente quella volta esitò. Si sono date diverse spiegazioni, forse perché era appena nato mio fratello più piccolo, Berto, che aveva appena un mese, oppure gli dispiaceva lasciare mia madre in quegli stati. Altri hanno voluto vedere una premonizione. Esitava molto. Mi hanno raccontato che la nonna lo incoraggiò molto ad andare e per questo lui accettò. Quando lui giunse dal fratello, là c’era ancora Marion, ma ripartì subito lasciandoli soli. Fu in quell’occasione che vennero assassinati.

Questo è stato un trauma terribile per mia nonna, che si è sempre rimproverata questo fatto: di averlo incoraggiato ad andare al suo posto. Quello che mi ha fatto molta impressione è stato il racconto del loro funerale, che si svolse a Parigi. Fu un funerale laico. Noi siamo ebrei e mio padre ci teneva ad avere una certa osservanza, anche se non era certamente un ebreo ortodosso. Certe cose però le ha sempre fatte, come il matrimonio ebraico, i figli maschi circoncisi, insomma queste cose.

E lui pensava che certe cose importanti della vita andassero fatte con un certo senso religioso. Carlo no, era assolutamente laico, non so se agnostico o che altro. Alla fine mio padre essendo morto con lui, ha avuto un funerale laico. In questo funerale, di cui hanno parlato moltissime persone, hanno suonato la settima sinfonia di Beethoven – l’Allegretto – e questo mi è sempre rimasto molto in mente perché zio Carlo suonava il pianoforte.

Sia Carlo sia mio padre amavano l’arte, mio padre ha dipinto dei bellissimi quadri, che sono stati anche esposti. La sinfonia di Beethoven è stata suonata anche nel ’51, quando le salme vennero portate a Firenze. Mio nonno era un compositore e la nonna amava molto la musica, quindi c’era questo senso di religiosità non proprio legata alla religione ma ad altro.

Come era suo papà Nello?

In Italia noi bambine, io e mia sorella, eravamo molto protette. Facevamo una vita normale. Mio padre per tenerci lontane da influenze negative, come le idee del fascismo, non ha neanche voluto farci andare a scuola, ci faceva prendere lezioni da una vecchia maestra che era anche molto simpatica. Noi eravamo due bambine protette, fuori dal mondo.

Quando successe questo fatto tremendo della morte di mio padre e di mio zio, mia sorella ed io non lo sapevamo, mentre i miei cugini che stavano a Parigi hanno saputo tutto, in particolare mio cugino maggiore John che aveva 10 anni. Io ne avevo 9 ma nonostante fossimo quasi coetanei lui ha saputo immediatamente tutto, mentre noi siamo state tenute all’oscuro per circa un mese. Nostra madre ce lo ha detto con molta difficoltà, ma non è riuscita a dirci cos’era successo, rimase molto vaga, quindi noi finché siamo rimaste in Italia non lo abbiamo saputo.

Nello Rosselli

Come reagì nonna Amelia?

Mia nonna andò in Francia subito dopo l’accaduto e visto che sapeva benissimo chi aveva fatto questo colpo, i fascisti e Mussolini, decise di non tornare più in Italia. E’ rimasta a Parigi un pò, poi è andata in Svizzera e alla fine dell’anno, noi tre con mia madre l’abbiamo raggiunta in Svizzera. Lì abbiamo cominciato a capire che cos’era successo.

Mi ricordo la mamma e la nonna che si sono fermate in un negozio di giornali… parlottavano fra di loro, c’erano dei titoli che presumo fossero relativi al fatto che avevano trovato gli assassini di mio padre e di mio zio in Francia, gli avevano fatto anche il processo. Piano piano ci hanno raccontato questa storia, e così l’abbiamo assimilata. Per noi era una cosa lontana, non abbiamo visto il funerale, per cui ci siamo ricreate nella nostra mente i fatti. Io ero molto fiera di tutto questo, mi sembrava una cosa bellissima.

Amelia Rosselli

Vi tratteneste a lungo in Svizzera?

Quando poi noi dalla Svizzera raggiungemmo l’Inghilterra (perché in Svizzera non ci davano il permesso di soggiorno), capitammo in un luogo in cui vennero i bombardamenti (era nel ‘39-‘40) e c’era il rischio di invasione da parte dei nazisti. I miei familiari decisero così di andare in America, tutti insieme. Io, mia madre, mia zia, tutti i bambini e mia nonna. Mi ricordo che, appena arrivai in America, ho raccontato la mia storia a delle ragazzine della mia classe, avevo 12 anni allora, ma nessuna delle mie coetanee mi credette, anzi andarono dalla maestra a dire che avevo raccontato delle cose inventate.

La maestra chiamò mia madre per dirgli che avevo detto quelle cose assurde. Mia madre disse allora che era vero. Questo stava ad indicare che in quegli anni in America non sapevano niente, nessuno sapeva niente di quello che era successo in Italia e in Germania. L’America era molto isolata.

Carlo e Nello Rosselli con i loro figli

Torniamo al terribile giorno dell’assassinio, c’è qualche episodio che lo rende ancora misterioso?

Per quanto riguarda quel giorno è stato ricostruito tutto molto dettagliatamente. Loro due avevano accompagnato Marion alla stazione e poi erano andati a fare un giro, verso un paese che si chiamava Alanson, famoso per la sua cattedrale e perché fanno dei pizzi molto belli. Mio padre aveva comperato dei fazzoletti per mia madre, che poi gli trovarono in tasca il giorno in cui trovarono i corpi.

A mio zio hanno trovato dei documenti, che presero e consegnarono ai servizi segreti italiani. Carlo era stato già minacciato, sapeva di essere una persona scomoda per il fascismo, lo sapeva benissimo, specialmente dopo la guerra in Spagna dove lui aveva combattuto e da Radio Barcellona aveva fatto delle trasmissioni di propaganda antifascista verso le truppe italiane che erano state mandate da Mussolini in aiuto di Franco. Questo ha siglato la sua condanna.

Quello che mi stupisce è che Carlo, mio zio, sapeva il rischio che correva: un altro al suo posto avrebbe avuto un guardaspalle, si sarebbe mosso con più cautela, invece lui era tranquillo. Se ne andava in giro con il fratello e tornava attraverso la solita strada secondaria, che solcava una foresta e lì li hanno aspettati.

Una persona oggi starebbe più attenta, se minacciata, non farebbe i soliti movimenti, non percorrerebbe le solite strade, invece loro non si rendevano conto di commettere questo tipo di errori, erano quasi troppo tranquilli. Attraverso la via del ritorno, trovarono gli assassini, con due macchine, che dopo averli superati, gli sbarrarono la strada, fingendo un guasto alla macchina.

Mio zio e mio padre si sono fermati, sono usciti dalla macchina, dicendo “Avete bisogno di aiuto?” E in quel momento li hanno colpiti. Erano parecchi. Quello che stupisce ancora è come sia possibile che siano stati così poco accorti e così troppo tranquilli.

Carlo e Nello Rosselli

Sua zia Marion non le ha mai raccontato qualche dettaglio?

No. Io ho saputo più cose dalla nonna, dalla mamma, che visto che è vissuta molto a lungo (è morta solo due anni fa) ho avuto luogo e tempo di fargli domande. Oggi mi dispiace un po’ di non averle fatto ancora tante altre domande. Anche da mia nonna, che è morta nel ’55, ho avuto modo di sentire raccontare questi fatti. Poi ho parlato molto con mio cugino John, che era al corrente di quello che succedeva anche perché era più adulto.

Le hanno mai raccontato qualcosa della guerra di Spagna, o delle battaglie a cui ha partecipato Carlo Rosselli?

In casa non se ne parlava di queste cose. Tutto quello che si conosce è venuto fuori dalla pubblicazione del bellissimo epistolario scritto da Carlo alla madre, che è molto bello, in queste lettere c’è tutto. C’è anche un altro epistolario di Carlo e Marion. Di recente è stata pubblicata una biografia scritta da Giuseppe Fiori, è tutto documentatissimo. Io non conosco cose che oggi non siano conosciute da tutti.

Da queste lettere emerge qualcosa che l’ha colpita particolarmente?

Sì. C’è un episodio, però si riferisce ad un periodo precedente. Carlo e Nello hanno avuto un fratello maggiore, nato 4 anni prima di Carlo, si chiamava Aldo. Aldo era un po’ il beniamino di sua madre, molto intelligente ma un po’ difficile e problematico. Lui era studente in medicina e avrebbe potuto andare nel corpo medico, nelle retroguardie, nell’ospedale.

Invece nella guerra 15-18 lui preferì andare volontario. In questa particolare famiglia c’era una forte propensione verso l’Italia, anche allora interventista, era una famiglia molto patriottica perché noi eravamo fra le molte famiglie ebree. Questo zio Aldo è andato volontario ed è morto anche lui trasportando un ferito (prese anche una medaglia). Quando venne ucciso aveva 21 o 22 anni, non ricordo bene.

Ci sono anche le lettere di mia nonna a lui quando era al fronte. Ad un certo punto, nonostante lui non le rispondesse più, perché era morto, mia nonna continuava a scrivergli, come fosse vivo. Questo mi ha impressionato molto. Anche il fatto di avere questa nonna che aveva 3 figli e che sono stati uccisi tutti e tre.

Tentiamo un ritratto dei due fratelli… Prima suo padre…

Mio padre, Nello Rosselli, era alto, un po’ corpulento, estremamente cordiale, simpatico, un uomo che amava fare molte cose. Guidava molto bene la macchina, gli piaceva, era molto scherzoso, amava fare piccoli scherzi, giochi di parole con noi bambini. C’è un piccolo episodio che vorrei raccontare perché lo trovo molto divertente.

Nel ’35 o ’36, quando abitavamo a Firenze, proprio nel giorno della Befana, lui ci disse che sarebbe partito verso l’aereoporto e che sarebbe andato a prendere la Befana che stava arrivando dal Giappone. Noi, dopo averlo visto partire, eravamo tutti in attesa. Prima che lui tornasse vediamo entrare una donnona, molto impressionante che aveva una specie di cesta piena di regali.

Quando lui è tornato si è lamentato di non aver trovato la vecchietta ad aspettarlo. Non gli siamo saltati felici addosso, dicendogli “Ma sì, è venuta, proprio dopo che sei andato via tu!” ed esultavamo felici ma anche dispiaciuti per il fatto che lei, pur essendo andata via qualche minuto prima, lui non l’avesse incontrata.

Era stato lui, a travestirsi, rendendoci affascinati e stupefatti. Mio padre aveva avuto questa pensata che lo divertiva moltissimo. Lui faceva spesso queste cose. Era anche un serio professore che scriveva i suoi libri di storia. Era un uomo affettuoso, quello che mi ha colpito di più di lui è che era una persona che vedeva sempre il lato buono in tutte le cose.

Ad esempio i carabinieri che lo dovevano sorvegliare ad un certo punto diventavano i suoi amici, lui li trovava simpatici. Infatti li dovevano cambiare spesso, perché sennò si affezionavano a lui. Andava in carcere e diceva che era fiero di questa esperienza e che aveva avuto per la prima volta un’elemosina perché qualcuno gli aveva dato una zuppa da mangiare. Lui vedeva tutto con un certo umorismo e con una certa accettazione delle cose della vita. Poi cercava di essere molto giusto. Mi ricordo questo suo senso di giustizia. A volte io litigavo con mia sorella (lui aveva un pochino una piccola preferenza verso di me) ma lui cercava di bilanciare questa cosa, di essere giusto.

Non ricorda discorsi di politica, o di storia, che comunque l’hanno colpita?

Socialismo liberale, lo scritto politico più importante di Carlo Rosselli, esce in italiano nel 1945, per le Edizioni U.

Mio padre voleva proteggerci, ad esempio non voleva che si leggesse il giornale. Io anche se ero una curiosa non potevo. Un nostro amico, che aveva più libertà di noi e che poteva andare a scuola come tutti i bambini, ci raccontò di avere visto un uomo annegato, e persone che lo avevano tirato fuori dall’Arno, con dei dettegli orribili. Mio padre per un po’ non ci permise di frequentare questo ragazzino perché ci aveva detto queste cose orrende.

Mai le aveva espresso giudizi sul regime, sul fascismo?

No. Però una cosa ricordo. Lui non voleva che frequentassimo la scuola come tutti i bambini. Noi non capivamo perché e mi ricordo che vedevamo passare sotto la finestra le piccole italiane, i balilla, fra cui c’erano dei nostri amici, morivamo d’invidia… perché non sapevamo.

Ci fu permesso di andare alla scuola di ginnastica. Ma volta vinsi una gara, mi misero su una panca e il maestro fece sfilare tutti i bambini accanto a me con il saluto fascista. Il maestro lo fece fare anche a me. Tornai a casa, raccontai questa cosa e mio padre ci tolse dalla scuola di ginnastica. Lui non discuteva con noi di queste cose. Forse non voleva turbarci. Carlo era invece diverso.

…sì, veniamo a Carlo

Come dicevo non lo ricordo molto. Lo ricordo vicino a mio padre, stavano insieme, parlavano molto. Anche lui era una persona affettuosa, ma era dominato da un’idea che era questa azione, Giustizia e Libertà, la politica. Della sua famiglia ci parlava in particolare John, che stava sempre con i genitori. I due più piccoli venivano lasciati di più da parte, con la bambinaia, quindi non credo che sapessero granché. Invece John era informatissimo e credo che già a 10 anni avesse saputo tantissimo. Cose che noi abbiamo saputo dopo.

…riguardo alla sua esperienza in Spagna

Di Carlo in Spagna… Dopo ho letto, ho saputo, ho visto le fotografie di Carlo… questo mi fece molta impressione, di vedere lui lì sul fronte, aveva però un’aria felice, è come se lui andando in Spagna realizzasse qualcosa di molto importante nella sua vita. Ricordo questa bella foto di lui, con il maglione, con un binocolo e l’aria di un uomo profondamente felice.

Quando lui fu ferito, in famiglia lo sapeste subito?

Sicuramente, c’era anche una corrispondenza fra lui e Marion. Lui non tornò subito, rimase parecchio là ferito, prima di riprendersi. Sicuramente l’ha saputo mia nonna, mia madre, ma noi no. Noi bambini eravamo nel nostro limbo.

In che momento il regime strinse il cerchio di morte attorno ai Rosselli?

Penso negli ultimi anni ’30, non saprei dare una data precisa. E’ documentato tutto, ci sono i documenti dell’Ovra che parlano di spie che seguivano Carlo. Penso già da molti anni prima del suo assassinio, c’erano degli infiltrati, c’erano dei rapporti dell’Ovra. Lì descrivevano quello che lui faceva, chi riceveva. Per questo motivo mio padre Nello non andava a Parigi, per evitare conseguenze spiacevoli.

Come aveve saputo in famiglia della terribile notizia?

In questa famiglia si scriveva moltissimo, anche se non si telefonava. Quando sono stati assassinati, Marion ha mandato a mia madre un telegramma dicendole di venire subito, per cose gravissime, senza dare dettagli. Per le informazioni dettagliate bisognava stare attenti perché c’era la censura. Dopo questo telegramma mia nonna decise di partire subito per Parigi, perché immaginava che era successo qualcosa di gravissimo. Qualcuno le aveva detto che c’era stato un incidente di macchina.

Mia mamma non è partita perché stava allattando l’ultimo figlio, che aveva circa 40 giorni. La nonna però andò a Parigi, accompagnata da un amico di famiglia, che poi tornò subito indietro. Quando arrivò a Parigi, c’erano tutti giornalisti e fotografi alla stazione, lì capì subito. Poi un’altra cosa che so di mia nonna e che mi ha fatto impressione è che gli avevano tenuto nascosti certi giornali che erano usciti proprio in quei giorni, quando scoprirono i corpi. C’erano delle fotografie terribili sui giornali. Lei non le aveva viste, però ci ha raccontato che una notte, nella casa di Marion, non ha resistito ad andare a cercarli.

Dopo quanto tempo Amelia è arrivata a Parigi?

L’11 sono stati trovati i corpi, anche se erano stati uccisi il 9 Giugno. Lei è arrivata a Parigi il 12, massimo il 13.

Sarebbe così gentile, per facilitarmi il lavoro, di rifare una breve sintesi di quel tragico evento, cominciando dall’inizio, da quando Carlo è tornato dalla Spagna… grazie!

Dopo che Carlo rimase ferito in Spagna, non tornò subito ma rimase nell’ospedale del campo per farsi curare. Ebbe però delle complicazioni perché da giovane aveva avuto una flebite, che si acutizzò proprio durante quel periodo di convalescenza. Per questo non tornò subito. Tornato a Parigi per curarsi, sempre tenendosi in contatto con i suoi familiari, ricevette il consiglio di andarsi a curare in Normandia.

C’era questo luogo famoso per le sue acque che gli avrebbero fatto bene per la circolazione. Lui ci andò contro la sua volontà. Anche perchè voleva stare sempre dove c’era l’attività, stare in quel posto era per lui noiosissimo.

Carlo e nELLO rosselli

Carlo e Nello Rosselli

Si recò con Marion, scelsero un albergo con due stanze e trascorsero lì qualche giorno. Si scoprì dopo che i loro assassini li stavano seguendo anche in quell’occasione, per aspettare il momento opportuno per ucciderli. Gli assassini erano i membri della Cagoul, una organizzazione fascista francese pagata dai fascisti. Si intrufolavano e inseguivano Carlo e Marion dovunque andassero.

Però Marion doveva tornare a Parigi e non poteva più fargli compagnia. Qualcuno doveva andarlo a trovare perchè lui si annoiava tantissimo senza azione. Sua madre Amelia, voleva recarsi da lui, ma lei stava a Firenze e si era anche ammalata. Per questo pregò il figlio Nello, mio padre, di andare da Carlo.

Nello arrivò a Bagnol il 6 Maggio, in quell’occasione c’era ancora Marion. Trascorsero 3 giorni insieme, molto allegramente, perché Marion aveva molta simpatia per il cognato, andavano molto d’accordo. Forse gli sarebbe piaciuto che il marito fosse un po’ più come Nello, lo avrebbe forse desiderato un po’ più calmo, un uomo di famiglia, invece Carlo aveva questo spirito guerriero, ed era sempre in mezzo a mille cose. Fecero delle gite insieme, in quei pochi giorni.

La mattina Carlo andava a farsi le acque e poi sulla sua vecchia Ford nera, che aveva portato anche in Spagna, portava il fratello a fare delle gite, nel pomeriggio, nei dintorni. Purtroppo non furono molto accorti, fecero sempre la stessa strada secondaria, nel ritorno e incorsero in questi assassini. La cosa strana è che Carlo, che sapeva di essere nella mira dei fascisti, non aveva capito che bisognava stare più attenti, non fare gli stessi percorsi.

Il 9 di Giugno pranzarono insieme all’albergo, pare che ad un tavolo lì accanto ci fossero due di questi che li stavano inseguendo, in una trattoria lì di fronte c’erano gli altri. Erano circondati. Dopo il pranzo accompagnano Marion alla stazione che prendeva il treno per andare a Parigi perché il figlio maggiore anche se aveva già compiuto gli anni, per il giorno dopo aveva organizzato una festicciola con gli amici di scuola. Lei voleva esserci. I fratelli invece presero al macchina e si diressero ad Alanson, che si trova ad una cinquantina di chilometri da Bagnol, che è famosa per i suoi pizzi molto belli. Lì fecero degli acquisti.

Mio padre comperò delle cose per sua moglie, che gli trovarono nella giacca, quando trovarono il suo corpo. Da Alanson credo che avessero mandato anche delle cartoline. Ripresero la macchina per ritornare a Bagnol e su questa strada abitudinaria, verso le sette di sera, vennero sorpassati dagli assassini, che si fermarono e si misero di traverso, fingendo un guasto alla macchina. Anche i fratelli Rosselli si fermarono.

Pare che siano scesi dalla macchina per chiedere se avevano bisogno di aiuto e lì sono stati aggrediti a pugnalate e colpi di pistola. Loro erano solo due e per di più disarmati, ma si sono difesi a mani nude. Dopo il colpo i corpi furono trascinati in un bosco, la macchina rovesciata in un fosso. Cercarono pure di incendiarla. I corpi sono stati trovati solo l’11 giugno.

Non appena informata, Marion ha mandato il telegramma a nonna. Lei quella sera stessa ha preso un treno, accompagnata da un amico di famiglia. Al momento di scendere alla Gare de Lion, si trovò davanti i giornalisti, i fotografi; in quel momento ha capito quello che era successo, che non era un semplice incidente di macchina, come le avevano detto. Mia nonna da quel giorno non è più tornata in Italia.

Carlo e Nello Rosselli

Con questo lei voleva manifestare che lei sapeva da dove veniva il colpo. E’ rimasta in Francia, poi è andata in Svizzera, dove è stata raggiunta da me e da mia madre. Dalla Svizzera siamo dovuti andare in Inghilterra, dall’Inghilterra in America. Lì siamo stati 6 anni. Siamo tornati in Italia nel 1946.

In collaborazione con:

Enzo Antonio Cicchino

nato a Isernia nel 1956. Vive a Roma.

matricola Rai 230160.

enzoantoniocicchino@tiscali.it

Autore e regista documentari RAI.

ALCUNI LIBRI DI ENZO ANTONIO CICCHINO

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