CONOSSER

Conosser – l’enciclopedia

per capir i trentini – 159

CIAPAR PER EL SCANALUZ – E’ quello che di solito fanno gli strozzini. Prendere per la gola, non sempre e non solo in senso figurato.
NAR SMONANT – Menare il can per l’aia. Non venire alla conclusione. Vedi anche: “Tìra e smónega”.
FAR SPACO – Far spicco. Far bella mostra di sè. Magari con uno spacco mozzafiato …
SCALDARSE ‘L PISIN – Innvervosirsi. Creare una situazione fisiologica in base alla quale l’urina si riscalda, provocando reazioni inconsulte. Non solo l’esigenza di andare alla toilette.
NO DAR DA DIR – Fare in modo che non ci sia proprio nulla da dire sul proprio operato. Non assurgere agli onori della cronaca. Per nessuna ragione.
TEGNIR ‘N STROPA – La stròpa è la ritortola di vimini con cui si legavano i tralci delle viti. Quindi la frase significa tenere a freno, in soggezione. Soprattutto i bambini.
FAR DE FER E MANARA – Usare il ferro e l’accetta. Impiegare ogni mezzo per riuscire a portare a termine un impegno, un lavoro. Raggiungere ad ogni costo un obiettivo.
TIRAR NA STRISA – Tirare una striscia. Meglio: barrare qualcosa, cancellare con un segno un debito, un ricordo, una persona. “Su quel lì hò tirà na strìsa”.
FAR DO CREPI – Fare due tuoni. Ovvero alzare la voce, mettersi ad urlare improvvisamente, infuriarsi come se fosse scoppiato, di colpo, un temporale.
NAR FOR PER LE FROSCHE – Frosche sta per frasche. Di palo in frsca, andare fuori dal seminato, andare su tutte le furie. Vedi anche: “Nar fòr de carezàda”, “Nar fòr dai somenàdi”.
VOLTAR EL PUTIN EN CUNA – Il leader russo non c’entra. Come si cambia posizione al piccolo nella culla, così si cambia un discorso magari appena … nato.
FAR ALA VILIACA – Un lavoro fatto male che imporrebbe la fuga da parte dell’autore? Sicuramente un lavoro fatto male a prescindere dall’azione conseguente.
AVER ENGIOTI’ EN PAL DE FER – Si usa in tono canzonatorio rispetto a chi stenta a piegare la schiena, a piegarsi per lavorare. Schiena dritta ma non per autonomia di pensiero e rigetto delle imposizioni. Proprio perchè c’è questo palo di ferro nel corpo che impedisce la manovra …
TAIAR EL MAL PER MEZ – Dirimere un contrasto con l’applicazione del giusto mezzo in fatto di colpe e torti. Smussare, cercare di conciliare posizioni apparentemente inconciliabili.
PITOST CHE STARGHE VIZIN A UN CHE BATE SU LEGNA, MEIO STARGHE VIZIN A UN CHE CAGA – I rischi sul posto di lavoro ancora prima dell’entrata in vigore della 626. Insomma, meglio non stare vicino a chi spacca legna: qualche pezzo potrebbe schizzare. Nel dubbio meglio turarsi il naso nell’altra situazione.
EL BOTON DE LA GUDAZA – Il bottone della madrina. L’ombelico.
DIR MESA BASA – La Messa bassa è quella di tutti i giorni, officiata senza sfarzi, in tono dimesso o comunque diverso dalla Messa domenicale, festiva, per matrimoni o funerali. Significa borbottare, brontolare le proprie ragioni quando non si ha il coraggio di esporsi a viso aperto. Si usa anche per indicare come delle persone tramino qualcosa in combutta parlottando sottovoce.
DAR ZO A L’ORBA – Picchiare senza alcuna moderazione: dove cojo cojo.
DAR NA SDRELADA – Sdrèl è un bastone nocchiuto. Fa molto male …

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CIAPAR ‘N TROZ – Letteralmente: prendere un sentiero. In realtà si tratta di trovare un ritmo, una cadenza, pigliare l’andazzo.

TOR SU ‘L DO DE COPE E NAR – Se briscola è denari il due di coppe vale ben poco. Meglio però accontentarsi anche di questa carta, ovvero del poco che ci si è trovato in mano e abbandonare il gioco. Si usa quando si profilano guai nel perseverare su una strada tortuosa …

AVER AVERI A PAESOTI – Avere dei possedimenti nei paesini? No. In realtà si fa (ceva) riferimento a figli illegittimi sparsi un po’ ovunque …

DAL CORER AL SCAMPAR – La differenza tra le due azioni è minima. Cambia la causa. Si usa comunque al posto di pressappoco, circa, più o meno. Vedi anche: “zircumzìrca”.

EN ‘L SO IESUMARIA – Cioè, nel suo raccoglimento, dentro di sé. Assorto nei suoi pensieri (non sempre preghiere).

EL SE BINA A UNA – Va riferito al cielo. Quando le nuvole su mettono insieme e minacciano pioggia.

MIS MAS – Confusione. (vedi il tedesco: mischmasch). “L’è tut en mìs màs …”. Come diceva Bartali: “Tutto da rifare”.

BARONI DE ‘L SOL – Una volta i medicanti a Trento, avuta la minestra della carità pubblica, si disponevano lungo le mura di piazza Fiera per godersi il sole, la loro unica ricchezza.

SENTIRSEN TANTE CHE TERA – Un rimprovero duro, una serie di di brutte parole tante quanto l’estensione del pianeta terrestre.

VEGNIR A LE BELE – Redde rationem. “Se te me vègni a le bèle …”. E, dopo l’”incontro”: “A le tànte l’è vegnù a le bèle”.

SAVER DE CHE PE’ UN EL ZOPEGA – Conoscere il lato debole dell’avversario o comunque avere informazioni utili su come affrontarlo al meglio.

ARAR STORT – Andare fuori strada. Anche senza l’aratro. Al contrario: “aràr drìt”, rigare dritto.

NO TROVAR ‘N ARBOL DE PICARSE – Non trovare un albero per impiccarsi. Insomma, non saper prendere una decisione drastica e trovare subito una scusa fasulla.

FAR DE LE SOE – Fare quelle cose, di solito non positive, comunque originali, per le quali si è da tempo conosciuti dagli altri.

DAR ENDRIO LE SO CAMISE – Equivale alla liquidazione dopo il licenziamento.

DAR ENDRIO LE SO BALOTE – Restituire le palline. Ritirarsi da un affare, rompere una trattativa.

FAR CAMPANO’ – Sì, suonare le campane. Ma con estensione del significato anche alla diffusione di notizie che dovrebbero essere tenute segrete o rimanere tra poche e fidate persone.

DE OGNI PET FAR NA CANONADA – Gonfiare le cose (di qui problemi di aerofagia e ed eccessiva, potente flatulenza?), esagerare, imbastire una speculazione su fatti di poco conto.

DAR ‘N BASO SUT – Un bacio senza passione, con pochissimo trasporto (e senza scambio di saliva?).

METER ‘N TE ‘N TASER – Mettere a tacere. Far sì che non se ne parli. Operare perché qualcosa sia insabbiato.

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ENGOSA’ COME ‘N PAIT – Ingozzato come un tacchino. Lo si nota da quella … escrescenza sotto il collo?

ENDRE’ COME L’ULTIM VAGON DE LA GIARA – Dai e dai a forza di lavorare in miniera e far saltare mine può succedere di non essere più particolarmente sveglio.

STONA’ COME NA CAMPANA ROTA – Ovvero stare alle note musicali come la Fossa delle Marianne sta all’Everest.

NAR COME ‘N SOLDO ‘N COSTA – Rapidissimo. Come chi se la svigna coi soldi.

DRIT COME NA VIGNA DA LIGAR SU – Con evidenti problemi di scoliosi. Magari insorti dopo anni di lavoro proprio nei vigneti.

A ESTRI COME I PITORI – Genio e sregolatezza dell’artista.

FORTUNA’ COME I CAGNI ‘N CESA – Quando tutti ti guardano come a dire: “E tu che ci fai qui?”

ESSER EN MEZ COME ‘L ZOBIA – Essere d’intralcio. Come un appuntamento che cade proprio di giovedì, in mezzo alla settimana di ferie. Vedi anche: “Zòbia vegnùa, stimàna perdùa”.

VEGNIR AVANTI COME LA MERDA SOT AI STARNEZARI – Si sa che sotto le grondaie le deiezioni si squagliano. Di qui i chiari problemi di crescita. Di volume.

SIMPATICO COME ‘L MAL DE PANZA – In effetti il sistema nervoso simpatico può avere delle disfunzioni a carico dello stomaco.

STAR SORA COME L’OIO – Galleggiare, spadroneggiare.

L’E’ NA MERICANADA – Si diceva fin dalle prime delle ormai migliaia puntate di Beautiful.

UNDICESIMO, NON SBAZILARE – Il Comandamento in più: non prendersela.

L’E’ MALCIAPA’ – Preso male: da condizioni di vita, salute, qualcosa che comunque lo ha afferrato e non lo molla.

SE SARA’ ROBE … Meraviglia, stupore. Ma anche commento negativo, scandalizzato, puntini puntini …

QUESTO L’E’ N’ALTRO SCIAP DE OSEI – Non è questo il problema, al confronto quello che tu dici si volatilizza.

UPA – In tedesco sta per “auf”. Su, su, alzati e cammina. Si usa con i bambini. Per gli adulti confronta: “Oscia, ‘sa fente? Sténte o nènte?”.

EL BACHETEL DE L’ALEGRIA – (censura) – anatomia maschile riguardante il basso ventre. Ostentazione di vigore sessuale nonostante le ridotte dimensioni del (censura) in questione.

TIRARNE ZO A CAMPANE DOPIE – Doppio accompagnamento musicale per una serie (doppia) di insulti.

ESER SU ‘L CAVAL DE ‘L MAT – Gioventù sfrenata, i migliori anni della nostra vita.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 156

L’E’ MEIO BEVERNE NA BOZA CHE SPANDERNE NA GOZA – Lo smacchiatore non sempre risolve lo specifico guaio. E rischia di costare più della bottiglia. Cfr anche: “l’è l’ultim bicer che fa far la bàla”.

VIN DE CASA NO ‘MBRIAGA – Ma non sempre il vino del contadino – anche quello biologico – lascia indenni dopo abbondanti bevute.

COI SOLDI SE FA CANTAR I ORBI – Vedi anche: i successi internazionali di Bocelli.

QUANDO NO GHE N’E’, GNANCA LA PIALA NO ‘N TOL – Il limite insuperabile non riguarda solo lavori di bricolage. Vedi anche: “Se no ghe n’è denter no ‘n vegn gnanca fora”.

DA ‘N CATIF PAGADOR SE TOL QUEL CHE VEGN – Da un debitore inaffidabile meglio prendere al volo quello che può dare. Pochi, sporchi ma subito.

GROSA COSINA MAGRO TESTAMENT – Quando “hanno mangiato tutto” resta ben poco di eredità.

METI LA ROBA ‘N D’EN CANTON, PRIMA O DOPO LA GAVRA’ STAGION – Anche: “Scarpa rota sta chi, che se no ne trovo altre te meterò anca ti”. Della serie: “tut prima o dopo pòl vegnìr bon”.

LA CARITA’ ONESTA LA VA FOR DA L’US E LA VEN DALA FENESTRA – Chi dà con onestà prima o poi riceve di ritorno il dono fatto. A patto che non sia un do ut des. Proverbio questo, peraltro, da aggiornare …

A ROBAR GHE VOL SCARPE DA LADRO – Meglio lasciar perdere se non si ha l’adeguata predisposizione al furto. Attrezzi compresi.

QUANDO ‘L CORPO SE ‘L FRUSTA, L’ANIMA LA SE GIUSTA. Dai “Flagellanti”.

A CHI MASA E A CHI MIGA – Ingiustizia sociale.

NEGOZIANTI DE LEGNAM, TANT FRACAS E POCH GUADAGN – Crisi del settore del legno. Vedi anche: “Né zugadori, né pescadori, né useladori no ‘n vedré mai de siori”. E ancora: “Pic, pic, sempre povero e mai rich”. “Val pù ‘n picol trafichet che ‘n gros mànech de pic”.

VAL PU UN CHE LAVORA CHE ZENTO CHE COMANDA – La carica dei 101 ha bisogno di un solo leader.

CONSIGLIETE COL VECIO E FATE AIUTAR DAL ZOVEN – Saggezza dell’anziano e vigore della gioventù, la formula vincente.

CHI GH’A TORT ZIGA PU FORT – (da l’Arena di Giletti: “Però se lei non mi fa parlare prendo le mie cose e lascio lo studio …”)

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 155

EL GAL L’E’ L’OROLOI DEL CONTADIN – Basta fare i dovuti calcoli quando scatta l’ora legale.

CHI MASA SBAIA SE ‘MPIENIS LA PANZA DE ARIA – Can che abbaia non morde, ma solo per problemi di aerofagia.

EN DE I PONTAROI SE COGNOSE I BONI BOI – E’ in salita che si capisce se il bove ha doti di grimpeur.

TERA NEGRA FA BON GRAN, TERA BIANCA FA MORIR DE FAM – Quando acquistate un terreno agricolo fate molta attenzione al colore della terra, così come si scruta la dentatura di un cavallo.

‘N DO CRESCE BACO NO STA ‘MPIANTAR TABACO – Bacco, tabacco e venere riducono il raccolto in cenere. Meglio lasciar perdere le coltivazioni di tabacco sotto le vigne e farsi comprare le sigarette dalla moglie.

EL VILAN VESTI’ DE GALA EL SPUZA SEMPER DE STALA – Pour l’homme che sussurra al bestiame.

DA ALA ‘N ZO I E’ TUTI ‘TALIANI – Vecchia divisione etnica della popolazione prima della Grande Guerra e prima della Lega Nord.

QUANDO LA MERDA LA MONTA EN SCAGN, LA FA SPUZA E LA FA DAN – Lo sterco al potere può indurre alla coprofagia.

DE ‘N MORT E DE ‘N POTENT O PARLAR BEN O GNENT – Massimo rispetto per i defunti e l’onorata società.

CHI GH’A EL PODESTA’ DA LA SOA GH’A ‘N CUL I SBIRI – Da aggiornare: non basta essere amico del sindaco per farsi togliere una contravvenzione dalla polizia locale.

EN GUERA, EN CAZA E NEI AMORI EN SOL PIAZER GH’A MILI DOLORI – Mai accettare caramelle dagli sconosciuti.

QUANDO ‘L FOCH SOFIA, LETERA ‘N VIAZ – Segnali di fumo.

EN TODESCH ENTALIANA’ L’E’ ‘N DIAOL DESCADENA’ – Ja, oscia madona, du daren mir contributen wie King Durni geprometten hat.

SE STROPA ‘N BUS E SE ‘N VERZE N’ALTRO – Camera d’aria ormai irreparabile.

EL ROS TUTI I MATI I LO CONOS – La corrida moderna.

TRA CAORE E NAS SE MONZE TUT L’AN – L’insostenibile colata di latte e muco. Tra l’arte casearia e i fazzolettini Tempo.

EL FISCO L’E’ COME ‘L CAGN: SE NO ‘L MORDE ANCOI EL MORDE DOMAN – Attenti al 730 (e al cane).

POL DORMIR CHI GH’A ‘N GRAN MALOR, MA NO DORME ‘L DEBITOR – Quando la morfina dei prestiti non basta ad allontanare gli incubi.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 154

EL MAL EL VEN A CARI E ‘L VA VIA A ONZE – Il bilancio, dal punto di vista della quantità e anche in rapporto alla durata, è sempre a favore del male, delle negatività. Sic dicitur.

MAL DE PEL, SANITA’ DE BUDELE – I cosiddetti “sfoghi” della cute indicano il più delle volte l’avvio di un benefico processo di depurazione dell’organismo.

EL SAN EL VOLERIA ZENTO ROBE, EL MALA’ UNA SOLA – Quando si dice: basta la salute. Vedi anche: “Benedéta la sanità, se è siori e no sel sa”.

COLAZION BONORA, DISNAR A LA SO ORA, A ZENA POCHETOT, SE TE VOI VIVER TANTOT – Ecco come regolare l’assunzione dei pasti nell’arco della giornata per vivere a lungo.

DONE, ANI E BICERI NO SE I CONTA MAI – Lo slogan dei vecchi play boy.

QUEL CHE VEN DE RIFA E RAFA, SE NE VA DE BUFA E BAFA – La “partita di giro” dei beni mobili (ma anche immobili) arrivati dopo sospetti percorsi.

I SOLDI DEI PORETI E I CULI DEI CAGNI L’E’ I PRIMI CHE SE VEDE ‘N PIAZA – Non sono ostentati eppure, stranamente, si notano subito.

EL DIAOL EL CAGA SEMPRE SUL MUCIO PU GRANT – Diverso dal “piove sempre sul bagnato”. Perché in questo caso si parla di cose più solide, abbondanti, a prescindere dalla provenienza. E dalla capacità di resistere alle intemperie. O agli sciacquoni.

L’OM EL TEN SU ‘N CANTON DE LA CA’, LA DONA I ALTRI TREI – Economia domestica e ruolo della donna.

VEDE PU QUATRO OCI CHE DOI – In tipografia i correttori di bozze dovrebbero essere almeno due.

NO NAR AL CESSO PER NO BUTARLA VIA – Il massimo dell’avarizia.

CHI DEL LOT SE ‘NNAMORA, PREST O TARDI EL VA ‘N MALORA – La compulsione del gioco d’azzardo, ancor prima dell’avvento dei videopoker.

CO LE CIACERE NO SE PAGA NESUN – Ad esempio: “Intanto grazie, ci sentiamo …”. Vedi anche: “Laoro fat, soldi spèta”.

LA PIGNATA DE L’ARTESAN SE NO LA BOIE ANCOI LA BOIE DOMAN – Un buon artigiano non resterà mai senza lavoro. Anche “in nero”, al limite.

QUANDO LE ANEDRE LE SCHERZA SU L’ACQUA PREST CAMBIA ‘L TEMP – Non rovinate le previsioni meteo lanciando pezzetti di pane nel lago …

LA PRIMA GALINA CHE CANTA L’HA FAT L’OF – Excusatio non petita, accusatio manifesta.

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Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 153

I VERI AMIZI CIARE VOLT A L’US – Non è chi frequenta spesso la tua casa – soprattutto quando non serve –  il vero amico.

LA POLENTA CRUVA E LA DONA NUDA LE E’ LA ROVINA DE L’OM – Dalla pellagra al cuore (cfr Venditti).

I BOI SE I LIGA PER I CORNI, I OMENI PER LA PAROLA – Anche se l’uomo non sempre rispetta i patti, mentre il bove lo deve fare comunque, obtorto collo.

PUTOST DE TOR DONA DAL NAS LEVA’ L’E’ MEIO MAGNARSE ‘N CAMP O ‘N PRA’ – Occhio alle permalose (ma anche ai permalosi) e al prezzo da pagare (vale anche per il divorzio breve).

FIOI PICOI ALEGREZE GRANDE, FIOI GRANDI ALEGREZE PICOLE – Equazione che tien conto sia delle variabili che delle fisse.

BATI ‘L BON EL VEN MILIOR, BATI ‘L TRIST EL VEN PEGIOR – Cambiano carattere solo i masochisti?

MODA, DESMODA, EL CUL STA ‘N LE BRAGHE – Passano le mode, ma il lato B dovrebbe rimanere comunque coperto.

EL TEMP EL SGOLA – Il tempo passa. Sia nell’acqua (panta rei), sia sulla terra (carpe diem), sia nell’aria.

L’EMPROMETER L’E’ FRADEL DEL MAL ATENDER – Chi promette sa già che non manterrà subito la promessa.

OGNI PAES GH’A LA SO USANZA, OGNI BONIGOL GH’A LA SO PANZA – Bonìgol (o botòn de la gudàza, o boton de la panza) è l’ombelico. E non si può staccare dalla pancia.

SE TE TE SPOSI I TE DIS DRIO MAL, SE TE MORI I TE DIS DRIO BEN – Matrimoni e funerali, false felicitazioni e ipocriti ricordi.

EL MES CHE SCOMENZIA DE DOMENEGA L’E’ PEZO DE NA TRISTA FEMENA – Occhio al primo giorno di ogni mese prima di credere all’oroscopo.

SE TE VEDI FUM, O CHE L’E’ FOCH O CHE L’E’ UN CHE HA CAGA’ DA POCH – Massima attenzione quando si avvertono questi segnali nell’aria: non sempre è puzza di bruciato.

EN DOVE NO GH’E’ COLPA NO GH’E’ PECA’ – Attenuante generica nell’omicidio colposo?

SE NA FAMIGLIA LA FA SU ‘N MUR, DO FAMIGLIE LE GODE DE SICUR – La concordia tra vicini sta nella materiale delimitazione delle rispettive proprietà?

L’AQUA SANTA LA FA BEN TANT POCA CHE TANTA – Ininfluente il dosaggio e quindi l’assidua o meno frequentazione delle terme, pardon, della chiesa.

L’AMOR DE DIO E LA SE’ DEL FERAR L’E’ DO ROBE SENZA FIN – L’importante è che il fabbro si disseti con acqua, esclusivamente con acqua.

TUTI I SALMI I FINIS ‘N GLORIA – Pretesto per il brindisi. In ogni occasione. Soprattutto alla fine di una lunga conferenza.

EL DIAOL EL COGNOS L’ALTRO – Tra Diavoli ci s’intende.

AL ZIMITERI SE FINIS TUTE LE QUESTION – Semmai le liti, dopo, riguardano gli eredi.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 152

FOGAMERDE – Si tratta dello scarabeo stercorario. Insetto che evidentemente ha nello sterco il suo habitat naturale. Ma “fogàr” (o fodegàr o ancora sfodegàr) sta per frugare. Quindi il significato di ficcanaso. O peggio di chi ama invischiarsi nello sporco. Non in senso lato.

MAGNANUGOLE – Chi vive tra le nuvole, perdigiorno. Insomma per aria, elemento del quale addirittura si alimenta.

NAR A PASCOLAR LE GALINE DE L’ARZIPRET – Non vuol dire dare una mano all’arciprete (o al parroco, o comunque al sacerdote del paese) nel pollaio, ma di fatto morire.

TE BATO VIA I COIONI E GHE I DAGO AL GAT CHE ‘L FAGA MATERIE – Minaccia grave. Con prospettive non solo di cruente evirazioni, ma anche di spettacoli orrendi. Col gatto che gioca con … poveri resti della virilità perduta.

TI TASI CHE TE GH’AI ANCORA LA PEZOTA BAGNADA – (vedi anche pezotèr, pezotèra, pisòt, pisòta). Invito a un ragazzo o a una ragazza, presuntuosi, saputelli, a ricordare la loro inesperienza. Anche nei bisogni fisiologici, primari, infantili.

DESFIZAR LE BUDELE – Mangiare in abbondanza. In modo da togliere l’intestino da una sorta di raggrinzimento. Da notare che “desfizàr” vuol dire sfilare l’ago. Quindi in senso figurato si tratta di rompere le cuciture e … liberare il passaggio del cibo. Vedi anche “brontolàr de budèle”, gorgogliare degli intestini, a causa della fame.

RASPAR SU TUT – Raspàr sta per limare, usare la raspa. In questo caso significa proprio mangiare tutto quanto c’è nel piatto, senza lasciarvi nemmeno una briciola. Limando tutto … ciò che è commestibile.

NA SGEVA DE FORMAI – Una scheggia di formaggio. Assaggio che prelude sempre a “Oscia, dàme n’altra sgeva de sto formài bòm”.

NA SBERLA DE POLENTA – Nulla a che fare con le torte in faccia. Sbèrla sta qui per “grande porzione”. Anche sbèrla de carne, sbèrla de formài (diverso, molto più abbondante dalla sgèva).

PREPARAR EL CAFE’ BON – Il  caffè buono è semplicemente quello che non è caffè di orzo (o de zicòria) o quello che adesso si chiama decaffeinato. Insomma il caffè vero, non suoi derivati o sostituti.

FAR EL FIOZ – Letteralmente: fare il figlioccio. In realtà in questo caso il Padrino è quello che sottrae la porzione di un altro commensale. O perché è lento a servirsi o perché è arrivato tardi a tavola.

L’E’ ‘N PORO TETA – Tonto, imbambolato, anche “tetìna”.

POCI MANINA – Bacia la manina. Ringrazia il cielo che è andata bene. Frase spesso accompagnata dal gesto di baciare la mano prima sul palmo e poi sul dorso. Vedi anche: “basàrse le man”.

BELE CHE FINI’ ‘L FILO’ – Chiusura dei discorsi, della festa, della pacchia. Filò erano le veglie invernali dei contadini nella stalla. In queste riunioni ci si dedicava al desvolzò, ovvero a dipanare le matasse dei filati di lana, capanapa o cotone, si sgranavano le mànze de zaldo, si raccontavano storie ai bambini, si ascoltavano i racconti degli anziani. Far filò: chiacchierare, raccontarsi fatti e novità.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 151

LASA CHE I CANTA ‘N DOM, CHE I E’ PAGADI – Invito a prestare attenzione alla conversazione. Ed a lasciar perdere canti, “sirene” provenienti da luoghi in quel momento estranei al dialogo.

L’E’ NA VAL CHE SE BRUSA – Quando è impossibile far qualcosa per evitare il peggio. Non un focolaio, insomma. Non una cosa da niente.

BELA DA VEDER – Commento a qualcosa che era del tutto prevedibile, inevitabile. “Màma, ho macià ‘l quaderno co la ciocolata … “ – Brào, l’era bela da veder”.

NO GH’E’ MA CHE TEGNA – Non si ammettono repliche. Senza se e senza ma. Vedi anche: “No gh’è zeròti che tegna”.

SMACAR EL BORTOL – Percuotere il sedere dei bambini. “Ocio che te smàco el Bòrtol neh …”.

ESER ‘N GIANDARMO – Riferito di solito ad una donna energica, che riesce a mettere in riga tutta la famiglia, a cominciare dal marito.

NO CREDER GNANCA ‘N TE ‘L BRO’ DE GNOCHI – Non credere proprio in nulla. Nemmeno alla gastronomia.

PARER LA MORT ‘MBRIAGA – Essere davvero conciato male. Rinsecchito, macilento. Da stare in piedi per miracolo. Come appunto se la morte avesse esagerato nelle libagioni. Le ultime …

RIDER CO ‘L SAOR DEI ALTRI – Ridere di malavoglia. Magari quando non si è capita la battuta, la barzelletta.

VA ZERCA CHI L’HA ROTA – Impossibile conoscere chi abbia fatto qualcosa di negativo, provocato un danno. E’ anche un invito a non prendersela troppo oltre che a lasciar perdere le indagini.

FAR PREZIPIZI – Rovinare, fracassare. Ma soprattutto: andare in malora, finire nel burrone, fallire.

VOLTAR EL PUTIN EN CUNA – Cambiare discorso. Non il pannolino … e nemmeno il premier russo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 150

CHI G’HA BRAGA PAGA, CHI G’HA VESTA GODE LA FESTA – Da aggiornare al pagamento degli alimenti in caso di divorzio.

EL MATRIMONI ‘L FA TREMAR ZIEL E TERA E PEI DELA LITERA – Tra sacro e profano. Innamoramento, amore e sesso.

CHI G’HA FIOI TUTI I BOCONI NO I E’ SOI – Quando si mette su famiglia con prole le spese aumentano.

MEIO N’AIUTO CHE ZINQUANTA CONSIGLI – Fatti, non parole.

MEIO FAR ENVIDIA CHE PECA’ – Meglio essere invidiati che oggetto di compassione

G’HA DIRITO A RIMPROVERAR CHI SA MEIO FAR – L’esperienza, la pratica dà la facolta, il diritto di intervenire. Soprattutto quando si parla di lavori da eseguire a regola d’arte.

FRADEI ‘N CRISTO, NO ‘N LA PIGNATA – Finita la Messa gabbato lo Santo. E giù le mani dal mio panino … amen.

QUANDO SE STA BEN NO SE E’ MAI VECI – Meglio aggiungere vita agli anni che anni ad una vita di acciacchi e dolori fisici

CHI E’ VIZIN ALA COSINA MAGNA LA MENESTRA CALDA – Ma attenzione alle pizze da asporto se si abita lontano dalla pizzeria.

MERDA GRANDA PANZA TESA – E’ da quanto esce fuori che si capisce quanto è andato dentro …

EN CASA STRENZI, EN VIAZO SPENDI, EN MALATIA SPANDI – Teoria e pratica della spesa. Diversa a seconda delle priorità.

CHI E’ STRET DE MAN E’ STRET DE COR – L’avarizia incide anche nei rapporti interpersonali. D’amicizia soprattutto.

CON LA BOSIA TE VAI A DORMIR GENERAL E TE DESMISI CAPORAL – La realtà (degradata) quando ci si risveglia dopo un sogno che si reggeva sulla menzogna.

ESSER ‘N TE ‘L VOLT DEI POMI – Cioè al fresco, dove si conservano le mele. Di solito si allude alla camera mortuaria

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 149

APRIL L’E’ FAT PER ‘NCOIONAR LA ZENT – Non solo il primo del mese. Anche perché, come diceva il saggio cinese, aplile dolce dolmile …

APRIL NO TE DESLIZERIR DE ‘N FIL – Ma con questa primavera uggiosa sfido chiunque ad andare in giro con abbigliamenti … anche solo primaverili.

APRIL EL FA ‘L FIOR E MAGIO ‘L DA ‘L COLOR – Il ciclo naturale. Poi com’è quella storia dell’ape? E la cicogna, mamma, allora cosa c’entra? E perché bisogna stare attenti a guardare sotto le verze? E il piccolo Andrea, il mio fratellino, come mai è venuto fuori dalla tua pancia?

SE ‘L PIOVE EL DI’ DE PASQUA VEN ERBA ANCA SU ‘N DE NA LASTA – Potere delle muffe, dell’umidità. Occhio durante le arrampicate libere ai fragili appigli vegetali.

SE PIOVE SU LE PALME PIOVE ANCA SUI BRAZADEI – Non bisogna fidarsi, in caso di precipitazioni pre-pasquali, dei pic nic all’aperto o delle gite fuori porta. Meglio consumare il tradizionale dolce pasquale al coperto.

SE TE GAI ‘N BON ZOCH SALVEL PER EL MES DE APRIL – Meglio tener via un po’ di legna per questo mese e non dimenticare il caminetto.

NADAL COL SOL, PASQUA COL STIZON – Quando fin dalla fine di dicembre si può prevedere che tempo farà a Pasqua.

SE LA VIGNA LA BUTA DE MARZ LA ‘MPPIENIS EL TINAZ, SE LA BUTA DE APRIL LA ‘MPIENIS ‘N BARIL – Se le viti germogliano in marzo la vendemmia sarà ricca. Basterà un piccolo contenitore invece se questo succede in aprile.

EL SEREN CHE VEN DE NOT L’E’ COME N’ASEN CHE VA DE TROT – Bufale. Che non vanno al galoppo. Così come non dura il sereno che viene di notte, con le scarpe tutte rotte …

LA LUNA LA SPAZZA – Non solo il vento allontana le nuvole.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 148

ESSER CUL E CAMISA – Relazioni intime. Perfetta sintonia e … aderenza a determinati modi di essere. In comune.

ESSER BUSETA E BOTON – Asola e bottone. Come cul e camìsa. Forse con maggiore profondità e vicinanza.

NO ESSER DE QUEI D’ALSERA – Avere maggiore esperienza. Distinzione netta da quelli che recentemente hanno preso contatto con lo stesso locale o con la stessa situazione. Vedi anche: “No son miga vegnù zo co l’ultima nèf …”.

NO VEDERGHEN DENT’ – Impossibile vedere all’interno. Non solo della sfera di cristallo ma anche nella soluzione più pratica di un problema.

FAR LA SCAFA – Creare con i muscoli facciali la tipica espressione del broncio.

NO AVER RECHIE – Non darsi pace. Non avere tempo nemmeno per un requiem … Occhio che non si tratta di non avere orecchie per sentire quello che succede comunque intorno.

AVER SCRIMIA – Non aver problemi di discernimento. Per “scrimiàr”. Ovvero sbrogliare una matassa. Risolvere una questione. Poter dir la propria opinione con convinzione e la forza della conoscenza.

ENZOLARSELA DRIO A LE RECE – Un po’ come fare un nodo per ricordarsi qualcosa. Solo che in questo caso specifico vuol dire serbare rancore per uno sgarbo che risulta registrato perfettamente. Ed altrettamento perfettamente è stato archiviato a livello audio.

TAIAR A SCALETE – Una volta per molto meno si dava dell’incapace al barbiere che avesse conciato i capelli a scaletta, cioè con evidenti “tacche”. Ora la moda ha però rivalutato questo tipo di taglio. Viene usato anche per dire che qualcuno cincischia.

DAR DA ‘NTENDER CHE N’ASEN L’E’ NA’ SU PER NA NOGARA (O NOGHERA) – Prima che l’asino (o l’elefante) possa decollare, librarsi in volo nel cielo, è necessario del resto che possa prender quota, magari con l’aiuto di una pianta di noci.

NAR DE LIRONLERO – L’è lì l’è là l’è lì che l’aspetava el Miguel …. El Lironleroooo.  Vuol dire andare barcollando. Magari alla ricerca del merendero, del sombrero, dopo en goto de quel nero …

ZUCHER SORA LE FRAGHE – Qualcosa di superfluo. Ma in gelateria è concesso …

L’ALBA DEI TAVANI – Si parla di mezzogiorno. Quando i mosconi cominciano a ronzare …

AI TEMPI DE MATIO COP – Cioè anni e anni e anni addietro. Ai tempi del misterioso Matio Cop.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 147

L’AMOR L’E’ ORBO – Serve la benedizione furbi et orbi per non dar retta alla passione.

L’AMOR VECIO NO ‘L FA MAI MUFA – Basta prestare attenzione alle conseguenze dei cosiddetti ritorni di fiamma.

MEIO SOLI ‘N TE NA STALA CHE TANTI ‘N TE ‘N PALAZ – La qualità della vita in relazione ai carichi antropici.

NA NOS PER SACH E NA DONA PER CA’ – Funziona come le società perfette: sono quelle i cui soci sono in numero dispari, inferiore a tre.

PER LA COMPAGNIA S’A’ MARIDA’ ANCA ‘N FRATE – Il problema del celibato negli ordini religiosi.

EL DENT L’E’ PU VIZIN DEL PARENT – E delle volte un dente, anche cariato, fa meno male di certi consanguinei.

FIOL SOL, FIOL ASEN – Il disagio dei numeri primi.

FATA LA GABIA, MORT L’OSEL – E pensare che aveva lavorato e fatto risparmi per una vita, mai andato in ferie, al lavoro in quel cantiere della sua casa anche di notte. Che sfortuna … proprio quando erano arrivati anche i faretti per il giardino.

EN TERA DE ORBI BEATO CHI GA’ N’OCIO – La tremenda vendetta di Polifemo-

ZOCH DE MAN NO S’EL FA VIZIN AL CAGN – Attenti al cane: non capisce la lingua dei segni.

LA ZIVILTA’ LA VA SEMPRE ‘N ZO, MA ‘L MONDO ‘L GA’ ‘L CUL EN SU – La rivoluzione terrestre non tiene conto dei capricci umani.

CHI GA’ LA GOBA, CHI GA’ ‘L GOS E CHI NO GA’ NE’ GOBA NE’ GOS GA’ ‘L DIAOL ADOS – Meglio difetti fisici che vendere l’anima al diavolo nella propria integrità.

LODETE ZESTA CHE ‘L MANECH L’E’ ROT – Quando anche se il difetto sta nel manico tutto il resti funziona ancora.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 146

ONT COME LA SIL DE ‘L CARETER – Unto come l’assale del carrettiere. Si dice anche “ont come na sitèla”. Ci si riferisce solitamente ad un ubriaco (ònt). Se si è vicini al coma etilico : “ònt e bisònt”.

DURA COME ‘N BECH – Dura come un caprone. Si parla di carne. Vedi anche: “Cossa gàt soto le scarpe se le sòle te me l’hai fate ai feri?”

TACAR COME ‘L VIS’CIO – Ovvero come quella sostanza che si usava per intrappolare gli uccelli su un ramo.

STRUCADI COME SARDELE – Provare per credere sui bus la mattina quando partono (o tornano) gli studenti.

VEGNIR AVANTI COME LA MERDA SOT AI STARNEZARI – Gli starnezàri sono le grondaie. Sotto le grondaie di solito le deiezioni durano pochissimo. Di qui il significato: crescita zero. Come la produzione industriale italiana negli ultimi tempi.

VARDA CHE TE COLTIVO – Più che una dichiarazione d’intenti in ortofloricoltura si tratta della minaccia di “raddrizzare” con metodi drastici qualcuno.

FARSEN NA TESA – Mangiare abbondantemente. Per poi dire: “Bo, adès sarìa anca tès, ma e se nèssen a farne na piza?”

SALUTE E BEZI E TEMP DE GODERLI – Salute e soldi ma anche il tempo per godersi questi desideri (o auguri).

CIAPARSE SU QUALCOS – Ammalarsi. “Vei denter che se no te ciapi su qualcos …”. Possibilità di prendere un virus, un’infezione, di subire una patologia da portatori tutt’altro che sani di … qualcosa.

ESER ENCUCA’ – Naso tappato dal raffreddore. Ma anche per i postumi di una sbornia.

EL BACHETEL DE L’ALEGRIA – Riferimento all’organo sessuale maschile (omissis …)

ESER BENBINA’ – Essere composto. Avere un abbigliamento adeguato, anche alla situazione climatica, atmosferica, ambientale. In caso contrario: malbinà, eser maltapà, eser maldobà,eser malcombinà.

AVER EL VESTI’ CHE PIANZE ADOS – Come il contrario della voce precedente. Ma in modo evidente: nel senso che si vede lontano un miglio che il vestito gli (o le) casca male, che è troppo largo, che insomma non avvolge nella maniera giusta il corpo.

LASAR UN ‘B TE ‘L SO PIS – Lasciare qualcuno … nei propri umori, nel suo brodo. Anche con le mutande bagnate se se l’è fatta sotto.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 145

BOIR FORA – Richiama il bollire delle vinacce attraverso il quale si ottiene la grappa. In realtà si riferisce in genere all’aumento della sudorazione dopo abbondanti libagioni. Anche di grappa.

ESER SENZA DOVA – Si dice di un vino che … non sa di niente. Al contrarip, se “ìl gà la dòva” allora si lascia bere, o meglio “’l se làsa …”.

RACHELE – Modo scherzoso per indicare la grappa. Forse dal nome della moglie del Duce. O da qualcosa che richiama el “raschìn” in gola. Boh.

TROVARSE ‘MBROIADI – Certo, si dice anche di vittime di imbrogli, raggiri. Ma il più delle volte per definire uno stato di imbarazzo, quando non si sa che dire o cosa fare. O si è in difficoltà comunque. In una situazione piena di guai.

AVERGHEN PIEN LE MIOLE – Stanchissimo. Fino alle midolla.

NO ESER LA STRADA DE L’ORT – Non avere davanti un tragitto breve. Come quello che porta all’orto di casa. Insomma, un posto lontano da raggiungere.

EN SPEGIO DE GIAZ – Luogo ricoperto, del tutto, da ghiaccio. Lastra ghiacciata dove ci si può specchiare.

A CHI MASSA E A CHI MIGA – Ingiustizia sociale.

QUANDO SBALZA LA BALA ‘N MAN OGNUN SA DARGHE – Da evitare (se non si è il portiere) nell’area di rigore durante una partita di calcio. Vuol dire che quando si è toccati dalla fortuna non è difficile realizzare qualcosa di buono. Di solito …

CON GNENT NO SE FA GNENT – Start-up con necessità di contributo iniziale

APRIL: LA PEGORA LA GODE E ‘L PORCO ‘L ZIGA – Destini diversi per ovini e suini in primavera

APRIL PIOVOS, AN FRUTUOS  – Spread e Pil collegati strettamente al meteo

SE CANTA ‘L GAL SORA LA ZENA SE L’E’ NUGOL EL SE SERENA, SE ‘L CANTA SORA ‘L DISNAR SE L’E’ SEREN EL SE VOL NUGOLAR, SE ‘L CANTA DA MEZANOT EL PIOVE ‘L DI’ E ANCA LA NOT – Occhio al gallo prima di uscire di casa con o senza l’ombrello.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 144

VARDAR FORA MAL – Non bisogna fare la traduzione letterale. Altrimenti si va lontano, molto lontano dal significato. Si tratta di dimostrare un brutto aspetto che denota una cattiva salute. All’opposto si può dire “vardàr fòra ben”. Deriva dal tedesco: er sieht schlecht/gut aus. Insomma gli occhi come specchio dell’anima ma soprattutto delle condizioni (interne, di qui la necessità di guardar fuori) di salute. Attenzione: vardàr mal (senza specificare da dove) vuol dire invece guardare in modo cagnesco, con recondite minacce. All’opposto, vardàr ben: principio di innamoramento?

TOR CO LE BONE – Convincere con le buone maniere. Rapportarsi al prossimo con empatia. Vedi anche: “Usàrghe le bòne a ‘l diaol perché no ‘l morda”.

METERGHE ‘N DI’ PER NAR E TREI PER TORNAR – Non dipende sempre ed esclusivamente dagli imprevisti. Può anche darsi che il luogo di arrivo abbia una serie di interessi tali da rendere piacevole il soggiorno.

SERAR SU BARACA E BURATINI – Cala il sipario. Chi s’è visto s’è visto. E forse non ci sarà una prossima analoga situazione, una replica dello spettacolo.

NO FARSE VARDAR DRIO – Non dar motivo per essere additato. Anche dal punto di vista morale. Non solo per l’abbigliamento eccentrico.

TACAR BOTON – Trattenere – chi non ne ha affatto voglia – con chiacchiere pretestuose e vuote. Possibile risposta: “Mòleme te prego che gò da nar a tor i boci a scòla”.

CONTAR QUELA DE L’ORCO – Tenere a bada con ciance come si fa raccontando fiabe ai bambini. Vedi anche: “Contà quela de l’òrs”.

SVOLTOLARSE DA ‘L STRACH – Si può riuscire a non dormire anche per l’eccessiva stanchezza.  O pigrizia.

ARAR STORT – Non rigare dritto, uscire di strada. Anche su strada asfaltata o nella vita sociale, non necessariamente nei campi. Dove però si può finire dopo l’incidente.

AVERGHEN FIN CHE SE ‘N VOL – Il massimo dell’abbondanza.

TRAR ‘L CUL A SGUAZ – Tipico modo di nuotare di chi è alle prime armi. Con grandi movimenti di acqua in piscina.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 143

EN VENT CHE PORTA VIA – Non è di solito quello dell’est. Ma freddo, tipo bòra triestina, tramontana. Se non porta proprio via la persona ha buon gioco con l’ombrello. Ma dove vanno i marinai?

EN NEGRO D’ONGIA – Roba da poco. Giusto quella porcheria che si annida sotto unghie da tagliare e reduci da lavori … sporchi.

PIS DE ANZOI – Non è la pioggia … dorata. O qualcosa simile all’acqua santa. Si dice di un liquore decisamente squisito.

MIS MAS – Confusione. Dal tedesco: Mischmasch.

AVER NA CARGA DE LEGNA VERDA – Beh, ha anche un significato letterale. Cioè ritrovarsi con tanta legna appena tagliata, verde, non adatta per accendere subito il caminetto o il forno. Ma una volta si usava per indicare una famiglia con a carico ancora tanti bambini, tanti piccoli, in “verde età”. Più pesanti – come per la legna – di quelli stagionati, secchi. Nel senso che li si ha in groppa. E vanno allevati, custoditi, preparati al “fuoco” della vita.

AVER LE COCOMBRIE – Essere ipocondriaco, fissato su qualcosa, soprattutto sui propri, magari inesistenti, malanni fisici. Anche preoccupazioni decisamente insolite.

BASTA CHE L’ARFIA – Basta che respiri. Squallido se riferito al rapporto con una donna…

DAR LE ARMANDOLE – Dare le mandorle. Corrompere (non con un semplice sacchetto di mandorle, s’intende).

ESSER SENZA DOVA – Si dice di un vino che non ha personalità. Al contrario: “’l gh’à dòva”.

DROPAR LA LADRA – Non è il caso di coinvolgere una donna in un colpo ladresco. La làdra è in realtà quel tubo di gomma con il quale si può comodamente succhiare o travasare il vino dalle botti o dalle damigiane. Certo, serve anche a rubare. Ad esempio … la benzina dal serbatoio delle vetture, dei motocicli, dei camion…

ESER ONT – Non vuol dire unto del Signore. Ma brillo. “Bisònt”: più che ubriaco, da coma etilico.

TROVARSE EMBROAI – In grande difficoltà. Non saper che fare per uscire da una situazione intricata. Certo, anche restare vittima di una truffa, di un imbroglio. Ma in questo caso è meglio dire: “Oscia, i m’ha ciavà, diaolporco”.

FARNE NA BARELA – Non c’entra il pronto soccorso. Si tratta di andare a cacare abbondantemente. La barella si usava – dopo – per trasportare in qualche luogo (ad esempio nei campi) il contenuto del gabinetto (cesso) che di solito era collocato all’esterno dell’abitazione e non era di certo allacciato alla rete fognaria.

L’ARTE DEL MICHELAZ. MAGNAR, BEVER E NAR A SPAS: Carpe diem. Che gli altri lavorino che io me la spasso da mane a sera.

 Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 142

DA SAN GREGORI PAPA LE RONDOLE LE PASA L’AQUA – A San Gregorio cominciano le migrazioni, sopra il mare, delle rondini. Che ritornano … per far primavera.

DA SAN GIUSEP NO SE SCALDA PU ‘L LET – A prescindere dalle variabilità in teoria dal 19 marzo (San Giuseppe) non si dovrebbe più riscaldare il letto. Artificialmente s’intende. Se poi c’è la calda passione …

MARZ NO ‘L GH’A ‘N DI COME L’ALTRO – Marzo pazzerello.

DE MARZ CHI NO GH’A SCARPE VA DESCOLZ – Insomma, a piedi nudi nel parco? Almeno i calzini, forse, sarebbe il caso di metterli.

AL SOL DE MARZ E A L’AMOR DE LE PUTELE NO SE GHE CREDE – Fuochi fatui.

VOIA O NO VOIA MARZ ‘L VOL FOIA – Guarda guarda, stanno spuntando le prime foglioline …

LA LUNA DE MARZ LA VA FIN A SETEMBRE – Influssi lunari primaverili destinati a condizionare tutto fino alla fine dell’estate. Ipse dixit.

CHI MAZA EN PULSE MARZOL, MAZA EL PARE E ANCA EL FIOL – Prevenzione contro i parassiti molto efficace nel periodo di marzo. Strage di un’intera generazione di pulci assicurata.

SE ‘N MARZ BUTA ERBA, EN APRIL BUTA MERDA – L’auuspicio? Che marzo sia poco piovoso.

MARZ SUT E APRIL BAGNA’, BEATO ‘L VILAN CHE L’HA SOMENA’ – Marzo asciutto e aprile piovoso, beato il contadino che ha seminato.

EL BO’ MORO O L’E’ MERDA O L’E’ ORO – Non ci sono vie di mezzo. Difficile la previsione al momento dell’acquisto dell’animale.

EL PRA’ FA’ LA VACA E LA VACA FA ‘L PRA’ – Un ciclo naturale. Dall’erba al concime.

ZAPA FONT E SOMENA PER SORA – Aratura del terreno profonda, semina a spaglio e in superficie.

PAN VIN E ZOCA E PO’ LASA CHE ‘L FIOCA – Pane, vino e un bel caminetto accesso. E lascia pure che fuori nevichi.

EN TEMP DE GUERA TANTE BOSIE CHE TERA – Quante bugie, quante cose non vere si sentono e si dicono in tempo di guerra.

EN GUERA, EN CAZA E NEI AMORI EN SOL PIAZER GH’A MILI DOLORI – Guerra, caccia e amori: per una gioia mille dolori.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 141

NO STA DARTE LA ZAPA SUI PEI – Occhio dove scavi, dove usi la zappa. Non solo ai piedi …

FA PU BEN CHE TE PODI – Invito ad eseguire un lavoro a regola d’arte. Nel limite del possibile.

DATE PAZE VALA’ – La virtù dei forti è la calma. Soprattutto nei momenti decisivi. Vedi anche: “Calma e gess”.

UNDICESIMO … NON SBAZILARE – Sbazilàr sta per vacillare. Invito a non prendersela. “Mi no sbazìlo”: non mi preoccupo, faccio sul serio.

VOLTELA CHE LA SE BRUSA – Invito a cambiare discorso. O anche ad evitare che la frittata si cuocia troppo da una parte.

CON LA FAM FIN AI OCI E CON LE SBROCE FIN AI GINOCI – Allora: in tempi di gran miseria, di gran fame, si bollivano le castagne nell’acqua per mangiarne la polpa. La fame rimaneva costante nonostante le bucce della castagne svuotate del loro contenuto arrivassero sino alle ginocchia.

FAR STRONZI MAGRI – Poco entra e poco di conseguenza esce …

BRONTOLAR DE BUDELE – Quando si ha fame canta solo l’intestino

FAR PIETA’ AI SASI – Se anche il mondo minerale s’intenerisce vuol dire che si è messi male.

GNANCA BON DE … – Classica sfida impossibile. Attenzione: leggere bene la parte dedicata ai possibili effetti collaterali.

BELE CHE FINI’ EL FILO’ – Buonanotte suonatori. La festa è finita. Adesso siamo a posto …

NO LA VA GNANCA A TRARLA – Se una cosa non va non va. Nemmeno a spingerla.

AVERGHE DE ‘L STROLECH – Strolegàr vuol dire arrovellarsi, lambiccarsi il cervello, fantasticare.

METERGHE SU NA PEZA – Porre rimedio a qualcosa che è stato fatto male. Basta che “’l tacon no sia pezo del bùs”.

RESTAR MALSAORI? – Retrogusto amaro dopo qualcosa che si sperava fosse ben diverso.

 Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 140

GAMBE AIUTA E CUL VEI DRE’ – Più veloce della luce, del tempo, dello spazio. Laddove tutti gli elemti fisici, all’unisono, si danno ad una precipitosa fuga. Vedi anche “nàr che nàre”.

SPETEME CHE VEGNO – Non è una richiesta di tempo ma l’esatto contrario. Si dice a chi è lento, indeciso nel muoversi, nel darsi da fare. Vedi anche: “Nènte o stènte?”

BOCA TASI, CHE DE DARO’ DEL PAN – Invito a non palesare un segreto. In cambio di tangente alimentare.

‘SA SONTE MI, FIOL DEI ZINGHENI ? – Esclamazione, dal retrogusto razzista forse, ma molto usata in passato. Ora tristemente aggiornata per la verità (Vara che no son miga arivà coi barconi). Vedi anche, a proposito di vecchie discriminazioni: “’Sa sonte mi, el fiòl de la serva?”

VAGO VIA E S’CIAO – Venni, vidi e salutai. S’ciao ha ancora presente la radice di “servus, schiavo” donde il ciao moderno: vostro umile servitore (una volta) bye bye, adesso.

QUESTO L’E’ N’ALTRO SCIAP DE OSEI – Questa è un’altra questione, un altro stormo di problemi che sorvola le nostre teste pensanti. Vedi anche: “No l’è quela so mare”, laddove possono nascere, a prescindere dal Dna, gli identici problemi dettati da “mater certa, pater …”.

L’E’ TUT PETI PER LA TOS – Rimedi effimeri. Volatili. Inadeguati per curare la raucedine, la tosse.

NENO – Vuol dire piccino. La sequenza a diminuire: piccinino … picinèno … nèno … (anche) nène … nini.

SMONA’ – Stufo, annoiato. Pur riferendosi allo stesso organo sessuale femminile è diverso da “sfigà”. Nel senso che qui la sfortuna non c’entra. Semmai l’accidia. L’eccessiva rilassatezza. La pigrizia unita ad una concezione del mondo tutta letto-divano-poltrona-Tv e poco altro.

AVER EL MAL ZALT – Sintomi dell’itterizia.

AVER EL MAL DE LA PREDA – Non si tratta di dover scappare da un predatore. Vuol dire essere afflitti dalla renella, avere i calcoli (piccole pietre?) alla vescica.

AVER EL MALCADU’ – Epilessia. Convulsioni. Frequenti perdite di coscienza e conseguenti cadute.

NO LA ARDE E NO LA SBRUSA – Quando uno stato di malesere non si decide ad avere il proprio picco. Tipico di certi raffreddori, di influenze mal curate.

TANT CHE FREGARGHE ‘L CUL A L’ASEN QUANDO ‘L GH’A’ LA SGHITA – Un rimedio che serve a ben poco. Come liscare il culo all’asino quando ha la cacarella, appunto.

AVER ZIGAMENT DE RECIE – Fischi negli orecchi. Proprio come se qualcuno gli gridasse (o fischiasse) dentro.

AVER ‘N DENT CAROLA’ – Carol non è nome proprio ma, in dialetto trentino, significa tarlo. Di qui le carie …

MAGNAR LA FRITOLA – Mangiare la frittella. Ma di solito ci si riferisce a ben altro. In campo sessuale.

ESER DE RIVA MA AVER LE GAMBE A ARCO – Non è l’auspicio della fusione tra i due maggiori centri della “Busa”. Semmai un modo ironico per dire che le gambe – non in perfetta linea – appartengono allo stesso corpo.

AVER EN STRAZ DE MARI’ – Come dire: altro non c’era in giro quando mi sono sposata. Bisogna accontentarsi. Piuttosto che restare zitella …

ESSER SU ‘L CAVAL DE ‘L MAT – Follie giovanili. Quando si seguono i propri bollori …

FAR NA RESTA – Avete presente i russi che buttano giù la vodka in un sorso e poi spaccano il bicchierino per terra? Ecco, in trentino far na resta è uguale. Solo che il bicchierino poi non viene rotto, ma riempito più volte ancora.

onosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 139

 

ESER COME LA LUNA D’AGOST – Cioè grosso, grasso, ben nutrito. E magari avere anche … la luna, essere meteoropatico.

TEGNIR LA CA’ COME ‘N BOMBO – Massima pulizia. Perfezione. Tenere la casa come un confetto. “Ah no stè vardàr en giro neh che gò ancora da meter a posto stamatina” (per far notare che è già tutto uno splendore, un bello e impossibile).

SEMPIO – Non scempio. Sta per “a un solo filo, semplice”. Però si può usare anche come insulto o come buffetto amichevole (“Che sémpio che te sei…”).

STROPOL – Significa tappo. Si dice di persona bassa di statura. Si usa con i bambini: “Vèi chi stròpol che te ghe dài en baso al nono … no? Alora bàsete el cul”).

CAGABAS – Vedi voce precedente. Vuol dire che si è bassi. Anche con il sedere evidentemente.

TESTA SBUSA – C’è un buco nel cranio. Dal quale sono usciti i neuroni. Sta per ignorante.

TE SEI ‘N MASACRO – Non sta per serial killer. Sei una frana. Che può combinare “disastri” (“Ma che disastro hat fat su po’?”)

NO AVERGHE DE MI, DE TI, DE VOI – Insapore. Non saper di niente. Nemmeno di una moltitudine di sapori assemblata da altri commensali.

VALA’ PAGNACA – Da pagnotta. Sta per scimunito. Molle. Flaccido e poco sveglio.

BACUCO – Scemo. “L’è ‘n vecio bacuco”: demenza senile.

MACABALE – Da macàr (ammaccare) e bàle (palle). Rompiscatole.

LAMENTARSE DE OGNI PET DE CUL – Lagna continua. Ogni occasione è buona per … soffiare sulla polemica.

NAR A PASCOLAR LE GALINE DE L’ARZIPRET – Sta per morire. Nel senso … pastorale del termine.

NO FARME NAR ZO’ QUEL CHE NO GO’ – Di solito proferita dalle donne. E riferita ad organi sessuali maschili.

AVANTI COI SCAVI – Tirem innanz. Adelante. Insomma, dai, che vien sera e continui a dirmi le stesse cose.

BECOLAR QUALCOS – E’ il modo di mangiare delle galline (anche sbezolàr) cioè prendere il cibo di qua e di là con il becco. Spiluccare. Becolàr può anche voler dire raggranellare quattrini, qualcosa … sempre di qua e di là.

PERCHE’ ‘L SE MOVA GHE VOL EL BINDEL – Quando serve l’argano per smuovere qualcuno lento, pigro, con poca voglia di far qualcosa. O di alzarsi semplicemente dal letto.

TE PODI FAR EN QUADRET – Da incorniciare. Una volta si trattava di ex voto, messo in un quadretto appunto, da far pervenire ad un santuario o genericamente “ala Madòna”. Cosa preziosa. “Vara che la t’è nàda de lùsso, te poi farghe ‘n quadrèt”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 138

NAR A PANZA – Tanto al chilo. Presappochismo. Massì che così va bene. All’incirca.

TRARSE EN SCHENA –Succede di fronte a qualcosa di straordinario. Anche in senso negativo. Nel senso che si finisce a terra, di schiena, come se un’esplosione ti avesse colpito in pieno. Diverso “tràrse en tèra dal rider” (vedi anche : pisàrse adòs dal rider) vale a dire diventare vittima di un’irrefrenabile ilarità.

FARGHE LA PONTA AL LAPIS – Cioè appuntire la matita che di solito si usa nel settore artigianale. Sta per mettere i puntini sulle “i”, fare i saccenti.

EN TE ‘N DAI E NO VEDI – Colpisci e fuggi. In un attimo. Decisione all’istante. E non lo vedi più …

PARLAR ‘L DIALET BIOT – Parlare dialetto “scièt” cioè senza prendere in prestito parole dalla lingua italiana. Insomma, come mangiare un panino “biòt” senza companatico. Schietto …

AVER LA PIOMBA – Appesantimento dopo una sbornia. Vedi anche: “gò na scimia entorno … che quando la ciapo”.

NA ONZA E NA PONTA – Lo dice di solito l’anziano malandato a chi gli chiede come va. Vale a dire: un’applicazione di unguento e un bastone per appoggiarsi. Queste le richieste, semplici, per star meglio.

AVER EN BRUT MAL – Ci si riferisce sempre a mali ritenuti incurabili. Insomma, quando si parla di male brutto di solito si utilizza questo eufemismo.

MAGNARGHE SORA – Far la cresta. Illeciti guadagni. Tangenti, bustarelle … vitalizi?

DAR LE SARDELE – Non si tratta di rifornire qualcuno di sardine. Ma di far venire, a forza di bacchettate , segni sulle mani che richiamano la figura della sardina.In più punti di rosso vivo colore e bruciore.

CIAPAR NA CISOLADA – Prendere una bruciacchiatura. Di solito riferito a quello che può succedere avvicinando i capelli ad una fiamma.

PORTAR EL CAPEL EN BANDA – Cioè uno che porta il cappello storto. Per mettersi in mostra. Tipico dei giovanotti di un tempo. Perché adesso il cappellino si porta anche con la visiera sul retro ed è di moda.

ESSER MERDA E MEL – Amici per la pelle (sporca e attaccaticcia?), insomma una relazione quasi intima.

ESER ORBO DA ‘N OCIO E SORDO DA NA RECIA – Vedo e non vedo. Sento e non sento.

ENFASARSE LA TESTA PRIMA DEL TEMP – Saltare la coda del pronto soccorso e “far da sé”? Diciamo che è molto di più. Si tratta di provvedere da sé alla medicazione prima ancora di essere rimasto ferito. Insomma, con largo anticipo nella previsione pessimistica

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 137

FIOL SOL, FIOL ASEN – La solitudine (con vizi e capricci) dei numeri primi. Anche questo comunque un proverbio da aggiornare.

FIOLE E VEDRI I E’ SEMPRE ‘N PERICOL – Attenzione massima quando si maneggiano oggetti di vetro. Quanto alle figlie: “No, non vai da sola in Germania …” – Ma papà, è per l’Erasmo … per studiare. “Puoi benissimo studiare anche a casa no?”

ACQUA CHE VA NO PORTA VELEN – Questo forse quando le analisi di fiumi e torrenti erano superficiali o si affidano all’apparenza …

LA FOGNA RIMESTADA LA RADOPIA ‘L SO PROFUMO – Vedi il proverbio precedente e tranne le dovute conclusioni.

NO PRESTAR FEDE A OM CHE GIURA, A CAVAL CHE SUDA E A DONA CHE PIANZE – Spergiuri, il doping nei concorsi ippici, la lacrima facile.

NE’ A TORT, NE’ A RESON NO FARTE METER EN PRESON – No alla carcerazione preventiva.

NO SE FA MAI FADIGA A FAR LE ROBE O A ‘MPROMETERLE EL MES DEL MAI E L’AN DEL MIGA – Le famose Calende Greche.

QUANDO SE CREDE DE ESER A CAVAL NO SE E’ GNANCA EN PE’ – Mai dormire sugli allori o pensare di essere vicini al traguardo solo perché la sella è comoda.

I PENSERI I E’ DRE’ ALA VIA: CHI LI TOL SU, CHI LI PARA VIA – Ma cosa c’è in concreto  dietro questo benedetto angolo tanto temuto eppure tanto desiderato, oggetto comunque dell’umana curiosità ?

LIGA L’ASEN EN DO CHE VOL EL PARON – Non capisco ma mi adeguo.

EL SIOREDIO EL LASA FAR, MA NON STRAFAR – Peccare è umano, perseverare …

FINI’ LA MESA, FINI’ ANCA LE CANDELE – Andate in pace lo stesso.

A MAGNAR CANDELE SE CAGA STOPINI – Meglio essere laici e affidarsi ad altro tipo di alimentazione?

LA MORT LA TOL EL DUR E ANCA ‘L TENDER – ‘A livella di Totò.

I DIFETI DE NATURA SE I PORTA A LA SEPOLTURA – Panta rei, talis et qualis. Fino alla fine.

LA SANITA’ NO SE LA CONOSE CHE QUANDO SE LA PERDE – Ah, non avessi tutti questi acciacchi …

SE TE PIAS VIVER SAN, VESTISETE CALT E MAGNA PIAN – L’importanza della masticazione lenta e di un ambiente con temperatura che favorisca la digestione.

SORA EL MELON GHE VOL VIN BON – Un abbinamento enogastronomico tassativo.

GROSA COSINA MAGRO TESTAMENT – E pensa: ogni giorno spendeva una cifra solo per cibo e bevande. Toh, guarda quanto gli è rimasto sul conto corrente. Robe da matti.

VEDE PU QUATRO OCI CHE DOI – Dai, dammi una mano a fare questi conti ti prego.

CHI MAL FA, MAL PENSA – Il gene del male.

QUANDO ‘L CORPO SE FRUSTA, L’ANIMA LA SE GIUSTA – Autoflagellazioni. Cilicio e dintorni.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 136

En casa de galantòmeni, prima le dòne e po’ i omeni – E precedenza anche a bambini e anziani in caso di naufragio o urgente evacuazione per pericolo imminente.

LA BRAVA DONA LEVA BONORAM VA A DORMIR TARDI, L’E’ LA PRIMA A LEVAR E L’ULTIMA A NAR A DORMIR – Proverbio che probabilmente andrebbe aggiornato o quantomeno ridefinito dopo il Job Acts.

LA DONA L’E’ COME L’ACQUA SANTA. LA FA TANT ISTES POCA COME TANTA – La famosa media delle statistiche. A prescindere.

OCI MORI ROBA CORI, OCI GRISI ROBA PARADISI – Non pervenute le ruberie di altri colori.

LA POLENTA CRUVA E LA DONA NUDA LE E’ LA ROVINA DE L’OM – Invito alla sana alimentazione e (per il famoso problema che può causare alla vista) a non diventare schiavi – da soli – della pornografia.

VARDA LA MARE E SPOSA LA FIOLA – Indagine sulla base dei concetti della fisiognomica. Con reale proiezione negli anni dei possibili mutamenti della nubenda.

PER LA COMPAGNIA S’E’ MARIDA’ ANCHE ‘N FRATE – Oltre le gambe c’è di più.

A RONCEGNO SE SPOSA OGNI ORDEGNO – Definizione sub judice: si tratta di capire, storicamente, perché proprio a Roncegno è così facile, per gli uomini, di qualsiasi categoria – belli, brutti, così così, poveri, ricchi, all’incirca, intelligenti, meno, a livello zero ecc. – trovar l’anima gemella.

NO GH’E’ PARENTA’ CHE NO SIA SMERDA’ – Ovvero: invidie, maldicenze, pettegolezzi, malignità si trovano dentro ogni parentado. E in paese se ne parla …

LA MARE PIETOSA FA LA FIOLA TEGNOSA – A forza di dir di sì si ricevono tanti no. E capricci.

LONTAN DA L’ACQUA, LONTAN DAI FULMINI – Consigli utili per la prevenzione in caso di.

MEIO N’AIUTO CHE ZINQUANTA CONSIGLI – Tra il dire ed il fare …

CHI STUDIA MASA MAT DEVENTA, CHI STUDIA GNENT PORTA LA BRENTA – La via di mezzo? Scuole di formazione professionale.

PER STAR BEN, CIAPA ‘L MONDO COME ‘L VEN – Carpe diem. Oh capitano, mio Capitano …

SE CIAPA PU’ MOSCHE CON NA GOZA DE MEL CHE CON EN BOCAL DE FEN – Gentilezza e astuzia sono più efficaci di tutto il resto.

CHI NO GH’A’ CARITA’ CON LE BESTIE NO LA GH’A CON NESUN – Il rischio di essere abbandonati dall’inspospettabile amico, coniuge, conoscente, parente e affini all’autogrill. E non per sbadataggine.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 135

SE, MO’ E MA, TRE COIONI DA ADAMO EN QUA – Meglio “senza se e senza ma”, e anche senza “mò”.

L’E’ MEIO VIN TORBOL CHE ACQUA SCIETA – Cloro? Proprietà oligominerali? No, la tradizione consiglia un buon bicchiere di vino anche se torbido.

TROVAR QUEL DE ‘L FORMAI – Il pericolo di un incontro (con l’addetto al caseificio? Con il venditore di formaggi arrabbiato per conto suo?) certamente da evitare in determinate situazioni.

STAGION DELE ZIGOLE – Periodo in cui bisogna accontentarsi di pane e cipolla. In attesa della ripresa …

ESSER AL REVERS – Trovarsi in un posto dove difficlmente fa capolino il sole. “Essèr revèrs” significa invece agire in maniera diversa rispetto al normale. “Oscia, ‘sa fat? Vara che no l’è miga con en bicier a la volta che te brèvi el prà neh”.

NAR A PEOTI – Non significa camminare con i piedi piccoli. O almeno non riguarda solo chi ha numeri di scarpa bassi. E’ quasi uno sfottò: “Ah caro da chi envanti te devi lassàr star la machina, bisogn nàr a peòti”.

SBARA’ FOR DALE MINE – Scheggia impazzita dopo unametaforica esplosione. Di corsa. Trafelato.

EMBIBIAR SU UN – Darla ad intendere. Magari con una Bibbia sui generis.

DARGHE SORA – Non fa parte del verbale di un pestaggio. Si tratta di rifare qualcosa. Ma anche “aggiungere” qualcosa. “Ho comprà na cana per pescar. I m’ha dat sora sto zestèl per i pesàti … bel vera? Pecà che quando ‘l se bagna el deventa pu picol”.

SENTIRSEN TANTE CHE TERA – Avete presente la quantità – in miliardi di miliardi di miliardi di metri cubi – della crosta terrestre? Ecco, quando si usa questa esclamazione vuol dire che si è ricevuta una sequela infinita di rimproveri, lamentele, offese, ingiurie.

TEGNIR SOTO CIAVE – Custodire cose preziose. Meno frequente in riferimento a sequestri di persona.

AVERGHE LE LUGANEGHE TACADE SU – Cioè: essere a posto in fatto di scorta viveri. Tranquillità. L’importante è aspettare almeno che si stagionino prima di tirarle giù (le luganeghe).

NO ARIVARGHE GNANCA CO LA SCALA – Ad afferare le luganeghe di cui sopra? Anche. In genere non riuscire a centrare un obiettivo nemmeno con un aiutino. “No ghe vol la scala per arivarghe”: si dice di un concetto, di una risposta, di una soluzione talmente facile che si potrebbe fare a meno di agevolazioni, consigli, suggerimenti sul da farsi.

VARDAR ‘N LE VERZE – Conseguenze dello strabismo. O di momenti in cui, come dire, si ha lo sguardo fisso, perso nel vuoto. O ancora quando si è assorbiti da altri pensieri e ci si estranea dalla realtà.

RESTAR MALSAORI’ – Restare con l’amaro in bocca. O altri sapori, retrogusti che deludono, non soddisfano, fanno schifo…

ESSER FIOL DE SO PARE – Non occorre insomma l’esame del Dna per stabilire la paternità. Perch talis pater talis filius.

PRESENTARSE CO LE MAN EN MAN – Avete presente gli amici che si presentano alla cena, da voi invitati, con il tovagliolo sotto il mento e le posate pronte in mano e … nient’altro? O quelli che vi portano una bottiglia di vino tappo corona comprata al Discount per 40 centesimi?

STIZAR SOTO – Dar aria alla brace, attizzare il fuoco, seminare zizzania, fomentare polemiche.

DARGHE ENDRIO LE SO STRAZZE – Lei da questo momento si può ritenere licenziato. Questi i suoi effetti personali. Attenda nostre comunicazioni. Ma il sindacato dov’è? Ah già che non c’è più l’articolo 18 … Frase anche inviabile con sms se si tratta dell’addio tra fidanzati. Più complicato in caso di rottura matrimoniale.

NO ESSER FARINA DA FAR OSTIE – Insomma, non essere propriamente  uno stinco di santo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 134

SOL A SPIAZI, ACQUA A SGUAZI – Occhio alla nuvoletta dell’impiegato o di Fantozzi.

QUANDO ‘L BONDON EL GH’A ‘L CAPEL, LASA LA FALZ E TO’ ‘L ZESTEL – Meglio prendere le proprie cose e mettersi al riparo dalla pioggia. Se il “cappello” di nuvole sta sopra la Paganella o il Monte Stivo … o che fa brut o che fa bel. Insomma, come dicono quelli del meteo: variabile.

L’ULTIMA NEF NO LA LASA ENDRE’ GIAZ – Passato ormai è l’inverno, odo fringuelli far festa …

SE ‘L GAL EL CANTA CHE ‘L SO TEMP NO L’E’, SE NO VEGN EL SOL EL RESTA COME L’E’ – Altra previsione del tempo  con la massima incertezza.

QUANDO LE ANADRE LE SCHERZA SU L’ACQUA PREST CAMBIA ‘L TEMP – Attenzione: le anatre devono scherzare, non fare sul serio.

PAN VIN E LEGNA E PO’ LASA CHE LA VEGNA – L’importanza del focolare domestico e dell’enogastronomia quando fuori piove o nevica.

NO GH’E’ ALTRA PREMURA CHE QUANDE LA MERDA L’E’ MADURA – Mi scappa la pupù, mi scappa la pupù, mi scappa la pupù papà.

EL FISCO L’E’ COME ‘L CAGN, SE NO ‘L MORDE ANCOI EL MORDE DOMAN – Vedi alla voce Equitalia.

TRA CAVRE E NAS SE MONZE TUT L’AN – Caccole (o muco) e latte i prodotti delle differente lavorazioni.

DAR NA MAN DE BIANCH – Non si tratta esclusivamente di imbiancare. “Vara che te dàgo na man de bianch” è infatti anche una minaccia. Un avviso di manrovesci in arrivo …

DORMIR COME ‘N ZOCH – Avete presente un ciocco di legno? Difficile smuoverlo dal letto.

AVERGHE ZENTO ANI PER CULATA – Il prossimo (vicino?) record di vecchiaia.

AVERGHE EL FOCH AL CUL E L’AQUA LONTANA – Problemi che possono derivare dalla dismissione di caserme dei vigili del fuoco di periferia. Ma anche quando si vorrebbe risolvere in fretta un problema urgente e la soluzione invece richiede parecchio tempo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 133

A MORIR GH’E’ SEMPER TEMP – Incrociando le dita. E toccatina al basso ventre … Vedi anche: “Chi se fa a ora a morir …” detto del notevole ritardo di qualcuno o dell’inizio di qualche evento.

NE’ A NASER NE’ A MORIR SE SPETA QUEL CHE GH’A DA VEGNIR – Sala parto o capezzale non danno appuntamenti precisi. Chi c’è c’è.

MAL DE PEI, SANITA’ DE BUDELE – Movimento, movimento e anche se i piedi fanno male i malesseri all’apparato digerente spariranno.

LA MALVA DA OGNI MAL LA SALVA – Proprietà universali dell’erba officinale.

CO LA TOS E CO LA PANZA NO SE LA FA FRANCA – Difficile nascondere problemi di raucedine e la gravidanza.

 A CHI NO GHE PIAS EL PAN DIO GHE TOGA ANCA LA POLENTA – La maledizione di chi interrompe la dieta.

EN T’EN BON BICER SE NEGA ‘L DISPIAZER – Bere per dimenticare le delusioni. Non solo d’amore.

MERDA GRANDA, PANZA TESA – Analisi delle feci per stabilire quanto effettivamente si è mangiato.

I CO IONI DEI CAGNI E I SOLDI DEI PORETI I E’ SEMPRE ‘N VISTA – Pochi, solo due magari, ma buoni.

CHI GH’A CAR E BOI FA POLITO I FATI SOI – Autosufficienza rurale.

CHI ‘MPRESTA EL NE PERDE NA ZESTA, CHI TORNA A ‘MPRESTAR EL NE PERDE ‘N CAR – La sfiducia nei creditori non consente il bis in caso di sofferenza. Vale anche per mutui e prestiti bancari.

EN CASA STRENZI, EN VIAZO SPENDI, EN MALATIA SPANDI – Diversificazione, secondo determinate priorità, della capacità di spesa.

PU SE GH’A PU SE VORIA GAVER – Gli incontentabili.

LA RANA USA ‘L PALTAN, SE NO LA GHE VA ANCOI, LA GHE VA DOMAN – Il lupo perde il pelo ma …

DAVANTI A NA INGIUSTIZIA CHE SE MANIFESTA NO POL TASER NA PERSONA ONESTA – Le motivazioni della condanna di Carolina Kostner.

CHI DEL LOT EL SE ‘NNAMORA, PREST O TARDI EL VA ‘N MALORA – Vale anche per gratta e vinci e slot machines.

LA COA L’E’ LA PU DURA DA PELAR – Le rifiniture sono sempre molto impegnative.

LAOR FAT, SOLDI SPETA – Purtroppo l’attesa spesso e volentieri è molto lunga. Ed è attivata dalla frase “Entànt grazie neh”.

DA SAN VALENTIN ‘L FRET L’E’ ANCORA FIN – Di solito la festa degli innamorati ha bisogno di … calore.

A DIN DE FEBRER CANTA ‘L CUCO, ZIFOLA ‘L MERLO: SEN FORA DA L’INVERNO – Aspettando marzo e la primavera.

SPUZA ‘L CESO, CAMBIA ‘L TEMP – Previsione empirica del tempo. Vale anche per tombini fognari e affini.

EN CAMPAGNA BISOGN NARGHE E ‘N BOTEGA STARGHE – Potere della presenza fisica sul posto di lavoro.

LA GRASA DEL RUGANT NO L’E’ BONA NE’ PER EL PRA’ NE’ PER L’ORT – Dove smaltiranno quello che resta a terra là dove i maiali grufolano?

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 132

PARLA COME TE MAGNI – Ovvero: non darti tante arie. Attenzione: non si tratta di usare mani e posate a meno che non si sia un mimo.

DRIT COME ‘N BAZILON – Bazilòn è quell’asta di legno un po’ ricurva con delle tacche all’estremità: serviva per portare due secchi, due ceste e affini sulle spalle. E’ tutt’altro che diritto…anzi, più lo si usa e più le sollecitazioni della gravità lo rendono curvo.

FAR ‘L CUL COME NA VERZA – Avete presente la verza? Beh, alla fine del trattamento il sedere finirà per assomigliarle.

EL TE STA BEN COME ‘N FIOR SU ‘N TE NA RECIA – Non è propriamente un complimento. Anzi, il più delle volte significa: “Ben ti sta”. In senso ironico diametralmente opposto.

SGREMENOS – Vedi anche “zidiòs”: irritabile.

LECAMERDE – Ruffiano (vedi anche leccaculo ove la materia leccata è la stessa).

TE SEI ‘N PISOT – Riferito a marmocchio o comunque a qualcuno che deve ancora crescere mentre al contrario di dà arie da saputello. Vedi anche: pisanlèt, pisambràghe, pezotèr).

PAMPALUGO – Sciocco. C’era un gioco di carte dove chi rimaneva con una carta finale sparigliata veniva dichiarato appunto “pampalùgo”.

SCORLAPERI – Di personale inaffidabile, che cambia facilmente parola e opinione. Facile peraltro far cadere le pere mature …

VOLER RESTAR PER SOMENZA – Chi non si rassegna all’età avanzata. E magari non lascia certi incarichi impegnativi ad altri.

VARDA CHE TE DEZIPO NEH – Dezipàr sta per sgualcire, capitozzare, guastare. Minaccia di solito accompagnata da eloquenti movimenti delle mani.

NO FARME NAR ZO DAI CANCHENI – I cancheni sono i cardini. Quindi c’è il rischio che sull’interlocutore si abbatta qualcosa di pesante.

L’E’ ORA DE MAIOLICA – Il piatto (di maiolica) con il pasto è servito, avanti, a tavola.

VEDERLA LONGA – Di solito si dice quando l’appetito non può essere appagato nel breve tempo. Ma anche in altre situazioni di attesa: alla Posta, nell’ambulatorio del medico, in altre anticamere.

CAVARSE LA SE’ – Rende l’idea di un intervento radicale per far fronte alla sete della quale non se ne può più …

NA BELA MONA – Non è un complimento, metti, a Monna Lisa. Vuol dire : un bel niente. Non se ne parla.

E’ NA’ TUT EN MONA – E’ finito tutto nel nulla. Non si è combinato niente. Si è rovinato tutto (vedi anche: na bela merda).

L’E’ TUT PETI PER LA TOS – Si sa che la flatulenza non è d’aiuto per problemi alle alte vie respiratorie.

FAR SONINE – Per i bambini: ninna nanna ninna oh …

ESSER FOR DA LE STRAZE – Non aver più bisogno delle fasce (quelle che si usavano prima dei pannolini). Quindi diventare autosufficiente, almeno da questo punto di vista. Si dice anche quando una situazione impegnativa è stata superata.

METER ‘L CUL ‘N LE PEADE – Andarsela a cercare. Mettersi nei guai. Non solo col deretano.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 131

I AMIZI I E’ COME LE MOSCHE: FIN CHE GH’E’ DA MAGNAR I E’ TUTI ‘N COSINA – Prima di dire che chi trova un amico trova un tesoro forse è meglio mettere sotto chiave la dispensa?

LA DONA L’E’ COME ‘L TEMP: LA CAMBIA A OGNI MOMENT – Come dire che la meteoropatia colpisce di più il genere femminile. Forse.

ALE DONE E ALE SCALE NO SE GHE GIRA MAI LE SPALE – Non è solo un problema di equilibrio.

SE TE VOI VEDER EN BEL DIAOLIN, VESTISI NA MORA DE ZELESTIN – Consigli di moda: gli abbinamenti da evitare.

TRE ROBE PARA VIA L’OM DA CA’: EL FOC, L’ACQUA E NA DONA CATIVA – Per l’ultimo caso pare non ci siano adeguate, specifiche, polizze assicurative.

LA ROBA LA ‘NDRIZA LA GOBA – Il denaro fa sparire tutti i difetti. Tranne l’avidità.

L’AMOR L’E’ MATA E ORBA, EL MATRIMONI L’E’ EN BON OCULISTA – “Non pensavo fosse così …”.

CO LE CIACERE NO SE SGIONFA DONE – Appello all’incremento demografico.

CHI NO S’AIUTA SE NEGA – Vedi anche: “Quando l’acqua la tòca el cul s’empara a noàr”.

N’ASEN BEN VESTI’ NO SCONDE LE RECE – Quando i dettagli rovinano tutto.

NO BISOGN MAI FIDARSE DEL SEREN D’INVERNO, DEL NUGOL D’ISTA’, DELA VECIA SALUTE E DE MASSA FELIZITA’ – Situazioni anomale delle quali è meglio diffidare. Soprattutto per il “dopo”.

VARDETE DAL PE’ DEL MUL, DAL MORDER DEL CAGN E DAL CETIN CHE TEN LA CORONA ‘N MAN – Come dire: attenzione ai calci, ai morsi ma anche all’ipocrisia.

A OGNI PORTA EL SO BATEDEL – A ognuno il suo picchiotto, i suoi problemi.

NO TOCAR CAGN CHE ROSEGA NE’ ZUGADOR CHE PERDE – Il primo è impegnato a mangiare l’osso. L’altro è rimasto … all’osso.

SE TE VEDI FUM, O CHE L’E’FOC O CHE L’E’ UN CHE HA CAGA’ DA POC – Elemento importante per l’indagine: l’odore.

DIO MANDA ‘L FRET A SECONDA DEI VESTIDI – Di qui l’importanza di vestirsi “a cipolla”.

L’ANIMA A DIO, EL CORPO A LA TERA E LA ROBA A CHI LA VA – Post mortem.

CHI BESTEMIA GH’A EL DIAOL SU LA SCHENA – Diaolporco el savèvo … e ‘l spìzega anca.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 130

A BRUSA CAMISA – Improvvisamente. Di colpo. Pare che il termine derivi da spiacevoli sorprese quando, utilizzando il ferro da stiro a brace, inavvertitamente si bruciava appunto la camicia …

BUA – Male, dolore. Di solito riferito ai bambini: “Te fa bua? Endove?”

CAGARELA – Diarrea. Ma anche paura: “Gh’o fat vegnir la cagarèla … ah el me sta lontan adès”.

CALTRO – Cassetto di un mobile, palchetto di una libreria. Non è uno scaltro mutilato.

DIAOLINI – Non sono piccoli diavoli. Si tratta delle conseguenze del freddo soprattutto su mani e piedi. Formicolìì acuti e dolorosi. “Madona che frèt, gh’ò i diaolini anca ai pèi. Eh sì che che ho mès i calzòti gròssi neh”.

ENGREMENIR – Vedi la voce precedente: intirizzire per il freddo. Engremenì vuol dire anche aggranchito, tutto raccolto su sé stesso … magari per riscaldarsi.

EN FRACO – Come dire all’ennesima potenza. Nel senso che si tratta di unità di misura indeterminata. “En fraco de bote”: ne ho prese o date tantissime, non so quante.

GIASENA – Bacca di mirtillo. Nero o rosso. “Ampòmola” è invece il lampone.

ISCIA – Canneto, salceto. Vedi località Ischia Podeti vicino a Trento.

LELA – Non è nome proprio di donna. Sta per lentezza, fiacchezza. “Menàr la lèla”: andamento lento, gingillarsi.

MATERION – Mattarellone, spensierato, chiassoso. “Che ateriòn che l’è to marì … semper drio a tute le done del paès. Ah scusa, ma no te ‘l savèvi?”.

NEO’ – Nulla a che fare con problemi della pelle. E’ il nipote. “Neòda” la nipote. “Nevodarìa”:  tanti nipoti insieme.

 OSTREGA – Viene dal dialetto veneto. Imprecazione, esclamazione, stupore.  Certo, si riferisce all’ostrica. Ma va detto che in Toscana sta per sputo catarroso … molto simile alla polpa delle ostriche. Barèa …

POLITO – Voleva dire anticamente pulito. Poi è diventato sinonimo di “fatto bene”. “Me racomando putèi neh, far polìto …”: ovvero comportarsi bene, eseguire nel migliore dei modi un determinato lavoro.

RAFANAS – Confusione, guazzabuglio, ammasso confuso di cose. Vedi anche Festival rock in Vallagarina.

SGARAMBEA – Scheggia. “Oscia m’è restà ‘na sgarambèa nel dè … varda se te ghe la fai a tirarmela via … pian però, no cosìta”.

TIRACHE – Bretelle. Anche “tirabraghe”. Tornate di moda.

TE SEI FORA COME EL VARON – Dall’alluvione del torrente Varone nell’Alto Garda. Per indicare chi è andato fuori di testa.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 129

AMA’ NO TE SARAI SE PER TI SOL TE PENSERAI – L’egoismo e l’amore non vanno d’accordo.

CHI MASSA LA SMENA PREST O TARDI LA SPUZA – Chiaro al riferimento anche a problemi di alitosi.

QUANDO DE MEN BISOGN SE GH’A, PU LIBERI SE STA – L’autosufficienza rende liberi. Soprattutto da quelli che prima o poi finiscono per diventare debiti, magari impagabili.

NO SE POL CANTAR  E ‘NTANT PORTAR LA CROS – Cantare ed essere addolorati? Stride. Anche se lo spettacolo deve continuare, si sa …

CHI GH’A ‘L CUERT ROT GH’A LA CASA MARZA – Le infiltrazioni rovinano prima o poi anche quello che c’è sotto il tetto.

PARER E NO ESSER L’E’ COME FILAR E NO TESSER – Prima o poi il mare tra il dire e il fare, tra l’essere e l’apparire provoca tsunami.

L’E’ SUL FONT CHE RESTA ‘L SPES – La legge di gravità non perdona. In fondo restano i depositi. Che possono essere buoni, meno buoni, sostanziosi o scarti.

NO TAIAR QUEL CHE TE PODI DESLIGAR – La frenesia a volte può giocare brutti scherzi e provocare danni.

L’ULTIM ABIT CHE I TE FA L’E’ SENZA SCARSELE – Le tasche non servono ai morti: non hanno nulla di indispensabile da portare addosso nell’ultimo viaggio.

COI ANI VEN I MALANI  – La vecchiaia porta con sé gli acciacchi.

MEIO FAM E SON CHE MALADI DAL BON – Fame e sonno? Molto meglio che avere qualche brutta malattia.

MEIO EN PET A TAOLA CHE ‘N RUT EN PIAZA – Regole agresti di bon ton.

DONE, ANI E BICERI NO SE I CONTA MAI – Bacco, Venere e la vita che passa … in allegria e spensieratezza.

CHI CHE FA LA SPARTIZION NO ‘L PERDE MAI LA SO PORZION – Chi suddivide dei beni difficilmente, anzi quasi mai, dimentica la sua parte. Magari qualcosa di più …

SAN MATIA SE ‘L TROVA ‘L GIAZ EL LO PORTA VIA – A S.Mattia (24 febbraio) se ancora c’è il ghiaccio dura poco.

TANTA NEF, TANTE NOSELE – Le precipitazioni nevose abbondanti favoriscono la crescita delle nocciole.

CHI CHE ROBA POC VA EN GALERA, CHI CHE ROBA TANT FA CARIERA – Il motto di Tangentopoli.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 128

L’AMICIZIA DE ZOVENTU’ L’E’ QUELA CHE DURA DE PU’ – Anche perché è fatta, poi, di tanti ricordi comuni.

SOLI NO SE STA BEN GNANCA EN PARADIS – Parlami di te bella signora … del tuo mare nero nella notte scura io ti trovo bella non mi fai paura signora solitudine signora solitudine  …
LA DONA L’E’ COME ‘L TEMP: LA CAMBIA OGNI MOMENT – Meteoropatia e imprevidibilità.

TRE DONE ENSEMA LE FA’ MERCA’ – Di tutto e di più. Ampia gamma di argomenti di conversazione.

I BOI SE I LIGA PER I CORNI, I OMENI PER LA PAROLA – Non sempre pratico e sicuro il sistema. Per gli uomini s’intende.

I OMENI I GH’A I ANI CHE I SE SENTE, LE DONE QUEI CHE LE MOSTRA – Anche questo proverbio non vale sempre e comunque. Soprattutto per gli uomini.

QUANDO I CAVEI I TIRA AL BIANCHIN, LASSA LE DONE E TEGNETE AL VIN – Se Bacco, Tabacco e Venere riducono l’uomo in cenere, forse è meglio smettere di fumare, di correre dietro alla donne … ma anche non buttarsi nell’alcol.

SE NO SE BARUFA SE FA LA MUFA – L’amore non è bello se non è litigarello.

FRADEI CORTEI, CUGNADE SPADE – Spesso e volentieri sono le cognate a fomentare le liti tra fratelli. Ma vedi anche: “tre fradèi, tre castèi”.

FOCH E ACQUA BONI SERVI, MA CATIVI PARONI – Quando la natura prende il sopravvento … allagamenti, incendi, disastri.

MEIO ENVIDIAI CHE COMPIANTI – Meglio far invidia che compassione. Anche : “Meio far envidia che pecà”.

LAORA PER EL COMUN, LAORAR PER NESUN – Articolo (118?) dello statuto dei lavori per i dipendenti pubblici,, scomparso comunque col Job Acts.

EL TEMP EL SGOLA – Come panta  rei, tutto scorre. O “l’è nàda zamai la gàzza”. O ancora: “Ciao, Nineta”.

VAL PU ‘N MOCOL DAVANTI CHE NA TORZA DE DRE’ – Non resta che provare per credere.

EL MONDO L’E’ FAT A SCARPETE. CHI LE CAVA E CHI LE METE – Antico slogan dell’Expo Riva Schuh?

LE BONE PAROLE NO LE LIGA I DENTi – E dài, dimmi qualcosa di carino … non hai il bavaglio mi pare.

CHI CHE SOMENA SPINI NO ‘l GH’A DE NAR EN GIRO DESCOLZ – Chi la fa l’aspetti. Chi semina spine poi stia attento ad andare in giro a piedi nudi.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 127

QUANDO L’AMOR EL GH’E’, LA GAMBA LA TIRA ‘L PE’ – Va – di corsa – là dove ti porta il cuore.

L’AMOR, LA TOS E LA PANZA NO SE I SCONDE – Difficile celare i propri sentimenti. Così come trattenere la tosse e far finta di essere magri nonostante un voluminoso airbag anteriore.

I FILO’ LONGHI I FA LE NOT CORTE – Quando si sta volentieri a parlare con gli amici fino a tardi …

I AMICI I E’ COME I MELONI: SU ZENTO GHE N’E’ UN DE BONI – Chi trova un amico … trova un melone gustoso, perfetto.

GROPI, SERADURE E DONE BISOGN TORLI CO LE BONE – Delicatezza, pazienza le virtù richieste nei tre casi, di solito tutt’altro che facili da risolvere.

A LA NOZA E ALA FOSA SE COGNOS I PARENTI – Vedi orchestra Bregovic: buona sia per matrimoni che per i funerali.

O BEN O MAL ARIVA SEMPRE CARNEVAL – Appuntamento con l’ilarità collettiva. A prescindere dallo stato dei singoli.

CHI TRA ‘N PET PU GRANT DEL CUL, CREPA LE BRAGHE – Attenzione, soprattutto quando si esagera con i fagioli. Invito alla moderazione. Non sempre conviene “spararle” grosse.

FIN A LA MORT NO SE SA LA SO SORT – Chi siamo? Dove andiamo? C’è vita dopo la morte?

NO GH’E’ POLSAR CHE STRACA – L’ozio padre dei vizi? Ma valà …

A TAVOLA E ‘N D’EL LET NO BISOGNA GAVER RISPET – Lasciati andare ai piaceri della tavola e del sesso.

CHI MAGNA POINA POCH EL CAMINA – La ricotta non è l’alimento adatto per lunghe escursioni .

DIS LA PADELA AL PAROL: TIRETE ‘N LA CHE TE ME ENGRANIZI – Stesso ambiente di lavoro ma ambizioni diverse, confuse, ipocrite.

DA LA ZERIOLA SE PIOVESELA DE L’INVERNO SEN FORA, MA SE L’E’ SEREN QUARANTA DIì GHE N’AVEN – La zeriòla è la candelina benedetta che viene distribuita nelle chiese il giorno della Purificazione di Maria: 2 febbraio.

SE ‘L DI’ DELA ZERIOLA L’E’ NUGOL, L’ORS EL VEN FOR DALA TANA; SE L’E’ SEREN EL STA DRENTO E ‘L SE ZACA LE ONGIE – vedi proverbio precedente: conseguenze per il mondo animale.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 126

ASE’ (o ASEDO) – Aceto. Nar en asè: vino che si trasforma in aceto. Riferito all’uomo: diventare acido, scostante.

BUT – Gemma, germoglio. El bùt de la patata. Pianta che gh’à zà i bùti:              germogli in anticipo.

CAF – Sì, è anche la sigla dei centri di assistenza  fiscali. Ma in dialetto sta per cavo. “S’è ròt el càf de la corrente oscia … i deve fàr en bùs per trovarlo e dopo farghe anca na zònta”.

DESPERSIA – Smarrimento. Nar en despèrsia: andar perso. “Eh sì che me parèva d’averlo mèss chi sora el comodìn oscia…”.

ENTARTAIARSE – In un certo senso richiama foneticamente il “taglio”. Delle parole però. Vuol dire tartagliare, balbettare. Eeee…nnn….sssòma: papa….papa…parlàr a coco…coco… colpi”.

FIOZ – Figlioccio del battesimo o della cresima. “Ah el Thomas l’è mè fiòz sàt?”.

GRADELA – Poco gradita da carni, pesci vivande in genere che lì, sulla gratella, finiscono per essere cotti alla brace, alla griglia insomma. Torta de gradèla: dolce tipico trentino, a forma di gratella. Nar dala gradèla ale brase: dalla padella alla brace.

IESUS – Gesù. Serve soprattutto come paragone. En t’en Jèsus: in un attimo.

LAOR – Lavoro. Ma attenzione, “pòr laòr” sta per poverino, povero diavolo.

MISSIOT – miscuglio, intruglio. “Stàgo poch ben: l’è che algièri sera ho fat me sa massa misciòti …”.

NOSETA – Nulla a che vedere con la seta. Né è una derivazione dallo spagnolo nosotros. Semplicemente è il malleolo. “Ho ciapà ‘na bòta ala nosèta”.

ORBAROLE (o ORBIROLE) – Traveggole, vertigini. “No vegno fin su en zima … me vei le orbaròle”.

PIPACUL – Non c’entra né la pipa, né il deretano. Anche se quest’ultimo potrebbe subirne le conseguenze, a livello, diciamo, fisiologico. Si tratta di paura, tremarella.

RONZEGAR – Dal latino barbarico ronchos emittere. Russare. Ronzegòn:uomo  che russa spesso.

SGREBEN – Terreno in luogo aspro, con scarsa vegetazione, pieno di rovi, sterpi.

TETAVACHE – Chi vive nell’ozio, tonto, inconcludente.

URTONAR – Urtare, dar gomitate o spallate.

VISCIO – Vischio. Che taca come ‘l viscio: che attacca come il vischio.

ZECHENAR – dal latino barbarico zechum. Gozzovigliare. Far bisboccia.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 125

A PEI ZONTI – Diverso da “màn zònte” (mani raccolte in preghiera). Si dice di solito di chi salta non sempre privo della volontà, cosciente, di far male a qualcuno. ‘l gh’è saltà sora a pèi zònti …”. Allo stesso tempo si può riferire alla passività di un soggetto. “’l gh’è finì denter a pèi zonti”, per dire che si è cacciato da solo e in pieno in un brutto pasticcio.

BRUSSELA – E’ un bitorzolo, una bolla, una pustola. Avèrghe ‘na brussèla soto la lengua: gongolare. “Làssete ‘star el pirlo se no oltre che orbo te vei anca le brussèle” (cfr non fornicare).

CICIO – Accento sulla seconda “i”, altrimenti sta per obeso, robusto, ciccio insomma. Si usa con i bambini: “mètete nel let che gh’è ‘n bel cicìo”. Dolce tepore, calduccio.

ENDORMIA – Narcotico, anestetico, ma anche sonnifero. “Gh’ai dàt l’endòrmia entrèga o sol per dove i lo taièva su?” (differenza sta anestesia totale e locale).

FRIZZON  (anche SFRIZZON) – Dolore acuto, fitta. Frizza Uo frèzza)  sta infatti per freccia, dardo. Quindi quello che si prova è molto simile …

GREP – Nulla a che vedere con spread o altri parametri economico-finanziari del genere. Né si tratta di una misteriosa sigla. Sudiciume. Che appare spesso sull’orlo del collo e sul bavero dei vestiti, sulla biancheria. Avèrghe el grèp al en dè: essere veramente molto sporchi. Non fare la doccia da mesi …

ITOBELA . La frase originaria è: l’è ito bèla. Cioè: è passato molto tempo. “L’è nà che l’è ito bela”: è morto da un bel pezzo.

LIRONLERO – Nàr a lironlero: barcollare, andare in qua e in là.

HO CIAPA’ ‘N MORDON – Sono stato morsicato. Non necessariamente da un cane, come si sa.

NESSI’? – Intercalare per chiedere conferma. Come “Nevèra?”. O anche: neh? “Te m’hai ben capì, nessì?”.

NAR EN OGA MAGOGA – Cascar dalle nuvole. Oga magoga nelle favole per bambini indicavano paesi o regioni lontanissime.

PRESSA – Fretta.Pù prest che en prèssa: la necessità di accelerare al massimo. Pressolòn: frettoloso e quindi anche pasticcione. Avèr pu pressa che quei che more de not: avere una grande premura.

QUADREL – Non è un piccolo quadro ma un mattone. Dal latino barbarico: quadrellus. “Levàr el quadrèl”: togliere il mattone sotto il quale ci sono i risparmi, quindi spendere quello che si ha.

REMENGO – Richiama l’italiano “ramingo”. Vagabondo. Ma anche birbante. Chi non sa cosa fare, dove andare. “Tei, remèngo, set stà tì a lassàr avèrt el rubinèt de la fontana?”.

SDRAVACARSE – Di solito che si butta nel letto o sul divano proprio come le vacche si mettono sull’erba o sul fondo della stalla.

TOROBET – Torobeti erano i burattini. Di qui il significato di banderuola, voltagabbana, voltafaccia, traditore.

VAROLE – Segni che lasciava il vaiolo. Poi – fino ad un certo periodo – l’apposito sistema di vaccinazione, sul braccio. “Gh’at le varòle? No? Ah, alora te sei zovèn”.

ZAL – Acciaio. Zalà sta per uomo d’acciaio, vigoroso, robusto, forte insomma.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 124

MA TE CREDIT FURBO? – Domanda retorica. In realtà si sta dando del cretino all’interlocutore, con prove alla mano sulla sua assoluta mancanza di alibi e giustificazioni sulla questione sollevata.

RIDI, RIDI … CHE LA MAMA L’HA FAT I GNOCHI – Di solito succedeva il venerdì. Quando andava di magro e appunto di gnocchi. In realtà si tratta di uno sberleffo. Si pensa ma non si dice: “ma cossa gh’at po da rider? Te me pàri mat”.

GHE ST’ALA? – Nulla a che vedere con la zootecnia, insomma con la stalla. Interrogazione sulla capienza di un determinato contenitore (l’interno di una borsa, un bagagliaio, un ascensore, ecc.) in funzione di un oggetto esterno a volte ingombrante. Vedi anche : “Ci starà?” (ghe staràla?). Dubbio prima di una cena romantica, soprattutto sul dopo.

ENMANEGA’ VERT – Pazzo. Matto. Col cervello che va in qua e in là nella scatola cranica. Proprio come quando si fa il manico di una zappa, di un piccone, di un badile con legno “verde”, non stagionato. Ovvio che la perdita del residuo di linfa e umidità produrrà una diminuzione della massa… creando instabilità.

LONCH DIRENT – Posizione orizzontale del corpo umano. Può essere associata ad un sano riposo. Ma anche a qualcosa di irreparabile.

T’EL DIGO SOL A TI NEH … – Un segreto confidato. Si sa, come dice un vecchio proverbio cinese, che il segreto è tuo schiavo finchè lo tieni per te, diventa il tuo padrone quando lo sa anche solo un altro. Vale anche il detto: i segreti sono come le ditte, si mantengono tali solo se i soci sono dispari e inferiori a tre.

L’ACQUA LA ‘NRUZENIS I CANAI – Una delle giustificazioni dell’alcolista al rifiuto di un bicchiere di minerale.

OSCIA, NO GH’O MONEA … – Tipica scusa per non pagare – com’era nei patti preventivi – il caffè al bar. Anche: “Gh’avrìa zinquezento euri de carta … paga ti valà che dopo i cambio”.

EL ME FA ANCA PECA’ … – Atto di compassione, rimorso a metà per un giudizio negativo su altri. Pianto del cocodrillo. Di solito segue però: “Ma che ‘l se ciava anca lu … “.

Conosser  – l’enciclopedia per capir i trentini – 123

SU ALT e ZO BAS – Non sempre si tratta di indicazioni riguardanti “piani alti” o “interrati” nel secondo caso. Ad esempio: “’n do elo to marì? Ah, l’è su alt, el s’è butà zo n’atimin perché el stà poch ben”. E magari si tratta del piano rialzato di una villa, non del quattordicesimo piano di un grattacielo. Nell’altra ipotesi: “Vèi zo bàs che gh’ò da darte el sach del pan”. Cioè: vieni in cortile. Ma anche dal secondo al primo piano. O anche una mezza rampa di scale. Tutto è relativamente vicino e lontano. Dipende…

EL S’E’ SERA’ DENTRO – Si è chiuso in casa. Conseguenza? “Son stàda seràda fòra”. Laddove, se in casa non c’è nessuno, bisogna chiamare i pompieri.

EL S’E’ PROPRI SBREGA’ EL CUL – Non riguarda una ferita lacero-contusa sul sedere. Né comunque una lesione sul lato B dovuta ad incidente o ad azione autolesionista. Si dice di chi ha fatto il minimo idispensabile rispetto ad una richiesta di aiuto, di soldi, di collaborazione.

METEVE LI CHE VE FAGO NA FOTO – Raggruppamento forzato in un determinato luogo (a volte proprio in controluce) in funzione di una foto ricordo. Il luogo per lo scatto è sempre scelto dal fotografo, mai dai soggetti ritratti. Attenzione – se ci sono dei rancori sopiti – quando vi dice: “En po’ pu endrìo, ancora, ancora endrìo …”. Meglio guardarsi alle spalle.

DOMAN GH’AVEN I MEI A DISNAR – Allarme rosso. Che scatta di solito nel fine settimana. Proprio quando le prospettive, i programmi erano quelli di oziare tutto il giorno in casa. Ancora più drammatico: “Ha ‘pena telefonà i mei … i è zamài a Nach. I voleva farne na sorpresa. Però me papà el s’è tòt drio la padèla dei crauti e na bòzza de vin”.

CHE PASSI … – Non è la descrizione di una camminata svelta. O di un atleta che corre con ampie falcate. Piuttosto lo stato pietoso di chi magari è reduce da un pestaggio o è finito suo malgrado in una buca piena di melma o si è messo addosso, prima di uscire, la prima cosa che ha trovato nell’armadio.

NENTE A FAR QUATRO SALTI? – Invito ad una serata danzante. Non necessariamente per ballare la polka.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 122

AH MA QUANDO TE I LAVI DOPO I SE MOLA FORA, I SE SLARGA … – Ottimistica previsione dopo l’acquisto di un paio di jeans che creano all’altezza dell’inguine l’effetto salsiccia o arrotolato.

NO GHE SEN … Tipica esclamazione dei pensionati, di solito in gruppo, davanti ad un cantiere pubblico. Anche “Ah, no i gh’en vei miga fora sat … “.

MA ELO TO FIOL? CHE BEL. I OCI I E’ QUEI PRECISI DEL NANDO – Attenzione ai dettagli quando si fanno questi apprezzamenti. Possibili gaffes. E risposte di questo tipo: “Vara che son divorziada dal Nando da sete ani. Sto chi el gh’ò avù col me nof compagno, el Renato”.

DAI, DAI LA ME PASSA EL DOTOR SIGNORINA CHE SO CHE ‘L GH’E’ – Messaggio lasciato di frequente alla segreteria telefonica dei medici di base.

EN BIANCO PER MI E NA SPUMA PER EL BOCIA – Succedeva una volta nei bar di paese. Molto prima che fosse vietato fornire alcolici ai minorenni. Vedi anche: “Ah, la me daga anca en par de caramele dolze, quele con su la vaca…doe de numer neh che se no ghe mal ai denti”.

ZA’ CHE NO TE GH’AI GNENT DA FAR … – La frase più odiata dai pensionati. Costretti a impiegare il loro (finalmente) tempo libero in una serie di attività non pagate e molto più impegnative delle vecchie (ma retribuite e sindacalmente garantite) mansioni.

ME CAMBIERESSEL ZINQUEZENTO EURI? – Missione impossibile, quasi illegale.

SET NAT EN BARCA ? – Si dice a chi lascia aperta sistematicamente la porta d’ingresso. Come se fosse appunto su una barca. Ma non nel cabinato.

SE ‘L TE PIAS MOL TE STRACO – Dal corso di autostima inserito nei programmi dell’Università della Terza Età.

L’E’ ‘N PEZ CHE NO SE VEDE PU EN GIRO EL BEPI … – Allarme comunitario. Prodromo di un qualcosa di tragico. O del ricovero del soggetto in una casa di riposo. Partono subito le indagini … Con relazione, in macelleria, in farmacia, anche in chiesa o in altri luoghi del paese, appena si sa qualcosa di più.

SE FEN LA GHIRLANDA NO FEN l’AVISO DA MORT SUL GIORNAL PERO’ … Gli effetti della crisi anche nel settore delle pompe funebri.

Conosser – l’enciclopedia

per capir i trentini – 121

EMPILELE LI – Non è il titolo di una canzone africana ma l’invito a mettere in ordine determinati oggetti: in questo caso femminili plurali. Tipo: tapparelle, corde, scatole, cartelle. Vedi “empìleli” per cartoni, pacchi, pezzi di ferro ecc. Anche “empìlei là, lazò, en font, sora, soto, come te voi …”.

L’HA NETA’ SU TUT – Si può riferire ad una pulizia impeccabile del pavimento. Ma anche alla voracità di un commensale che non lascia niente nel piatto.

CHE GAT GH’AT CHE CAGA EN CA’ ? – Che gatto hai che sporca in casa? Uno dei tanti scioglilingua.

NO L’E TANT A PIOMBO – Non è giusto. Ovvero non rispetta l’esatta perpendicolare del filo con peso all’estremità utilizzato dai muratori per costruire muri, pareti a regola d’arte.

CIAO, SON MI – Classico inizio di una conversazione telefonica. Laddove si dà per scontato che l’interlocutore capisca al volo chi sta chiamando. Questo peraltro succede da molti anni. Ancora prima che I recapiti telefonici in entrata (e quindi anche in uscita) apparissero sul display.

VOI CAVARME LA SPIZA … – Prurito da combattere. Nella fattispecie la curiosità di sapere una cosa. O di farla. Notare l’assonanza tra spìza e sfizio.

PADELA  ROTA – Inaffidabile per la cottura dei cibi. Ancora di più – per analogia – nella custodia di segreti.

LA ME SBRUSA – Rancore insopprimibile. Vicenda che brucia ancora nell’animo. Prodromo di una vendetta. Segue di solito: “Ah ma prima o dopo el vei ben sul bachetòn”.

STAR SU LE UCIE – Come i fachiri. Ma con dolore. Senza ascetismo. Avere voglia di menare le mani (non solo per tirarsi via gli aghi da sotto). Essere impazienti. Non sopportare più una certa situazione.

TE PORTA LA COLAZION O ‘l DISNAR? – Di solito si dice a chi, dopo una notte brava, a mezzogiorno è ancora a letto … Riguarda in particolar modo figli e figlie la domenica mattina.

LA BARBA? DROPA EL SUGAMAN VALA’ – Riferito a chi, ancora adolescente, ha pochi e radi peli sulla faccia.

MA ‘N DO ELO EL GEOMETRA? – In un cantiere edile la presenza del direttore dei lavori è perlopiù invocata quando ci sono serie contraddizioni tra progetto e … quello che si sta realizzando.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 120

L’ARIA DE LA MATINA L’E’ NA BONA MEDIZINA – In effetti anche se è magari un po’ fredda contribuisce a risvegliare il corpo dal torpore e soprattutto dall’ipocondria.

EL LET L’E’ NA ROSA, SE NO SE DORME SE RIPOSA – Anche se non si prende sonno nel letto comunque ci si rilassa, si riposa.

OGNI PAES GH’A LA SO USANZA, OGNI CUL GH’A LA SO PANZA – Tradizioni locali imprescindibili dal territorio, dal paese. Così come lato A e lato B del corpo.

FIN CHE GH’E’ L’ORSA SU LA VIGOLANA NO STA CAVARTE LA MAIA DE LANA – Sulla Vigolana, montagna trentina in particolari condizioni climatiche sembra di vedere un’orsa. Ecco, vuol dire che c’è ancora la neve e comunque fa freddo …

SAN VINCENZ DELA GRAN FREDURA – Il 22 gennaio, giorno di S. Vincenzo, di solito fa molto freddo.

CHI GH’A EN MESTER EN MAN DAPERTUT EL TROVA PAN – Forse bisogna ripartire dalle botteghe artigiane per dare lavoro ai giovani?

EN ZO TUTI I SANTI I AIUTA – In discesa è tutto molto più facile. Anche grazie ai santi, forse.

EN DOI SE FA DE PU’ CHE ‘N UN, I DIS QUEI DE BELUN; EN TREI SE FA MEIO CHE MIGA, I DIS QUEI DE GARNIGA – Chiaramente una smentita del detto: chi fa da sé fa per tre.

EL POM ‘L CRODA POC LONTAN DA L’ARBOL – Non occorrono indagini per sapere da dove è caduta la mela

FAT EL LET E SPAZA’, SE LA DONA L’EI PORETA NISUN EL SA – Forse non è proprio così per l’Agenzia delle Entrate …

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 119

LAVABORE – Vino scadente. I boscaioli per meglio far scivolare il legname, i tronchi (bòre) a valle li bagnano abbondantemente. Di qui il sospetto che il sistema (acqua…) sia usato per diluire il vino…

TIRAR ZO QUATRO SIRACHE – Siràca sta per bestemmia. Di solito quattro sono sufficiente. Ma c’è chi ne ha bisogno almeno del doppio.

METER ‘N SESTO – Mettere in ordine. Tornare alla normalità.

CON QUELA FORBES TE TAI L’ACQUA – Insomma, avrebbe bisogno dell’arrotino per svolgere al meglio la propria funzione.

BELA BRAVURA SPUZAR CO LE BRAGHE PIENE – Nel gioco del tressette così si sfotte chi ha fatto “cappotto”  avendo in mano tutte le carte buone.

ESER EN CIESA – Quando, giocando a briscola, si vuol dire (o far capire, bluffando) che non si hanno carte buone da calare.

EL BOCON DE ‘L MASA TES – Piccoli avanzi rimasti nel piatto. Per dire che il commensale è sazio e il pasto era troppo abbondante rispetto all’appetito.

CIUCHETER – Ubriacone. Chi prende la “ciucca” spesso e volentieri.

RUGA – Non è l’età che avanza sul viso. Ruga sta per bruco. “Te sei propri ne rùga”: molesto, seccatore, brontolone”.

FARGHE I PEI ALE MOSCHE – Richiede una grande abilità nei cosiddetti lavori di fino.

TORGHE LA VOLTA – Portare a compimento qualcosa. Prenderci il giro.

VEGNIR EN RECIA – Aver sentore di qualcosa. Mi è giunta voce che …

TACA’ CO ‘L SPUDIC – Attaccato con uno sputo, malamente.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 118

DAGHE ‘N TAI – Non c’entra il thai chi chuan. E’ l’invito a chiudere un discorso, un rapporto, una collaborazione, qualcosa insomma che collega ad altro, altri.

MA VA ANCA EN MONA – Una sorta di viatico. Da non intendere, sempre, come una maledizione, anzi …
TI ‘NTANT TO’ ‘L TE’ . Barbarismo anglosassone con contaminazioni linguistiche indiane vittoriane da intendersi come richiesta di pausa in un incontro di affari o d’altro tipo.
CIAPA E PORTA A CA’ – Soddisfatti e – forse, chissà – rimborsati. Ma non subito.
REPETON – Nessuna allusione a problemi, grossi, di flatulenza. Dicesi di politici che repeteant cioè vanno ben oltre i due mandati.
DETO EL BICIERA – Soprannome legato alle attitudini enologiche del soggetto in questione.
BEVIT QUALCOS ? – Cfr “deto el bicièra”, parola d’ordine al bar, Anche “Dài che ‘l pago mì ‘n giro”.
NO STA’ DIRME … – Sorpresa, meraviglia, sgomento. E implicita esortazione a continuare il racconto di cose che si vogliono sapere fin nei minimi dettagli.
SPETA, SPETA … – Tasto pausa con promessa di qualcosa di più interessante. O richiesta di tempo per completare un’operazione.
ZERTO CHE … – Giudizio, insindacabile, sospeso. Comunque sempre in senso negativo.
AH NO SO MIGA GNENT MI – Omertà. Replica: “Ma se t’ho vìst…” – Controreplica: “Se gh’ero dormivo”
E ANCA FUSSA? – E anche fosse? Risposta epicurea a chi vuol creare ansia, suspence, attesa di sfavorevoli imprevisti.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 116 bis

MEIO ‘N MOCOL CHE NAR EN LET AL STROF – Piuttosto che andare a letto al buio basta anche una piccola candela. Piuttosto che niente meglio … piuttosto.

NO PRESTAR FEDE A OM CHE GIURA, A CAVAL CHE SUDA E A DONA CHE PIANZE – Situazioni evidentemente provate di anomalie nel tempo seguente …

EL NAS DEI CAGNI, EL CUL DEI VECI E I PEI DELE DONE I E’ SEMPER FREDI – Chissà perché .

LE BONE PAROLE LE ONZE E LE TRISTE LE SPONZE – Tra adulazione e cattiveria.

MEIO OSEL DE BOSCH CHE DE GABIA – Ah, la libertà.

ZENA LONGA VITA CORTA, ZENA CORTA VITA LONGA – Mai eccedere nel pasto serale

EN DIAOL EL COGNOS L’ALTRO – Tra demoni ci s’intende

DAI PEI DEI MULI, DAL MUS DEI CAGNI E DA QUEI CHE GH’A SEMPER LA CORONA ‘N MAN, STEGHE LONTAN – Una serie di situazioni ad alto rischio.

PU SE VIVE PU SE SE SVIZINA ALA MORT – Comincia nella culla il viaggio della vita, senza biglietto di ritorno, senza l’orario d’arrivo.

LA PRIMA GALINA CHE CANTA L’E’ QUELA CHE HA FAT L’OF – Chi per primo parla di una determinata questione fino ad allora ignota, di solito ne è il colpevole autore.

NO BISOGN METER EL CAR DAVANTI AI BOI – Ovvero: cercare di forzare una situazione con mezzi a dir poco ridicoli.

A SOMENAR COL VENT TE PERDI LA SOMENZA – Come predicare al vento

ZOBIA VEGNUDA STIMANA PERDUA – Già, perché resta ben poco ormai prima del week end

EN GUERA, EN CAZA E NEI AMORI EN SOL PIAZER GH’A MILI DOLORI – Donne e motori gioie e dolori, difficile trovar piacere comunque in guerra…

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 116

VAL PU EN GRAN DE PEVER CHE ‘N STRONZ DE N’ASEN – Quantità non significa qualità …

EL PAN EN MOSTRA L’E’ L’ULTIM VENDU’ – Mettersi in vetrina non sempre funziona …

LA PRIMA L’E’ NA SPINA, LA SECONDA L’E’ REGINA – Nelle eventuali seconde nozze cambia il ruolo della moglie

ME SON MONDA’ I GINOCI – Brutta contusione alle ginocchia, la diagnosi. Cerotti, disinfettante e in casi gravi pronto soccorso la terapia.

GH’AT MONEA? – Hai spiccioli? Diffidare di chi tira fuori una banconota da 50 euro per chiederti un euro e dieci centesimi per pagare il caffè …

TEGNETE DA CONT – Invito a mantenersi in forma, a non far pesare più dell’ineluttabile il conto che l’età, i malanni, le delusioni, prima o poi presentano alla cassa della vita.

SON MI – Risposta alla domanda: pronto chi parla? O anche al citofono: “Avèrzi dai che son mi”. Possibile replica: “Ma sèt ti? E dì alora che te sei tì no…”.

MA TASI VALA’ … Constatazione dell’inutilità di andare oltre un colloquio? Non sempre. Anzi, quasi mai. Perché in effetti è rafforzativo di quello che seguirà: “Ma tàsi valà che l’ho sentìa anca mi en paès ‘sta vòze…no l’avrìa mai dìt…tàsi, tasi, vara na roba….”.

EL SAVEVO, EL SAVEVO … – Il senno di poi. Può anche essere completato da: “I me l’avèva dìt en tanti, se gh’avès dàt resòn … oscia el savèvo mi che la sarìa nada a finir cosita … el savèvo”.

‘ SA DISIT SU OSPIA? – Ma cosa dici? Ma cosa stai raccontando? Notare il “su”, che precisa anche la direzione presa dalle parole su qualcosa che sta più in aria che in terra.

SE TE SPETEVO TI … Ritardo ingiustificato che costringe ad azione affannosa. E che viene mosso come accusa all’interlocutore. In attesa di scuse gratificatorie per quanto fatto da soli…

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 115

METI EN PIOCIO ‘N LA FARINA CHE ‘L CREDERA’ DE ESER DEVENTA’ ‘N MOLINAR – Ovvero “piòcio refat”, chi, cresciuto in miseria, quando ne esce diventa superbo.

CON LA BOSIA TE VAI A DORMIR GENERAL E TE DESMìSI CAPORAL – Le bugie hanno le gambe corte

EL CUL DIS MAL DE LA MERDA – Il colpevole sparla della sua colpa

MAL NO FAR PAURA NO GAVER  – Non far del male e non avrai paura, rimorsi, conseguenze negative

A CHI NO LA SCOTA NO LA BRUSA – Invito alla prudenza: se non ci si avvicina al fuoco è difficile riportare ustioni. Anche in senso metaforico: delusioni, accidenti …

LE BONE PAROLE NO LE LIGA I DENTI – Se hai qualcosa di buono da dire di certo nessuno ti zittisce.

EL TEMP FA MATADE, LE MATADE FA MISERIA, LA MISERIA FA GIUDIZI,’L GIUDIZI DA FAR ROBA, LA ROBA FA BON TEMP E ‘L BON TEMP FA FAR MATADE – Una spirale, una catena ineluttabile, con epilogo che riporta al punto di partenza…

QUANDO LE SCOMINZIA LE CORE DRIO TUTE – Quando i guai arrivano di solito sono sempre accompagnati da altri guai, magari contemporaneamente

ROBA PER FORZA NO VAL NA SCORZA – Non c’è valore nei lavori fatto controvoglia

SE TE VEDI FUM O CHE L’E’ FOCH O CHE L’E’ UN CHE HA CAGA’ DA POCH – Nella tradizione popolare sembra non ci siano alternative …

NA PISADA SENZA ‘N PET L’E’ COME ‘L VIOLIN SENZA L’ARCHET – Diciamo che non sempre c’è l’abbinamento delle funzioni …

No SE SA DE CHE MORT SE MORE – Difficile conoscere il proprio destino

PEI CALDI, TESTA FREDA, PANZA LIZERA – Tre regole per star bene

NO GH’E’ ERBA CHE VARDA ‘N SU CHE NO GABIA LA SO VIRTU’ – Ogni erba ha le sue proprietà diciamo più o meno benefiche.

QUANDO LA MERDA LA MONTA EN SCAGN LA FA SPUZA E LA FA DAN – Quando un incapace arriva al potere fa guai e … si sente

PU ‘N ALT CHE SE VA, PU ‘L CUL SE MOSTRA – Più si va su nella scala gerarchica della società e più si è esposti all’analisi dei propri difetti.

NA VOLTA PER UN LA CIAVE DEL VOLT – Invito all’alternanza nelle amministrazioni pubbliche ma anche nelle società che gestiscono …. le cantine.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 114

PONTERA – accento sulla “e”. Nulla a che fare con i ponti. Bisogna però salire, andare in su. Dai che dopo quela curva de sora se ariva al rifugio. Po’se sa, a nar en zo ogni sant aiuta.

TE ME ROBI EL PAN DA LA BOCA – Accusa di egoismo. Di sfruttamento. Di ingiustificabile e anomala divisione dei beni,

TUTI BONI DE FAR CASCAR UN CHE CAGA – Vinci facile. Laddove basta una leggera pressione per mettere a terra e in evidente imbarazzo chi in quel momento è in altre azioni occupato. Da tergo …

GRAZIE MA MI NO  FUMO – Vecchia battuta, al buio, riferita a chi, impegnato in rapporti sessuali a pagamento, non ha il classico physique du rôle.

TUT CHI? – Umiliazione post regalo o quando si tratta di ricevere concreti compensi per qualcosa che si è dato o fatto a vantaggio del prossimo.

NO DIGO GNENT – Astensione. Sospensione del giudizio. Può seguire: “Vara, sol perché te sei ti t’el digo…però che la resta chi, valà”.

OCIO CHE ‘L SCOTA – Avviso ai commensali dopo l’uscita dal forno di vivande roventi. Consigli: “Sòfieghe sora prima de butar zo”.

GH’O’ ZENT TE CIAMO DOPO – Replica mai intercettata: “La podèva envidarne anca noi … ah ma stavolta ne la ligo al dè”.

I SE PARLA – Gossip su possibili fidanzamenti in paese

GH’E’ SCAPA’ LA SPOSA – Situazione che precede separazioni , divorzi, rancori. Resta sempre da indagare il perché dell’improvvisa fuga.

PITOST MAGNO NA MERDA – Drastico giudizio su qualcosa di negativo che vale l’alternativa coprofaga.

DAI CHE RESTEN AMIZI – Eufemismo: vai via dalla mia vita, dal mio cuore, dal mio letto….ne sen capidi dai

  Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 113 

LASSA EMPIZA’ – Richiesta di chi, in caso contrario, si troverebbe al buio o con macchinari spenti o con la televisione da riaccendere. Al contrario: “Smòrza zò tut prima de nàr via, me racomando …”.
Me DIGO CHE … – Non è un verbo riflessivo, né l’incipit di una seduta per favorire l’autostima. Si usa di solito per introdurre la descrizione di qualcosa di straordinario. “Ah, me digò che quela trota la sarà stàda longa en metro…” – “Me digo che se te l’avèssi vista te sarèssi nà en drè schèna … ‘na roba …”
ALORA T’EL FAI APOSTA … – Denuncia di una provocazione. La giustificazione classica: “Vàra che no ho fat miga appòsta … l’è stà la to sposa a basàrme”.
MA ME CREDIT EN DUGO? – Credi che sia un credulone? Uno che si prende facilmente in giro? Pensi di approfittare di me? Mi ritieni così ignorante e inesperto?
SET SCAPA’ DA PERZEN? – Quando a Pergine Valsugana c’era il manicomio …
TE GHE SEI DA LA MAESTRA – Riguardava i rapporti tra scolari delle elementari negli anni sessanta. Si trattava in pratica di annunciare la segnalazione al corpo docente di un atteggiamento violento subito durante la ricreazione o passato inosservato in classe.
VEI ZO DAL PIN VALA’ – Invito a ragionare terra terra. Cioè a lasciare le “vette” del proprio sapere per tornare tra i … normali.
COME L’E’ ‘STE TRIPE? QUANDO LE TROVO TE SAVRO’ DIR – Quando le trippe costringono ad una caccia al tesoro nel piatto di brodo. A monte c’è sempre scarsità di materia prima in cucina.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini 112

DAT FOR DA UGO? – Ugo non si sa bene chi sia, cosa faccia nella vita ma soprattutto perché viene tirato in ballo come parametro del self control. In ogni caso meglio non superare i confini di questa arcana Ugheide.
HAT BEGA’ COL PETEN ? – Dicesi di chi evidentemente non solo ha litigato col pettine ma proprio non ha confidenza con pieghe, riccioli, taglio di capelli ordinato. Va detto che il pettine non è per fortuna né vendicativo, né permaloso.
STASERA STAGO LIZER – Promessa, quasi sempre infranta, di chi a pranzo ha esagerato sia nelle proporzioni dei pasti sia nel loro contenuto calorico o di grassi. In realtà la cena è quasi sempre la fotocopia del menù diurno. Segue, la mattina dopo: “’n do elo che gh’è l’alka selzer ‘cramento?”. E l’ennesima buna intenzione: “Ah, ancoi a mezdì la và de riso en bianco”.
ME NE FREGA MEN CHE MEN … – Stop alla conversazione. Dichiarazione di distanza abissale tra due interlocutori. Anche: “Vàra, no podrìa fregarmen de men…”. Drastico: “Prima che vaghi ‘nvanti col discorso t’el digo subit: no me ne frega propri gnent de gnent via zero”.
NO ‘L SE RICORDA PU GNANCA DAL NAS ALA BOCA – Amnesia progressiva. Che nulla ha a che vedere con olfatto e capacità di esprimersi. Trattasi di distanza esigua tra percezione e coscienza del percepito.
DI’ GIURO – Richiesta di certificazione solenne di qualcosa che ha bisogno di conferme anche extraterrene a volte. Vedi anche: “Ma dài…”.
HAT SGARBIA’ BEN NELA BORSA? – Trovare chiavi, piccoli oggetti in borse riempite all’inverosimile a volte costringe veramente a operazioni di “rastrellamento” metodico. A “sgarbiàr” appunto.
COME VOT CHE LA VAGA… – Come vuoi che stia, in quale situazioni mi trovi. Segue di solito: “Chì sèn…’n do vot che vàga” soprattutto se si è ricoverati in ospedale.
MA VALO DE CORP? – Tentativo di indagare sui sintomi per abbozzare una diagnosi artigianale. Se ci sono problemi di evacuazione una volta arrivavano la dolce euchessina per i bambini e le “foie madri” per gli adulti.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini 111

 SARIA DRIO A NAR … – Classica risposta a chi, sull’uscio di casa o dell’ufficio, sta avviando un colloquio che si preannuncia lungo e noioso. Per tagliar corto meglio usare: “Dai, dai che se no perdo la corièra, ne sentìn” ed entrare subito nella propria auto sgommando.

HO VIST CHE TE SEI SUL GIORNAL ANCOI – Riconoscimento di popolarità se la foto è allegata ad un premio, ad una buona notizia. Conferma di cattiva fama ormai diffusa in caso contrario. Possibile risposta: “Spero de no èsser tra i avìsi da mòrt…perché no i m’ha dit gnent nesùn de quando sarìa el me hòbit”.

EL SE L’E’ ‘NTAIADA – Ha capito l’inghippo, mangiato la foglia, scoperto l’inganno. “Ah no l’è miga vegnù ala riuniòm del condomini: el se l’è ‘ntaiàda che gh’era da pagàr la vedràda rota da so fioi col balòm”.

NAR A PETAO – Aerofagia, meteorismo, flatulenza non c’entrano. Qui si parla non tanto di gas ma di solide, concrete prospettive di andare incontro a malanni seri. O al più di finire per terra.

NE’ FORA A ZUGAR – Invito rivolto di solito a un gruppo rumoroso di bambini quando i rispettivi genitori vorrebbero avere un attimo di tranquillità per dialogare. Pericoloso in aereo o quando i terrazzini non hanno parapetti a norma.

GHE STARALO DENTER? – Dubbio – perlopiù delle mogli – quando in un negozio di abbigliamento cercano un maglione, un paio di mutande, un paio di pantaloni, una giacca per il marito. Le rassicurazioni scontate della commessa: “Ma tanto dopo i se slàrga…”.

CON DOMAN NO FUMO PU – Battuta vecchissima. Segue: “Fumo sol co na mam”. Vale anche per l’alcolismo.

LEZU’, STUDIA’ – Si dice di chi ha fatto “le scòle alte” e comunque riesce a mettere d’accordo un soggetto con un predicato verbale e un oggetto. Segue la giustificazione: “Mì dopo le profesionàli ho tacà via subit a laoràr neh”

EL ME FEVA PECA’ – Mi faceva compassione. Insomma non è un’azione peccaminosa subita.

TUTA COLPA DE STI SBALZI – Ci si riferisce a repentini cambiamenti di tempo per giustificare qualsiasi tipo di malessere, soprattutto nervosismo, insofferenza, incostanza.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 110

CHI PER VEDER QUALCOS BISOGNA SLONGAR EL COL – Problemi di visibilità in locali affollati (teatro, cinema e affini) ma anche all’aperto se si è sovrastati da chi ha preso posti migliori.

I ME N’HA DAT, I ME N’HA DAT MA N’HO ANCA CIAPA’ – Versione poco chiara – o al contrario troppo evidente – di come sono andate le cose in una rissa.

DIME ‘SA TE PAR – Richiesta di giudizio di un lavoro, di un qualcosa che si è fatto magari proprio su commissione dell’interlocutore. Attenzione: se domanda termina con “Ah…” vuol dire che ci si aspetta un giudizio positivo. E’ insomma l’equivalente dell’affermazione: “Vegnù fòra en bel mistèr ah…”. Se invece segue la frase: “che se no…” vuol dire che si minaccia di distruggere tutto in caso di risposta negativa. Ed è considerato giudizio negativo anche il termine “Sì dai, ensòma, el podrìa anca nàr per quel …”

AH, SE NO DOVESs VEDERTE PU … – Segue di solito un “salùdeme la spòsa” con la mano tesa per la stretta all’amico e conoscente. Il più delle volte però l’altro, con la mano destra, è impegnato a toccare per scaramanzia ciò che si trova in mezzo alle gambe.

MA TE FAT I CAVEI ROSSI COME LE DONE? Risposta: “No, son drìo a sbianchezàr el plafòn del bocia”. Replica: “’sta tento ale fiamàe valà”.

T’HO VIST EN TELEVISION ALGIERI … – I 15 minuti di fama che prima o poi toccano a tutti, soprattutto con i quiz televisivi. C’è anche il solito commento, in paese: “Ma dime, dime, el Bonolìs da vìf elo propri cosita?”

STA ‘TENTO CHE VAGO A TOR NA CASSA DE ACQUA MINERALE, BEVO TUTE E SEI LE BOTIGLIE E VEGNO A PISSARTE SU LA SCRIVANIA – Minaccia con premeditazione e mezzi facilmente reperibili sul mercato.

VEI VEI CHE GHE PASSA ANCA EN MOTOCARO – Istruzioni per l’uscita da un parcheggio accompagnate da inviti a girare bene e velocemente il volante. In caso di tamponamenti l’addetto ai “segnali” di solito si dà alla latitanza almeno fino al prossimo matrimonio o funerale se trattasi di parente.

EL RISCALDAMENTO L’E’ N’HA’ EN BLOCO – Seguono, se fa freddo e la giornata del guasto coincide con festività, “litanie” già preparate da tempo e custodite nel nylon che contiene le istruzioni della caldaia. L’epilogo: “E i è vegnui a controlarla la stimana passada diaolporco…”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 109

TOLE’ QUALCOS? – Domanda alla quale per una legge non scritta del galateo  – o più semplicemente perché il tono dell’offerta non è sempre convinto e convincente – bisognerebbe rispondere sempre: “No, grazie, no la stàga a disturbàrse”. Per non far capire che tutto si farebbe tranne che tirar fuori bicchieri, bottiglie o tazzine…di solito la reiterazione dell’offerta è di questo tipo: “Ma nò, no me dè nessùn disturbo…oscia (rivolto ad altri familiari) ma gh’avè ancora da scargàr la lavastovilie?” Può anche succedere comunque alla padrona (o padrone) di casa di lasciarsi scappare un esagerato “Dai che mèto su la mòka anca per mi”. E questo nove volte su dieci è un autogol. Perché la risposta sarà sempre questa: “Ah ben, se te fai el cafè anca per ti…alora…”.

EH…A STAR COL CUL DESCUERT… – Frequente commento di fronte a chi diventa paonazzo per colpi di tosse o deve soffiarsi ripetutamente il naso o ancora è visibilmente raffreddato. Si tratta di ironico riferimento ad atti sessuali all’aperto o in luoghi non propriamente definibile tetti coniugali. L’interessato negherà comunque sempre anche di fronte all’evidenza (tracce di rossetto sulla guancia o analoghi indizi).

NO L’HA DIT GNANCA BAF – Insomma non ha reagito. Non ha detto alcunchè, né bif né baf, nemmeno “ah”. A dimostrazione della ragione di chi riferisce ora quel silenzio “colpevole” più che arrendevole.

MA SET PROPRI SICUR DE AVERGHE TUTE LE FASSINE AL CUERT? – (cfr: enmanegà vèrt) – Laddove insomma il legname tagliato, quando è ancora verde, non stagionato, poi riduce il proprio volume. Così come i neuroni nel cervello di chi ha dimenticato la legna sotto la pioggia, al di fuori del cranio-casolare.

L’HO VIST PATI’ – L’ho visto male. Molto dimagrito. Scavato anche nell’animo (cfr. ciucià dale strie).

CUL PORTA BOTA – Il sedere attutisce le contusioni. Dipende ovviamente sempre dall’intensità, dall’angolazione, dall’oggetto contundente, dall’altezza della caduta.

SAT CHE I HA SERA’ VIA EL GINO? – Sai che hanno arrestato Gino? Risposta: “Ma se l’era nà zo per Napoli a laorar che sarà zamai dese ani…” – Sì, propri a Napoli i l’ha ciapà? “E cossa àlo fat?” – No so, ma se i l’ha serà via qualcòs el deve pur aver fat…

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 108

EL SA’ DA TAP – Bocciatura di un vino. Possibile replica: “Vàra che te hai dropà la botigliòta de l’asèdo oscia…”

TE SEI ARIVA’ AL FUM DE LE CANDELE – Sei arrivato tardi. Come quando a Messa hanno appena spento le candele.

TEGNEME CALT EL POSTO – Invito a presidiare una carica, un posto di lavoro, qualcosa che comunque va preservato da invasioni. Non sempre c’è, soprattutto adesso in tempo di crisi, la sicurezza di trovare se non caldo, almeno tiepido, il “luogo” raccomandato ad altrui attenzioni nell’interregno.

VANZIT QUALCOS? – Hai qualcosa contro me? Hai crediti nei miei confronti? Ho forse fatto qualcosa che non va bene e per la quale mediti una vendetta?

OSCIA HO DESMENTEGA’ EL PORTAFOI A CA’ – Capita quando l’interessato dovrebbe pagare il “suo” giro di aperitivi. Il barista a quel punto dice sempre: “L’è semper la stessa storia. E tòr zò qualche pirola per ricordarse le robe? O set zà a livei de alzàimer?”

EN PO’ PER UN LA CIAVE DEL VOLT – Cioè: non deve sempre toccare allo stesso soggetto l’incombenza, la responsabilità, il pagamento…

L’E’ BEN SICUR NEH CHE TO MARI’ ANCOI EL FA’ EL TURNO DE NOT EN CARTERA … – Richiesta di conferma a scanso di equivoci di un impedimento che consente libertà sessuali extraconiugali notturne. Occhio agli scioperi a scacchiera. E comunque agli imprevisti imprevedibili.

GH’AVE’ CIODI DA DESE CHE NO SE STORZA SE SMARTELO NEL MUR DE CEMENTO? – L’incubo di chi è addetto al punto vendita di ferramenta.

VARA, TE ‘L DIGO, MA PROPRI PERCHE’ TE SEI TI … – Atto di spionaggio. Confidenza sempre in cambio di altre confidenze. Collusione.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 107

GHE N’HO DIT DE BO’ (o BOIA) E DE VACA – Relazione sintetica di una serie di offese e minacce rivolte non sempre ad un nemico in comune con l’interlocutore. Quest’ultimo di solito chiede lumi sull’epilogo: “Ah sì, e lù ‘sa t’àlo dit, ‘sa àlò fàt, èla finìa lì?”

BOM ST’ASEDO MA DAME EN BICIER DE VIM VALA’ – Stroncatura del vino ricevuto dopo un panegirico sulle sue qualità. Possibile risposta: “Te gh’avrai la boca zamai empastàda”.

SERA LA BOTEGA CHE NO TE GH’AI GNENT DA VENDER – Riferito alla patta aperta dei pantaloni e anche alla pochezza di quello che solo le mutande a quel punto coprono.

QUEI CHE NO GH’A’ TESTA GH’A’ GAMBE – Nel senso che gli smemorati, quelli che dimenticano le chiavi dell’auto all’ultimo piano e se n’accorgono solo quando sono in garage devono essere allenati a sforzi ripetuti.

GH’E’ SCAMPA’ LA SPOSA – Gossip paesano. Indica più che una scomparsa un tradimento anche se detto dagli uomini non sempre rispecchia l’effettiva realtà dei fatti. Difficile insomma un “Gh’è scampà el marì” anche di fronte all’evidenza.

L’E’ NA’ A VOLT – E’ caduto. Si dice sia di ruzzolone che di perdita del carico. “L’è nà de vòlta” invece sta per “è tornato indietro”. “L’è sempèr en vòlta”: è sempre in giro.

TE M’HAI STOMEGA’ – Mi hai stufato. Con le parole, con le opere, con i pensieri. “M’è restà tut sul stòmech”: principio di indigestione, congestione. Seguono, di solito, conati di vomito (per fortuna che ho butà su tut) liberatori.

ENCULETE – Invito ad una di fatto impossibile auto-sodomia. “El m’ha enculà”: non si tratta di aver subito una violenza sessuale ma di aver preso una grande fregatura, un grande abbaglio, essere insomma rimasti vittima di una truffa, di un raggiro (da dietro, si sa…).

BEL, BEL, QUANT COSTEL? SI’ BEL MA NO ME ‘L SENTO BEN ADOS – Classica retromarcia in un negozio di abbigliamento quando viene notificato il prezzo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 106

LA VEI ZO A SECIE – Le tristemente famose “bombe d’acqua”. Quando si vuol sottolineare l’intensità delle precipitazioni: “Vèi zò pali de fèr”. O ancora: “S’è rot le càne de sòra”.

GH’O’ I FRENI CHE ZIGA – Constatazione della necessità improrogabile di metter mano ai freni dell’auto. O di una riparazione mal riuscita: “Ma se i ho ‘pèna rifàti, oscia…”.

CHE GHEBA – Che fumo, che nebbia, che polverone. “Gh’àt de ghebàr?”: hai una sigaretta? “Gh’at da ‘mpizàr?”: hai da accendere.

DAME EL SUGAMAN CHE ME SUGO I PEI – In effetti l’asciugamano non serve solo per la parte finale degli arti inferiori.

OCIO CHE ANCOI SON ZIDIOS – Attenzione: sono nervoso, potrei avere reazioni inconsulte. “Te me pari zidiòs…”: presa d’atto della precedente situazione.

DEV’ESSER STA’ L’ULTIM BICIER … – Chiaramente è sempre l’ultimo bicchiere di birra, vino, alcolici vari che si prende la colpa di una ubriacatura di fatto in atto da molti bicchieri prima. Ultimo barlume prima dell’incoscienza.

DAMEI PUR A MI SE NO I TE PIAS – Invasione, pacifica ma decisa, del piatto altrui quando la propria portata è stata fagocitata a tempo record, doppiando gli altri commensali.

VARA CHE DOPO I TE CIAMA EL MONCO … – Minaccia (seria) di venire alle mani. Progetto (che non viene però mai concretizzato) di mutilazione. Invito a far attenzione quando il compagno di lavoro è addetto alla fresa e non ha sufficiente esperienza.

CARGA’ DE FEVER – Quando il termometro segna una temperatura oltre i 38 e per lungo tempo nonostante la tachipirina. Dà proprio il senso dello schiacciamento determinato dalla febbre.

NO TE VEGNERAI MIGA EN CASA CON QUELE SGALMERE – Blocco di chi potrebbe annullare l’operazione pulizia del pavimento appena terminata con “schifezze” attaccate sotto scarpe reduci evidentemente da una porcilaia o comunque da camminamenti su materiale molle, sporco e puzzolente.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 105

SET ZA’ STRACH? VARA CHE L’E’ LONGA ANCORA … – Disarmente (per l’interlocutore) giudizio sulla resistenza fisica durante un’escursione o un lavoro impegnativo. La possibile risposta (giustificazione): “A mi i m’ha sèmper dit de tegnìr el pàs del montagnèr, no de còrer”.

CHE FIN ALA FAT LA TO SPOSA? – Domanda retorica e maliziosa, quando tutti in paese sanno ormai che la coppia è scoppiata e stanno seguendo le procedure legali per la separazione. Possibile replica: “Scusa neh, magari la sarà ensèma a qualchedun altri, come la tua…”.
OCIO CHE EL (TE) VA DE TRAVERS – Invito a non buttar giù bevande o cibo con il rischio di strozzarsi. Ma anche a spegnere il gas per evitare che il latte, bollendo, esca dal pentolino. In questo caso meglio: “Ocio che el te va for de sòra”.
TE VERAI CHE ‘L SE TIRA FORA – Riferito al meteo, previsione di una giornata tendente al sereno. A meno che qualcuno non sia nei guai e tenti di venirne fuori. O faccia parte di un partito, un movimento politico nel quale non crede più.
‘N DO VAT TUT EN GRINGOLA? Dove vai vestito a festa? Curiosità di fronte a chi, di solito, non cura molto l’estetica, l’abbigliamento. Risposta: “Ah, ancòi se spòsa me neoà…ma ‘pèna se tàca a magnàr me tiro ben via sta cravàta che me strènze el còl”.
SAT CHI HO VIST ANCOI AL BAR DEI DO FIASCHI? Segue sempre un gossip paesano che culmina con “Ma l’avrèssit mai dit che ‘l feva quela fin? Sposarse co la badante de so mama?”
ZA’ CHE NO TE GH’AI GNENT DA FAR – La frase che più di altre terrorizza soprattutto i pensionati. Considerati oziosi, privi di impegni. Risultato? Sono caricati di faccende domestiche che prima, quando lavoravano, potevano bellamente schivare.

Conosser, l’enciclopedia per capir i trentini – 104

 SCOTONA – Taglio di carne. Occhio però che scotta. Vedi anche “scottadita”.

NO VEGNIRA’ MIGA I TOI DOMINICA … – Domanda retorica. Si sa che suoceri e parenti affini arrivano sempre quando la coppia aveva altri programmi. Confronta: “Veleni e antidoti”.

NO TE PARI TANT A PIOMBO – Certificazione tecnica di instabilità. O pendenza (cfr. I misteri della torre di Pisa). Di solito è la constatazione, insindacabile, di un evidente stato di ubriachezza più o meno molesta. Il giudizio si estende anche a chi proprio non riesce a connettere, a parlare, ad esprimersi nella lingua corrente. Non nel senso dell’acqua.

EL GH’A’ I OCI DE SO MAMA – Mater certa est … Subito dopo, a mò di excusatio non petita si dice: “Però le gambe le è grosse come quele del papà…”

HO PATI’ EN FRET, MA EN FRET … – Pretesto per farsi un whisky doppio. Anche perché non si scende mai nei dettagli. Né del prima. Né – ma è meglio – del dopo.

TEGNETE DA CONT – Invito a preservare la specie. A mantenersi in salute. Confronta: “fa polito dai”. “Tegnelo da cont” invece va inteso come salvaguardia di un rapporto. “Tegni a man”: invito delle Casse di Risparmio – Sparkasse.

VEGNIRIA ANCA MA … – Quando si pongono delle clausole rispetto ad un appuntamento, ad un viaggio, a qualcosa da fare insieme ad altri. A monte, quasi sempre, problemi irriferibili.

EL ME DAGA PUR DEL TI – Paradosso. Incipit di un dialogo che non crea, anzi, le condizioni per un colloquio amicale, inter pares.

TI NO TE SAI CHI CHE SON – Classico espediente per evitare la contravvenzione per divieto di sosta. Occhio: tanti alla fine sono stati denunciati per tentativo di corruzzione (gh’at bisoin de ‘na racomandazion en Provincia? Basta parlarne….dai che nem a bever qualcos al bar).

VARA TI CHE PASSI … – Giudizio, drastico, basato sempre sull’apparenza, riferito ad un conoscente magari uscito in strada un po’ trasandato perché gli è scappato il cane …

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 103

MOLA ZO QUEL MUS VALA’ – Invito ad uscire dal mutismo post litigio. Insomma a lasciar perdere precedenti screzi. Con i permalosi bisogna aggiungere: “Per mi te poi star così anca do ani, che te diga: prima o dopo la te passerà. E se no la te passa l’è istèss”.

NO LA PAR NA CAMERA MA ‘NA STALA … – Richiamo all’ordine. Di solito rivolto ai ragazzi e al disordine delle loro camere. Famosa la risposta data anni fa ad una mamma che faceva questo rimprovero: “A proposito de stala e boàzze: chiel che s’è netà el cul coi me calzòti?”.

GHE STALA? (o GHE STALO? O GHE STAI?) – Nulla a che vedere con la precedente definizione. Sta per: “Ci sta dentro?”. Succede quando si prendono “all’incirca” le misure della cucina e si arriva con il frigo che non ci sta. Ma anche quando bisogna far trasloco con un veicolo dal bagagliaio stretto.

‘SA VOT – Il significato è subordinato alla punteggiatura che segue. “’sa vòt?” sta per cosa vuoi? “’sa vòt…” sta per “dimmi tu…del resto … “’sa vot !” esprime invece già un giudizio. Pur senza entrare nei dettagli. “Casa da sbianchezar. Me marì? ‘sa vòt !”. Esasperazione del concetto: “’sa vòt che vegna fora…”.

AH DIGO BEM – Conferma. Ma con rafforzativo: ho ragione io, non c’è alcun dubbio. Può essere anche riflessivo: “Ah me digo…”. Sempre e comunque autoreferenziale. Col tempo imperfetto equivale a “l’avevo detto io…”. E cioè: “Ah volevo ben dir….ah, ‘l disèvo mi”. Con varianti: “Gh’avrìa mès su quel che te volevi che …”.

TE PAR L’ORA? – Sottinteso: di arrivare, di partire, di fare qualcosa in un momento poco adatto. Segue di solito un breve commento: “No, perché se chi ognun ‘l fa quel che ‘l vol, quando che ‘l vòl…”.

NO STA MONZERMELA – Non si riferisce al divieto di mungere la propria vacca. Ma, in senso figurato, di non darla a bere. “A mi te me la monzi?” Bere cosa? Forse il latte che non a caso in altra definizione: “No sta farme vegnir el lat ai dinoci”.

ABITEL DA ‘STE BANDE ? – Occhio: non c’entrano le bande malavitose né quelle musicali. Sta per: abita da queste parti? Possibile risposta: “Sì, en font al paes, ma ‘l staga ‘n banda ala straa che passa i camion…”

PISARSE ADOS DAL RIDER – Incontinenza provocata da una incontenibile risata. Altro effetto: “Me vei da pianzer a forza de rider”: solo apparentemente una contraddizione.

AVE’ ZA MAGNA? – Domanda ad ospiti che arrivano, inattesi, all’ora di pranzo. Segue: “No, l’è che per meter su n’altro piat de pasta ghe meto ‘n minut neh…”. La risposta è sempre di cortesia ma sibillina: “Ma dai che ve dèm da far per gnènt, passèvem giust da chi e alora … però a sentir l’odor del ragù…ma si valà che tastèn”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 102

MOCINER – Si dice di chi ha la “goccia” al naso. Nel senso che dovrebbe pulirsi dal muco, dalle famose “candele” che scendono. Insomma, è ancora un bambino che non ha imparato a badare a se stesso: ha bisogno della mamma per soffiarsi il naso. Si estende a chi è ancora ingenuo, bambinone. O semplicemente trasandato per pigrizia.

EL S’E’ SLONGA’… – Riferito di solito ad un bambino che non si vede da anni. E che nel frattempo ovviamente è cresciuto. Attenzione: mai dire “el s’è slargà” anche di fronte ad un evidente caso di obesità infantile. Sta male.

ENGRANIZA’ – Non vuol dire immerso nel grano o sporco di farina. Si tratta dell’effetto del contatto con carbone e affini. Tipico degli spazzacamini. O di chi ha cercato di spegnere malamente i “resti” di un barbecue.

SALUDEME LA SPOSA – Va detto solo ad amici non gelosi. Altrimenti può far sorgere sospetti su frequentazioni extra-coniugali difficili da risolvere nel corso di una successiva, eventuale, cena per i chiarimenti.

TOLE’ ‘N CAFE’ ? – Proposta formale. Con la segreta speranza di una risposta di questo tipo: “No, grazie, l’avèm ‘pena bevù al bar”. Al che di solito si fa finta di insistere: “Vara che ghe meto n’atimo a meter su la moka…”. Il pericolo? Di ricevere una replica del genere: “Ah bèm se te ‘l bevi anca ti alora va bèm…”. Segue la ricerca di tazzine e piattini puliti (ma impolverati) nella credenza. Con silenziose, impercettibili bestemmie.

SET TI? – Sei tu? Entrata dalla porta d’ingresso con passo ben noto. Chiaro: è lui. Anche perché è difficile che estranei rispondano così: “No, son uno co ‘na pistola en mam, dime sol dove te tegni i soldi chevago via subit”.

DAI CHE NE VEDEN ‘N DI’ – Come dire: spero di non dover passare ancora una serata noiosa come questa. Segue: “tanto ‘l me numer te ‘l gh’ai no?”. E via senza chiedere conferma o ridare recapiti in caso contrario.

EL GH’A ‘N BRUT COLOR – Diagnosi superficiale dello stato di salute di un conoscente. Che magari ha dovuto solo rinunciare alle ferie al mare o non ha avuto il tempo di prendere il sole in montagna. Ma normalmente si riferisce a persona terza. Non direttamente all’interessato al quale, invece, si dirà: “Ma sat che te vedo propri ben?”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 101

DAME ‘N BUTON – Richiesta d’aiuto, di dinamicità. Nella maggior parte dei casi si tratta di provare (con marcia inserita: non la retromarcia, attenzione) a mettere in moto un’auto con batteria quasi scarica. Può anche essere una sorta di sfida: “Dai, dame ‘n butòn che dopo te vedi quel che te fago mi…”. O ancora, una sorta di complicità il lunedì mattina: “Dame ‘n butòn che ancòi voia de laorar salteme adòs”.

EMPIZEME – Non va preso alla lettera. L’interlocutore ha solo bisogno di un accendino, di un cerino, di qualcosa che dia fuoco alla sigaretta. Non di diventare un bonzo. Né di alzare il livello della propria eccitazione.

MA SE L’HO VIST GIUST ALGIERI… – Sorpresa, sgomento di fronte a qualcosa che riguarda un conoscente peraltro incontrato di recente. “Quel lì en presòn? Ma se l’ho vist giust algièri al bar…”. “E’ morte l Bepi? Ma valà, che l’ho vist algieri e ‘l steva benòn”.

ENSOMA … – Giudizio sospeso. Che comunque tende al negativo. “Che te par de come ho sbianchezà la sala? Sì dai, ensoma…”. “Com’ela nada ieri sera? – Ensoma…”.

ME SA CHE L’E’ STA COLPA DE TUTI QUEI MISCIOTI – Giustificazione dell’alcolista non anonimo al termine di una serata finita con vomito sui sedili in pelle dell’auto appena ritirata dalla concessionaria dall’amico e pretesto per eccessivi brindisi in un locale specializzato in drink.

SE NO TE ‘L TACHI ALA CORENTE L’E’ DIFIZILE CHE ‘l VAGA – Richiesta – non sempre anticipata – di energia per far funzionare elettrodomestici. Di solito è preceduta da bestemmie contro chi ha venduto l’apparecchio in questione ed analisi del certificato di garanzia.

EL SE LASSA … – Cioè: si lascia mangiare, si lascia bere. Non è male. In realtà il retro-pensiero inconfessabile è un altro: “Con tuti i soldi che ‘l gh’à el podèva anca ofrir qualcos de meio”.

HAT SAVU’ DEL GINO? – Prodromo quasi sempre di una brutta notizia che riguarda conoscenti comuni (a chi parla e ascolta). Può anche riguardare la decisione di sposarsi di un noto scapolo. Comunque sempre una sorpresa, un gossip che esce dalla quotidianità.

PAGO MI COI TO SOLDI – Nel fatidico (quasi sempre ipocrita) duello su chi vuol pagare il conto del ristorante alla fine c’è chi alza ironicamente la bandiera bianca. Mettendo in fuorigioco l’avversario.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 100

 TE LA GH’AI GRASSA – Giudizio sullo stato altrui non solo, non esclusivamente dal punto di vista economico. In teoria sta per “sei fortunato”. In pratica contiene quasi sempre un sottinteso: “non fai niente, sei un ozioso, un perditempo, vivi bene solo grazie al lavoro degli altri, succhiaruote ecc.”. Da evitare questa allocuzione quando l’interlocutore ha una moglie di costituzione robusta.

PRIMA O DOPO EL VEI BEN SUL BACHETON – Attesa dell’epilogo di una dichiarata azione di vendetta per un torto subito. O di un redde rationem. Un regolamento di conti in sospeso. Come chi attende sul ponte il passaggio del cadavere del nemico nel fiume, così il trentino aspetta con sicurezza del risultato che l’antagonista resti attaccato al “bachetòn”, palo trattato col vischio, di solito usato per catturare gli uccelli da richiamo.

NO ‘L GH’EN ‘NZOLA GNANCA LE SCARPE – Non è all’altezza nemmeno di fargli da servo, da attendente. “El Gino a zugar a bocce? No ‘l gh’en ‘nzola gnanca le scarpe al Mario, l’è propri negà”.

NO SERVE MIGA LA SCALA PER ‘RIVARGHE – Cioè: non occorrono grandi doti intellettuali o capacità manuali per capire un determinato concetto, per avere l’intuizione esatta ed efficace. “Tei, i ha mess en prèsòn el Gigi… – Oscia, no ghe voleva miga la scala per ‘rivarghe. No ‘l lavora da dese ani e ‘l va ‘n giro semper co la Ferari e pien de done…”.

ME NONO ‘L LO DISEVA SEMPER – Incipit di un aneddoto, di una perla della tradizione orale, di un proverbio popolare. In pratica un ricordo che diventa allo stesso tempo stile di vita custodito e seguito fino a prova contraria.

SE FE’ I BRAVI VE PORTO EN PIAZA A RIVA A VEDER I SIORI CHE MAGNA ‘L GELATO – Sarebbe come dire adesso: se fate i bravi vi porto a Castelnuovo del Garda a vedere Gardaland dalla strada o dal parcheggio. Eppure era una sorta di … consuetudine in tempi grami. Peraltro qualche ghiacciolo da dieci lire poi ci scappava…

SACRAFORMENTO – Esclamazione. Attenuazione di evidente (nel suffisso) bestemmia. I produttori di frumento a suo tempo hanno però avviato una class action contro questa, secondo loro, gratuita denigrazione dei loro prodotti agricoli.

CUERTETE SU – Copriti. Meglio: metti una barriera, qualcosa di più di un tetto, quello che insomma chiamano, anche per l’impermeabilizzazione e coibentazione delle case, “cappotto”. Cfr anche: “dai che prest sen al cuèrt”. “’na volta che sen al cuèrt se pol anca far la ganzega”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 99

TEGNEME BOTA – Invito a fornire copertura. O sicurezza. Come quando da una parte si usa il martello e dall’altra occorre appunto qualcosa (o qualcuno con in mano qualcosa) che possa attutire il colpo. Anche “sostegno” morale ad un certo tipo di discorso. Di norma “cul porta bòta”: il sedere assorbe meglio le contusioni.

CHE VOT CHE SIA … – Sdrammatizzazione. In campo sanitario diagnosi immediata di ferita: “Ma valà che no l’è gnente…” Oppure: “Con do pònti te te la cavi”. Nel settore commerciale: “Che vòt che sia dese euri per ‘na camìsa…dai cinesi le vei a costar de pu”.

EH, ‘SA GHE VOL PO’? – Dichiarazione di potenza di fronte ad un compito definito (da altri) quasi impossibile. “Portàr su ‘l frigo al terzo piano? Eh, ‘sa ghe vol po’ … va a zercarme do cinghie che tegna e po’ te fago veder mi”.

TE VAI PROPRI A ZERCARLI COL LANTERNIN … – Serve per focalizzare l’attenzione su incredibili coincidenze (quasi sempre nefaste). Meglio: per inquadrare una sequenza sfortunata soprattutto negli incontri negativi. Come per l’appunto li si andasse a cercare caparbiamente con la pila…

DAI ANCOI, DAI DOMAN … – Testardaggine. Incaponirsi con qualcosa. Che non avrà sempre gli effetti sperati. “Dai ancoi, dai doman…te verai che casca zò el pèr”.

‘ SA ‘N DISIT? – Cosa ne dici? Richiesta di giudizio, di affermazione, di segno d’intesa. Basta indicare con l’indice, a volte, l’oggetto sub judice. “Ah? ‘sa ‘n dìsìt? – Mah, che te diga, me par na monada piturar de nero el mur del cesso…”.

EL TACA, EL TACA … – Può riferirsi ad un francobollo che finalmente si attacca alla busta (se non adesivo dopo tante leccate che lasciano un retrogusto schifoso in bocca). Si può dire anche di qualcosa che aderisce ad una superficie durante lavori di bricolage. Ma attenzione: potrebbe anche essere un grido d’allarme in caso d’incendio. O la soddisfazione di chi è riuscito a far prender fuoco alla carbonella del barbecue.

OIO DE GOMBET – Lubrificante non in vendita. Né commestibile. Va usato quando ci si trova di fronte a lavori che richiedono velocità nelle mani, nelle braccia, quindi nelle articolazioni. “Dai, dai…oio de gòmbet se no prima che t’abi netà su ‘l paviment vei nòt”.

NAR EN ASEDO – Non c’entra l’asado. Non vuol dire fare un bagno nell’aceto. Semplicemente il processo di trasformazione del vino in aceto è applicato all’involuzione umana. Del cervello in particolare. Laddove insomma si cambia (di solito in peggio) rispetto all’ingrediente originale.

NAR A GUERNAR – Andare al governo? No. Si tratta di dar da mangiare agli animali domestici o d’allevamento. Pulire la stalla. Insomma accudire galline, conigli, mucche ecc.  “Vegno dopo, adès devo nar a guernàr i cunèi”.

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ORS – Non è solo il tema d’attualità in Trentino (cfr caso Daniza). E’ anche un aggettivo sostantivato. Peraltro utilizzato genericamente per definire proprio il tipico atteggiamento trentino. “Te sei propri n’òrs”. Vale per “sei proprio un tipo selvatico (per non dire di peggio)”. O ancora: “Gnanca bom de far balàr l’ors”: missione impossibile. E comunque non a caso il centro sociale di Trento si chiama “Orso Bruno”. Ovvero l’essere al di fuori di una certa mentalità. Pur facendo parte della stessa comunità. Incomprensione? Può darsi. Ma questa è un’altra storia.

VAGO A PAION – Vado a dormire. Ovvero – secondo tradizione – su un materasso riempito da quello che avanza delle pannocchie. O dalla paglia. Di solito si dice alla fine di una serata pesante (enogastronomica). Ma anche quando alla televisione danno le solite soporose repliche. “Ma sì, valà, nem a paiòn…”. Giustificazione: “Che doman devo levarve su prest”.

DIME … – Posizione di ascolto. Stand by. “Dai dime tut…”. Massima disponibilità alla ricezione di qualcosa da parte di chi evidentemente ha tanto da dire. E in fretta. Sollecitazione: “Alora, dai, dime, dime oscia…”. Esclamazione: “Dime ti…”. Sta per un giudizio negativo su quello che si è appena appreso. “I m’ha dit che i parte adès da Roma e i pensa de arivar a Moena en quatro ore. Dime ti…ma sai dove che l’è Moena?”.

BECCC – BAREA – (da Giancarlo Angelini, Riva) – Definizione estemporaea di qualcosa che fa particolarmente schifo. Preannuncio di conati di vomito. Allontana da me questa cosa orribile a vedersi. Che puzza. Che cosa immonda.

SE I ME ZERCA NO GHE SON – (cfr: dighe che no ghe son). Linguaggio burocratico tra datore di lavoro e segretaria. Ma anche a livello familiare: “Se me zerca el comercialista dighe che no ghe son…che me son empicà, proprio per colpa sua”.

I SOLDI I VA E I VEI – Utilizzata – la giustificazione – quando si è  chiamati in banca per render conto del “rosso” sul conto. Filosofia epicurea rivisitata dopo la crisi economica del primo Novecento. Consolazione per chi ha appena perso quanto vinto alle slot machines.

ANCOI GHE SEN, DOMAN NO SE SA – Quant’è bella giovinezza. Del diman non v’è certezza. Carpe diem. Vale però – al di là dell’esistenzialismo – anche per determinate offerte quando ci sono i saldi di fine stagione.

TUT MAL SEN ‘RIVAI – Fine di un viaggio particolarmente difficoltoso. Intermezzo: “Te l’avevo dit mi che de là l’era pu corta”. “Zerto che se te gh’ai navigadori del do…”. In ogni caso arrivo alla mèta. Reazioni: “Si va ben, ma mi con ti no vegno pu ‘n machina…ma le curve le vedit o te le ‘n dovini per culo?”.

A PROPOSIT DE MERDA, CHIELO CHE S’E’ NETA’ ‘l CUL COI ME CALZOTI? – Vecchissima battuta trentina per definire una situazione igienico-sanitario ormai oltre il limite. Non va detta prima dei pasti.

AH I ME SENTE STAVOLTA … – Annuncio di contestazione verbale di un contenzioso. Segue: “Che no la finìs miga chi neh…”. E ancora: “Che no i pensa de cavarsela cosita…”.

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TIRETE DRIO LA PORTA QUANDO TE VAI FORA – Invito a chiudere la porta quando si esce. Non a staccarla dai supporti e a portarsela via. Segue sempre: “E sèrela piam che se no vei zò el crocefìs tacà de sora come semper…”.

CAN DA L’UA … – Non è un cane addetto alla protezione dei vigneti da potenziali razzie di uva. Si dice di una persona che di fatto non ha una precisa preparazione. Ma che sfrutta questo suo stato per…fare i propri interessi comunque. O meglio, non far niente.

L’E’ DELE BALE CHE … – E’ inutile che… Insomma si contesta un’azione priva di senso. Forse anche dannosa allo stesso soggetto che la compie. O ha in amimo di concretizzare. “L’è dele bale che te vaghi avanti e ‘ndrio senza combinar gnent…”.

GH’AVE’ ‘NA CASA, ‘NA FAMEA, QUALCHEDUNI CHE VE SPETA? – Domanda, retorica, rivolta a ospiti che non si decidono ad andare via magari al termine di una lunga cena, con dopocena a base di barzellette che tutti conoscono da un pezzo. Rafforzativo: “No so, se volè ve lasso anca dormìr chi sul canapè…mi vago a paion entant”.

CIAPA LA GOMA E NETA SU VALA’ – Laddove la goma non è la gomma. Ma un idrante. C’è però anche la “gòma” nel senso di pneumatico. E anche quella per “scancelàr”.

VOT DO BISI DA PORTAR VIA? – Attenzione. Qui le doppie contano. E diversificano il significato. Bìsi sta per piselli verdi. Che sistematicamente, chi ha l’orto, produce in abbondanza. Ed è costretto quindi, nel periodo della “grande, simultanea crescita” di questo ortaggio, a regalare. Un modo per sbarazzarsi in realtà di un fastidioso “sur plus”. Bissi, invece, sta per serpenti (bìs, il singolare). Occhio: “molàr ‘l bìss” ha significati talvolta a sfondo erotico, vietati ai minori di 18 anni. Anche se può voler dire semplicemente: “andare alla toilette”.

MA GNANCA SE … – Negazione decisa. Rifiuto, rigetto perentorio di una proposta, di una richiesta. I puntini di sospensione possono essere riempiti da vari “contrappesi”. Tipo: “Ma gnanca se te dai desemili euri…ma gnanca se te me ‘l domandi en dinòcio…ma gnanca se me telefonès el papa (e quest’ultima è oggi da evitare visto che papa Francesco ha fatto tante “sorprese”).

DIGHEL ANCA TI OGNI TANT – Coinvolgimento (di solito del padre) nell’educazione dei figli. Invito a rimproverare, a far raccomandazioni, a richiamare. “Dai dìghelo anca ti ogni tant che no se pol dormir fin a mezdì tuti i dì…no l’è miga n’albergo sta cà e po’ son semper mi quela che nèta”.

SE CIAVA – Chissenefrega. Che vada a quel paese. “Nar a farse ciavàr”: andare in malora, marcire, morire. Anche: “Ma che ‘l se ciàva anca lu”. Ovvero: ma che anche lui se ne vada, mi lasci stare, vada via. “Te ciava qualcos?”: t’interessa qualcosa forse di questo? “Enciàvete denter”: chiuditi a chiave. “Son restà enciavà fora”: ho perso la chiave, non riesco ad entrare.

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DI’ GIURO – Invito a confermare solennemente la verità di quello che si afferma, con un giuramento. Con una mano(sulla Bibbia? No, di solito sulla Gazzetta dello Sport, sulla foto della mamma, sul libretto di circolazione della moto appena acquistata. Attenzione a eventuali dita incrociate sotto il tavolo che potrebbero vanificare questo “sigillo”.

MA TE PAR L’ORA? – Contestazione sull’orario pattuito per il rientro a casa dei figli adolescenti. Per una telefonata a tarda notte senza preavviso e senza effettiva urgenza. Per l’arrivo, con notevole ritardo, ad un appuntamento. Le possibili giustificazioni: “Vara, gh’era ‘na coa longa come l’am de la fàm”. Oppure: “Oscia, i m’ha robà l’oroloi, no pensevo fussa sì tardi”. O ancora: “Papà, vara che ‘n discoteca i taca via a mezanòt. E ‘l pu bèl el vei en par de ore dopo…”.

MA DAI … – Sopresa. Meraviglia. A volte ipocrita. Insomma è possibile che questa specie di “Ooooooh” nasconda in realtà ben altre emozioni e sentimenti. Ad esempio un’indiretta presa in giro dell’interlocutore. “Sat che l’è tuta la not che no dormo? – Ma dai (effettivo pensiero: L’è ‘n po’ cavoli toi, no me ne frega gnent). “Sat che ‘n ferie ho fat la foto ensema a Pupo?” – Ma dai… (effettivo pensiero: ma chielo ‘sto Pupo?). “Sat che ieri aven trovà dese chili de brise? – Ma dai… (effettivo pensiero: Ma se no te sei mai nà per fonghi en vita tua…).

PROVA A SCHIZARMEL – Non è l’accordo con un killer per investire qualcuno. Semplicemente la richiesta di aiuto per un brufolo sulla schiena.

NO STE VARDAR EL CASIN – Succede quando arrivano in casa ospiti all’improvviso. Sistematicamente quando c’è il massimo disordine. O meglio quando c’è il “solito” normale sottosopra. Serve per far immaginare agli altri come sarebbe se tutto fosse al posto giusto. Segue: “Son ciapà ‘sta matina, gh’ò ancor da averghe do minuti per meter a posto la cà, ma sentève zo ‘ntant che meto su la moka”.

ZERTO CHE ANCA TI … – Quando l’altro ha appena finito la relazione sul proprio ruolo (ovviamente sempre migliore di altri) in una determinata discussione, questione. In pratica l’ombra del sospetto anche su chi si è appena dichiarato innocente o comunque estraneo ai fatti.

BEVI DE MEN VALA’ – Drastico giudizio su quello che si è appena sentito. Imputazione: alcolismo. “Sat che ieri sera ho vist en zèl na roba che pareva en disco volante?” – Bevi de men valà soratut a stomech vòt.

MI NO VEH – Classica risposta alla domanda: chi è stato? Se scatta questa giustificazione da parte di un singolo all’interno magari di un gruppo numeroso sorge inevitabilmente il sospetto che sia proprio quello il “colpevole” ovvero l’autore del misfatto in cerca di autore.

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DAL BON – Senza punto interrogativo serve a rafforzare il concetto appena espresso. Ma anche a prendere respiro. Un come “also” in tedesco, “well” in inglese. O il sinonimo “nevera” o ancora il semplice “neh”. Se è seguito da punto di domanda invece prende il significato di “sul serio?” o “davvero?” o ancora “ma veramente?”.

ANCA SE FUSSA (o FUSSA ANCA) – Non riguarda l’anatomia umana. Insomma non c’entra con bacino, osso sacro, cocige e altre ossa che stanno appunto attorno all’anca. Sta per “ebbene, anche se questa ipotesi trovasse riscontro…”. Praticamente esclude problemi in prospettiva. Cioè dopo la verifica di un dato, di una situazione, di una notizia non ancora acclarati ma appena percepiti. “Ho vist to marì con n’altra… -Anca se fussa, alme n el me stà for dai pei per ‘n pezòt e lo soporta n’altra”.

LE VEI SEMPER TUTE ENSEMA – Riguarda di solito gli imprevisti, i guai. Che non vengono mai da soli o in date e orari diversi. Anche: “No sta dirme…una drio l’altra. No se vede mai la fin de stì casìni”. Segue sempre l’elenco di questa cascata di disgrazie: “Oh, prima el bocia coi sciopèti (morbillo ndr), po’ el nono che i l’ha trovà per tera stinch come na rana fora dal circol dei pensionai, po’ me marì che la sbrugnà la machina….no te digo el rest”.

GATE GATE GATE – Richiamo per gatti? Cancello, canalizzazione, terminal  in inglese? No, serve per accompagnare vocalmente l’azione che provoca il solletico. Di solito sotto le ascelle, punto più sensibile. Anche: biri, biri, biri.

SE DEMO’ ‘L FES DO GOZZE … Una sorta di appello contro la siccità. Virtuale danza della pioggia. Non necessaria come in questa estate del 2014, mentre stiamo scrivendo. Per una situazione meteo migliore invece si usa: “Se demò ‘l se tirès fora…” o “Dai che forsi vei fora ‘l sol…”.

VARA CHE LA VA DE SCOPELONI … Minaccia di ricorso a punizioni corporali, schiaffi a mano aperta e altro. Rivolta a bambini capricciosi. Tra adulti: “Se te ciàpo te desfo” oppure “Vei vei che te ‘n dago ‘na ràta” o ancora “Gh’at bisogn de ‘na remenàda?”.

TE SEI PROPRI ‘N SECIER … – Per dire che qualcuno abusa con l’alcol. Al punto di buttar giù vino, birra, liquori in quantità industriale. Come se fosse una sorta di lavello della cucina…con notevole capacità di entrata quando si è tolto il tappo sotto.

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GNANCA BON – Classica frase di sfida. Come quando si gettava il guanto all’avversario. Segue una dichiarazione, perlopiù esagerata, dell’interlocutore circa un’impresa che questi si dice in grado di compiere. Esempio: “Mi ‘l farìa el giro dela Busa tut en retromarcia…” – Gnanca bon…”. Al che due sono i possibili finali: 1. Lo sfidato monta in macchina, mette la retromarcia e prova ad uscire dal cancello di casa… 2. Lo sfidante, visto il tentennamento da parte dello sfidato davanti alla dimostrazione pratica, mette il dito nella piaga: “Te l’avevo dit che te te saressi cagà adòs… ‘n cont l’è le ciaciere, n’alter i fati”. La missione apparentemente impossibile potrebbe però anche essere suggerita direttamente e nei dettagli dallo sfidante: “Gnanca bon de magnar en tre minuti  en chilo de formai grana gratà zò senza bever gnent…”. In questo caso la risposta potrebbe invertire ruoli: “Ah sì? Prova tì che te ciacieri tant…”.

MIZ PATOCH – Più di bagnato. Fradicio. Situazione in cui ci si può trovare dopo essere stati sotto la pioggia battente per ore senza ombrello. O dopo essere finiti vestiti in piscina, nel lago, nel mare, ecc. Segue sempre: “Dài sughete en pressa se no te voi ciapàr su na doja”.

QUANDO EL SOL EL TRAMONTA L’ASEN EL S’EMPONTA – Ovvero solo quando manca poco alla fine della giornata cosiddetta lavorativa ci si dà la mossa per fare qualcosa. Senza sfruttare le condizioni (non solo meteo o d’illuminazione) più favorevoli.

PADELA ROTA – Non è solo quella (con i buchi) che serve per le caldarroste. In genere si definisce così chi non sa mantenere un segreto. Ovvero lascia uscire dai fori (dalla bocca in questo caso) qualcosa che gli è stato riferito in maniera molto riservata e con la solenne promessa di non spifferare il tutto ai quattro venti.

ALTE CHE SE LE VEDA – Famoso (superato però da nuove tattiche) richiamo degli allenatori di calcio trentini ai propri giocatori per favorire cross e comunque “far vedere” la palla ed evitare un disastroso tiki taka. Sotto…ancora più sotto serve anche a “far vedere” le palle di alltro tipo, quelle del basso ventre per intenderci. Cioè l’agonismo, il gioco mascolino in campo.

FORA CHE (EL, LA, I) VEGNA – Invito senza mezzi toni a dire, mostrare qualcosa che l’altro, l’altra, gli altri stentano a esternare. O a confessare nel caso di contesti che creano particolare disagio, imbarazzo.

SE TE SAVESI… – Serve per creare un alone misterioso attorno a qualcosa. Esempio: – Com’ela nada ieri sera col to nof moròs? “Se te savesi…”. Oppure: “Se te savesi chi el che ho vist ieri sera…”. Si possono usare anche altre frasi: “Vara, no tel digo gnanca come l’è nada…”. Oppure: “Te l’avesi vist…”. O ancora: “Ah se te ghe fussa stà anca ti…”. Dipende poi dalla curiosità o meno dell’interlocutore se  l’intervallo vuoto dei “tre puntini …” sarà riempito con descrizioni generali, nei dettagli o con ulteriori elementi di suspence tipo: “Che po’ n’ho t’ho gnancora racontà el pu bel…”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 93

POL DARSI – Ipotesi. Eventualità. Una sorta di “ni”, insomma tra il no e il sì. “Dìsit che vegna da piover anca ancòi? – Ah pòl dàrsi, zamài st’istà tuti i i dì prima o dopo do gòzze ‘l le fa”.

O DENTER O FORA – Perentorio “invito” a prendere una decisione su dove stare. In casa o fuori. In cucina o sul balcone. Di solito arriva dalle donne ai mariti, ai figli che vagano senza mèta proprio quando si sta per lavare il pavimento. Particolarmente pressante la richiesta in caso di maltempo. “Dài, dènter o fora che se nò m’engiàzzo a star chi a spetàr cosa te voi fàr”.

NO GH’E’ ZEROTI CHE TEGNA – Per dire che non c’è niente da fare. Inutile attaccare cerotti ad una “ferita” (situazione, prospettiva di solito nefasta, azione impossibile) che sarà difficile curare. E quindi risolvere.

L’HO VIST MAL – Rapporto sulle condizioni (perlopiù di salute) di qualcuno incontrato recentemente. Può anche essere una sorta di radiografia fatta de visu: “Oscia, ma sat che te vedo mal, propri mal…”. Possibili risposte. Nel primo caso: “Ah ma l’è da ‘n pèz sàt che l’è così…”. Secondo caso: “Gnanca mi se l’è per quel te vedo meio…”.

SCANTONAR – Mettere qualcosa in un ripostiglio. Nascondere. “Vara che ho trovà quei giornai veci che te zerchèvi: i era scantonài drio l’armàr…”. Ma anche deviare dal tema, parlare d’altro, sfuggire al redde rationem. “No serve a gnent che te te scantòni…questa l’è la verità, diaolporco”.

PIC E BAILA – Piccone e badile. Abbinamento di attrezzi che prelude a scavi, a lavori edili, certamente a fatica. Va aggiunta quasi sempre la “cariòla” per il trasporto.

PONTA E MAZOT – Come sopra, due attrezzi usati di solito per demolizioni, per fare un buco, una “traccia” per gli impianti elettrici o termici. “Ah, tute l dì co la ponta e mazòt per far quel mistèr…no te digo”.

ZA’ CHE NO TE GH’AI GNENT DA FAR – Tipica frase rivolta ai pensionati, ai disoccupati, ai cassintegrati ma anche a lavoratori momentaneamente non impegnati. Prelude a compiti da svolgere per riempire proprio quel “vuoto”. Che a quanto pare tutti notano, tranne gli interessati. La risposta: “Ma se l’è la prima volta stamatina che podo fermarme n’atimo…”.

DOMAN VEI I MEI – Annuncio della visita di suoceri, cognati, parenti. Non sempre accolta con entusiasmo da generi e affini. “Ma come? No avevente dit che doman se neva a magnar el pès sul lach? No pòdei vegnir n’altro dì?”.

CASCAR COME ‘N PER – Legge della gravità. Scoperta non a caso da Newton quando gli cadde in testa una mela. La pera dà però, in trentino, un’idea più buffa di questo finir per terra. E meno buffa per quanto riguarda le conseguenze.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 92

SE NO L’E’ ANCOI L’E’ DOMAN – Quando si è incerti sulla data in cui sarà eseguito un lavoro, consegnato qualcosa, mantenuta una promessa. Comunque si pone un limite temporale: al massimo domani. Con l’indicativo “è”. Senza se, senza ma, senza forse.

CONTENT COME ‘NA PASQUA – Felicissimo. Come se fosse…rinato, resuscitato, dopo un periodo oscuro. O come se non ci fosse nulla di più bello. Naturalmente prima di rompere l’uovo e trovare magari una sorpresa. Ancora più bella. O meno …

GH’O CHI ZENT – Ho qui gente. Sottinteso: in casa. Segue: “Ciàmeme dopo valà…” o “Te ciamo mi quando i è nai via” o ancora “Dai che ne sentìm n’altro moment”.

SET TI ? – Domanda che si pone nell’incertezza-certezza. Ovvero quando si avverte un rumore provenire dalla porta d’ingresso. Di solito i ladri non rispondono. Se invece si tratta del marito (o della moglie) che rincasa troppo tardi seguirà: “Ma te par le ore?” oppure “Almèn dì qualcòs, sona ‘l campanèl, fate sentir che ho ciapà ‘na stremìa…”.

VALA’ VALA’ VALA’ … – Sarcastico. Laddove si retrocede subito in serie inferiore quanto sentito dall’altro. Non è raro che segua: “còntele men grosse…valà”. L’interlocutore comunque non deve tradurre letteralmente: non occorre “andare là”. Anche perché non ci sono al riguardo indicazioni precise. A meno che non segua: “ma và a cagàr valà”. In quest’ultimo caso bisogna chiedere subito dove si trova la toilette. Di solito è in fondo a sinistra.

NO GH’E’ SU GNENT – Tipica frase al bar da parte di chi legge i giornali cercando qualcosa che gli interessi. Dipende dai gusti ovviamente: c’è chi è attratto dalla cronaca nera, chi dal gossipi, chi dallo sport. Se proprio nulla capta l’attenzione del lettore il giornale resta a disposizione di altri avventori. In caso contrario potrebbe essere sequestrato per ore davanti ad una tazzina di caffè.

NO SE FA COSI’ – Riguarda un lavoro non eseguito a regola d’arte. Ma anche un comportamento, un atteggiamento, un’azione. “Dai, no se fa così…”. Se il richiamo è indirizzato ai bambini: “T’ho dit che no se fa così. Quante volte devo dirt’el?”

‘SA ERONTE DRIO A DIRTE? – Amnesia. Richiesta di aiuto per poter continuare il discorso. Effetto delle eccessive incidentali, parentesi, fughe fuori tema precedenti. Possibili risposte: “Ah se no te ‘l sai ti…” Oppure: “Ma no erit drio a dirme de to nuora … a proposit, come stàlo so fiòl?”

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 91

 

DAVERZEME – Aprimi. Di solito ci si riferisce alla porta d’ingresso. Gli altri significati riconducono a Jack lo squartatore. Nel caso di scatole o altri contenitori: “Dai daverzeme ‘l ti valà”.

‘NA SCIANTA – Piccola quantità. Di liquidi. “Dame’n giust ‘na sciànta”. Anche “ci cìn”. “Basta ‘n ci cin…se no fago la bala”.

TIRALANA – Soprannome di un vecchio titolare di imprese funebri di Arco. Derivava dall’ultimo gesto, professionale, prima della chiusura della bara. Quando tirava appunto il velo bianco interno (non sempre di lana) e diceva, a tutti i cari estinti, senza distinzione: “Ah pora dòna…Ah pòr òm….ah pòr putèl…ah pòra putelota…”. Seguiva il sigillo e il rumore dell’avvitatore.

SON MI – Risposta al telefono fisso, quindi quando non c’erano ancora i cellulari con numero in entrata sul display. Non sempre c’era il riconoscimento vocale. Da qui la replica: “Sì va bèn, ti te sei ti, mi son mi….ma ti chi vegniresset a esser?”.

DRIO MAN – In sequenza. Passo passo. Seguendo una guida. Ma anche in una logica matematica, geometrica. Prima questo poi l’altro. “Ma sì te verai che drio man combinèn qualcòs”.

NO STA DIRME GNENT… – Invito a non relazionare su un fatto che sicuramente s’intuisce nella sostanza. Nella maggior parte dei casi negativa. Ma anche in senso contrario: “No sta farme dir gnent…” Sempre in riferimento a qualcosa che non si vorrebbe dire, o meglio,propri  rievocare. “No sta dirme…”: presa d’atto di qualcosa che non si pensava.

CHE TE PAR? – Cosa ne dici? Cosa pensi di questo? Senza il “che” diventa invece un giudizio. “L’è propri ‘n zàver, me par” – “Ah no se fa così, te par?”

GH’ELO? – C’è? Sottinteso: il dottore, il commercialista, il familiare ecc. Segue, in caso di risposta negativa: “Ah ben, alora passo n’altra volta…”

CIAO FIGHI – Addio a qualcosa. Ad una situazione favorevole. Perdita di qualcosa. Anche del minimo sindacale: “sposàrse coi fighi sechi”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 90

 VEI DENTER CHE LA FEN FORA – Sottinteso: la questione, il problema, la divergenza. C’è anche la possibilità di dirimere la controversia all’esterno (di una casa, di un bar, ecc.): in questo caso si dice “Nem fora a farla fora”. Con minaccia: “Te ‘speto fora dopo…”.

ENTAIARSELA – Capire al volo qualcosa che di solito non è proprio positiva. Anche “capìr subite l tài del prà”. Ovvero come erano messe le cose e come potrebbero mettersi…

PREGA DIO CHE NO VEGNA LI’ … Più che un avviso di intervento. Insomma di azione violenta per por fine a qualcosa che disturba e non accenna a finire. Anche: “Vara che se vegno lì…”.

NETAR SU PER TERA – Lavare i pavimenti, qualcosa che è finito per terra. Per altri tipi di pulizia: “Ghe sarìa le terlaine da tirar zò dal plafòn”. “Me sa che l’è da l’an pasà che no te nèti soto ‘l let…vara che polvèr”.

PIAM PIAM CHE TE TE STRANGOLI – Rivolto a chi mangia troppo avidamente. Ma c’è anche chi rischia di soffocare perché preso da troppi impegni. In questo caso l’interessato “el magna a strangolòn”.

EL VA ZO’ CHE ‘L SE COPA – Non è riferito, di solito almeno, a qualcuno impegnato in pericolose discese. Ma al cibo o alla bevande (vino soprattutto) particolarmente gustose. Nel senso che non occorre tenerle più di tanto in bocca: decidono subito (vivande e bevande) il suicidio nell’esofago e nei canali successivi che portano all’intestino. Dove tutto sarà ridotto ai minimi termini dai succhi gastrici. Anche: un boccone tira l’altro, appunto, nel fatale burrone.

DAME EL ME SOLITO SUCO DE FRUTA … Lo diceva in quel di Bolognano d’Arco un anziano intendendo per succo di frutta il succo di uva (bianca) naturalmente d’accordo con il barista che tirava fuori la solita bottiglia di vino nosiola.

FAR LE SCOLE ALTE – Una volta voleva dire frequentare le scuole medie. Poi le superiori (ancora più alte insomma) e, ma solo da qualche decennio, l’università.

NO SO PU DA CHE BANDA VOLTARME (o CIAPARME) – Situazione di forte stress. Con tanti impegni, lavori da eseguire. Più che altro richieste che arrivano appunto da tutte le parti. A raggiera, con al centro il malcapitato.

SE SA BEN … – Conferma non tanto o meglio non solo della pubblicità di una determinata notizia, situazione, azione in corso. Ma della verità del concetto espresso in precedenza da altri. “Sarìa da spostarla quela machina ‘n mez ala straa…. – Se sa ben…”. Anche: “Credo ben…”.

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GH’AT LE MAN DE MERDA? – Domanda retorica. Perchè viene posta dopo che qualcuno ha allentato con le mani – per vari motivi – la presa. E quindi qualcosa è caduto per terra. Anche “gat le man de poìna?” laddove poìna sta per ricotta. Insomma si contesta alla fine scarsa attenzione al trasporto, alla protezione di oggetti perlopiù fragili.
MOCHELA LI’ – Potrebbe anche essere riferita alla moka del caffè quando … erutta. Si tratta comunque dell’invito a smetterla. Di solito preceduta da minaccia: “Vara che se no te la mòchi lì … “. ANCOI NO SON PER LA QUALE – Cioè non è giornata. Oggi proprio non va. Confronta anche: “Ancòi son zidìòs” oppure “Ancòi gò le bale girade”. Quando arriva questa comunicazione preventiva meglio girare al largo. I SE PARLA … – Non è la presa d’atto di un dialogo, di una riconcilazione. Almeno questo non è il significato primario. “La Gina e ‘l Marco i se parla” vuol dire che Gina e Marco si frequentano, hanno relazioni amorose, confidenziali, intime (ma non ancora dichiarate). Insomma siamo nella fase che precede ancora l’eventuale fidanzamento ufficiale. Si usa anche separatamente. “La Gina la ghe parla al Marco”. “Ma sat che ‘l Marco el ghe parla ala Gina? Da quando? Ah no so, ma i l’ha visti ensema pu de na volta a magnar la pizza”. CIAPAR SOTO – Sinonimo di investimento stradale. “Vara che per esser stà ciapà soto da ‘n camion e poderla ancor contar…te gai avù culo neh”. Per prendere da sotto qualcosa invece si dice “ciapàr da soto”. Per prendere da sopra: “Ciàpà el sach enzima”. MENAR EL TORRON – Per fare il torrone bisogna mescolare la pasta nell’apposito contenitore ma soprattutto avere esperienza in questa attività, guidare le operazioni. Ci si riferisce quindi a chi comanda qualcosa. A chi ha responsabilità di un lavoro. “Chi elo che mèna el torron chì?”. Attenzione però perchè torrone sta anche per qualcosa che annoia. “Oscia ‘l m’ha piantà zò ‘n torròn che no ‘l la finiva pù”. ZO’ BAS – SU ALT – Giù e su. Ma il trentino specifica anche l’altezza. Giù basso, su alto. Non sempre la differenza è quella che corre tra primo piano e pianterreno. DORMIT? – In sè l’interrogativo potrebbe anche partire dall’apprensione per lo stato apparentemente comatoso dell’altro, dell’altra. Il più delle volte però proprio questa domanda provoca un brusco risveglio. Con la risposta seccata: “Sì, dormivo fin quando te sei vegnù tì a domandarme se dormo”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 88

 

SE NO GHE N’E’ DENTER NON ‘N VEI FORA – Applicazione concreta della legge fisica dei vasi comunicanti. Ovvio il risultato se si cerca di cavar fuori qualcosa dal nulla. In particolare qui si fa riferimento alla presenza o meno di neuroni nel cervello.

SENTETE ZO – (el se sènta zo, sentève zo quando si usa la forma di cortesia) – Invito a prender posto in una stanza. Tipica frase utilizzata per accogliere ospiti in casa. Di solito segue un’offerta: “Dai che ‘ntant meto su la moka”. Attenzione alla risposta: “me sènto zo” significa anche essere giù di morale oltre che l’accettazione dell’invito a sedersi. Quindi bisogna semmai precisare: “Và ben, grazie, me sènto zo alòra”. Per non ingenerare equivoci sul proprio stato d’animo, s’intende.

‘NA CAGNA … – Letteralmente vorrebbe proprio dire cagna. La femmina del cane. Però, se usato in determinati contesti significa grande fatica, notevole stress, risoluzione di un problema con dispendio di tante energie fisiche e anche mentali. “Sì, ghe lo fata a mèter su le perline da sol nela stube….ma l’è stà ‘na cagna…”.

FARGHE LA PONTA AI BIGOI – Va da sé che far la punta agli spaghetti oltre ad essere operazione priva di utilità sarebbe comunque complicato. Dicesi di persona che tende alla pignoleria. Senza però venire a capo del problema. O, per assurdo, complicando ad altri la vita facendo perdere tempo inutilmente.

NO SEN CHI A PETENAR LE BAMBOLE – Altra operazione che in sé non ha molto senso, se non per le bambine che giocano appunto con le bambole. Serve per far presente che non si sta con le mani in mano, che non si vuol perdere tempo con azioni sciocche, che si sta lavorando a progetti ben più importanti e seri.

VARA CHE TE TE CIAPI SU NA DOJA – Avviso di pericolo. Cioè la concreta possibilità di beccare un malanno, una brutta malattia. Di solito riguarda un abbigliamento non adeguato alla temperatura esterna. Ad esempio uscire a petto nudo mentre nevica. Ma anche esporsi per troppo tempo ad agenti atmosferici che possono creare problemi alle vie respiratorie.

DIGHE GRAZIE AL SIOR (o ala siora o ala zia, al nono ecc.) – Ordine perentorio rivolto perlopiù ai bambini. Si tratta di ringraziare qualcuno che ha fatto un regalo, un piacere o dato comunque un beneficio, un aiuto.  Se il bambino non dice subito grazie scatta la reprimenda: “Alòra, ghe disit grazie o no …”. Con giustificazione benevola che però prelude ad un regolamento di conti dopo a casa: “El me scusa neh ma i putelòti de adès i è zamai tuti cosita…”.

DO ETI E DO DECA LASSO? – Richiesta, da parte del salumiere, dell’addetto agli affettati (anche formaggi ecc.), del macellaio di aumentare la porzione richiesta evidentemente non calcolata bene al momento del taglio. Costituiva nelle vecchie botteghe di alimentari una sorta di leit motiv nel dialogo tra commerciante e consumatore. Le possibili risposte: “Massì valà…zamai te l’hai taiadi zò”. Ma anche: “No no, t’avevo dit do eti caro, no te me ciavi…”.

 

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SMORZA ZO TUT – Tipica frase che chiude una sessione di lavoro. Non solo in ufficio. Si tratta proprio di spegnere la luce e andar via. Quel “zo” sta per giù, nel senso di portare l’interruttore generale in posizione “off”. Che non vuol dire uovo in questo caso, ma in trentino serve per ricordarsi che “on”, l’altro bottone, lascia invece acceso l’impianto. Ovvio che “meti su l’òff” potrebbe significare anche mettere un uovo in padella e accendere (ecco che serve l’on) il gas.

CHI VEGNIRESSELO A ESSER? – Indagine sul contesto familiare, ma anche sociale, di una persona che non rientra nella abituale “cerchia”. Solitamente si cerca un aggancio tipo: “El vegneria a esser el cugnà del Gino, quel che abita en font al paes e che feva l’idraulico ma adese l fa el panettèr e che l’avria sposà una de Bolzan che la gà do puteloti che i va nella stessa scola dei toi ma i è pu grandi”.

NO SON MIGA VEGNU’ ZO CO L’ULTIMA NEF – Cioè: non sono un marziano, di primo pelo, inesperto. So cosa faccio, ho esperienza. Anche nel mettere le catene alle gomme in caso di nevicata…

L’E’ ZO CHE ‘L TRAPOLA EN CANEVA – Non vuol dire che qualcuno è rimasto in trappola in cantina. Semplicemente: sta facendo bricolage. Cioè non qualcosa che rientra nella sua attività primaria. Ma un hobby.

L’E’ TUT SO MARE – Si sa, mater certa est… Insomma che un neonato assomigli alla madre è sicuro. Meno certo il fatto del collegamento alla paternità. Di solito per evitare disagi si rimedia così: “Sì, sì l’è tut so mare ma … le man l’è quele de so pare…vara che grosse”.

BUTAR SU – Perlopiù vuol dire vomitare. “L’ha butà su tut, el s’è liberà demò…”. Poi c’è anche il significato ortodosso: spingere in su. “Dai buta su che se no sten chi fin doman matina”.

MAGNELO? – Interessamento sull’appetito altrui. In genere l’oggetto è qualcuno che ha avuto problemi di salute e che quindi si sta gradualmente riprendendo.

ME SLONGHIT TI? – Altra frase che potrebbe ingenerare dubbi. Non si tratta di una richiesta di allungamento fisico. Anche perché sarebbe operazione difficile e perniciosa. In realtà la domanda riguarda la possibilità di un “passaggio” in macchina, in moto. “Me slònghit ti a me cà?”.

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STAME ARENT – Stammi vicino. Stammi appresso. Può essere un ottimo consiglio per non perdersi tra la folla ma, soprattutto con i bambini, anche un ordine per evitare i pericoli della strada. In quest’ultimo caso si può dire anche “stà denòr ala straa”, ovvero stai vicino al ciglio della strada.
COME VALA? – Come stai? Come va? Notare la particolarità della costruzione verbale: come va essa. Laddove per essa s’intende perlopiù la vita. Ma può anche riferirsi al funzionamento di qualcosa. Ad esempio, guardando la moto dell’interlocutore: “Come vala? Gala ripresa?” Se l’interrogativo riguarda più di una persona: “Come ve vàla?”. Al ritorno dalla vacanza, o dopo un esame ad esempio: “Com’ela nàda?” MAGNA POLENTA VALA’… – Quando si ritiene qualcuno ancora inesperto. Nel senso di età ancora inadatta per fare qualcosa. “Ah te ghe n’hai ancora tanta polenta da magnar se te vòi vegnirme drio…”. M’E’ VEGNU’ EN RECIA – Ho saputo in giro. Pettegolezzi. Gossip popolare. Inutile chiedere la fonte di queste notizie. Anche perché di solito quando a qualcuno “l’è vegnua ‘n recia”, vuol dire che quell’indiscrezione ormai ha fatto il giro del paese. Insomma la sanno tutti tranne magari l’interessato. MAGHER ‘EMPICA’ – Ai limiti dell’anoressia. Magrissimo. Il paragone con l’impiccato? Per dar l’idea – in effetti macabra – di un corpo “tirato”, allungato. SET NAT EN BARCA ? – Per contestare a qualcuno una situazione di “giro d’aria” provocata da porte o finestre lasciate aperte. Proprio come sulla barca. AMAR COME ‘l TOSSECH – Amarissimo. Come il veleno. Tossico perfino. EL DIFET L’E’ NEL MANECH – Il difetto, la cosa che non va sta nel manico. O meglio, in chi comanda, in chi ha responsabilità proprio perché guida non solo l’attrezzo preso come termine di paragone. DAI CHE NEM FORA A FAR ‘NA GHEBADA – Invito a uscire (dopo il divieto nei locali pubblici) per fumare insieme una sigaretta. Gheba sta anche per fumo. “Che ghèba che ghìè en cosìna…vara che me sa che se brusa qualcòs nel forno”.

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CUL PER TERA – Può essere dinamico (finìr col cul per tera), o statico (son restà col cul per tera). In ogni caso trattasi di situazione negativa. Che per tornare positiva presuppone la possibilità di rialzarsi. Di riportare in posizione normale il fondoschiena.

LASSEL NEL SO BRODO – Lasciar qualcuno nei suoi guai, nella sua situazione, nel suo egocentrismo soprattutto.

TIRAR FOR DALE STRAZZE – Recuperare qualcuno da una situazione tutt’altro che adeguata alle sue esigenze. Non solo e non necessariamente da problemi finanziari. Ma ad esempio anche da uno stato alquanto confuso in rapporto appunto agli … stracci dove è finito.

VEGNO SUBIT – Rassicurazione ipocrita di chi è già in notevole ritardo all’appuntamento.

SI’ DAI … – Praticamente vuol dire “no”. Soprattutto quando lo dice una donna ad una commessa in un negozio di abbigliamento. Ma vale anche in un centro arredamenti, in qualsiasi altro punto vendita. Se poi è seguita da “ma sì, ensoma… sì ‘l podria forsi anca nar”, vuol proprio dire che l’oggetto proposto non piace affatto. L’uomo di solito si salva dicendo: “Bem dai che ‘n parlo a cà ala sposa e po’ ve savrò dir”.

SE PROPRI PROPRI … – Ammissione palese del fatto che si è costretti, controvoglia, a fare qualcosa.

DIGHE CHE NO GHE SON – Bisbigliata a chi, rispondendo al telefono, vicino, deve dire in tempo reale una bugia sulla presenza in casa del soggetto in questione. Non è raro che, ingenuamente, esca con “El m’ha dìt giust adès che no ‘l ghè”.

ALMEN DOMANDAR … – Protesta, peraltro pacata ma prodromo di una lite, nei confronti di chi ha fatto o preso in prestito arbitrariamente qualcosa senza chiedere il permesso preventivo.

NO VEDERGHEN FORA – Non si tratta di essere in condizioni di scarsa visibilità verso l’esterno. Quello è definito da “No ghe vedo da chì”. Qui si tratta invece di non riuscire a venir a capo di un problema, di un lavoro complicato, di una serie di quesiti apparentemente irrisolvibili.

VARA, VARA …  – Guarda. Seguito da indicazione: Vàra chi quel che ‘l m’ha fat (cfr Chiellini ai mondiali di calcio dopo il famoso morso). Serve – con la sospensione dei tre puntini – come avvertimento. “Vara, vara…”. Che può sfociare in minacce gravi. “Vara che se no te te dai ‘na calmada te dago na peada che te fai el giro del tavol do volte”.

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DAGH’EN TAIO – Invito ad una maggiore capacità di sintesi. Ma anche a tagliare fisicamente qualcosa. In questo caso occorre anche precisare dove. “Vara, dagh’en taio lì…oscia lì t’ho dit no chi…lassa star valà che me rangio”.

PEL DE GALINA – Brividi (sgrisoi). Per uno spavento. Ma anche per il freddo. Dalla reazione della pelle e soprattutto dei peli alle variazioni termiche. “Vara tì l’è istà e gò la pèl de galina dal frèt”. Per il freddo anche “Bagolàr dal frèt”.

TUTI BEN? TUTI FOR DAL LET? – Richiesta di informazioni sullo stato di salute di conoscenti, amici, ma soprattutto parenti. La risposta (tipicamente trentina) non è mai positiva al cento per cento, quasi per scaramanzia (“Sì dai valà, a parte el Berto co i so soliti reumi e la Lucia co la so toss da fum…sì dai, ghè anca de quei che stà demò pezo neh, ma de de quei che sta meio se l’è per quel”).

ME CAVO FORA – Non si tratta di estrarre da soli i denti o chiamarsi fuori da un contesto, da una situazione. Semplicemente sta per spogliarsi. Non per esibire nudi integrali, almeno non nella maggioranza dei casi. Può essere anche la necessità di mettersi comodi. O di tirar via indumenti che fanno sudare.

ME SA CHE NO ‘l FA GNENT … Riferito al meteo, l’impressione che non ci saranno precipitazioni. Di solito a scanso d’equivoci c’è il suffisso “al pu el farà do gozze…”. Se poi questa ottimistica previsione non trova riscontro nella realtà ci sarà l’ineluttabile presa in giro: “Coss’elo che te disevi? Che no ‘l feva gnent? Ma se vei zò pali de fer…”. “No no ‘l fa gnent…enveze che a gozze la vei zo a secie”.

TE SAVRO’ DIR – Rinvio di un giudizio. In attesa di una concreta analisi personale. Vale anche nell’altro senso del dialogo (“Sàpieme dìr come l’è nada…”).

MA SE POL? – Ma si può? Non necessariamente con la descrizione di quello che si intende per impossibile. Ad esempio, passa una persona completamente nuda in una via del centro. Il commento: “Ma se pòl?”.

SE TE M’EL DISEVI … (o SE ‘L SAVEVO) – Il senno di poi. Mancata informazione preventiva che annulla a posteriori determinati vantaggi. “Se te m’el disèvi prima de pomi che n’avevo a casa fin che te volèvi….senza nar a comprarli”.

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 MOLA, MOLA … NO MASSA … SU ‘N PEL DE DRIO – Indicazioni durante il trasloco o comunque per riportare nel punto esatto il baricentro di un oggetto che si sta trasportando sia in salita che in discesa.

MA SET FORA? – Domanda retorica. Ma non perché l’interlocutore è “all’esterno”. In pratica gli si dà del matto, del folle, dell’anormale. “Te sei propri fòra…”: conferma del concetto precedente senza alcun dubbio.

DAMEL DRIO – Non è l’invito, masochistico, a farsi fare del male sulla schiena o nel fondoschiena. Semplicemente si tratta di farsi consegnare qualcosa che serve. “Dame drio el martèl che i ciodi i gò zà nela borsa…”. O anche in caso di persona da accompagnare “Dame drio el putelot che ‘l porto a l’asilo”.

L’HAT PU VIST TI? – Denuncia implicita di scomparsa di qualcuno che doveva pagare qualcosa. O di un amico che non si fa più vedere da tempo. “Gò chi ‘n so cont lonch come l’an de la fam…l’hat pu vist ti?”

MAGNE’ QUEL CHE VE SENTI’ DE MAGNAR TANTO QUEL CHE VANZA CHE ‘L DEN AI RUGANTI – Ingenua ammissione della povertà del cibo portato in tavola. Di solito interrompe bruscamente il pranzo o la cena. E provoca conati di vomito.

OSTIZIA – Rispetto all’analoga esclamazione (ostrega) anche foneticamente richiama sentimenti di stizza, di delusione, principio di rancore.

METTERSE A UN – Mettersi a posto. Sistemarsi. “Metete a un che te me pari en barbòn”. Anche transitivo: “meti e un ‘sta camera che me par ‘na stala”.

HAT MOLA’ ? – Se la domanda è posta con due dita che chiudono il naso vuol dire che la puzza si sente e quindi il gas intestinale, se si è in due, proviene dall’interlocutore. Che comunque negherà sempre l’evidenza (Mì no veh…ma vara che forsi l’è le fogne, vol dir che cambia ‘l temp).

DISIT? – Ipse dixit. Cioè: ma allora se lo dici tu è vero… (-Vei da piover me sa. “Dìsit?”)

COM’ELA, COME NO ELA … Ineluttabilità del destino. Interrogativi senza risposta che possono riguardare anche il passato (Com’ela stada come no ela stada…). Anche per le partite di giro in ambito finanziario: Dàmela, tòmela…

FARSE DENTER – Non riguarda l’assunzione di droghe per via endovenosa. Ma socializzare. Entrare nelle simpatie di un gruppo. “Te dirò che sule prime l’era semper lì enmusonà, po’ ale tante el s’è fat denter…adès lìè quel pu de compagnia”)

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 82

AH BEN ALORA … – Constatazione che comunque le cose vanno in un verso. Volenti o nolenti. Se si aggiunge il punto di domanda (“E alora?”) si passa alla richiesta di spiegazioni. O all’invito, serio, deciso, a fare qualcosa. Ma può anche risultare una excusatio non petito (“E alora? Savrò ben mi cossa devo far oscia…”).

SI’ SI’… – Affermazione che in realtà ha valenza esattamente contraria. “Sì sì’…sì sì dighel a tuti che t’hai pescà ‘na trota de vinti chili…sì si”.

 ‘SPETA – Richiesta di pausa, di attenzione a quello che si dirà o farà dopo. “’spèta che te conto…”. Quando si sente la frase “’spèteme chi che vegno subit” armarsi di pazienza.

 TE VERAI CHE VEI FORA ‘N BEL MISTER – Rassicurazione sull’esecuzione di un progetto. Quando il cliente che l’ha commissionato comincia a preoccuparsi. Due i possibili epiloghi. Il primo: “Vist che bel mistèr che è vegnù fora?”. Il secondo (commento del cliente): “Bravo, bravo propri en bel mistèr te m’hai fat” (allargando le braccia).

 CIAPAR SU LE SO STRAZZE …  – Prendere tutto quello che si ha e – di solito – andarsene, uscire dalla porta.

 TRAT ZO COPI? – Rivolto a chi fa un discorso senza base e… tetto.

 TE SAVRO’ DIR – Implicita ammissione di dubbio su una determinata proposta. Fa il paio, quando si vuol uscire da un negozio senza acquistare alcunchè, con “Ghe penso su…” o “Gh’en parlo a me marì…”.

 ENTANT GRAZIE – Tornata d’attualità con la crisi economica. Equivale ad una sorta di cambiale non firmata né a maggior ragione esigibile. Una volta si diceva invece “Segneme … che passo quando ciapo paga”.

 TE ME CAPISSI BEN … Nulla a che fare con problemi urologici. Serve per sottolineare un determinato concetto appena espresso. “El m’ha mandà ‘n mona…te me capissi ben, a mi…”.

METER SU ZENA (o DISNAR) – Avviare le operazioni (compreso apparecchiare il tavolo) domestiche in vista del pranzo o della cena. (“Mèta su la zena o nente a magnarne ‘na pizza? Ho capì, taco su la padela del minestron…”) Per la colazione si dice di solito: “Empiza la moka”.

 MOLAR EL BIS – Operazione pericolosa non tanto e non solo perché non si tratta di un serpente velenoso ma per le conseguenze che spesso portano a matrimoni riparatori.

 SCOLTEME MI – Segui il mio consiglio, ascoltami bene. Presunta saggezza e invito a seguire chi ha dalla sua un (giusto?) vissuto.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 81

 

SGHERLO – Zoppo. Sgherlàr: azzoppare. Slongàr zo le sgherle: morire. “Vara che te fago nar via sghèrlo se te me roti i zebedei…”

SGIANDON – Uomo grande e grosso, bighellone, buono a nulla.

SGIAVEL – Giavellotto ma anche bastone, randello. “En sgiavèl” sta anche per una grande quantità di cose. Sgiavelàda: bastonata. Sgiavelòn: chi va sempre in giro con intenzione cattive.

SLENGUAZZON – Sboccato, che parla a vanvera. “Te ghe credi a quel lì? Ma se l’è ‘n slenguazzòn”

SOMEIAR – Assomigliare. “El ghe someia tut a so mare…poch a so pare enveze e de pù al postìn”.

SQUAQUOLARSELA – Passarsela bene, vivere in allegria, godere di una determinata cosa.

TEMESTUFI – Persona noiosa. Anche “Temestomeghi” Accompagnato anche ad altri soggetti. “Belatemestomeghi”, “Madonatemestufi”.

PIALACH – Non è la pialla ma una determinata situazione del lago. In uso tra i pescatori e i velisti gardesani.

ZENTILINI – Sì vuol dire anche gentilino ma soprattutto esile, mingherlino.

ZEZUN – Digiuno. Anche “dezùn”.

QUANDO L’AMOR EL GH’E’ LA GAMBA LA TIRA ‘L PE’ – Nulla è impossibile quando c’è il vero amore.

I NOMI DEI COIONI SE I TROVA SCRITI SU TUTI I CANTONI – Chissà se ci si riferiva alle…campagne elettorali.

I AMIZI I E’ COME LE MOSCHE, FIN CHE GH’E’ DA MAGNAR I E’ TUTI ‘N COSINA – Amicizia per convenienza?

 Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 80

BIASI FA NET – Motto popolare, esclusivamente trentino, che sta per: consumare, far piazza pulita. Di solito si usa nel corso di un pranzo. Come dire: pulire tutto quello che c’è sui piatti.

BILIGORNIA – Cantilena, piagnisteo. “L’è semper chi a stracarne co le so biligornie…”

BOCAROLA – Erpes alle labbra, piccola pustola, anche quel fastidio che si prova nel portare alla bocca frutta acerba. “Che bocaròla che t’è vegnù fora…no stà tocarte che l’è pezo”.

BUFA (o BOFA) – Bollicina, vescichetta sulla pelle. Specie dopo una scottatura. Ma anche quando si utilizzano scarpe troppo strette ad esempio.

BOLP – Volpe. “Ah l’è ‘na vecia bòlp…”.

BORTOL – Sta per Bartolomeo. Ma anche per deretano, sedere. Smacàr el bòrtol: battere sul sedere per punizione ai bambini. Sculacciare. “Vara che te smaco ‘l bòrtol neh…”

CAFETERA – Moka per il caffè. Cafetèr: uno che beve tanti caffè al giorno.

CAGADUBI – Persona confusa, piena di dubbi.

CAGAREL – Saputello, ma anche bacchettone, scrupoloso nella sua severa morale.

CAIA – Spilorcio, avaro, ma anche maligno, di piccolo animo. Accento sulla “i”: “L’è ‘n caìa…”

COLMO – Cima, vetta. “’pena rivà sul colmo … del dòs el s’è butà per tera da strach che l’era”

EL DI’ DELE NOZE FESTIN E FESTON, EL DI DRE’ POLENTA DE FORMENTON – Dopo l’abbuffata del pranzo nuziale ci si deve accontentare…

PER LA COMPAGNIA S’E’ MARIDA’ ANCA ‘N FRATE – Le tentazioni del matrimonio.

A CA’ DEL ZENDRO VA DE SABO E CAMINA DE VENDRO – Meglio non interferire nella vita coniugale.

A LA NOZA E ALA FOSA SE COGNOSE I PARENTI – Matrimoni e funerali riuniscono tutta la parentela.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 79

NAR DE CANEO – Distruggersi. Si usa anche per chi ha la diarrea…

CAREDEL – Piccolo carretto. Anche girello per bambini.

CAREZADA – Non è una carezza….energica ma sta per carreggiata. Nàr for de carezàda: uscire dal seminato, dall’argomento. Poi sta anche per carezzare certo: “E ‘l’ha carezàda…e ela la gà molà ‘na sberla, vale a capir ti le done”.

CASEL – Cascina dove si lavora il latte per trasformarlo in formaggio e altri prodotti derivati.

DEZUN – Digiuno. “Devo far dezùn chè domam matina vago a far i esami del sangue e del pìs”

FIOR DE LA MADONA – Fiordaliso

FORBES – Forbice. Forbesàr: lavorare con la forbice. El t’ha dat ‘na bela sforbesàda stavolta ai cavèi ah?”

GIASENA – Bacca di mirtillo nero o rosso.

GRADELA – Gratelle per arrostire carni, pesci e altre vivande. Torta de gradèla: tipico dolce trentino, crostata. Nar dala gradèla ale brase: di male in peggio.

GROP – Nodo, cappio. Gròp de case: caseggiato. Anche mal di stomaco, dispiacere: “Gò ‘n gròp dopo aver vist quei pori laori…”. Averghe zamai for el grop: aver finito di crescere.

MENARLA PER LE LONGHE – Tirare a far tardi, tirarla lunga. Vedèrla longa: avere una grande fame. Long come l’an de la fam: lungo come un anno di grande carestia. Long tirent: lungo disteso. Di solito si usa per le salme, per chi finisce a terra. Savèrla longa: conoscere bene un argomento ma vale anche per i logorroici.

GUDAZ – GUDAZZA – Padrino o madrina del battesimo o della cresima, compare, comare.

CHI NO MAGNA HA MAGNA’ – Chi è sazio evidentemente non ha appetito.

LE BONE PAROLE NO LE ‘MPIENIS LA PANZA – Per la fame non bastano i discorsi…

COI ANI VEN I MALANI – Acciacchi inevitabili

SOL D’INVERNO E NUGOLE D’ISTA’ NO LE DIS LA VERITA’ – Imprevisti del meteo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 78

TINTONAR – Scuotere, tirare da una parte all’altra. “I n’ha tintonài tuta la matina en quei ufìzi, prima da un, po’ da l’alter, ala fin nesuni saveva cossa far”. Anche “tironàr”.

TOMPELA – Stecca dell’ombrello. “Dai con quela tompèla che se no l’ombrèla no la serve a gnent serada…”

ZIRELA – Pasticca, pastiglia. “El deve tor zò tante de quele zirèle per la pressiòn alta…”

ZIZZOLADA – Bruciacchiatura. “L’ha ciapà ‘na bela zizzolàda ai cavèi…el lì gà tuti grìsi adès”.

SPOTACIAR – Imbrattare, impiastricciare. “Ghè cascà ‘l gelato per tera….tut spotacià”

SPONZIROL – Punteruolo, arnese per fare fori

SPINZAR – Spezzare, frantumare. “El nèva massa de corsa…l’ha spinzà la portiera dela machina contro ‘l murèt de l’ort”.

SOLFA – Parlantina, discorso noioso. “Basta dai co ‘sta solfa…ho capì zamai quel che te volevi dirme” (vedi anche “smenàrla”)

SGAIOFA – Tasca, saccoccia. Nascondiglio….gaglioffo.

ORBAROLE – Capogiro, vertigini. “A forza de nàr su la zinzola m’è vegnù le orbaròle”

MUSAROLA – Museruola per cani. “Musaròl”: museruola per i buoi.

MUTEGON – Sornione, intrattabile. Mutegàr: fuoco che brucia malamente colpa della legna troppo verde.

SE ‘L SE METE SUL MEZDI’ EL PIOVE TUT EL DI’ – Pioggia a mezzogiorno? Allora piove tutto il giorno

QUANDO ‘L LAC L’E’ SCUR PIOVE DE SECUR – Nubi scure sul lago annunciano la pioggia .

SE ‘L TONEZA PRIMA DE PIOVER DA LA CAMPAGNA NO TE MOVER – Tuoni prima della pioggia? Si può rimanere tranquillamente a lavorare nei campi.

SPUZA ‘l CESSO CAMBIA EL TEMP– Si avvertono odori più intensi dal water, dai tombini? Cambia il tempo

STROPE LONGHE INVERNO LONG – Se i rami dei salici tendono ad allungarsi più del solito l’inverno sarà lungo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 77

 

PELOSATA – Pelliccia? No, varietà d’uva. Schiava gentile.

PERATOLA – Piccola pera. Anche “peràtol”

PORCODIZERE (o ORCODIZERE) – Esclamazione particolare. Nulla a che vedere con il verbo latino dicere. Si tratta sempre di evitare pesanti bestemmie.

PETAR SU – Non c’entra la flatulenza. Sta per affibbiare a qualcuno qualcosa. “Gh’avevo domandà do pòmi de numer…el me n’ha petà su ‘na cassèta”

PIATOLA – Insetto schifoso. “Te sei ‘na piàtola”: sei un brontolone, uno che si lamenta sempre. Anche spilorcio,pigro, tedioso.

PIENENT – Zeppo, pieno, che sta per traboccare. “Basta oscia che l’è pienènt”ù

PIZZEGOT – Pizzicotto. “Vei chi che te dago ‘n pizzegòt a quele bele sguànze”.

POSSIBOL – Possibile. “Far el possìbòl”: fare tutto quello che si può. “Ah no l’è miga possìbol che ‘l vegna zò stasera sat, el gà la riuniòm con quei de le bòcce”:

POTON – Musone. Meter zo el potòn: imbronciarsi.

PRESEMPI – Per esempio. “Presèmpi, l’àlter dì, come semper come ‘l m’ha vìst l’ha voltà la fàzza”.

PUGNATEL – Piccolo pugno di roba. “Giust ‘n pugnatèl de sàl…che se no dopo la vei massa saorìa la polenta”.

ROBETA – Può anche essere refurtiva, ma di scarso valore. Poca roba. “Cossa te sèt fat al nàs? Ah, robèta, m’è scampà el rasòr a farme i bafi”.

RUAR – Ultimare, finire. “Dài, rùela!”: smettila per favore.

SANSUGOL – Mingherlino, esile. “Magna bocia che te sei ‘n sansùgol”

CHI VA A SPAZON PERDE ‘L CANTON – Se si va a spasso si perde il posto.

CHI NO G’HA CARITA’ CO LE BESTIE NO LA G’HA CON NESSUN – Se non ami gli animali non puoi amare nemmeno gli uomini.

G’HA DERITO A RIMPROVERAR CHI SA MEIO FAR – Quando la pratica val più della teoria

DOVE NO GH’E’ COLPA NO GH’E’ PECA’ – Chi sbaglia involontariamente non può essere considerato colpevole.

L’E’ SUL FONT CHE RESTA ‘L SPES – La sostanza resta sempre sul fondo.

LA NOT LA E’ LA MARE DEI PENSERI – Quando le preoccupazioni non lasciano dormire

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 76

FADIGA – Fatica. Sfadigàr: faticare. “A chi no vol far fadìghe, el teren el produs ortighe”

FAGNAGNA – Richiama “Far nanna”. In effetti si dice di persona lenta, poltrone, melenso.

FUMINANTI – Fiammiferi. Che ovviamente, accesi, liberano all’inizio fumo di zolfo…

GALINOTA DE SAN PERO – Non è una piccola gallina ma la coccinella.

GATIZZOLE – Solletico. La coscienza l’è come le gatìzzole: chi ghe n’ha e chi no ghe n’ha. Perché non tutti sono sensibili al pizzicorino, oltre che sotto le ascelle, nell’animo.

GOTO – Bicchiere. “Dàme ‘n gòto de quel to vim bòm”.

GOZZA – Goccia. “Me sa che ancòi ‘l fa sol do gòzze”, riferito alla variabilità del tempo. “Fighi dalla gozza”: fichi dalla goccia. Gòz: goccio, assaggio. “Mèteme ‘n gòz de oio sul pàm”.

GUALIV – Uguale, pari, piano. “En dòs e na val i forma en gualiv”. “Tanto da chi a zent’ani sem tuti gualivi…”.

LINGERA – Vagabondo, ozioso, sregolato. “Arivadi a metà straa, se sente ciamàr: lingèra torna endrìo, gh’è ‘l cont da pagar”.

SLUDRO – Avido, spilorcio, avaro. “Pensa che ‘l m’ha prestà la baila senza manèch….quel sludro”

MAGO – Non è un illusionista. O meglio, s’illude di essere intelligente. Sta per scemo, anche presuntuoso in certi contesti. “Valà mago…”

MANEGA – Manica. Ma anche gruppo. “L’è ‘na mànega de màti”. “Ah questo l’è n’altro pàr de màneghe…” “Fàte su le maneghe e dame na man oscia…”

L’ORA DEL GARDA – Vento del Garda. Ha vari gradi di potenza come ci suggerisce il collega Giancarlo Angelini, grande esperto gardesano. L’orèta, l’Ora, l’Orài e….l’Ora da cagarse adòs, quando soffia alla grande…

CHI TRA’ ‘N PET PU GRANT DEL CUL CREPA LE BRAGHE – Invito alla moderazione, a … non gasarsi troppo.

CHI NO G’HA TESTA G’HA GAMBE – Semplicemente perché deve tornare indietro a prendere ciò che ha dimenticato.

CHI VA A DORMIR SENZA ZENA TUTA LA NOT EL SE REMENA – Anche se a volte succede per cause diametralmente opposte: una cena abbondante con digestione rallentata.

L’OM EL TEN SU ‘N CANTON DE LA CA’, LA DONA I ALTRI TREI – Fondamentale la donna nell’economia domestica.

 Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 75

ARFIAR – E’ quello che si fa di solito quando c’è afa. Respirare, certo, ma a fatica. “L’è lì che l’àrfia…co ‘sto calt”.

ARLEV – Allievo, seguage. “Ah vedo che te gai n’arlèv, Giani, ensegneghe bèm el mistèr del marangòn”

ARMELA – dal latino armilla. Collare dei cani. Era il cerchietto d’oro che i guerrieri romani portavano al braccio.

ARMELIN – Da non confondere con l’ermellino. Sta per albicocca. Pianta da frutto introdotta…dall’Armenia

BARBISI – Basette che si congiungono a grossi baffi. Tipo quelli dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe…

BASIA – Grosso piatto pieno di cose da mangiare. “Vara che basìa de robe bone che ghè chi sul tàol ah?”

BIRIBOL – Vino di scarsa qualità. “Tèi, tacagn, che oscia de birìbol m’hat dat da bever…”

DEDAL – Ditale. “Dròpa ‘l dedàl a cosìr che se no te te spònzi co l’ucia come semper…”

TIRAR DE LONGO – Tirar dritto, senza indugio. “L’ha vist che ‘l lo spetèva davanti a l’ùs, ‘l l’ha vardà e ppo’ l’ha tirà de longo”.

FAIMALON – Di solito per ragazzo sbadato, pasticcione, maldestro.

FAZZA – Faccia. “Dirghel ‘n fazza”: dirlo senza paura. “Se ghe ‘l vede en fazza che l’è stà lu….”

GAVETA – Spago. Gavettone non è uno spago grosso…ma qualcosa che si può subire in spiaggia d’estate.

MERDA DEL DIAOL – Così una volta i bambini chiamavano la liquirizia.

NOS – Noce. Ma anche “nostro” (nòs, vòs, de lori…). Parti della noce: scorza (mallo), sgussa (guscio), pìz (gheriglio), nosèla (nocciola). Se ‘l piove de le Sante Cros, và sbuse tute le nos. Da San Roc le nosèle le va de scroc.

EL MONDO L’E’ FAT A SCARPETE: CHI LE CAVA E CHI LE METE. Diseguaglianza sociale. Il mondo è dei furbi?

EL NAS DEI CAGNI, EL CUL DEI VECI E I PEI DELE DONE I E’ SEMPRE FREDI – Problemi genetici. “Dai scaldami i piedi ti prego…”.

LE BONE PAROLE NO LE LIGA I DENTI – Ce ne vorrebbero invece tante…al posto di quelle cattive.

QUANDO LE SCOMINZIA LE CORE DRIO TUTE – Già, chissà perché i guai non vengono mai uno alla volta.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 74

BRIGOLAR – Essere irrequieto, dimenarsi – Brigolàr dal fred: dimenarsi dal freddo, cercare di scaldarsi.

BRODEGON – Sporco, imbrattato di macchie. Insomma come quello che s’imbrodola mangiando o bevendo.

BATIBOI – Scompiglio, mischia, trambusto. “Ah è vegnù fora ‘n batibòi…”. Non necessariamente percuotendo una mandria di buoi…

CIUCIANESPOI – Si sa che succhiando nespole è un po’ difficile avere una dizione perfetta. Si usa in riferimento a chi appunto ha un difetto di pronuncia.

CULBIANC – Non è il contrasto tra il sedere e le parti del corpo non coperte da costume e abbronzate al mare. Si tratta di un ucello di palude. Chiamato anche gambetta.

DACQUAR – Dakkar? Deserto? Un po’ difficile annaffiare, annacquare, irrigare in quei posti. “Ah el nono l’è nà a dacquàr l’ort…che co ‘sta sùta…”.

ENCALMAR – Riportare la calma? No, innestare le piante. Ce ne sono di vari tipi: a corona, a spacadura, a stìca, a zifolòt ,a tacòn, a ocio, a tassèl: cioè a buccia, a bocciolo, a zufolo, a scudetto, a tassello, a occhio. Insomma dipende anche dall’esperienza dell’agricoltore e da quello che si vuol coltivare.

MISSIOT – Miscuglio, intruglio. “Me sa che ho fàt ‘n brut missiòt: bira, vim, amaro…gò misciamènt de stòmech…”

MISSIADA – Mescolata. “Dàghe ‘na missiàda che se nò se tàca zò tut en quela padèla”.

MORBIN – Allegria, capriccio. “Avèr ‘l morbìn”: far follie. “Far passàr el morbìn”: far passare la voglia, il capriccio.

MOSCOLIN – Moscerino. “Vara se te ghe la fai a tirarme via quel moscolìn che m’è finì ‘n te l’ocio…”

NANA – Nanna. “Nina nana bel popìn, pien de caca e de pissìn, fa la nana sul cossìn…”. Quando non c’erano ancora i pannolini…

NUGOLA – Nuvola. Nugole rosse o vent o gozze, nugola bassa el tempe l passa, nugola de montagna no la bagna la campagna. Quando le nigole le va vers Verona, tò la zàpa, va e zapòna. Quando le nugole le va vers Bolzàn, tò la zèsta e va per pan. Nùgol: nuvoloso.

NOSETA – Malleolo. “Che pàca ala nosèta…vara l’è zà drio a sgionfarse”.

POIAM – Abbiocco. In uso soprattutto nell’area gardesana. “Dopo magnà m’è vegnù ‘n torno ‘n poiàm…”. Anche “pòia”

EL PAN EN MOSTRA L’E’ L’ULTIM VENDU’ – Riferito agli esibizionisti. Ma anche a prodotti belli solo in vetrina.

A TORSELA SE MORE DO VOLTE – Meglio la serenità che il rancore. Anche per il benessere fisico…

CHI MASSA LA SMENA PREST O TARDI LA SPUZA – Dai e dai a forza di sentire sempre le stesse cose…

QUANDO SE STA BEN NO SE E’ MAI VECI – Basta la salute.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 73

GRASSA – Concime, letame. Bùsa de la gràssa: concimaia. “Gràssa de paia, tre ani la fa bataia. Grassa de foia, lo fa se la ghe n’ha voia. La grassa del porco no l’è bona né per el prà, né per l’orto.

FIFIO – Paura, tremarella, fifa. Anche: spagòt. “T’è vegnù el spagòt ah?”

DE SCONDON – Di nascosto. “I se vede e i se parla de scondòn…”

DESGIAZZAR – Scogliere il ghiaccio. “Magna ‘n pressa ‘sto gelato che se no ‘l se desgiàzza e te te ‘l sbrodoli su le man”.

DESPERSIA – Non c’entra la Persia. Se non come Paese lontano anche nel tempo. Perdizione, smarrimento. Nàr en despèrsia: andar perso.

DOBELON – Antico gioco delle carte somigliante a quello del “calabrache”. Anche diffuso soprannome trentino.

DONAM – Adunanza di donne. Di solito spregiativo. “Ghè zò ‘n donàm nela còrt…tute che le ciacera…”

MAGHETI – Harry Potter e soci? No, ghiandole nel corpo.

MALBINA’ – Sciatto, in disordine, trascurato non solo nel vestire.

MAROIDOLE – Non lasciatevi ingannare anche qui dal prefisso mar: nulla a che fare col mare. Si tratta delle emorroidi. La talassoterapia è efficace in queste patologie? Boh

MASEGHERA – Catarro, abbassamento di voce, raucedine. “Gò ‘ntorno na maseghèra…se sente?”

MIGNOGNOLE – Moine, smorfie, smancerie. “Far le mignògnole”: far carezze ma anche smancerie.

L’E’ DEI CORNI – Così non va bene, non vale.

CHI SE MARIDA PRIMA DE GAVER SUGA’ LA PEZOTA EL VA PREST EN ROVINA – Mai sposarsi troppo presto.

L’AMOR l’EI MATA E ORBA, EL MATRIMONI L’E’ ‘N BON OCULISTA – La differenza tra innamoramento e vita coniugale

CRODAR DAL SON – Crollare dal sonno. Quando è meglio “nàr a slòfen”, andare a dormire, o “a paiòn”.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 72

 

SFREDIDA – Raffreddamento – “Dàghe ‘na sfredìda a quela padèla broènta…Ocio a no scotàrte demò”

SFRIS – Scalfitura, sfregio. “Vàra chi che sfrìs che i m’ha lassà su la machina…figurete se i te lassa ‘n biglietim per l’asicuraziom”. Anche per incontro fugace: “Sì ne sèm vìsti propri de sfrìs…”.

SFRIZZON – Dolore acuto, fitta. “M’è vegnù en sfrizzòn a la panza…ah meno male che ghera el cesso vizìm”.

SGALONA’ – Stanco, sfiancato. “No vago pu con lù per fonghi…dopo do minuti l’è zà sgalonà”

SGASOLARSE – Godere, gioire, gongolare. “Son chì che me sgàsolo sol a ‘n maginarme la scena…”

SGOGNAR – Beffare, schernire. “Sgogna pur che ‘n di la te tocherà anca a ti”

AH SE L’E’ PER QUEL … – Avvio di un discorso che di solito riprende quello dell’interlocutore ma solo per affermare la maggiore importanza di quello che si andrà a raccontare. “Ah se l’è per quel…a mi la m’è nada anca pezo”.

SIRACA – Bestemmia, moccolo, imprecazione. “Tiràr zo siràche”: bestemmiare. Anche: “Tiràr zò quatro madòne”. “Smadonàr”.

SLAPAR – Mangiare avidamente, divorare. “Ah te dovevi vederlo…l’ha slapà su tut….no servva gnanca làvar el piat dopo”.

SLAPAZUCHI (o SLAPON) – Ingordo, chi non ha fondo, mangione.

SLASAGNA’ – Svogliato, lasagnone, dinoccolato, fiacco

TOPINA – talpa. Topinara: tunnel scavato dalla talpa.

ZESA – Siepe. Zesòn: grossa siepe.

METER ‘N SESTO – Non si tratta di mettere la sesta marcia. Ma di riordinare. Anche la salute: “Ah l’è ‘pena vegnù for da l’ospedal, el deve ancora rimeterse ‘n sesto”.

NO SBREGARSE ZO LA SCARSELA – Non darsi tanto da fare per il prossimo. Avidità, indifferenza. Anche “braccino corto” quando si tratta di tirar fuori soldi dalle proprie tasche.

CAVAR CIODI E ‘MPIANTAR CAVICI – In sostanza il rimedio peggiore del male. Pagare un debito facendone uno più grosso. Di male in peggio.

DARSE LA ZAPA SUI PEI – Contraddirsi, farsi del male, imbrogliarsi.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 71

SGANGHERA’ – Scomposto, disadatto. “Fòr dai gàngheri”: fuori di testa.

SBIGHEZON – Da “sbighèz” – “Vardàr de sbighèz”: osservare con fare sospettoso. Di traverso. “De sbighezòn”: di soppiatto, di nascosto, spiando…Anche “de sbiègo”.

TREBISONDA – “Nar de trebisonda”: barcollare. “Ho pèrs la trebisonda”: ubriaco in stato confusionale.

RECAMADORA – Ricamatrice. Che “fa i recàmi”.

REMENGO – Vagabondo, birbaccione. Ramingo…. “Ma và a remèngo valà….”: vai a quel paese.

SBADILADA – Badilata di terra o di materiale che comunque si può raccogliere e disperdere col badile. “Bùteme ‘na sbailada de gièra nela còrt che po’ ghe penso mi a spianarla…”.

SDIAOLAR – Arrabbiarsi per fare qualcosa di difficoltoso. “Ho sdiaolà tute l dì per netàr le scale dala sporcaria…e adès vara ti, me toca riciapàr tut en man…”.

SLAMBROT – Lavoro mal fatto, fango, mota- “Slambrotòn”: pasticcione.

SPERMEZAR – Dividere a metà, dimezzare. “El spermezeria en cavèl”: taglierebbe anche il capello in due…taccagno.

ZAL – Acciaio – Zalà: robusto, duro come l’acciaio.

ZAVAGNA – Malumore, imbronciamento. “No stà farme vegnìr la zafàgna”: non farmi arrabbiare.

L’E’ MEIO CUSTODIR EN FORMIGAR CHE NA PUTELA SOLA – Il problema delle adolescenti…

MEIO N’AIUTO CHE ZINQUANTA CONSIGLI – Concretezza…

EL MONDO L’E’ FAT A SCARPETE, CHI LE CAVA E CHI LE METE. Dare ed avere…

CHI MASSA LA SMENA PREST O TARDU LA SPUZA. Diffidare da chi ripete sempre le stesse cose.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 70

SCALCAGNAR – Mettere le scarpe senza alcuna attenzione riducendole a informi ciabatte. “Scalcagnada”: pestone, distorsione, ma anche percossa: 2el gà dàt ‘na bela scalcagnàda…l’è nà via svèrgol”.

SCALZACAGNI – Mascalzone, farabutto. Insomma uno che riesce a scalzare anche i cani, tutto dire.

SGROPARSE – Togliersi un “nodo” che tormenta, liberarsi di qualcosa di negativo. “Dàme ‘na sgnàpa ala ruta valà che me sgròpo…”.

SLAVAZ – Scroscio, rovescio d’acqua improvviso. Anche “sguàz”.

SLOFA – Fungo: la vescia. Ma anche scorreggia. “L’ha molà ‘na slòfa che de colp no se ghe la feva gnanca a arfiar con quela spùza”.

SLONGHIGNON – stangone, persona molto alta e magra.

SMARGELA – Moccolo al naso. “Smargelòn”: moccioso. “Valà smargelòn, che te i t’ha bocià perfìm a l’asilo”

TEZA – soffita, o meglio, stanza con apposite aperture per conservare fieno e biade.

TIRACUL – Abito stretto, aderente….troppo aderente.

TRIPOLAR – calpestare luoghi coltivati. Anche lo zampettare dei bambini.

UCIARMONICA – Fisarmonica

VEDEL – Vitello. “Ah quel lì no me par ‘n gat, l’è gròs come ‘n vedèl zamai a forza de magnar e dormir sul canapè”.

CHI FA BEN SOL PER FORZA, PERDE ‘L FRUT E TEN LA SCORZA – Insomma salva l’apparenza e perde la sostanza.

CHI STUDIA MASA MAT DEVENTA, CHI STUDIA GNENT PORTA LA BRENTA – Chi studia troppo si esaurisce, chi però non studia può ambire solo a mestieri umili.

SE CIAPA PU MOSCHE CON NA GOZA DE MEL CHE CON EN BOCAL DE FEN – Astuzia, gentilezza contro sistemi più faticosi…

CHI VIVE SPERANDO MORE CAGANDO – Non serve dire altro, nella “speranza” che sia un detto conosciuto…

ROBA FA ROBA E MERDA FA MERDA – Cfr il proverbio precedente…

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 69

CALCAGIERA (o CALCAGIARA) – Rullo compattatore. Per pavimentazioni stradali. Ma anche per livellare terreni o materiali vari. Riferito a persone: l’elefante in un negozio di chincaglieria. “Ah, l’è vegnù denter come ‘n calcagièra…en casìm”.

BRAGALD – Fungo chiamato ovolo. Perché ha la volva, la “braga”.

BRUGNOCOLA – Bernoccolo. Brugna oltre che per susina sta anche per ammaccatura. “Oscia ho sbrugnà la machina a vegnir fora dal mecanico…i l’aveva messa ‘pena a posto da n’altra brugna”.

CAMPEZA’ – Non è partecipio passato del verbo campeggiare. Anche se in teoria forse si potrebbe piantare una piccola tenda tra una vite e l’altra, ovvero nel tratto di terreno (questo il campezà) tra un palo e l’altro delle vite

CANAGOLA – Serve per tenere appeso il campano al collo delle pecore e dei buoi. “Ciapàr per le canagole”: strozzare.

CANTARAN – Cassettone. Se “canta” ovvero risulta difficile aprirlo senza far rumore, di solito i falegnami (marangoni) consigliano l’uso di una saponetta sugli spigoli che creano attrito.

CIUCIABRUSCHI – Esile, mingherlino, debole.

CAROBOLA – Carruba. Per i cavalli. Ma anche – un tempo – nel piatto (con sale) esposto la notte di S. Lucia. Dove si accompagnava a fichi secchi, mandarini, caramelle. No, non c’erano ricariche per il telefonino…

CELA – Marmitta, pentola, vaso di rame. “Tacar su la cela”: mettere a cuocere le vivande. Anche unità di misura, o meglio, di abbondanza nelle dosi. “Dàme na cela de cafè che som endromènz”

NAR PER SORA – Traboccare. “Vara che l’acqua l’è zamai da ‘n pez che la boie…l’è anca nada per sora e s’è smorzà el gas”.

PIOMBA – Sbornia, ubriacatura. Ciapàr ‘na piomba: essere ubriaco fradicio.

FAR POLITO – Fare una cosa come si deve, a regola d’arte. Anche rigar dritto: “Oh, far polito neh….che no voi gazèri”.

OCI MORI ROBA CORI, OCI GRISI ROBA PARADISI – Nel senso che la donna con gli occhi scuri tenta gli uomini, quella con gli occhi grigi seduce anche i santi.

SE NO SE BARUFA SE FA LA MUFA – L’amore non è bello se non è litigarello.

COME SE NOMINA ‘L DIAOL L’E’ POC LONTAN – Quando si dice la strana coincidenza..toh, appena nominato ed eccolo qua…

TUTI I STRONZI I FUMA – Campagna contro le sigarette ante litteram? O si allude ad altre caratteristiche proprie dei soggetti in questione?

CON LA BOSIA TE VAI A DORMIR GENERAL E TE DESMISI CAPORAL – Più che le gambe le menzogne hanno i “gradi” corti.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 68

SCORTELADA – Accoltellata, ferita col coltello. Ma anche grande dispiacere. “Vara, no pensevo propri de ciapàr da quel lì ‘na scortelada del genere”.

SCRIMIA – Giudizio, talento, intendimento. “Senza scrìmia”: senza senso. “Pèrder la scrìmia”: andare fuori controllo, oltre le regole.

SCOLOBI – Barlaccio dell’uovo, torbido del vino. Riferito a persone: ombroso, indecifrabile, tutt’altro che solare.

SFANTAR – Dileguarsi, sparire,svanire, evaporare. “Oscia, ‘sta Coca Cola zamai l’è sfantàda…no la sa pu de gnent”.

SFICONAR – Letteralmente: rompere il terreno con un palo, sfruconare. Ma anche ammucchiare alla rinfusa. “’n do ela la giaca?” – Ah, la sarà sficonada en qualche armàr me sa…l’è ani che no te la meti.

SGARGAIADA – Risciacquatura della bocca, gargarismo. “Fate ‘na sgargaiàda co la malva…te verai che te passa el mal ale zenzive”.

SPIZZA – Prurito. “M’ha becà n’af….che spizza”. Ma anche smania: “Volerìa torme la spìzza de nar a veder quel che i fa quei doi…”.

TAVELA – Parlantina. “Ah quel lì el gà ‘na tavèla….che ‘l te encoiòna senza che te te ‘scorzi”.

TRODENA – Scrocco. “Nar a la tròdena”: andare a scrocco.

TUAR – dal francese “tuer”. Ingorgare, ostruire. Ma anche nauseare.

UMEGAR – Bruciare senza fiamma. Soprattutto quando la legna è verde. Fumo che sale dalle legne umide. Anche covare sotto la cenere. “L’è zamai da stamatina che l’è lì che l’ùmega…me sa che prima o dopo ‘l sciòpa”.

VATISAPI – Vallo a sapere. “Vatisapi quel che ‘l gà ‘n mènt”.

CHI MASA SBAIA SE ‘MPIENIS LA PANZA DE ARIA – Can che abbaia non morde?

ANCA TRA I PESATI COME TRA I CRISTIANI, I BACALA’ I E’ PU DEI PESECANI – Insomma: il gregge è più numeroso dei lupi? E soccombe?

NO SE SA DE CHE MORT CHE SE MORE – L’incertezza del destino.

A STAR SENTADI SU DO CAREGHE SE FINIS COL CUL PER TERA – Vale per i doppi o tripli incarichi?

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 67 

SBROCO – Sfogo, eruzione cutanea. Sbrocàrse: sfogarsi, levarsi un peso. “Dai e dai el se sbrocà…e come se ‘l sé sbrocà. Sdìnze dapertut”.

SCARMENAR – dal latino carminare. Spargere, versare, sparpagliare. “A scarmenòn”: in maniera disordinata.

SCHIRAT – Scoiattolo. “Ensoma, me scapa i oci e sul pèz no ghè ‘n schiràt co ‘na nosèla tra le zatèle…”

SCOTON – Frate servente. Soprattutto quello che va in giro a chiedere offerte per il convento.

SCUDELA – Ciotola, vaso per bere. “Vara che en quela scudèla gò mès el stùch bianch miga ‘l làt”.

SOSTA – Non è una pausa, un luogo dove si può parcheggiare, ma la molla. “Che mòla che l’è deventada zamai ‘sta sòsta a forza de droparla…”.

SUPIERA – Zuppiera. “Nèta su tuta la supiera che te fa bem qualcos de calt nel stomèch”.

TACA’ – Accanto, appresso, vicino, proprio attaccato. “El tabachìn? Basta che ‘l vaga drit…l’è lì propri tacà ala ciesa, drio però…”.

TETAVACHE – Sempliciotto, tonto, persona che vive nell’ozio, senza combinare mai niente.

TOCAMAN – Impegno di fidanzamento. Insomma dar la mano allo sposo. Promessa di matrimonio. Per l’occasione alla futura sposa viene offerto l’anello di fidanzamento. Cerimonia con la presentazione ai parenti, agli amici.

ZIFOLAR – Fischiare. Sta anche per orinare. “Zà che sèm chi narìa a farme….’na zifolada”.

SANT EN CIESA E DIAOL ‘N CASA – Differenza di comportamento tra la piazza e le pareti dometiche: l’apparente onestà e bontà in pubblico e l’esatto contrario in casa.

EN ZO TUTI I SANTI I AIUTA – In discesa non ci sono mai problemi, o quasi…

SPIZA AL NAS LETERA EN VIAZ – Prurito al naso? Potrebbero arrivare…mail

EL FISCO L’E’ COME ‘L CAGN: SE NO ‘L MORDE ANCOI EL MORDE DOMAN – Tasse, eterna oppressione in Italia.

CHI G’HA TORT ZIGA PU FORT – La ragione non è direttamente proporzionale ai decibel dell’esternazione.

 Conosser –l’enciclopedia per capir i trentini – 66

 NADA – Non è quella che cantava “Ma che freddo fa”. E nemmeno deriva dal “nada” (niente) spagnolo. Sta per andata. Partita. “Ah l’è nada zamai la coriera…”. Quando si perde l’occasione: “L’è nada la gazza”.

BALOM – Pallone. Ma anche ubriacatura, sbornia, sbronza. “L’ha fat en balòm….che ‘l s’è endromenzà su la banchèta ‘n piazza”. “Ah se vinzo ala loteria stavolta fàgo ‘n balòm…”

PESTOLAR – Calpestare camminando, pestare con i piedi andando. “Dai và fora da quel pòr om che l’è do ore che l’è lì che ‘l pestola ne la cort”. Pèstole: tracce lasciate sul terreno. Non solo dagli umani. “Vara, ‘ste chi l’è le pestole de ‘n levro….me sa che l’è passà da poch, vara le bagolòte l’è ancora calde”.

TRIBOLAR – Affliggersi, tribolare. “L’ha tribolà assà valà quel por om”.

CAMAMILA – Camomilla.

LAIM – Non è l’ingrediente di un detersivo, di una saponetta. Agile, snello. “L’è laim come ‘n camòz”, svelto come un camoscio.

POINA – Ricotta. “Ma gat le mam de poina?” Chi non ha molta presa, insomma mani tenere, mollicce.

CONZA’ – Conciato, accomodato. “Conzà per le feste”: non propriamente nel senso letterale, indica di solito la situazione in cui si trova chi è stato malmenato. Ovvero “gli hanno fatto la festa” (sgradita).

METUA – Messa. “El g’ha piantà zò ne metùa”: gli ha fatto una lunga predica….

FUN – Nessun inglesismo. Sta per fune.

FAMEI – Giovane che i contadini tenevano in casa per accudire ai servizi del podere. Anticamente servo. Poi chi aveva in gestione una campagna.

SEITAR – Continuare. “El seita a dirme semper le stesse robe…”

L’AMOR EL FA FAR SALTI, LA FAM ANCOR PU ALTI – Pane, amore e carestia.

I NOMI DEI COIONI SE I TROVA SCRITI SU TUTI I CANTONI – Una delle tante colorite espressioni usate durante….le campagne elettorali.

I AMIZI I E’ COME I MELONI: SU ZENTO GHE N’E’ UN DE BONI – Vedi: come riconoscere un melone maturo.

SOLI NO SE STA BEN GNANCA EN PARADIS – La solitudine è insopportabile anche nel Paradiso, terrestre o celeste.

PU CHE SE G’HA, PU SE VORIA GAVER – L’incontentabile.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 65

DREZZA – Treccia. Dei capelli. Ma anche d’aglio, di cipolle. Ma anche tipo di pane, intrecciato ovviamente.

DUGO – Gufo. Se riferito a persona sta per minchione, simunito, gonzo. “Te sei propri ‘n dugo…ensoma no te gai dat dese euri per ‘n cafè e no te gai gnanca domandà el resto…mah”).

EMBACUCA’ – Incappucciato, imbacuccato. “Tei, l’è vegnù denter tut embacucà, so ben del Bao che l’era quel de la televisiom, quel che fa anca i cine…gò dit che la limosina el vaga a domandarla da n’altra banda”

EMBOTIDA – Grossa coperta imbottita di lana, cotone, trapunta. “Ah no l’è ancora a posto el temp sat, mi dormo ancora co l’embotìda anca se l’è zamai istà”.

EMPETOLAR – Ingarbugliare, imbrogliare. Da pètola, caccola. Empetolàrse: finire invischiato in una situazione sgradevole. “Cossa m’è vegnù ‘n ment de ‘mpetolarme en ‘sto mistèr po’…”.

FERCOL – dal latino ferculum. Barella, portantina per trasportare le sculture dei santi in processione.

FIA’ – Fiato. “Me casca ‘l fià”: scoraggiarsi, cascare le braccia. Tiràr ‘l fià: tirare il fiato. Tor el fià: mozzare il fiato. “El s’è desmentegà de tirar el fià”: si è scordato di respirare, è morto.

FIGHER (o FIGAR): Albero del fico. “El nòno? Ah ‘l sarà là soto ‘l fighèr a l’ombrìa”.

FIOZ – Figlioccio del battesimo o della cresima.

GABOLA – Truffa, bindolata. “Hat capì dove l’era la gàbola? Ciàpelo adès…”

ISTA’ – Estate. Proverbio: el temp d’istà el piove a volontà: ma allora è sempre stata cosi?

LANZA – Lancia, asta. Riferito a un serpente: il saettone. Esser ‘na lanza: scaltro, birbone.

PIPACUL – Non è il sedere che fuma la pipa. Anche se, in un certo senso, la paura, la tremarella (questo il vero significato di pipacul) può avere…effetti collaterali analoghi.

VIGNA PODADA L’E COME DONA PETENADA – Insomma, massima cura, anche in viticoltura.

EN DO GH’E’ BOAZE GHE ANCA VACHE – Ovviamente ci si riferisce alle mucche al pascolo. Indisgiungibili dallo sterco che lasciano.

TRE VOLTE BON VOL DIR COION – Ad essere troppo buoni…

PARER E NO ESER L’E’ COME FILAR E NO TESER – Filare e non tessere: lavoro inutile e comunque senza riscontro.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 64

BOMBO – Chicca, caramella, confetto. “Nòzze”, per il classico omaggio distribuito dai nubendi. “Gàt portà le nòzze a tò zia? Vara che la ghe n’ha a mal…”. Tornando al bombo: “Pòpo, vei chi che te dago ‘n bombo” (una volta, adesso il bambino preferisce i contanti). Sta anche per elegante, forse in maniera esagerata, vistosa. “Con quel vestì te me pari ‘n bòmbo”.

BRUMA – Brina.”Che brumàda che l’ha fat stanòt”. Anche per stato del corpo, abbassamento di temperatura: “Som chi tuta ‘mbrumada, empìzza el foch”. November da bruma, davanti el me scalda, de drio el me consumo.

BRUSCOL – Bruscolo. Diminutivo: bruscolìn. “M’è nà ‘n bruscolìn nei oci”

BRUSSELA – Bitorzolo, bolla, pustola. “Gò na brussèla propri soto la lengua…che mal a magnàr”. “Ah te dovevi vederlo quando l’ha ciapà i sciopèti (morbillo): brussèle dapertut por laòr”.

CALUZEN – Fuliggine, nei camini, nei fornelli. Eh certo, calt e ruzèn…nei tubi.

CANTINELA – Non è una piccola cantina ma una lista di legno lunga e sottile che si usava in edilizia per tramezzi di stanze, soffitti, pergolati. “Ah l’è fat ancora co le cantinèle ‘sto plafòn…vara, ghè anca la paia demò ‘ntramèz”.

CICIO – Occhio: accento sulla seconda “i”: cicìo. Calduccio, dolce tepore. “Vei chì al cicìo”. Di solito invito ai bambini infreddoliti. Tenerezza.

CRONA – Cresta del monte, dirupo, balza.

CULATA – Natica. “Tegni mòla ‘sta culàta che te fago ‘sta puntura…”

ENDORMIA – accento sulla “o”: endòrmia. Sonnifero, narcotico. “I ha dovù darghe l’endòrmia per l’operaziòm…almèm per en par de ore el tase valà”.

FALIVA – Sì, periodicamente quelli della Partita Iva devono…farla. Ma falìva in dialetto trentino sta per scintilla, favilla, parte minutissima di fuoco. “Falìva de nèf”: fiocchetto di neve. Per la precisione “Falìva” quando inizia a nevicare, quando è ancora un misto acqua e neve.

EL DIAOL EL CAGA SEMPER SUL MUCIO PU GRANT – Intreccio tra ricchezza e disonestà. Ma attenzione: “La roba robàda, come la ven la va”.

PU CHE SE G’HA PU SE VORIA GAVER – Avidità senza limiti.

CHI G’HA EL CUERT ROT G’HA LA CASA MARZA – Ristrutturazione urgente. Ma anche probabilmente la necessità di avere protezioni…dall’alto.

EN ASEN BEM VESTI’ NO SCONDE LE RECIE – L’abito non fa il monaco. Anche “Porzèl co la cravàta”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 63

MAGNARIA – Guadagno illecito, serie di operazioni di stampo mafioso, faccende poco chiare. “Ah caro chi l’è tut na magnaria”.

MAROIDOLE – Emorroidi . Anche il sintetico “Moroidi”. Comunque sempre fastidiose.

MASNIN – Macinino per ridurre il caffè in polvere. Ora in disuso. Composto da cassetta, tramoggia, manovella. C’è ancora in qualche soffitta.

MATERION – Mattarellone, spensierato e chiassoso. “Che materiòn che l’è tò marì…semper lì a vardar le done dei altri” – Sì, ma dopo fem i conti a casa…

MERCOL – Non è Merkel in versione dialettale tirolese. Sta per mercoledì. La settimana: lùni, marti, mèrcol, zòbia, vendro, sabo, dominica.ù

MISSIADA – Mescolata. Da “missiàr”. “Daghe na misciàda al sugo se nò se tàca zò tut”.

STORZICOL – Torcicollo. “Vei chì davanti che se no a forza de voltarme me vei el storzicòl”.

A STRANGOLON – In fretta. A rischio di soffocarsi. “Magnar a strangolòn”: senza il tempo per gustare il cibo. “Scusa sàt ma son chì a strangolòn, devo nàr….”

STUF – Non è un elemento della stufa. Né dello stantuffo. Sta per stufo. “Stuf e agro”: arcistufo. Ciapàr ‘na stufàda”: uguale a “ciapàrne ‘n gòso”, essere infastiditi, annoiati.

ENZO’ – Enzo accentato? No, in giù, verso il basso, all’ingiù. “El Giani Bam Bam? Ah quel l’abità pù enzò…en font al paès”.

REFOL – Gran quantità di cose. Rèfol de vent: raffica, folata. Refolàda: ventata. Ma anche lavata di capo. “Ghè ‘rivà…‘na refolàda da so pare …. ah no ‘l lo fa pù per en pezòt”.

NA BONA POLSADA NO L’HA MAI MAZA’ NESUN – Il riposo dei giusti. Quando ci vuole….ci vuole.

PEI CALDI, TESTA FREDA, PANZA LIZERA – Tre regole d’oro per la salute.

PREDICHE CORTE LUGANEGHE LONGHE – Insomma, poche e giuste parole a Messa, e qualcosa di più da mangiare.

SOL DE INVERNO E NUGOLE DE ISTA’ NO LE DIS LA VERITA’ – Meglio non fidarsi di questi elementi meteo, troppo variabili nelle rispettive stagioni.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 62

VIGOGNA – Da vigone, stoffa ricavata dalla lana di un ruminante di origine americana. “Mèza vigogna”: di media qualità.

VOLT – Avvolto, arco per copertura, luogo fresco per conservare i vini ma anche salsicce, speck, frutta. “Nar a volt”: ribaltarsi. “Na volta un, la ciave del volt”.

EH ZA’ – Eh già. Zà e temp: tempo fa. “Zà, te gai resòm”. “Eh zà, no cambia propri gnent”. Zàmai: ormai. “Zamài l’è nada la gaza”: ormai è passato il momento giusto, persa l’occasione.

ZANZARELE – pasta casalinga fatta con farina e acqua. “Che bòna la minesta co le zanzarèle: mai magnada?”

ZIGOLA – Cipolla. “Che odòr de zìgole che frìtega: ‘sa fat ancoi da disnàr?”

SARMENTEL – ramo secco della vita. “Bìna su quele sarmènte che ho poà e bùtele sul motocaro”.

FRIZZON – Futta, dolore acuto.”Ho sentì ‘n frizzòn ‘n la panza, ‘n mal…”.

TARZANEI – Diciamo che non sono figli di Tarzan. Anche se si trovano a loro agio (per il disagio di chi li ospita) sui peli del sedere. Dove restano senza far uso di liane per spostamenti. Provocando fastidio e anche arrossamenti. Cita e Jane non c’entrano.

FARLET – Non è un ordine perentorio per lavori domestici. Il letto semmai è quello di bovini e altri animali da allevamento. Con prodotti del sottobosco e dei campi. Poi trasformati in concime naturale.

DESTRANI – Nostalgia, ricordo di una persona, del proprio paese, della propria casa.

CETIN – Bigotto, bacchettone, falso devoto. “Sì sì, cetìn, semper en ciesa, ma tòcheghe le so robe: el deventa ‘na bestia”

BRAZZEDEL – Ciambella, pane che le donne portavano infilato nel braccio.

GHIRLO – vortice, mulinello di cento. “Hat vist che ghirlo ieri sera? El m’hà butà i calzoti a sugar su l’olìf”

A LE DONE E ALE SCALE NO SE GHE GIRA MAI LE SPALE – Insomma, guai in vista in caso contrario.

VARDETE DA CAGN CHE NO SBAIA E DA CORTEL CHE NO TAIA – Potrebbero riservare sorprese…

CAVARSE LA SE’ CO LA CARNE SALADA – Peggio il rimedio del male.

PER STAR BEN CIAPA ‘L MONDO COME ‘L VEN – Parafrasi del carpe diem, del vivi giorno per giorno.

SE EL SE METE SUL MEZDI’ EL PIOVE TUT EL DI’– Se comincia a piovere a mezzogiorno pioverà tutto il giorno.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 61

GOS – Gozzo. “Star sul gòs”: soffrire per qualcosa, essere insoferente a qualcuno, qualcosa. “Quel lì el me stà propri sul gòs”. “Ciapàrne ‘n gòso”: sensazione di noia, fastidio, disagio. “Na predica che no finiva pù. N’ho ciapà ‘n gòso”.

GRAUGN – Calabrone. Riproduce anche foneticamente il rumore che fa questo pecchione, della famiglia degli imenotteri.

GUZZAR – Sì, sì, vuol dire anche quella cosa lì. Insomma, in modo molto volgare, l’atto sessuale. In realtà significa appuntare, aguzzare, appuntire. Guzzar pali: far la punta ai pali per conficcarli nel terreno. Di qui l’allusione ad altri tipi di penetrazione?

LIVERA – Mazza di ferro, grosso palo di ferro con la punta a dente utilizzato per smuovere macigni e far leva. Piede di porco. Viene anche chiamato “pàl de fer”. “Dame la livera che provem a mover sto balòt”.

LIMOSINA – Esattamente il contrario della limousine. Che certamente non si può permettere chi va alla questa, fa l’accattone, chiede la limòsina, l’elemosina.

LIRONLERO – “Nar de lironlèro”, barcollare, tentennare. Andare in qua e là.

LUSTRO – Lucido, splendente. “Avèr i oci lustri”: avere gli occhi  lucidi per la febbre o dopo aver pianto. “Vara che oci lustri che te gai, misurete la fevèr valà”.

MADRELA – Galletto, dado da applicare ala vite. “Trovar ‘na madrèla ‘n sta cassèta de atrezi…l’è come zercàr n’ucia nel fèm”.

MADONEGA (o MA DOCA) – Esclamazione storpiata per evitare di bestemmiare, offendere la Madonna. “Orpo de la madònega, tuti i me dis luganega, e son el salzizzòt”.

MAIA – Non c’entra con l’antica civiltà. Sta per maglia. “Maièta”, la t-shirt. “Maiòn”, per autunno e inverno.

MOLESIN – Morbido, soffice. “Senti che molesìn che l’è sto panèt…co la bondola el se lassa…”

PICININ – Piccino, piccolino. “Son famà, va a robàr, robàr no se pòl, va nel cassetin, che gh’è ‘n panetin, damelo a mì, che son el pù picinìn”.

BRODO DE CANTINA E PIROLE DE GALINA – Vino e brodo, per stare in salute. Basta non abusarne, si sa.

CHI CHE L’E’ TES NO ‘l CREDE A ‘N FAMA’ – Già, chi è sazio, chi vive nell’abbondanza stenta a capire i problemi di chi è affamato, al verde, nella miseria.

NO TAIAR QUEL CHE TE PODI DESLIGAR – Non tagliare quello che puoi slegare.

SCOLTA TANT E PARLA POCH – Non è propriamente un invito a dare il proprio contributo di idee. Però il consiglio funziona per fare quantomeno esperienza prima di uscire allo scoperto, prima di intervenire in un dibattito ad esempio.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 60

 RASA – Occhio all’accento. Ràsa sta per resina, ragia. Acqua ràsa, acqua ragia. Resina dei pini. Rasà invece vuol dire rasato. “Te sèt rasà? Se vede, te gai el barbòz pièm de tai…l’era meio se te lassèvi la barba”.

RASADA – Rasàda: sbucciatura della pelle. “Come mai te gai quela rasàda sui dinoci?” – Ah, som cascà ‘n bici…no savèvo che ghera ‘n tombim drio la curva, quando l’hai fat, de not ‘nmagino”.

RATEL – Fascio di fieno, ma anche fastello di legna legata insieme. “Pòrtel zò ‘n cantina quel ratèl…’tento a no perder tochi ‘n giro che l’altra volta te m’hai fat su ‘n mazèl su  le scale”.

REBALZA – Botola, apertura sul pavimento, ribalta di uno sportello.

RAMPIN – Gancio, uncino. Serve anche per avvicinare i rami nella raccolta di frutti. “Ah no ghe la fago a ‘rivar a quele zirese…dame ‘n rampìn valà”.

SALARIN – Saliera, contenitore del sale da mettere in tavola. “Ma ‘n do elo el salarìn? ‘n sta casa no se trova mai gnent quando ‘l serve diaolporco”.

SASSIN – Piccolo sasso? No: assassino. Non necessariamente omicida. “Te sei propri ‘n sassìn…elo la maniera de laorar? A spacar su tut ero bom anca mi”.

SCANSIA – Strumento di legno, fatto a forma di gradinata, per custodire piatti e altre stoviglie in cucina.

SCORTAROLA – Accorciatoia. “Ah se te vai su drit da là te la scorti de sicur, l’è na bona scortarola…’sta ‘tento però a no slipegàr che alòra de colp te torni de volta”.

STRAPASSIN – Chiavistello. “Hat serà bem la porta col strapassìn?”

RUGANTI NETI NO I VEI MAI GRASI – Meglio sporchi i maiali, a trugolare, se li si vuole grassi.

ZAVATONI ‘N VIAZA AQUA GARANTIDA – Se ci sono tanti rospi all’aperto, in giro vuol dire che la pioggia è imminente e sicura.

CHI NO G’HA CROS SE LE FA – Chi non ha dispiaceri se li procura. Non solo per masochismo.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 59

SELEN – Luna? No, sedano. “Mèteghe zò anca el sèlen che la carne lessa la ciapa pu saòr”

 SEANCA (o SIANCA) – Sia pure, ancorchè. “Seanca te cori adès zamai no arivèm pu”

 SGIONFABALONI – Millantatore, spaccone. “Quel lì? Ma i lo sa tuti che l’è sol en gran sgionfabaloni”

 TAMAZ – Una specie di trappola per animali. Grossa pietra sostenuta da alcuni bastoncini in bilico, sotto il boccone, l’esca. Quando la preda urta i bastoncini attirata dal boccone rimane schiacciata. Si dice anche di qualcosa di malmesso, in bilico. E anche di persona rozza, che spacca facilmente quello che maneggia, insomma l’elefante in un negozio di chincaglieria. “Te sei propri ‘n tamàz … vara che casìm”

 TESTERA – Spalliera del letto. Dove si appoggia la testa.

 TIN TON TELA – Tiritera. “Ensoma, tin ton tela, avem finì de ciacolar e bever ale quatro de matina”. Filastrocca: Tin ton tela / s’è maridà ‘l Brighela / l’à tolto na vecieta / che semper la repèta / la repetava en casa / e mi bisogn che tasa / la repetèva en ciesa / e mi bisogn che prega.

 TOMPELA – Stecca dell’ombrello. Che adesso probabilmente non ha più artigiani per eventuali riparazioni

TOSSEG – Può anche far venire la tosse. Parliamo di veleno, di sostanza tossica. “Amar come ‘l tosseg”: amaro come il veleno. “Spudàr tosseg”: sputare veleno, essere inviperito.

 TOSON – Prato appena falciato.

 TRAVAI – Baracca del maniscalco, dove ferrano cavalli e buoi. Anche travaglio, afflizione, tribolazione.

 UIN – Cattivo odore. Che viene soprattutto da utensili non ben lavati in cucina o contenuti in vivande poco conservate, destinate ad imputridire.

 STROPE LONGHE INVERNO LONG – Quando i rami dei salici tendono ad allungarsi più del solito l’inverno sarà lungo.

 SPUZA ‘L CESSO, CAMBIA ‘l TEMP – Se si avverte puzza nella toilette vuol dire che il tempo sta per cambiare

 EL VIN L’E’ EL LAT DEI VECI – Istigazione all’alcolismo senile? No, se non se ne abusa il vino – dicono – può far bene anche a livello di prevenzione da malattie della terza età.

 EL GNENT L’E’ BON PER I OCI – Chiara la differenza tra il nulla e qualcosa che invece si può toccare con mano. E magari mettere in bocca…

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 58

A BINA MOLINEL – A gonfie vele, con tutti i mezzi a disposizione, felicemente. Zugàr a bina molinel, o a merlèr, o a bìna o ancora a binèla: si tratta di un gioco che non ha nulla a che fare col mulino. Tre fagioli secchi posti su altrettanti quadrati concentrici. Si fa bina e molinèl quando si ottiene la combinazione di tre fagioli su una linea e altri due nella linea contigua. Più facile giocare che spiegare come…

ANTANA (o ALTANA) – Stanza sotto il tetto, terrazza, soffitta, luogo più alto della casa. Si dice anche “tèza” o “baladòr”.

BABION – Ciarliero. Deriva dal latino “babuleus. “Ah quela lì l’è ‘na vecia babiòna…no te ghe la fai a starghe drio, la ciacola fim che no la gà sé”.

BARBUSTEL – Pipistrello. Si dice anche di un bambino che non sta mai fermo. “Ehi, barbustèl…stà fermo n’atimo che te m’hai stracà i oci a forza de girarme entorno”.

BAVAROL – Bavaglio. “Meterghe el bavaròl”: zittire. Serve anche per asciugare la bava alla bocca alla bisogna.

BORA – Non è il freddo vento triestino. Sta per tronco, fusto grosso, legno tagliato dalla pianta. Sembra che tutto derivi da bora, un serpente. Perché i tronchi venivano trasportati per via fluviale e galleggiando andavano di qua e di là proprio come un serpente.

CARAMPAMPOLI – Digestivo a base di caffè, zucchero appena caramellato e acquavite. Se se ne abusa sulle piste di sci può capitare di sentirsi come…sui trampoli. Anche se non c’entrano con l’etimologia di questa bevanda peraltro tornata di moda.

CICIOL – Cinciallegra – Dal verso di questo piccolo uccello: cin ci cin ci.

DENT’OLTRA – Là dentro, là in fondo. “Ah ‘l martèl no ‘l ghè chi…el dev’esser dent’oltra, en font ala caneva, vizìm ala gabieta dei cunèi”.

DESMISSIA’ – Sveglio, desto. Desmissiàrse fora: svegliarsi, diventare più attento. “Te sèt ‘pena desmissià? Se vede…”. “Ah se no te sei desmissià te te desmissi ‘n pressa a laorar con quei muradori lì se no te voi ciapàr ‘n forato sui pei”.

CHI G’HA FIOI TUTI I BOCONI NO I E’ SOI – Gli oneri inevitabili per chi mette su famiglia. A cominciare dalla divisione del cibo.

QUANDO ‘L SOL TRAMONTA I ASENI SE ‘MPONTA – Meglio però non aspettare il tramonto per cominciare un lavoro. Un po’ come “quando l’aqua tòca ‘l cul se ‘mpara a noàr”.

LUMAZI CHE GIRA LA MATINA L’AQUA LA SE SVIZINA – Lumache in giro al mattino? Si avvicina il maltempo.

AMA’ NO TE SARAI SE PER TI SOL TE PENSERAI – Chiaro il messaggio. Purtroppo si tratta di uno dei tanti detti popolari che non hanno sempre pratica attuazione.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 57

 

PAREANA – Non è una composizione di pareo – Ma un tramezzo, un muso, un assito per dividere una stanza. “Ah me sa che dovrò butar na pareana per slargar el bagno…adès per nar denter ne la docia devo tirar semper zò l’as del cesso”.

PELOIA – Nessun riferimento ai peli. Anzi, sono proprio i peli, meglio, i capelli che mancano. Si dice di uomo pelato, senza capelli appunto. “Tei, te ricordit quando sonevèm zo a Limom? Te parevi quel dei Camaleonti, cavei come ‘n leòm….adès te sei ‘n peloia, vara ti”.

PEOT – Piedino. Deriva da peota, pianta dei piedi. “Far el peòt…” fare il piedino, stuzzicare, amoreggiare. “Nar a peoti”, andare a piedi.

SCALFUDRO – Gaglioffo, farabutto. “Ah quel lì l’è ‘n scalfudro, meio perderlo che binarlo ensema”

SGARAMBEA – Scheggia – “Vara chi sul bràz…tut colpa de ‘na sgarambèa che ho ciapà l’alter dì a laoràr sul cuert”.

CUCIARSE ZO – Acquattarsi, accocolarsi. “Cùciete zo che se nò i te vede oscia”.

EN BANDA – Nessun riferimento a complessi musicali. Sta per “da un lato”, in parte. “Stà ‘n banda che se no te sbianzo (ti annaffio)”. Portar el capèl ‘n banda: portare il cappello da una parte. “Da ‘na banda a l’altra de la straa…tut piem de oio pers da ‘n camiom”.

ENDROMENZA’ – Addormentato. Ma anche lento, pigro, ottuso, grullo. Assonnato. “Set ancora endromènz? Dai auf che l’è morghen”. “El Gino? Che te diga, el me par ‘ndromènz…i gà portà via perfìm le mudande e lu manco el s’è acòrt”.

TEGNIR A MAN – Non significa dare la mano a qualcuno. Semmai tenere in mano qualcosa. Risparmiare, non sprecare. Anche “far musìna”.

METERGHE ‘l BECH – Metterci il becco. Impicciarsi in affari altrui, esprimere giudizi o commenti non richiesti. “Ma cossa vat a meterghe ‘l bech nei mistèri dei altri…pensa ale to rogne valà, che l’è assà”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 56

 

MO’ – Ora, ordunque – Vara mò che ora che l’è – L’è vegnù mò’ da mi – Anche “demò” – “Mòvete demò che l’è zamai tardi”.

MORBIN – Allegria, capriccio – “El gà el morbìn”: è troppo allegro. “Far passàr el morbìn”: levar la voglia, il capriccio.

MORDON – Morso, morsicatura. “Cazzàr ‘n mordòn”: affibbiare un morso. Anche “mordùa”. “l m’ha dat ‘na mordùa sul col”. Morsegàr: non vuol dire segare il moro ma morsicare. “Mòrsega ‘sto pom e làssa stàr quele ciche valà”.

MUCIO – Richiama il mucho spagnoleggiante. Vuol dire mucchio, gran quantità, massa. “’n mucio de zènt”. “No se pol sbaràr nel mucio”. Già, molto meglio “besame mucho”.

NOS – Noce. Scorza de la nòs è il mallo. La sgùssa è il guscio. Piz il gheriglio. Nosèla è la nocciola. “Se ‘l piove de le Sante Cròs va sbùse tute le nos”. Nos sta anche per nostro. “Da chi a là l’è tut nòs”. “Vara che te sei sul nòs”: sei sulla nostra proprietà.

ORS – Questa è facilissima: orso. Come è facile incontrarlo in Trentino grazie al progetto di ripopolamento Life Ursus. “Far balàr l’ors”: trarre guadagni particolari. “Coi soldi ‘n borsa se fa balar l’ors e anca l’orsa”. “Menàr l’ors a Modena: tirarla per le lunghe con promesse a non finire poi non mantenute. “Nar a veder balar l’ors”: morire.

PAIA – Paglia – Om de paia: uomo da nulla, come lo spaventapasseri. Paia rebatùda: il vedovo che si risposa. ‘na paia: un’inezia. “Sto oroloi chi? Ah l’ho tot dai marochini, l’ho pagà ‘na paia “.

PAIR – Digerire, smaltire l’ubriachezza. Quindi per estensione pagare lo scotto, far pagare il fio. “Ah ma quando avem capì che l’era sta lu a spacar el vedro…ghe l’avèm fata paìr”. “No stà parlarme de quel posto….ho paì tant de quel frèt che gò ancora le buganze ai pei (i geloni ai piedi)”.

PANADA – Pan cotto, pappa, pan bollito, vivanda fatta con fettine di pane cotte nell’acqua e condite con burro. “Far la panada al diaol: guadagnare per altri”

PARAGUIDE – Non è un corpo paramilitare né la protezione per operatori turistici ma semplicemente il cacciavite.

ESSER ‘N BONERA – Avere un carattere mite, buonaccione. Anche “esser ‘na pasta de òm”. “Esse ‘n toch de pam”. E ancora: “esser ‘n paciocon, ‘n pagnocòn”.

ESSER PIENI DE LASSEMESTAR – Essere stufi, stanchi, scostanti.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 55

 

AGOLA – Aquila. Basta togliere la “g” e diventa invece un pesce di lago: àola,

A PEI ZONTI – A piedi uniti. “Saltàr a pèi zonti”.  “Stàr a pei zonti”: vivere con tutti gli agi. Attenzione: “L’è nà denter che ‘l steva bem….l’è vegnù fora su na barèla a pei zonti”. Ovviamente in questo caso non si tratta proprio di benessere. Se poi si parla di “lonch dirènt” siamo nel campo di attività delle pompe funebri.

ARGHEN – Argano. Verricello. “Ghè vol l’arghen per tirate fora dal let stamatina?”

ARMELIN – Albicocca. “Tasta sti armelìni, no te n’hai mai magnà de pu dolzi”.

EMBESSOLARSE – Balbettare. Ma anche parlarsi addosso. “Te sei propri n’embessolòm valà”.

BOSIADRO – Bugiardo. Da “bosìe”, bugie. C’è però anche un detto popolare che istiga a non essere sempre sinceri: “Tra bosìe e verità se ten en pè la cà”.

CANCHEN – Cardine. Della porta, della finestra. “No farme nar zo dai càncheni”: non farmi arrabbiare.

CRUF – Crudo, poco cotto. Ma anche indicazione meteo: “Oscia se l’è cruf stamatina”. Vale a dire freddo, rigido.

DALBON – Davvero, in verità, sul serio. “Bona dalbon ‘sta roba….” – Vara che l’era per el gat, semo.

ENDORASTRONZI – Inutile scendere in dettagli. Diciamo che sta per millantatore, fanfarone, ciarlatano. C’è anche la variante (ma di diverso significato, quasi sempre soggettivo): smerdabachète.

GRADELA – Gratelle per arrostire carni, pesci vivande in genere. “Nar dala gradèla ale brase”: come dalla padella alla brace. Cioè per schivare un male finire in una situazione peggiore.

TIRAR LA LELA – Essere spossato. Non aver voglia di far niente. “El gà ‘n torno na lèla…”

ESSER EN MEZ COME ‘L ZOBIA – Cioè d’intralcio, fuori posto, come il giovedì in mezzo alla settimana.

SPUZAR COME ‘N BECH – Non c’entra il becco. Si dice di chi puzza come….un caprone.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 54

SCARSELA – Può essere anche scarsa, nel senso di vuota. Di soldi. Si tratta della tasca. Per estensione anche borsa. “Vara no gò propri gnent ‘n scarsèla”. “Meti ‘n scarsèla popo che te te compri ‘l gelato” (adesso come minimo ai ragazzi, per vederli sorridere e dire grazie,  bisogna regalare una ricarica del telefonino…altro che ghiacciolo).

SCORLON – Scossone, sussulto. “Ho ciapà ‘n scorlòn che som ancora chi che tremo come ‘na foia”. “Daghe ‘n scorlòn per capir se te sei propri sut de benzina en quela moto oscia”.

SECHERA – Siccità. “Se no vei da piovèr stavolta l’è propri ‘na sechèra”.

SECACOIONI – Rompiscatole, importuno, noiso. Anche “secacorni”. Insomma uno che stufa, che i testicoli non li rompe, ma proprio li prosciuga…

SE SA BEN – Modo di dire per confermare, per affermare qualcosa. “Vat a dormìr? – Se sa ben, no hat vist che ora che l’è?” – “Ah se sa ben che a meter el cul sul foch se se scota…”.

MAZOCOLA – Nappa, fiocco. “Vara che bela mazocola che ‘l gà sula bereta de lana che gà fat la nona…”

MIGENIN (o MIGININ)- Poco poco, un briciolino ma anche uno zinzino riferito ai liquidi. “Dàmem ‘n miginìn te prego che se no fago la bala…”

MONEGA – Monaca. Era anche uno speciale trabiccolo di legno che si riponeva d’inverno tra le lenzuola per collocarvi nel mezzo un braciere allo scopo di riscaldare il letto. Si diceva allora per scherzo: “Vago a dormìr co la monega, così la me fa calt”.

NO RICORDARSE DAL NAS ALA BOCA – Avere scarsa memoria in uno spazio temporale ristretto. Quello che separa insomma il naso dalla bocca.

ESSER ‘N TASI E COSI – Taci e cuci. Uno che rimugina senza lasciar trasparire quello che sta pensando. Doppiezza. Tipo poco raccomandabile. Oltre che permaloso…

ESER ALTA DE GREMBIAL – Donna in stato interessante. Incinta. Col pancione che tiene alto il grembiule insomma.

FAR CORER I LUMAZI – In realtà significa masturbarsi. Così come identico significato ha anche “scorlàr el perseghèr”. Laddove è facile intuire che non si allude al pesco.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 53

SPARAGNAR (o SPARGNAR) – Risparmiare. Senza sparare. Semmai sperare che lo Stato non tassi quello che si riesce (si riusciva?) a metter  a parte. “No spargnarla a nesun”: non fare sconti, non mandarla a dire. Anche: sparmiàr temp. “Sparmiàr de vegnìr” (grazie, te me sparmi temp e benzina). “Se savèvo che stasera te fevi la grigliada…sparmièvo de magnar quele do sbèteghe a zena”.

PASU’ – Satollo, pasciutto, ben nutrito, grasso. “Te me pari massa pasù: no te ghe stai pu denter ne le braghe”. Passùa: scorpacciata. Ciapàrne na passùa: subire un eccesso. “Som nà a l’asemblea del condomini: n’ho ciapà na passùa”. Abbondanza: “n’ho magnà na passùa de polenta e cunel, som chi ancora encoconà”.

SALASA’ (o SARASA’) – No, non vuol dire che c’è troppo sale (semmai: ghè asà sàl, ghe sal asà). Si tratta di selciato, ciottolato. Donne, attenzione ai tacchi su questo tipo di pavimentazione frequente nei centri storici trentini e soprattutto nei paesi.

SCAIAR – Piallare. Scaiaròl l’arnese per piallare a mano. Scaiada, la piallatura. Scaiar de travers: intraversare. “El gà el mùs che ‘l par scaià”: indicazione somatica.

SGHIT – Cacherello. Di topi, uccelli. Poca roba insomma. “Esser ‘n sghìt: essere una persona molto piccola”. “No valèr ‘n sghìt”: avere poco valore. “Ocio ai sghìti, che i osèi ancoi i vola bassi: me sa che cambia ‘l temp”.

SMISCIAMENT – Mescolamento. “Smisciament de stomech”: problemi gastrici.

TONTONAR – Non è l’alternativa al noto navigatore satellitare. Sta per dolersi, lamentarsi fra sé con voce sommessa e confusa. Insomma borbottare, bofonchiare. Con un effetto audio molto simile ad un doppio tuono che però è attutito nella bocca semichiusa.

CHI E’ SCOTA’ da L’AQUA CALDA G’HA PAURA ANCA DE QUELA FREDA – Nel senso che il “trauma” potrebbe in questo caso portare ad una situazione igienica imbarazzante.

L’E’ MEIO VERGOT CHE NEGOT – Meglio qualcosa che nulla. Insomma meglio poco che niente o come si suol dire che s’accontenta gode. Anche perché: “no se pol avert l’ort e anca le verze”. O ancora: “meio ‘n mòcol che nar nel let al stròf”.

CO LA LENGUA ‘N BOCA SE VA DA PER TUT – Importante conoscere le lingue straniere? Più che altro saper parlare, saper spiegarsi. Anche a gesti, in qualche maniera: “Noio volevam savuar…”, nella famosa scena con Totò a Parigi.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 52

ANCA – Non c’entra con l’anatomia. Sta per anche. “oscia ghè chi anca el Berto…voi veder se stavolta el se ricorda dei soldi che gò prestà”. Può essere anche esclamazione che sintetizza sorpresa. “E dopo è vegnù fora che l’aveva anca robà el tacuìn de me sorela…-Anca quela…” Anca. Pensa ti…”.

ARMAR – Nulla a che vedere con le forze armate. E’ l’armadio. “Buta tut denter l’armàr cosita che tanto ghe la mama che lava e stira ah?”. Sta anche per realizzare una costruzione in cemento armato. “Daghe zò acqua co la goma che ho ‘pena armà”.

BARBOZ – Si può sporcare di vino se si va al bar dove ci sono le bozze (bottiglie). Ma in realtà è il mento. “Netete el barbòz che te sei pièm de grèp…e dropar i mantìni?”

DESGOSAR – Smettere di gridare (gosar)? In effetti potrebbe anche essere, se non altro perché non ci sarebbero più, a fatto compiuto, spiacevoli intasamenti (di solito nel wc, quindi anche maleodoranti, con evidenti disagi). Sta per rimuovere l’intasamento, l’ostruzione. “Desgòseme el cesso valà che no se pòl gnanca pu nar denter da la spuza…”. Sta anche per aprirsi con qualcuno, sfogarsi. “Gò dit tut quel che gavevo da dirghe, me som desgosà”.

EMBROIA’ – Sì, sta per imbrogliato. Ma più che altro per proprie caratteristiche. Nel senso di imbarazzato, impacciato, confuso. “Oscia, adès che te me ‘l disi som ebroià…’sa ghe diga al Gino, che no ghè pu soldi?”

A LA NOZA E A LA FOSA SE COGNOSE I PARENTI – Matrimoni e funerali, ovvero gli eventi che di solito radunano i parenti. Anche quelli che non si vedevano….dall’ultimo funerale. L’occasione per fare il punto sui cambiamenti. “Hat vist la nova sposa del Mario? Ah no l’ha miga spetà tant a torse n’altra dona…”

L’ACQUA LA SMARZIS I CANAI – L’alibi degli alcolizzati. Che di solito danno preferenza all’acqua…vite. Proprio per disinfettare – dicono – bocca e gola dai batteri dell’acqua. “En bianco per mi e na spuma per el bocia…”.

DAL PISTOR E DAL BECAR SE STA PU BEN CHE DAL SPEZIAL – Dal fornaio e dal macellaio si sta meglio che dal farmacista. Sempre che, ovviamente, non si esageri nelle prime due botteghe…

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 51

TENDRO – Nessun riferimento a Dro, comune del Basso Sarca. Tenero, molle, soffice. “Ma sàt che l’è tendra ‘sta ciopèta? Set sicur che no sia na briòs?”

TINFETE TONFETE – Richiama un rumore confuso, assordante. Si usa anche per indicare una…bastonata. “Ah ma quando i ho visti , tinfete tonfete, te verai che no i vei pu a robar zirese quei osei…”.

TIN TON TELA – Tiritera. “Ensoma, tin ton tela, è vegnù mezanot e erem ancora lì dal Mario a taiarghe el col ale so botiglie de sciava, capì come?”

VAROLE – Tipico segno lasciato, fino agli anni sessanta, dal vaccino contro il vaiolo. “Ma ti no le gàt le varòle? Alora te sei zoven”.

VIAZ (o VIAZO): viaggio, cammino. “El Roberto? Ah, l’è ‘n viazo. Me sa che l’ariva da ti domam matina…l’è longa”.

ZANCA – parte sinistra. “El scrive de zanca…l’è revèrs come so mama”.

ZERLO – gerla – “Tòte drio anche ‘n zerlo valà che magari binèm su le olive cascàe zò…”

ZUCH – zucca. Riferito a persona: zuccone, duro di comprendonio. “Te sei propri ‘n zuch”.

SACRANON – Esclamazione intraducibile. Spesso diluita in sacrataifel, ‘cramento, sacraformento. Comunque non è di gioia, di soddisfazione. Semmai il contrario.

L’E’ DEL BALON – Non è gergo calcistico. Sta per: non serve a niente. “L’è del balon che te me ‘rivi adès, zamai ne sem rangiai”.

NA BELA MONA – Un bel niente. Inutile aggiungere che la traduzione letterale sarebbe hot hard.

 Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 50

 

Tôi không hiểu bất cứ điều gì về những gì bạn nói

Եսչեմ հասկանում, թե ինչ բան եք ասում

אני לא מבין שום דבר ממה שאתה אומר

 

No ho ‘mparà de colpo lingue strane. Basta nar su gugle e dirghe de far la traduziom

de “non ho capito nulla” (ho provà anca con “no ho capì na eva”, ma mìè vegnù for na roba strana de pomi, bissi, pecai…)

AH, CAPIRSE.

No l’è sol question de lingua e dialeti. Ve fago dei esempi per capirne meio, valà.

 TAIAI FORA. E chi vei bona la barzeleta su l’incomunicabilità. Vat a pescar? No, vago a pescar…

Ah, scusa, credevo te nessi a pescar… Si è su due diversi piani culturali. O di gergo. O comunque non in grado di percepire il significato, la sostanza. Succede anche quando ci si trova ad un matrimonio con parenti e amici mai visti che parlano di cose successe anni addietro e usano una specie di codice segreto per fare grasse risate. E pò no ocor che ghe taca gnente…savè bem a cosa me riferiso.

MI ENVEZE. Sat cosa m’è suces ieri? I m’ha ciapà soto el gat su la strada, pora bestia, vederlo lì, che el treva i ultimi e ‘l me vardeva…e pensa che….Mi enveze ieri ser son nà ala festa de sant’antoni. Gh’era en complesso che soneva le canzom dei nossi tempi…te sentissi… Ecco, anche se questa può sembrare una variante del “taiai fora” in realtà l’interlocutore ha staccato il filo dell’audio. Cioè proprio non ti ascolta. Usa solo il suo microfono. In uscita.

MA DAI... Sat che ho iscrito me fiol a ‘n corso de arti marziali? Ma dai…dime, dime… Beh, no l’è miga na roba for de testa, podria farlo anca to fiol…Ma dai, davera? Beh, ensoma no costa po chissà cosa….Ma dai, ghe telefono subit a me marì….ma dai, chissà che content el sarà…

Questo è un quadretto riduttivo (per esigenze di spazio) di dialoghi dove si trova dall’altra parte un entusiasmo esagerato. Occhio però a quando questi adulatori svoltano l’angolo….Angelo, sat dove l’ha iscrito so fiol la Gina? A ‘n corso de quei che se dà pache coi bastoni….l’è proprio vera che quela l’è na famiglia de ‘n semeniti….ma faghe zugar al balom come tuti quei de la so età no. Che po me sa che ‘l costa n’ira de dio. Ma se sa, i vol sempre far i spandi merenda quei lì, come co la machina nova che i ha apena comprà…la par na ruspa.

E LI’ PIOVELO? Importantissimo sapere la situazione meteo quando si telefona nell’albergo dove abbiamo prenotato. Meno importante forse chiedere lumi sul tempo a chi abita a pochi chilometri di distanza. Ma se nò cosa onte fat el contrat per zento scati gratis col telefonim? Per domandarghe se i sta tuti bem? Ne sen visti n’ora fa…

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini . 49

(parole ciapae dai todeschi – studi di Giuseppe Osti)

 ZACAR . da Zacke – masticare, mangiare. Morso coi denti (Zacke sta per dente), zacòn, zacàda. “Dai che nèm a zacàr qualcòs…”.

ZERUCAR – da Zűrűck. Indietreggiare.

ZIMBERLINA – da Zimmermädchen – cameriera sbarazzina

ZIPOLA – da Zipfel – truciolo di legno. Anche sipola. Zipolar: preparare i trucioli.

ZON – da Tschon – Birillo. Anche uomo da nulla

ZOGER – da Zeiger – lancetta dell’orologio

ZUECH – da Zweig – ramoscello secco, pezzo di ramo rinsecchito. Anche zibec o zivec.

ZUMA – da Zumme. Recipiente di latta o di legno per portare sulla schiena a valle il latte. A Egna Zumm è il recipiente per trasportare l’uva. Anche “la conzàl”.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 48

(parole ciapàe dai todeschi.  Studi di Giuseppe Osti)

SLUC – da Schluck. Goccio. Usato in Bassa Atesina. “Dame en sluc valà che gò propri sé stamatina…bom bom….no dai n’alter sluc”.

SMALZ – da Schmalz. Strutto, condimento grasso. Anche smauz. Smalzar: condire con lo strutto. Anche smaozzar. C’è anche la polenta “Smalzada”.

SMIAC – da Gschmeis. Mucchio di sterco. Anche “grassa”.

SMISMAS – da Schmiere. Cose in disordine. “Meti a posto che ghè chì en smismas che par na stala”

SMITT – da Schmied. Maniscalco.

SMORM – da Schmarren. Fritta. Fatta con pasta di uova e latte, piuttosto liquida, fritta in strato sottile, nel burro o in altro grasso, tagliata a pezzi con la paletta e rivoltata perché prenda colore dorato. Si può mangiare con l’insalata oppure, zuccherata, con la marmellata.

SMUCEC – da Schmutzig – Lurido, nolto sporco. Anche smuzzeg, smuzzec smuzegh.

SNAIDER  da Schneider – Sarto

SNAIT – da Schneid – Coraggio, energia.

SNAPERLI – da Schnapperl – Arpioni e coni con anelli per tirare i tronchi sul terreno.

SNELER – da Schneller – Secondo grilletto del fucile da caccia. Assai sensibile: fa èartire il colpo appena viene sfiorato, quindi è più veloce del primo. Anche scatto degli orologi.

SNIDIO – da Schneidend – tagliente, molto liscio. Snidiar: lisciare.

SNIZEL – da Schnitzel – cotoletta, piatto di carne battura

SNIZZAR – da Schnitzen – Tagliare, rinnovare. Anche aprire, tagliare per un primo assaggio.

SNOL – da Schnalle – Maniglia della porta, chiavistello. Snolar: premere più volte sulla maniglia della porta. “Vara che a forza de snolar el snol el te resta ‘n man”.

SNORCHIER – da Schnarchen – Russare.

SNUF – da Schnűpfen. Presa di tabacco. “Dai che me fago en snuf per stranudar…”

SOLTEN – da Schalter – Pertica da vigna. Anche interruttore della luce.

SOSOLE – da Schoss – Ramoscello, germoglio. In Vallarsa e Folgaria. Anche ramoscelli per accendere il fuoco.

SOSS – da Sosse – Intingolo, salsa, sugo

SOTLER – da Sattler – Sellaio. Anche materassaio.

SPANGLER – da Spangler – Lattoniere.

SPEL – da Spule – Rocchetto di filo.

SPELTA – da Spelte – Grossa scheggia ma anche gran fetta.

SPERETE – da Sperren – Intelaiatura per finestre (sperren sta per chiusere). Anche sperèl: telaio, sportello della finestra.

SPIZAR – da Spitzen. Far la punta.

SPOZ – da Spatz. Passero.

SPRAIZ – da Spreize. Traversina tra due muri o due fianchi di fossa.

SPRECHENAR – da Sprechen. Parlare. Soprattutto tedesco.

SPREOZA – da Spriuza. Parte antica della casa

SPRIZ – da Spritz. Intonaco ruvido. Forse da qui, dalla tinta, il classico aperitivo.

SPRIZENAR – da Spritzen – Irrorare i campi, le viti, le piante. Annaffiare, spruzzare.

SPRIZIN – da Spritze. Annaffiatoio, spruzzatore. Anche da qui potrebbe arrivare l’aperitivo….con lo spruzzo alcolico.

SRAIBERAR – da Schreiben – Scarabocchiare.

SREF – da Schrepf – Freno dei carri

STAIF – da Steif – Duro, rigido, forte, solido. “Staifo”, “staifel” per forte, ottimo, buono.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 47

(parole ciapàe dai todeschi – studi di Giuseppe Osti)

STAINQUT – da Steingut – Maiolica, ceramica, vasellame confezionato con caolino.

STECH – da Stecken – bastone

STICA – da Stück – pezzo di caramella, di cioccolato, anche pezzetto di legno. “Dame ‘na stica de liquirizia valà, de quela mola, che par goma…”.

STINCHENAR – da Stinken – puzzare. Stinc sta per puzzolente. “Embriach stinc”: avvinazzato, con eloquenti zaffate…

STOFIS (o STOCAFIS) – da Stockfisch – Stoccafisso, baccalà.

STOLL – da Stollen – Cunicolo, caverna, galleria, pozzo.

STOM – da Stamm(gut) – tenuta, podere.

STOMBI – da Stamm – tronco, fusto, ceppo. Mozzicone di pianta, moncone del granoturco, anche bastoncello sper sospingere i buoi.

STROF – da Strafe (prigione buia). E prima ancora dal latino turbidus. “Ghe vedo de pu co l’acendim al strof che co la pila che te m’hai regalà: l’è semper scarica.

STROSSERA – da Trossserin: donnaccia, strega, donna sciatta

STROZA – da Strotzen – slitta rudimentale per trasportare a valle legna, fieno. Strozegar: trascinare. E poi anche strozega, strozegon, strozil. Le strozzeghe de Santa Luzia: tanti barattoli che si trascinano la notte di Santa Lucia in attesa dei regali.

STRUCAR – da Drücken. Premere, calcare. Anche abbracciare forte: “Vei chi che te struco bel popìn”

STRUDEL – da Strudel – il famoso dolce di mele

STUA – da Stube – stanza, camera, di solito con la stufa

SUSTER – da Schuster – Calzolaio. Usato anche come cognome (anche Soster)

TANF – da Dampf – Vapore. Ma anche odore di muffa, puzzo, aria viziata.

TARTAIFEL – da Der Teufel – Imprecazione “al diaovolo”. En diaolporco mez todesch…

TARTOFOLA – da Kartoffel. Patata. Anche tartufola.

TOM – da Damm – argine di un fiume, terrapieno

TONCAR – da Tunken – intingere, inzuppare. Vedi tradizione delle Vigiliane di Trento: la tonca ne l’Ades.

TONCO – da Tunke – Intingolo, sugo, salsa. Anche “pocio”.

TOTENI – da Duttn – Nulla a che vedere con fritto misto di mesce. Sono i testicoli. Umani. “No stà farme nar zo i toteni…”

TRIFOLE – da Trüppeln. Tartufi

TRINCAR – da Trinken – bere. Anche “trinchenar”. E trincada, per bevuta di solito abbondante, trincadina per l’aperitivo (ma occhio ai “giri” offerti e da offrire), trincador, forte bevitore, trincheta per “embriaghela”.

VAFEL – da Waffeln – biscotto, cialda.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 46

(parole ciapàe dai todeschi – dagli studi di Giuseppe Osti)

PUZENAR – da Putzen. Non significa puzzare ma pulire. Per evitare le puzze semmai.

RADA – da Rad – Ruota per filare (molinèl). In veneto la rada è la bicicletta.

RAIA – da Kreide – Gesso usato dal sarto.

RAIDA – da Raidn – spalla del bue. Piegatura, giuntura.

RAISER – da Reise – Vagabondo

RAISERE – da Reis – frasche secche, usate per accendere il fuoco.

RAISNEGL – da Reissnadel – Puntina da disegno. Anche foneticamente dà l’idea dell’utilizzo.

RAISSA – da Raisse – Spacco, spaccatura. Rasada (sbucciatura, raschiatura della pelle) forse ha la stessa origine.

RAITA – da Reiten – fretta. “Che raita che te gai, ‘n dove dèvit correr…”)

RAUCI – da Rausch – Mirtilli rossi.

RAUT – da Raut – Terra dissodata.

RAUTAR – da Reuten – Dissodare il terreno – “Vago zò ‘n oreta en campagna a rautar…tògo drio anca el sarlàt per taiàr en par de strope”).

REFA – da Reff – Gerla, sacco a spalla, sacco da montagna

REFLANA – da Reff – Sciattona

RESET – da Ris – Canalone per far scendere a valle i tronchi. Magari col “Bròz”.

RESTOC – da Rasttag – Soggiorno, giorno di riposo. Risale all’abitudine militare di riposare per un giorno durante le marce lente di trasferimento.

RIC – da Ritsch – Piccolo rivo al centro del paese. A Egna si chiamava così il canale di scolo che scorreva tempo fa al centro del paese.

RIMENA – da Riemen – Non si tratta di menare due volte. Né di rivoltarsi (remenarse). E’ la cinghia del fucile. Così è chiamata anche la cinghia di trasmissione nelle segherie veneziane. E la cinghia dei calzoni.

RISOLA – da Ris – Scivolo, canalone

ROAN – da Rain . Ciglio, orlo, bordo, rialzo di terra ai piedi delle vite. Anche ciglio di confine tra due campi, piccola costa di pendenza tra un campo e l’altro.

ROBLER – da Robler – Bravaccio, caporione

ROM – da Rahmen – Nulla a che fare con gli zingari – Asse su cui si mette a raffreddare il pane. Anche sinonimo di stipite della porta e di cornice.

ROST – da Roascht – Piatto usato in Alto Adige. Fatto di polenta, patate, cipolle e grasso. Rosto in dialetto trentino sta anche per arrosto.

RUF – da Rupfen – Tela, iuta. “Me serviria en sach de ruf…sat de quei per le patate per capirne”)

RUIC – da Ruhig – Calma, silenzio. Invito a non fare casino, a tacere.

SACRATAIFEL – da Sakrament-Teufel – Imprecazione al sacramento e al diavolo.

SAIT – da Seitel – La nota cooperativa non c’entra. E’ una misura per liquidi: Un quarto. “Dame ‘n sait de vim bianch valà”.

SAUBER – da Sauber – Pulito. Richiama anche l’italiano salubre…

SAVA – da Sau – Femmina del maiale. Più carino di porca.ä

SBANZA – da Wanze – Cimice. “Me sa che gò na ‘sbanza sula panza…”)

SBETEGA – da Schwätzerin – Donna chiacchierona, ciarlatana. In veneto: betegàr. Da Schwätting, ritaglio di carne, carne di poco prezzo, con cartilagginim tendini. “Te m’ha dat proprio ‘n sbètega…no ghera de meio?”

SBORS – da Bűrste – Spazzola, bruschino.

SBOVO – da Schwabe . Blatta, scarafaggio.

SBRECH – da Brechen – Strappo. Anche sbregàr_ rompere, strappare, lacerare, stracciare. Anche “sbrègo”. “Vara che te te sei sbregà le braghe a passàr via ‘l fil spinà”

SBRINZET – da Spritzer – Spruzzatore usato dai bambini per giocare, formato da una canna di sambuco. Anche canna per clisteri.

SCANDORLOT – da Kanne – Piccolo recipiente, bricco, barattolo di latta. Riferibile anche a candola (vedi).

SCHEO – da Scheidműnze – Moneta austriaca durante la dominazione dell’Alta Italia. Veniva letta solo la prima parte della scritta: Schei. Usata ancora nel dialetto veneto.

SCLON – da KLoben – frantume di legno.

SDRAM – da Stram – Acquazzone, pioggia dirotta, torrenziale. “Vara che da chi a ‘n po’ vei zò ‘n sdràm…meio nar al cuert”.

SDREMBEL – da Dremel – bastone, legno storto.

SENSA – da Sense – Falce.

SGNAPA – da Schnaps – Acquavite, grappa. Anche “sgnapèta” (che comunque non vuol dire di gradi alcolici più bassi). “Ah dame ‘na sgnapa a la ruta valà che me fago en bel rut”.

SGNAUZAR -.da Schnauzen – abboccare il cibo, mangiare di malavoglia. Sgnauso sta per rimasuglio di cibo. Anche sgnauz, sgnauzòn. Sgnaozi, avanzi di cibo. A volte sgnauz sta anche per baffi.

SGNECH – da Schnecke – Lumaca. E anche di conseguenza, per associazione di idee, cosa molliccia. Anche sgnecaria….

SGNEGOL – da Zwerg . Nano, piccolo ma grazioso.

SGNIF – da Nif – Smorfia, ceffo.

SGREBEN – da Gräben – Fosse, terreno incolto in montagna. Potrebbe anche derivare dallo sloveno greben.

SGRINGHENAR – da Klingen – Strimpellare. “L’è tute l dì che ‘l sgringhena la chitarra…no vei for gnent”.

SGROBI – da Grob – Ruvido, villano nel trattare.

SIL – da Siele – Funicella per guidare capre e bovini

SINA – da Schiene – Rotaia . “Vara che se no te tachi bem le sine el trenin demò el se rebalta”

SINCHEN .- da Schinken – Prosciutto

SLAIFER – da Schleifer – Arrotino. Slàifera è la carriola dell’arrotino, “el molèta”

SLAMPER – da Schlamper – Sciatto, sporco

SLANC – da Schlank – Snello

SLAPAR – da Happig (ingordo) e schlabbern, mangiare con avidità, succhiando rumorosamente. Rimanda anche ad happen, modo di inghiottire dei cani. In friulano Laip è il truogolo dei maiali. Slapazuchi, tipicamente veneto.

SLAPE – da Schlappen – Ciabatte

SLAPERA – da Schlampe – Sciattona. Slomper al maschile.

SLAPERONAR – da Schlamperei – andare in giro sciatto.

SLAUP – da Schlaff – fiacco, debole

SISERI – da Schűtzen .- Bersaglieri, soldati tirolesi.

SLAIDER – da Schleuder – Fionda per lanciare sassi, con ramo biforcuto e striscia di gomma.

SLINGA – da Schlinge – Cappio, nodo, laccio per uccelli. In Alto Adige anche laccio per le scarpe.

SLINZA – da Schlingel – Birbone, furfante. Anche scheggia piccolissima, favilla (sdìnza in altra parlata).

SLIPEGAR – da Schlűpfen – Scivolare, sdrucciolare. Slipegada, scivolata. “Vara che chi se slìpega…mètete qualcòs che tegna soto i pei”)

SLIPERI – da Schlittschuh – Pattino da ghiaccio

SLIPIAR – da Lippe – Toccare appena il cibo con le labbra (Lippe).

SLOCH – DA Schlag – Colpo, scoppio. Giocattolo fatto con la canna di sambuco. Con alle estremità due fori. Collocando due palline alle stremità e premendo sulla pallina posteriore con uno stantuffo, la seconda pallina parte con un rumore: schlag, appunto.

SLOFEN – da Schlafen. Dormire. “Nem a paiòm, nem a slofen valà che l’è ora zamai”

SLOGHENAR – da Schlagen – Battere, percuotere, bastonare

SLOPA – da Lappn. Cencio, straccio.

SLOSSER – da Schlosser – Fabbro, ferraio.

 

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 45

(parole ciapàe dai todeschi – dagli studi di Giuseppe Osti)

CIORCIOLA – da Tschurtschen – Pigna. “Magnàr ciòrciole”, vivere in stato di povertà. Potrebbe derivare anche dal latino circellus, anellino, cerchietto. Sicuramente riferibile all’organo sessuale femminile quando è usata nelle battute tra amici. “Sèt nà per ciòrciole che te sei tut spatùz?”

MISMAS – da Misch-Masch – Miscuglio. “Ho fàt en mismas che adès me vèi da butàr su…e sì che ‘l so che misciàr vim, bira e sporcaria varia ‘l me fa semper mal…”.

MOSA – da Mus –Farinata, purea. Farina di granoturco e frumento cotte nel latte. Molto in uso un tempo nei paesi di montagna. “Dài che stasera ne rangièm co la mòsa vanzada da ieri….oh questo ghè”.

OLMA – da Walm – Mucchio di fieno nel prato. “Prima de sera bisognerà anca portarle al cuèrt quele òlme oscia…”

PAIC (o PAIZ) – da Beize – Mordente per abbrunire il legno –Base per la verniciatura – “Dai, dai mover le manòte con quela carta de vedro che per stasera volerìa darghe su anca el pàiz a ‘sti seramenti…”.

PACECA (anche PACIOCA, PACIECARIA) – da Paceck – Fanghiglia, melma. “’n do sèt nà con quela machina che l’è piena de paceca….oscia, l’avevo ‘pena lavada…elamadona…”). “Som nela paceca…no so se ghe la fago a vegnir stasera sat…”.

PACHERA – da Bagger – Ruspa, scavatore. “No sta preocuparte, vegno zo mi co la pachera dopo a spianarte tut…ti demò lasseme averte l cancèl…”).

PENEGOL – da Penegol – Fusto della pianta di granoturco.

PETON (anche PETUM) – da Beton – Non ha nulla a che fare con l’emissione (notevole) di aria dall’intestino. Si tratta di calcestruzzo. Dalla betoniera (petoniera?).

PIRLA (anche PIRLO ) – da Wirbeln . Giravolta. “L’ha fat na pirla en curva che per poch no ‘l neva de soto co la machina…”). Pirlo sta per sventato, strambo. Pirlar: far girare in fretta. “El l’ha fat pìrlar per aria ‘sto cortèl…oh, ghera d’averghe paura che el se fes anca mal da sol…”).

PINTER – da Binder – Bottaio. Pinterar: acconciare le botti. Pinterer: fabbricante di secchi e mastelli.

PROBUSTI – da Bratwurst. Salsiccia. Spesso si usa al posto di Wűrstel. “A mi i probusti i me piàs pù mezi brusai che fati ne l’acqua…ala todesca ensoma”.

PROFEZENI (anche PROVEZENI): da Provesen – Crostini con ripieno di pezzetti di carne.

PLOR – da Plora – Prato in dolce pendio. “Và su la plor a far le sghiramèle…basta che no te rudoli fin ‘n fònt”

PLOTA – da Platte – Piano del focolare. “Ocio che lì sula plota i se scalda massa i ravanei…”

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 44

(Parole ciapàe dai todeschi – dagli studi di Giuseppe Osti)

FRACHEL (anche FRACA, SFRACEL) – da Frakel – Misura di capacità, un terzo di litro. Ma serve anche per dare l’idea di “tante botte”, o di moltitudine. Ghera ‘n sfracèl de zent…”.

GARBAR – da Gärber – Conciapelli. Garbaria sta per conceria. Via Garberie ad Arco non è un luogo dove una volta si riunivano i galanti, insomma uomini e donne predisposti a garbi cortesi. Ma proprio un posto dove si conciavano le pelli.

GABURO – da Gebure. Giovinotto. Era in uso negli anni quaranta e cinquanta. “Te sei propri ‘n gaburo…”. E noi che si pensava di essere molli come il burro…Invece sta per ragazzino del luogo. Proprio “dei nossi”.

GHIRLO – da Wirbel – Tromba d’aria, vortice, mulinello di vento. “Ah l’altra sera è vegnù ‘n ghirlo che ‘l m’ha petà zò tute le piante diaolporco…”. Si dice anche di tipo strambo, sventato. “Quando ‘l vei a cà no te sai miga cossa ghe passa per la testa…l’è ‘n ghirlo”.

GRANF (o GANF) – da Krampf. Crampo. “Fèrmete che m’è vegnù ‘n granf a ‘na gamba…vara che i è setantadò st’am en mar neh…no som miga pu ‘n galèt”.

GRAZEDAR – da Kratzen. Razzolare, rasapere in terra delle galline.

GRIES – da Griess – Semolino. “L’altra sera avèm fat i gnochi de gries…boni sat, col so bel ragù). Sta anche per sabbia, terreno sassoso, incolto. Forse deriva da qui il nome di una nota zona di Bolzano.

GRINGOLA – da Ring – Cerchio, festa, euforia. Danza in circolo. Allegria. “El s’è mess tut en gringola per la festa sat…”. Quindi anche tipo di abbigliamento. Atteggiamento.

GUINDOL – da Winde. Arcolaio per svolgere ed avvolgere le matasse. Ragazzo vivace. Veloce. “Te dovevi vederlo to fiol…el neva via come ‘n guìndol”.

LUDRO (anche SLUDRO) – da Luder. Carogna, birbante, spilorcio. Prima ancora dal latino barbarico ludro (che vuole tutto per sé). “Quel lì? L’è propri ‘n sludro. Meio perderlo che trovarlo, scolteme mi”.

MAGON – da Magen. Peso sullo stomaco. Così era indicato anche lo stomaco degli animali, bovini soprattutto). Dispiacere. “Vara, da quando l’è nà via gò ancora ‘l magòn”.

MARLOS – da Malzlos. Retoromano. Lucchetto. “Ho dovù meterghe ‘l marlòs sul frigo. Se nò de nòt me marì el se feva fora tuti i ‘fetati…te me capissi bem”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 43

(parole ciapàe dai todeschi – dagli studi di Giuseppe Osti) 

CLEZENI – da Kletzen – Focaccia del giorno dei morti

CLOMPER – da Klammer. Martello. Usato soprattutto dai muratori.

CRACOLA (anche RACOLA) – da Graggeln – Strumento di legno. Con ingranaggio pure ilegno. Emete un suono simile al gracidare delle rane. Si usa nelle cerimonie religiose al posto delle campane durante la settimana santa. Ma anche in determinate feste e sagre. Indica anche un modo di essere. Petulante. “Te sei propri ‘na ràcola”.

CRIGHEL – da Krȕglein. Boccale di birra (mezzo litro). Nome in uso tra bevitori di birra. “Na òlba” equivale a mezzo crighel… Ma di solito piuttosto che ordinare due “òlbe” si passa subito al crighel…

CRISTONAR – da Kreistn. Bestemmiare.

CROSNOBOL – da Kreutzschnabel. Becchincrpce. Uccello con il becco a forbice, detto anche pappagallo degli abeti. Si die anche di chi è sciocco, sguaiato: “Te me pari ‘n crosnòbol…”.

CUCAR – da Gucken. Guardare, curiosare, spiare. Diverso dall’italiano “cuccare”. “’sa cùchit…doi che se bàsa? Dai valà, sporcazòn…”. Cucher è il mirino del fucile da caccia.

DUGO – da Uhu. Allocco, barbagianni. Anche di persona non propriamente sveglia, furba: “Te sei stà propri ‘n dugo valà a farte ciavàr da quei doi li…che zà i èra dughi per so cont”.

FAIFA – da Pfeife. Sta per pipa.

FERSA – da Ferse. Rosolia. Morbillo.

FERSLUZ – da Verschluss. Chiusura, otturatore (anche del fucile militare, ma nel tempo che fu)

FINCH – da Fink- Fringuello. Si dice “orbo come ‘n finch” semplicemente perché c’era l’abitudine, barbara, di accecare gli uccelli di richiamo per renderne più efficace il canto. Alla Bocelli. Alla Stevie Wonder? Alla Josè Feliciano? Alla Ray Charles ?Mah…

FINFERLO – da Pfifferling –Fungo prelibato. Gallinaccio, piccolo e giallo. Ottimo con la polenta. Ci sono anche le “fìnferle” più strette e lunghe. Buonissime per il risotto.

Conosser – l’enciclopedia per capi i trentini – 42

(parole ciapàe dai todeschi- dagli studi di Giuseppe Osti)

BINDEL – da Windel. Legaggio, fascia, fasciatura. Di qui anche BINDELA (da Windelsåge) sega a nastro.

BIOT – da Bloss. Nudo, solo, nient’altro. Ci si rifà anche al gotico Blaus. Ma c’è anche un “biotos” greco che vuol dire vita.

BOCIA – Da Bursche. Ragazzino, recluta alpina, garzone. C’è chi pensa però ad una derivazione dal francese boche.

BONBOSSER  – da Bodenwasser. Acquitrino, infiltrazione di acqua dalla terra nei prati, falda acquifera.

BOTER – da Butter. Burro.

BRINCAR – da bringen. Prendere, afferrare.

BROAR – da brűhen. Scottare con acqua bollente. Anche il fermentare del fieno. Broènt, che scotta.

BRODEGAR – da brodeln. Versare acqua bollente sopra la biancheria o certi mangimi per il bestiame. C’è anche la “bròdega”, acqua sporca. Sbrodolar invece viene da brodelene, sta per balbettare, parlare a vanvera. Poi se ci si riferisce al brodo, anche “sbrodolàrse adòs”.

BUGANZE – da Buganzen. Geloni.

CANDOLA – da Kanne. Bricco, piccolo recipiente. Anche “càndorla”, “scanderlòt”. Può essere in rame stagnato ma anche in porcellana. Per il caffè, da conservare caldo. “Nèm a farne ‘na càndola”, andiamo a bere qualcosa.

CANEDERLI – da Knődel. In brodo o asciutti. Tipici dell’Alto Adige. Con pane e (una volta) avanzi della dispensa (soprattutto speck).

CANISTRA – da Tornister. Zaino militare pesante ricoperto di pelle di capra. Detto anche “sac dei soldài”.

CANOPA – da Knappen. Miniera. Caponar, lavorare in miniera, dissodare il terreno. Buse canope: grotte derivanti dai pozzi minerari scavati nella valle del Fersina e sul Calisio. Nel rendenese, canopàr, lavorare malamente. Canopo, minatore.

CHIPA – da Kippe. Materiale di scarto ammucchiato fuori dalla miniera (cfr. discarica della Maza). Chiparse: ribaltarsi, cadere a terra. Chipàr: rovesciare, scaricare materiale.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 41

STRIA – Non è una striscia ma una strega, una fattucchiera. Si dice di chi è, diciamo così, molto intraprendente. Accusate di essere “strie” tante donne finirono al rogo anche in Trentino nel XVII secolo: dalla Val di Non alla Val di Fiemme e anche in Vallagarina. “Ciucià for dale strie”: letteralmente succhiato dalle streghe. Quindi magrissimo. “Bruta stria”: per indicare una donna vecchia e brutta (peggio di “vecia Befana”) ma anche riferito a chi ha occhi da gufo e una nomea non proprio positiva.

STROV (o STROF) – Buio, scuro.”Meio en mocol che nar nel let al strof”. “L’è massa strof, no vedo na madona…”. “L’è pezo che nar de not”: sottinteso (l’è stròf). Quindi impresa difficile. Non vedere bene dove si va a parare. Non capirci niente.

SVERGOL – Storto, sbilenco. “Ghe n’ho dat tante e tante che l’ho fat nar via svèrgol”. 2Ma no vedìt che t’hai montà la tenda tuta svèrgola?”. “Daghe n’endrizzàda a quel quadro sul mur: no vèdit che l’è tut svèrgol?”. Nel calcio svirgolare riprende un po’ questo termine del dialetto. Facendo finire la palla in tribuna…

TABIEL – Antenato del table? No, è semplicemente il tagliere. Di legno (ma se ne trovano in commercio anche di plastica e altri materiali, ovviamente resistenti all’azione di coltelli e affini per affettare salumi, formaggi ecc.). Il “tabièl de la polenta” è di solito basso, largo, circolare. Gli altri possono avere varie forme a seconda dell’estro degli artigiani (bellissimi quelli di olivo, con le particolari venature). Diventa anche unità di misura: “Dàme ‘n tabìèl de speck valà….ah, anca na bira media zà che te ghe sei”.

TAI – Nulla a che vedere con la Thailandia, col Thai Chi Chuan, con l’Oriente. Taglio. “Vàra che tài che me som fàt…m’è scapà el cortèl diaolporco”. Serve anche per indicare “pezzi” di qualcosa. “Tai dela carne”. “Tai del formài”,”Tai del bosch, del fèn”. Conoscere “el tài del prà” è invece importante per capire subito come stanno le cose. Prima che l’erba del prato sia stata tagliata. Magari riservando spiacevoli sorprese.

TELARA – dal latino “talaria”. Tonaca dei preti. Ma anche e soprattutto tipico capo di abbigliamento di protezione per artigiani (e anche commercianti, specie quelli esposti a polvere, macchie d’olio ecc.). “’sa fat co la telara….vara che ancoi l’è festa”.

TOROBET – Banderuola, chi cambia facilmente idea. I “torobèti” erano una volta i burattini usati per divertire i bambini. “Te sei propri ‘n torobèt…prima te me disi ‘na roba, po’ te ‘n fai n’altra”.

VE’ VE’ – Monito. Minaccia. “Vàra vè….che te me crodi zò”. “Vè, vè…ocio che te me schizi i dèi se te moli da ‘sta banda el frigo…dài che zamai sem ‘rivai ‘n zima”.

DARSE PACA – Pàca stà per botta, colpo, percossa. In questo caso però non siamo di fronte ad una sorta di autoflagellazione. Anzi, tutto il contrario dell’atto di umiltà. “Darse pàca” vuol dire darsi importanza. Resta sempre la possibilità, una volta vittime della superbia, di darsi veramente una botta in testa per tornare in sé. Normali insomma.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 40

GANZEGA – Dal tedesco “ganz” (tutto) – Gran mangiata alla fine di un lavoro, di solito quando è terminata la costruzione di una casa. In cima al tetto si pone di solito anche un abete. E poi via a “ganz essen”, tutto mangiare. A Mori la tradizionale omonima festa. Tradizione che si porta avanti dai tempi della ricostruzione post bellica. “Oh, ciama anca i marangoni (falegnami) neh per la ganzega de lùni, che se no i ghe n’ha a màl”.

GAZER – Confusione, frastuono. Per estensione anche guaio. “Spero bem de no finir nei gazèri a farte ‘sto piazèr…”. In italiano troviamo l’equivalente in gazzarra. GNANCA – Nemmeno. “Gnancòra” sta per non ancora. Attenzione all’infido invito: “Gnanca bom de…”. Nasconde tranelli. E comunque di solito mette di fronte a sfide ad altissimo rischio. Meglio rispondere: “Ma gnanca se me ‘l domandi en dinòcio”, “Ma gnanca se te me dai en sach de soldi…falo ti valà…gnanca bòm”. MADONEGA – Esclamazione opportunamente storpiata rispetto a quella che potrebbe sfociare, in determinate situazioni, in bestemmia. C’è anche la variante (dal lombardo?): Elamadona… “Madònega, che zidìòs che te sei ancoi…”. MALMARIDADA – Mal maritata. Una volta, prima del divorzio, c’era un luogo dove venivano “ricoverate” le donne separate dal marito. Adesso, in tempo di crisi, magari con gli alimenti da pagare e senza casa, sono gli ex mariti, spesso e volentieri, che hanno bisogno di questo tipo di assistenza…”Ah no l’ha miga trovà quel giust, l’è malmaridada”. ORBO – Cieco. Precisazione: la benedizione Urbi et Orbi non riguarda Roma e tutti i non vedenti. “Bote da orbi”: furia cieca, colpi alla rinfusa. “Vara che la merda che t’hai schizò ‘l lavrìa vista anca n’orbo…basterìa no vardar semper per aria”. PEGOLA – Pece. Usata per le imbarcazioni. “Empegolarse”: restare invischiato in una situazione negativa, bloccato appunto nella pece. Sta anca per sfortuna. “Te l’avevo dit che quel lì el porta pègola”. STREMIDA – Spavento. “Ciapàr ‘na stremìa”: prendere un grande spavento. Ma anche far paura: “Ah, no me som miga fat meter la testa soto i pèì, ho tirà fòra ‘l fòcol e gò dat ‘na stremìa che l’è ancora drio che ‘l còre”. NO ARIVARGHE GNANCA CO LA SCALA – Non essere in grado di afferrare un determinato concetto. Non arrivarci. Non cogliere il significato nemmeno con un aiuto. “Ma digo, ghe vol la scala per ‘rivàr a capìr che se te buti l’alcol su ‘l foch co la botiglieta la fiama la te torna endrio e te te brusi?”

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 39

COPIN – Nuca. “Scominzia a corre che te ciàpo per ‘l copìn…”. Non è il diminutivo di coppo (còp) anche se comunque sta nella parte superiore del capo. “Copàr” sta per ammazzare. Magari con un colpo proprio alla nuca… Il massimo della confusione: “El l’ha copà con ‘n colp de còp sul copìn”.

CRIAR – Sgridare. “Crièghe tì al ‘bocia che mi go da far…’l continua a spuàr dapertut i òssi dele zirèse”. “Da quando el gà crià quela volta no l’ lo saluda pu”.

DESCOLZ – Scalzo. “’n do vat descòlz che l’è tut bagnà per tera?” “Che fat descòlz? Se sente odòr de formai strachìm fim zobàs…”.

FAR FAZION – Non significa essere faziosi. Anzi, riferito soprattutto a cibi, portare in tavola un piatto che accontenta oltre che il palato anche l’occhio. In generale qualcosa di ben fatto, bello da vedere. “Bèl ‘sto maz de fiori ‘l fa proprio faziòn”.

FRASA’ – Anche qui attenzione all’analogia fonetica: non c’entra né la frase, né la parafrasi. Rasente, preciso. “Nar frasà al mur”: sfiorare il muro.

GAIDA – Grembo. Ma anche lo spazio racchiuso tra i due lembi di un grembiule. “Tegnìr en gaida”: tenere sulle ginocchia, in grembo. “Na gaida de roba”: quello che ci può stare in una grembialata. L’Aida è un’altra cosa. Né qui si fa riferimento ad omosessuali.

GATIZZOLE – Si possono anche fare ai gatti. Con attenzione. Solletico. “Gate gate gate” l’audio. Mentre con le mani si pizzicano soprattutto le parti sensibili (sotto le ascelle ad esempio). C’è chi le ha (le gatizzole, o meglio ne subisce l’azione) e chi proprio è insensibile. “Tanto a mi no te me fai rider…”.

METERSE ‘N GRINGOLA – Non occorre un costume da cow boy, da Gringo. Meglio il vestito buono, “quel da la festa”. Attenzione alle malignità se ci si mette in gringola solo raramente: “’sa fat Toni vestì cosita, vat a sposarte? ‘n do hat lassà la to telara?”

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 38

 

BATA – Nota marca di calzature? Certo, ma in dialetto trentino significa ovatta, bambagia. “Dame en po’ de bata valà che te neto co l’acqua osigenada se no te vei n’infeziom…”. “Quel lì? L’è come el vivès nela bàta: na volta, digo na volta che ‘l se sia dat da far”.

EMBESSOLON – Anche qui non ci si lasci trarre in inganno: bisce, soloni, embè non c’entrano. Trattasi di balbuziente e per estensione anche di fa confusione nel modo di esprimere un concetto. “Mama mama ma titi ma titi chichi chiveve chi vegnigni chi vegniresset esset aaa a eee esser?”

CARGA – Carico. Ma anche unità di misura indefinita. “Ho ciapà ‘na carga de legnade”. “Na carga de fèver”  per dire di un febbricitante. Che quindi “el ghe n’ha na carga” (è molto ammalato). Ma anche voce del verbo “cargàr”. “Zà che te ghe sei càrgheme su anca la cariola valà…”. “Quando te passi da l’asilo carga su anca el me matelòt”.

CAVAOCI – Non è un orrendo tipo di tortura ma la libellula. Famiglia degli Pseudoneurotteri. In italiano non a caso detto anche Cavalocchio. “’Sta tento al cavaoci neh…”, per spaventare i bambini. Così come si usava mettere sul chi vive con i pipistrelli: “Vara che i te se taca ai cavei e no tei tiri pu via…”.

CEREGOT – Chierichetto. Forse dalla cera che inevitabilmente cola dai ceri tenuti in mano durante le cerimonie religiose. O dalla cerega, pelatina a cerchio sulla testa dei fraticelli. “Che bel che te sei vestì da ceregòt…no te pari quel canaia che me fa semper ‘nrabiar a cà”.

CHIVE – Qui, proprio qui. Live (lì). “T’ho dit de darghe su la vernìs sol da chive a live oscia, no dapertut”. “Chive l’è el mè e live l’è ‘l tò”.

DESMISSIA’ – Sveglio. “Desmissiarse for”, svegliarsi. “Desmìssiete che l’è ora ‘cramento”. “Ah no ‘l gà mes tant a desmissiàrse…se no ‘l durèva miga tant en mez a quele volp”.

ZACH E TACH – Detto e fatto. Proprio come la velocità con la quale si pronunciano questi termini. “Ah te dovevi veder come i ha fat i pompieri a averzerme la porta…zach e tach. Pecà che dopo ho trovà le ciavi: le gavevo en scarsela oscia”.

NAR A PROVEDER – Andare a fare la spesa. Cioè provvedere alle necessità giornaliere. Soprattutto quelle alimentari. “Ghela la Maria? No, l’è nada a provèder. La sarà chi che la vei de volta zamai…”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 37

ELLA PEPA – La pepa è la scarpa. Di solito si usa con i bambini: “’nzòlete bem le pepe me racomando, come i t’ha ‘nsegnà a l’asilo”. Ella pepa è un’esclamazione. Non significa “che scarpa”. In ogni caso sorpresa, meraviglia. Certo, potrebbe anche capitare di trovarsi di fronte ad una scarpa di cristallo persa da qualche Cenerentola….ma meglio sarebbe trovare per strada un rotolo di banconote. Col quale, semmai, comprarsi un bel paio di scarpe.

FUMINANTI – Zolfanelli. Quando si accendono liberano anche fumo e odore acre di zolfo. Non sono “ruminanti” cioè meglio non usarli come stuzzicadenti. Prima del barbecue: “Oscia ho desmentegà i fuminanti…gàt n’accendiìm? No, ho ‘pena smess de fumar…”

CARNE GREVA (o GREVADA) – Non è un particolare taglio da richiedere al macellaio. Si tratta di membra indolenzite, grande stanchezza. Grevare da gravare, quindi appesantire. “Ieri son nà a torme i zigareti a pè, e difati ancoi gò la carne greva ale gambe. – Ma se ‘l tabachim l’è tacà a tò cà dai…”.

PAPIN – Nulla a che vedere col famoso giocatore di calcio. Schiaffo, sberla, ceffone. Inferto col palmo della mano aperta. Interessante l’origine del termine. Pappini erano a Firenze gli assistenti degli ammalati. Scoppiò una rissa e….vinsero gli ammalati proprio a suon di sberloni. “Te mòlo ‘n papìn che te fago far do volte el giro del Sass…”.

ANCOI – Dal barbarico “hanc hodie”. Oggi. “No conta morir ancoi o morir doman: basta esserghe passandoman”.

PISTOR – Non è il pastore ma il fornaio. E anche soprannome diffuso nei paesi trentini per indicare chi per la verità faceva il panettiere. “El Giani Pistòr”. Così come si definisce “pastina” chi fa o faceva il pasticciere.

LA BOTEGA LA DIS: TENDEME O VENDEME – Un po’ come l’occhio del padrone ingrassa il cavallo. Chi fa da sé fa per tre. “Ah, quando ghè lù drio el banch i gira tuti come i guindoi…”.

MEIO PRIM A SO CA’ CHE ULTIM ‘N ZITA’ – Questione di potere. Anche se non sempre a livello locale o famigliare si conta di più che in altri luoghi. “La sposa la gà dit: ah zamai me som rangiada, se te speto ti…ma tanto no sarìa cambia gnent”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 36

 

SCHIZZAR – Schiacciare. Per schizzare, far “schìzi” occorre schizzàr qualcosa che contenga liquido. Meglio non farlo dopo aver magari finito di imbiancare. “Ma quante volte devo dìrtel che el tubèt del dentifricio el và schizà a partir da zo ‘n font e nò su ‘n zìma…”.

SCIAP – stuolo, stormo, anche sciame (“’n sciàp de af”). Mettendo insieme tanti “sciàpi” di qualsiasi cosa, a casa, vien fuori “’na sciapotàda”. E si verrà bollati: “Te sei propri ‘n sciapotòm”.

SCHEI –centesimo, centesima parte della vecchia lira austriaca. Era in rame. In realtà viene da “Todeschèi”, perché prima c’erano i centesimi francesi (centèsem). Poi via gli austriaci sono rimasti i (pochi anche allora) schèi. Soprattutto in Veneto. “Ah te poi tegnirtela ‘sta motosega, te voi massa schèi…”.

SBAILAR – Non c’entra il ballo (vamos a bailar….) e nemmeno lo sballo (rave e dintorni). Il verbo viene da “baìl”, badile. Quindi si riferisce al lavoro fatto con questo attrezzo, di solito abbinato al “pic” (piccone) nell’azione edile: pic e bail”. “Baìla” invece è la vanga. La bàila è la baglia e non va assolutamente bene per rivoltare la terra nell’orto. La sbailàda è anche un’unità di misura. “Bùteghe sòra do sbailàde de cemento che po’ ghe penso mì a tirarlo de fim”.

SBISEGAR – Frugare. Richiama – nel suono – l’operazione necessaria per tirar fuori i fagiolini (bìsi)  dai baccelli. Insomma metter le mani in qualcosa alla ricerca di qualcos’altro. O per semplice bricolage. “El Gino? Ah el sarà zò che ‘l sbìsega drio ala so bici en cantina”.

MERDA GRANDA PANZA TESA – Giudizio formulato – come nei bilanci finanziari – in base all’uscita. Che si presume sia equivalente all’entrata. Insomma chi produce enormi quantità di rifiuti prima deve pur aver avuto modo di acquistare materia prima, poi trattata, rielaborata. “Oh, l’è do ore che l’è denter nel cesso…mi ciamo i pompieri”.

L’E’ l’ULTIM BICER CHE FA FAR LA BALA – Già, perché fino ad allora, fino all’ultimo bicchiere ingurgitato al banco del bar, in piedi, pronto per uscire, il soggetto dichiarerà – dopo – stava benissimo. Altra giustificazione: “Me sa che l’è stà quel limonzìm a misciarme el stòmech…. – Ma valà che l’era da do ore che t’eri zà ont e bisont”.

DOPO I CONFETI VEM I DIFETI – Prodromo di una separazione, di un divorzio? Fine della luna di miele? Di sicuro una visione pessimistica del matrimonio praticamente subito dopo il classico taglio della torta nuziale. “MI però ghe l’avevo semper dit ala Rita che el Marco no l’era l’om giust per ela…massa farfalòm”.

FAT EL LET E SPAZA’ SE LA FAMEA L’EI PORETA NISUN EL SA – Un po’ come buttare la polvere sotto il tappeto per dare l’idea di pulizia. Ma anche, al contrario, la dignità di chi, pur non potendo permettersi tanti lussi, tiene comunque a posto la propria casa. La ricchezza in questo caso è chiaramente un’altra. “Oh, te poi nar a trovarli a qualsiasi ora de la giornada, en cafè, en bicier i te lo ofre semper. E miga en chichere o bicieri sbecài…”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 35

 

‘ORCODIZERE – Dir qualcosa da orco? No. E’ chiaramente una composizione, una compressione, di termini che ha un solo scopo nell’apparente insignificato: evitare una bestemmia facilmente intuibile. Come il moderno “Dio camping”. O il nostro diaolporco. O il pudico “Vaffanbrodo”.

ENCALMAR – Nessuna azione volta a calmare animi evemntualmente esagitati. Parliamo di innesti. Non delle marce. Ma di specie vegetali. Encalmador quindi non è un operatore dell’Onu ma proprio l’esperto in queste operazioni. “Quand’elo che te vegni zò a ‘encalmarme el zireser?)

ENFRIZZA’ – Frizzi e lazzi? Non c’entrano. Così come è da escludere la conseguenza (per chi non ha adeguato abbigliamento) dell’aria frizzantina della mattina. Infilzato. Da freccia nei film western. Da oggetto particolarmente pungente sul posto di lavoro. (Vara mò se te riessi a trovar la spina…me som enfrizzà la mam a poar le rose ‘cramento).

GOMITAR – Sgomitare per farsi largo tra la folla? Può anche darsi. Prima però di vomitare. Perché questo è il vero significato di questo verbo. Classica battuta: “Chielo che buta zo? Ah, scusa, som mi che gomito su”

SPOSE ZOVENE, CORNI E CROS, SPOSE VECIE PETI E TOS – La vita coniugale da un punto di vista decisamente opinabile. Laddove insomma la sposa giovane e bella potrebbe tradire facilmente il marito, mentre quella più avanti negli anni sarebbe prematuramente da ospizio. E’ comunque un detto popolare pre-femminismo. Forse adesso bisognerebbe invertire i ruoli. Con mariti giovani in giro la sera per il calcetto e quelli oltre i cinquanta con i primi acciacchi da eccesso di fumo ed alcol. “Ah, zamai me marì el gà el mal de l’agnèl…”.

PRIMA DE DIR MAL BISOGN VARDARSE ZO DAL SO GROMBIAL – Un po’ “scagli la prima pietra chi è senza peccato”. Perché il proprio grembiule – inteso come coscienza – potrebbe essere veramente più sporco di quello indossato dall’oggetto della maldicenza.

SASS CHE RUDOLA NO FA MUSCIO – Eh già, non può attecchire, magari avere oltre che il muschio anche un fiore, un posto solido. Come è difficile metter su famiglia se si è sempre ovunque, sempre in moto. “Vara, la me fa propri pecà la Giulia, con quel moròs semper en giro per el mondo…l’è zamai dese ani che i se parla”.

VAL PU ‘N MOCOL DAVANTI CHE NA TORZA DE DRE’ – Evidente l’utilità di una luce – sia pure meno potente – davanti che una torcia dietro. Non foss’altro per evitare di ustionarsi il sedere. Vale anche per chi si fida troppo di quello che alle spalle. “Scolta ma se enveze che nar envanti a ‘mpizar cerini te te compressi ‘na bela pila dai cinesi?”

L’AMOR NO L’E’ PATATE ROSTIDE – L’amore non è un contorno. Anzi, presuppone impegno, serietà, lealtà. Attenzione: non è però nemmeno una tagliata di manzo o uno stinco al forno. “Me portela anca en quartin de rosso de la casa? A forza de parlar de veci proverbi trentini m’è vegnù sé”.

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 34

 

PU’ PREST CHE ‘N PRESSA – Massima accelerazione. Più veloce della luce. Con tanta fretta, frenesia. Precisa indicazione sui tempi di consegna: “El me serviria pùnprèst che ‘n prèssa…anzi te dirò de pù, el me servirìa per algieri…”

NAR A VOLT – Non vuol dire andare in cantina o comunque sotto i volti. Ma cadere. All’improvviso o dopo una serie di sbandamenti. Si dice di persona (Oh, l’è vegnù for dal bar e de colp l’è nà a volt…per fortuna no ‘l s’è fat squasi gnent). Di oggetto (Ghe l’avevo dit de darghe en ligàm….l’ha fat la curva e tute l fèm l’è nà a volt).

SBREGARSE EL CUL – Letteralmente: strapparsi il sedere. In realtà sta per ritrosia nel fare qualcosa. Soprattutto nelle donazioni. (Tei, al matrimoni nela busta el m’ha mès denter n’euro e vinti centesimi…el s’ha propri sbregà ‘l cul).

STOFEGAR NA VAL DE RUGANTI – Per soffocare un’intera vallata occupata da maiali ce ne vuole. Insomma qui il termine di paragone è la puzza. Ma si usa anche nei confronti di logorroici. (No ‘l la finiva pù de parlàr…l’avria stofegà na val de ruganti).

NO ESSER FARINA DA FAR OSTIE – Di indole tutt’altro che buona. Di certo non adatta appunto a fare ostie per la santa comunione. Avere qualche cosa, nel presente ma anche nel passato, che inficia inevitabilmente questa “trasformazione” dal profano al sacro.

LA VA DE BALINAZI – Va di pallettoni. Non solo a caccia. Va malissimo. Fischiano pallottole. Il clima è teso. (Som nà denter a l’asemblea del condominio e ho capì subit che la neva de balinazi….)

EH MOSTRO – Esclamazione che nulla ha a che vedere con incontri del terzo tipo. Né con avvistamenti di orrende creature. Vuol dire: “Ma dai…” Oppure: “Sul serio?”. “Eh mostro, propri così el t’ha dit?”

ESSER EN SECIER – Essere un lavello. Si usa soprattutto per chi non ha problemi a bere, bere, bere….di solito non acqua. (“Elamadona te sei propri ‘n secièr…t’ha zà finì do bire medie entant che som drio ancora a la me bira picola…)

FORA COME ‘N PONTESEL – Fuori di testa. A sbalzo. Proprio come un balcone. Esposto alle intemperie e alle paturnie. (Te zachi anca i sgussi dei pistachi? Ma ti te sei fora come ‘n pontesèl)

TUTI BEM, TUTI FOR DAL LET? – State tutti bene? Nel senso che se si è in piedi, fuori dal letto, si presume che siano tutti in buona salute. Può succedere di essere smentiti però dai fatti: “Sì, però ‘l bocia l’è sul canapè che ‘l varda la televisiom…el gà zamai oto linee de fèver, ho ‘pena ciamà ‘l dotòr”

Conosser – l’enciclopedia per capir i trentini – 33

 

FIZZA – Piega. Del vestito (“’sa hat fat su de là col to putèl che te g’hai la vesta piena de fizze…”). Della faccia, rughe (Zerto che te sei ben tut enfizà…te gai anca le zate de galina vizim ai oci). Di altri oggetti che possono essere alterati (Chielo che m’ha ‘nfizzà ‘n sta maniera el giornale ‘pena comprà?).

FARSE ‘NA GHEBA – Fumare. Gheba in realtà vuol dire nebbia. Quindi per estensione anche fumo. “Esser ‘n ghebòm”: un fumatore incallito. “Oscia che gheba che ghè….averzè le finestre almem quando fumè”. Resta anche per nebbia: “Da Verona a Trent…’na gheba che te la taievi col sarlàt).

MACIA – Macchia. “Maciòm”, grande macchia. Sta anche per luogo dove di solito si trovano, sempre, tanti funghi. Ovviamente nessuno rivelerà mai ad altri il segreto. “Massì vegno a dirtelo a tì dove l’è la me macia de brise soto Vèl…”.

SANGIOT – Non sta per San Giotto. Singhiozzo. “’sa gat? Gò ‘l san…san…giòt….giòt oscia”. Diffidare delle cure drastiche. “Vei chi che te dago ‘na paca sula schèna….”. Meglio il classico bicchiere d’acqua. Trattenendo il respiro. Non per sempre…

SGHIRAMELA – Non è come si potrebbe pensare un sistema, magari tipico della Val di Non, per “girare” le mele prima di inserirle nella confezione. Sta per capriola, capitombolo. “’Tento a far le sghiramèle che ‘sto prà le pièm de boazze (vedi voce seguente)”

BOAZZA – Sterco di bue (da bò e ‘azz, esclamazione tipica di quando lo si pesta). Ma anche di vacca. L’odore è lo stesso. La forma (sorta di focaccia scura con contorni frastagliati) pure. Difficile scorgerla se nel frattempo l’erba è cresciuta. Anche perché tende a mimetizzarsi nel terreno. Ottima come concime (vedi voce seguente).

BUSA DELA GRASSA – Vasca dove sono conferiti liquami della stalla e ovviamente anche le boazze (vedi voce sopra). Una sorta di antesignana raccolta dell’umido collocata di solito all’interno della proprietà dell’allevatore. Finirci dentro implica – a parte la situazione decisamente schifosa – almeno una decina di docce per poter tornare a frequentare i propri simili.

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 DESGOSAR – Anche in questo caso non bisogna affidarsi a quello che potrebbe essere un significato alla lettera. Non si tratta di smettere di “gosàr”, di gridare. O di abbassare comunque il tono della voce. Anche perché “engosà” sta per ingozzato. Quindi troppo pieno. Quindi ancora intasato. O dal troppo cibo ingurgitato. Oppure dal solito pannolino finito nel water. Ecco allora che – se la situazione non si risolve con il famoso idraulico liquido – bisogna far intervenire l’idraulico solido, quello in carne ed ossa. Se non addirittura una ditta specializzata in spurghi. “La prosima volta se trovo quel che ha engosà el cesso…el metò denter co la testa ‘n zò e ‘l dropo come ‘spirapolver”.

BALOT – Sasso. Le dimensioni sono fissate da accrescitivi o diminutivi: balotòn, balotìn. Diverso invece “bala”. Ubriachura. “Ho fàt ‘n balòm che me pareva d’averghe adòs tute le simie de l’Africa, diaolporco…”. “Bala” sta anche per menzogna, bugia. E per palla. “Dàla quela bala, dàla quela bala…te me fai propri nar zò le bale…e dala quela bala, no ‘l vedit el to compagn libero? Credit de esser Balotelli?”

EN SENTON – Seduto. Si usa anche per i progressi del neonato. “Ah no ‘l va pu a gatòm sat, adès ‘l se mete anche ‘n sentòn”. Diffidare di chi ci accoglie in una casa dove è in corso un trasloco e dice: “Sèntete pur dove te voi…” E non c’è nemmeno uno scatolone dove appoggiare il sedere.

GIARA – Ghiaia. Per distinguerla dal pirandelliano contenitore di olio si può usare anche “giera”. “Gierìn” invece è il ghiaino. Frequente nei viali dei cimiteri. “’n do sèt stà che te m’hai portà denter en casa en sach de gierìn co le scarpe…e netarle per tera davanti ala porta prima no ah?”

RUZEN – Arrugginito. Dà anche l’idea, nel suono s’intende, di rozzo, grezzo. “Ma no vèdit che quel cortèl l’è rùzen? Vot taiar la luganega con quel e ciaparte su el tetano?” Poi l’alibi – falso – di chi fa abuso di alcol. “L’acqua la smarzìs i canài e la ‘nruzenìs el fèr”.

SCORLAR NEL MANECH – Essere matto. Tocco. Come se il cervello insomma avesse pochi neuroni e quindi troppo spazio nella scatola cranica. Si usa dare una spiegazione al fatto: “L’è stà nmanegà vèrt”. Riferito al manico di un attrezzo in ferro. Perché è stato utilizzato un tipo di legno non ben stagionato. Magari appena tagliato. Che seccandosi, diminuisce di volume e quindi appunto…

BELA BRAURA SPUZAR CO LE BRAGHE PIENE – Va da sé che in questo caso non si fa riferimento a soldi nelle tasche. Anche perché pecunia non olet, il denaro non puzza. Quando si gioca a carte questo è un modo per sfottere chi ha vinto facile avendo in mano tutte le carte buone. Dato e non concesso che non ne abbia nascosto qualcuna nei pantaloni.

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REBUF – Non è un re buffo. Diciamo che si tratta di capelli scompigliati. Difficile peraltro, con le acconciature di moda adesso, fare questo tipo di distinzione. “’Sa hat fat stanot che te sei tut rebùf?” Tipico del gatto quando è arruffato (non si dice rubuffato).

DOIA – Doglia. Dolore. Ma nel dialetto trentino ci si riferisce di solito a polmonite. “Vei denter valà che co ‘sto frèt, en maneghe corte, te te ciapi su ‘na doia…”.

NE’ TRE’ NE’ SEI – Modello matematico che esclude quasi tutte le probabilità. In pratica l’annullamento a priori di qualsiasi teoria, ipotesi, causa. “L’è vegnù lì e senza dir né tre né sei el m’ha molà ‘n scopelòm”.

TE DEVI MAGNARNE ANCOR POLENTA – Rivolto a giovani che evidentemente devono ancora maturare esperienza. Frase che si presta nell’epoca moderna anche a contestazioni: “Va bèm, ma no voi miga ‘rivàr ai to passi che zamai te gai la pelagra…”.

BIS DEL LUFAM – Mostro mitologico. Che avrebbe terrorizzato le popolazioni di Linfano, striscia di terra del comune di Arco che arriva fino al lago di Arco, ad est del Monte Brione. Una sorta di drago cinese. Avvolto nel mistero. Come lo storione gigante che sarebbe stato avvistato di recente nel lago di Garda. “Coselo che t’hai vist? ‘sì grant e lonch? Sarà stà el bis del Lufàm…”

GNECH – Molliccio. Gracile. Quasi schifoso al tatto. Come quando si prende in mano una medusa per capirci. Attenzione a non usarlo per definire gnocchi troppo cotti: “L’è gnech ‘sto gnòch, massa gnèch…quant l’hat lassà nàr ne l’acqua sul foch?”

STRUCA STRUCA… – Stringi stringi. Invito alla sintesi. Anche: “Taia valà…”. Oppure: “Prediche corte e luganeghe longhe”. Anche una sorta di consuntivo. Veloce. Drastico. Col quale di solito si definisce l’inconcludenza di una lunga conversazione.

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‘STI ANI ANTICHI, QUANDO I COPEVA I PIOCI COI PICHI – I casi sono due: o nell’antichità le pulci erano molto più grosse di quelle attuali. Oppure chi usava il piccone aveva grande abilità e soprattutto una buona mira. In ogni caso adesso ci sono altri sistemi per liberarsi di questi fastidiosi parassiti. E non è il caso di ricorrere a questi arcaici metodi soprattutto quando le pulci sono nei capelli.

NAR CHE NARE – Doppia velocità. Andale andale, come diceva un noto personaggio dei cartoni animati (Speedy Gonzales). “Nar che nare se no caro mio no ‘rivem en temp al matrimoni…”. Anche: “Vara che nar che nare…te verai che el passa via anca el Checo Moser”.

SCHENA DRITA – A differenza della italica “schiena dritta” qui si parla di inazione. Cioè proprio il dolce far niente, star lì in piedi indifferente al lavoro da fare. Insomma, non è che quella posizione costituisca un’autonomia di pensiero da gruppi di pressione. Tutt’altro. Proprio non c’èalcuna reazione di fronte ad alcun invito a fare una mano.

TANANAI – Incrocio – anche fonetico – tra canaglia e tenaglia. Laddove la tenaglia serve per stringere al collo la persona che di solito si fida del tananai. Si usa anche in tono scherzoso: “Te sei propri en tananai”. Ma meglio dare del “tananai” a chi non sa proprio cosa vuol dire.

ESSER EN PANZA – Nel grembo, sotto tutela. Sotto l’ala protettrice di qualcuno. Tipico in una famiglia numerosa. Laddove magari il figlio più piccolo “l’è ‘n panza ala mama”. Non solo in senso figurato se si tratta di ultimogenito partorito a tarda età. “Quel lì? No ‘l fa gnent. Ma l’è ‘n panza al diretòr”.

METER SU DA LAVAR ZO – Ammassare i piatti e le posate prima di lavarli. Un su e giù che poi continua nella fase del risciacquo prima di asciugare il tutto. Anche se c’è la lavastoviglie bisogna comunque prima accatastare piatti e padelle sporche da qualche parte. Per l’inevitabile operazione preliminare. “Meti su da lavar zo e taca via che dopo semai te dago na mam…”.

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SVERGOL – Storto, sghembo. Praticamente curvo come una sorta di “virgola” tutt’altro che regolare. E’ anche il risultato di azione violenta: “Ah ma ghe n’ho dat tante che po’ l’è nà via svèrgol”. O di attacco verbale: “Dopo tute quel che el s’ha sentì l’èra zamai svèrgol”.

BINDELA – Nessun riferimento alla sequela Bin Laden. Né a maggior ragione al compianto Mandela. Macchina per tagliare il legname. Detta anche “circolare”. Può essere su piano o con lama che circola in verticale lungo supporti a forma circolare, allungata però a forma di uovo. Bisogna fare sempre attenzione al pezzo di legno che dovesse incastrarsi nella lama: mai forzarne il taglio. “Te s’è rot la motosega? Portème su quei travi da mì che dropèm la bindèla…”.

VERGOT – Qualcosa. Non deriva da very good. Anche perché tra l’altro non è detto che sia sempre un qualcosa di positivo. Vergùm invece sta per qualcuno. Non di gomma.Ma in carne ed ossa. “Hàt trovà vergùm alora che vegna a ‘iurane per le vandema?” – “Gàt vergòt per farme digerir el smacafàm?”

SOM CIAPA’ – Sono preso da un impegno, da un lavoro. Prigioniero dello stress. Frequente: “Som ciapà fim sòra i cavèi…vei n’altra volta valà”. “I l’ha ciapà”: nel ciclismo quando il gruppo riprende il fuggitivo. In giudiziaria: arresto di un latitante. “M’avè propri ciapà stavolta”: riconoscimento, da parte dell’evaso, della brillante operazione delle forze dell’ordine. “Ciàpa e porta a cà”: prendi e va via prima che ci ripensi. “’taliani ciapai col sciòp”: l’irrisolta questione della toponomastica altoatesina.

LECHET – Vizio. Compulsione. Tipo lecca lecca. E non si riesce a smettere. “Zamài l’ha ciapà el lechèt de vegnir semper chi a farse ofrir el cafè….ma quel lì galò na casa, na famèa?”. Anche passione: “El gà el lechèt per la chitara…ma oscia, sonar a l’una de not no…”.

BEM BEM – Atto consolatorio (ebbene, suvvia). Chiusura di una conversazione (Bem bem dai che devo nar a meter su zena). Anche: “Tutmàl”. Per nonostante tutto. Non si dice mai “tutbèm”, chissà perché questa carenza nel lessico trentino.

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NO ESSER SU LA SOA – Non star bene. Non essere a posto, in diretto contatto col proprio interiore. O – nel caso di mal di pancia – con le proprie….interiora. “Ah, ancoi no sòm su la mia…”. Si usa anche: “No esser per la quale” (cfr la famosa canzone del varietà del sabato: per cui la quale, cicale, cicale, cicale).

PERO DA DRENA – Personaggio che – dicono – è realmente esistito. Usato come minaccia (Vara che se vei zò el Pero da Drena…). O paragone: Ma chi credit de esser, el Pero da Drena?

SCORLANDON – Bighellone. Chi va in giro con le mani a penzoloni. Senza mèta. Senza precisi impegni. Insomma senza fare alcunchè di utile. E a mani vuote che, ruotando attorno al corpo come pale di mulino, indicano anche la nullatenenza. “E laorar enveze che nar tut el dì a scorlandòn?”

SOMENA SBANZEGHE – La sbànzega era la moneta d’argento di alcuni stati europei, soprattutto di area linguistica tedesca: Austria, Germania, Svizzera. In tedesco infatti si dice Zwanziger. Si dice di chi in realrà e un avaro. Tutt’altro che disposto insomma a seminare per strada i propri soldi.

MOLAR ‘N GAROFOL – Dare un pugno. Richiama la “forma” del garofano meglio se con i petali ancora chiusi. Non è, nel modo più assoluto, come ricevere un fiore. “Vòt n’altro garofòl o te ba sta questo?”

METO ZO – Chiusura di una conversazione telefonica in uso soprattutto quando non c’erano né i telefonini, né i cordless. E magari l’impianto fisso – solitamente attaccato al muro – era in duplex, cioè in comune con altri utenti. “Sì ho capì oscia, meto zò…elamadona la pago anca mi la bolèta”.

NAS LEVA’ – Non c’entra il nucleo antisofisticazioni dei carabinieri. Parliamo di naso rivolto all’insù. Quindi in senso figurato e non generalizzato s’intende, di schizzinoso. “Quel lì? El gà semper el nas levà…làsselo nel so brodo…”.

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RAIS – Non è un capo, un dittatore arabo. Si tratta delle radici. Non solo di alberi, di ortaggi, ma anche per estensione di una comunità: tradizioni, usi, costumi. Il dialetto trentino appunto. “T’avevo dit de tòr su do foie de ‘salata, no de cavarghe le raìs…che ades no buta pu gnent”.

PETOLA – A differenza del peto (pèt) non è gassosa ma solida, sia pure di ridotte dimensioni: è la caccola insomma. Quella che si dovrebbe tirar fuori dal naso con un fazzoletto. (Hat finì de tirarte via le petòle dal nàs? Hat finì i scavi?”). Dicesi anche di “intoppi” nei fili di lana. Si definisce “pètola” chi tende a rallentare il lavoro, magari in nome del perfezionismo. Ma senza risultati migliori: Vaà, valà pètola che a ‘storia mi avria zamai finì”.

ZENZIVE – Gengive. Verrebbe da pensare che la “zeta” abbia, in dialetto, sostiotuito la “g” dopo un problema al cavo orale. Non serve in questi casi “el slavadènt” (manrovescio). Anzi, peggiora le cose.

STIZA – Stizza? Nervoso? Situazione di insofferenza? No, sta per “mettere legna sul fuoco”. Meglio, “stiza daì, meteghe do stèle (pezzi di legno) nela fornela se te voi far ‘sta benedeta polenta”.

TIRA PU’ ‘N PEL DE … CHE EN CAR DE BOI – Lasciamo ovviamente all’immaginazione, alle fantasie (sessuali) completare la frase nella parte in sospeso. Di solito si dice di uomini ai quali l’amore, l’attrazione (meglio questo termine… attrarre….tirare a sé) fa fare di tutto. Più degli animali da tiro (Bove’s Power?). Che però possono avere comunque la meglio….dopo. Soprattutto se il paragone si sposta sulle corna.

AUF CHE L’E’ MORGHEN – Dal tedesco, ovviamente. “Su che è già domani…”. Tipica sveglia trentina. Non sempre gradita. Da non dire a chi di cognome fa proprio Morghen: sarebbe come dire: svegliati che sei Rossi, svegliati che sei Bianchi”.

A L’AUGEN – Altra derivazione dal tedesco. Traducibile con “attenzione, occhio”. Ocio al cagn che ho butà ‘pena fora el diserbante”. Sotto naja, negli anni settanta (e anche prima) metteva sul chi va là le reclute sistematicamente vittime del nonnismo. A l’augen….che se no trovo el cubo fat come se deve…”.

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FOCOL – Non ha niente a che vedere con il fuoco. Si tratta infatti della roncola. Era frequente un tempo vedere agricoltori andare a piedi verso le loro campagne con il fòcol attaccato alla cintura. Un po’ come l’artigiano. Che ha sempre con sé il metro, la cassetta degli attrezzi. E il medico con lo stetoscopio attorno al collo. Va da sé che adesso andare in giro “armati” in quella maniera potrebbe comportare dei guai. “L’è stà fat col fòcol”: lavoro eseguito in modo grossolano.

RANTEGA – Raucedine. Basta in fondo dire “gò la ràntega” per far capire immediatamente, foneticamente quale problema si ha alla gola. Inevitabile il consiglio: “Tòte zò en cuciàr de mèl”.

SGUAZERA – Contenitore delle immondizie. Dove si può “sgùar” (svuotare) il rifiuto domestico. “’n do hat mès quela carta del dotòr? No te l’avrai miga butada nela sguzèra…”

QUADREL – Altro termine che può trarre in inganno se tradotto alla lettera. Non è un piccolo quadro ma il mattone. “Alòra me portìt su ‘sti quadrèi o stènte chì a vardarne tuta la giornada?”.

EN MIGOL – Un po’. Mìgola sta per briciola. Migolòta è proprio una briciola piccola. Migolìn è meno di mìgol quindi proprio poco. “Dame ‘n mìgol de farina…màssa oscia…”. Come parametro, sempre per definire una minima quantità, va bene anche “’n pèl”. “Dàme ‘n pel de zùcher….màssa oscia…”.

‘SA EL? – Nulla a che fare con venti sahariani. Cos’è? Anche: “’sa èlo?”. Diverso da “chi elo?” riferito a persona. “’sa elo? No, scùseme, ‘dès te me spieghi cossa che l’è sto coso…t’avèvo dit che me serviva ‘n martèl”.

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L’E’ DOLZ DE SAL – Si usa per dire che a qualcosa (pietanza) o qualcuno (in testa) manca sale. Perché è ovvio che la carenza di cloruro di sodio sposta – chimicamente – la bilancia verso lo zucchero. O comunque verso sapori anomali: “No l’sa de gnent, l’è dolz de sal”.

TE SEI N’ARGAGN – Cos’è l’argagn? Sta per arnese, congegno, ma anche per mobile in disuso. Dicesi di persona che si lascia andare, una macchietta, un qualcosa insomma che assomiglia ad un oggetto non ben definito. Uguale: “Te sei n’articol”.

ZIDIOS – Rende molto bene l’idea di un tipo stizzoso. Non si usa solo per i bambini. Si associa a serpenti velenosi (Zidiòs come ‘n biss). O alla conseguenza di una patologia (El gà la fèver, l’è zidiòs e ‘l zavària: ha la febbre è nervoso e straparla).

BLAGA – Si dice di chi si vanta oltremodo. Sbruffone. Dal verbo blagàr, cioè esagerare. “Vara, vara, ‘riva el solito blàga co la giaca firmàda…ma se l’ho vist che al mercà i la vende per vinti euri…”.

CUL PORTA BOTA – Diagnosi (e prognosi) di una forte contusione sui glutei. Si usa per sdrammatizzare, per non destare preoccupazione in chi magari, per colpa di quella botta, si è procurato in realtà la frattura del coccige. Il fatto che il sedere sia “in carne” può certamente aiutare ad assorbire i colpi. Dipende però dalla dinamica e dalla entità della lesione (cfr caduta su un cespuglio di rovi, sullo spigolo di un muretto, ecc.).

LADRO – In effetti si tratta proprio dello strumento usato per rubare qualcosa da una parte. In questo caso il vino da una botte. Per effetto dei famosi vasi comunicanti questo tubo di gomma, aspirato fino a sentire il vino in bocca, serve per riempire, in cantina, le bottiglie. “Me par che te ciuci massa con quel ladro…”.

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EMBIBIAR SU UN – Non è escluso, anzi, quasi sicuro, che il verbo derivi da Bibbia. In pratica si tratta di raccontarla così bene da essere creduti. Quindi abbindolare qualcuno, facendogli passare per somma verità quello che di verità ha solo l’apparente, forbito, modo di essere illustrato. Attenti a non sbagliare però i numeri dei salmi, pardon, a non contraddirvi. La reazione: “Ah te volevi embibiarme…ma và a contarghe le to monae a qualchedun alter valà”.

FARGHE LA PONTA I BIGOI – Lavorare di fino, troppo di fino. E per scopi quantomeno dubbi quanto ad utilità pratica. Perché lavorare uno per uno lo spaghetto col coltellino per fare a ciascuno la punta oltre che essere impresa laboriosa alla fin fine appunto non è che compensi la mancanza di ruvidezza della pasta e il suo “incontro” con il ragù. “Dai oscia no sta a farghe la ponta ai bigoi…dame na mam a spostar ‘sta credenza enveze che l’è zà mezdì”.

AVERGHE EL MAGON – Angoscia. Magen in tedesco vuol dire stomaco. Di qui qualcosa che colpisce direttamente l’interiore. Non solo in senso figurato. Perché di solito un grande dispiacere fa venir mal di pancia. Depressione. Stato psicofisico negativo. “Me vei ancora el magon sol a pensarghe…portarme via la macchina, scassarmela e robarme el Cd dei Pooh…”.

‘N PIATIM DE AFARI TOI – Non si trova sui menù. E’ invece il chiaro invito – a chi viola la privacy – a farsi gli affari suoi. Non induca in errore il diminutivo (piattino). Si usa far riferimento al contenutore più piccolo proprio per sottolineare il divario tra la violazione subita e quella che succederebbe all’altro in caso contrario. “Ogni tant, magari, pensar a le ‘so miserie ah….”.

PARLA COME TE MAGNI – Ci si rivolge così a chi pur avendo grandi problemi a parlare correttamente in italiano cerca di sopprimere – con effetti ilari  a volte – il proprio dialetto. Un po’ come chi al pranzo di matrimonio ad esempio si trova in difficoltà con le varie posate. Mentre a casa di solito mangia tutto nello stesso piatto, con una forchetta e un coltello per tutte le portate. “No, è che l’avria deto dopo disnare che qualcheduni ha sconduto i pironi d’arzento in mezo ai mantini”.

S’E’ ROT LA ZOSTA – Zòsta è la molla. Non la sosta. Si è comunque costretti a volte alla sosta quando nel motore dell’auto si rompe una zosta. Come bisogna provvedere alla riparazione se la zòsta smette di funzionare in altri congegni. “Ma dime ti, l’ho ‘pena cambiada ‘sta zòsta….no i fa pu le zoste che dura pu de ‘n mes”.

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TIRA EL FIA’ – Respira. Riprenditi. Rivolto a chi arriva di corsa, ansimando. Si dice anche a chi è troppo preso da un lavoro, da un impegno. Con l’aggiunta: “…che nesun te core drio”.

… E PO’ TASO – Di solito interrompe, proprio sul più bello, un discorso o meglio l’accenno ad una serie di sospetti su altri, sempre assenti ovviamente in quel momento. “…e po’ taso, valà”, rende ancora più misterioso quello che ci sarebbe ancora da dire. Come il seguente: “… e po’ no stà farme dir pù gnent, che l’è meio”.

BEL MISTER – Occhio a quello che non sempre è proprio un complimento per qualcosa che si è fatto. Soprattutto dipende dall’espressione facciale di chi lo esterna. Se poi c’è una sottolineatura (bravo, ma bravo t’hai propri fat en bel mistèr) è chiaro che si tratta di una critica. Che sfocia inevitabilmente nella seguente esclamazione: “Bel mister, ades ‘sa fente? Magari te voleressi anca dei soldi per quel che te m’ha mes ensèma”.

TE DAGO NA REMENADA – Più che di uno scrollone si tratta di un vero e proprio pestaggio. Nel senso che dopo la minaccia arriveranno botte un po’ dappertutto al malcapitato. Costretto poi a “remenarse” (rigirarsi) nel letto per le contusioni e le ferite riportate. Consigliabile – sempre – in questi casi la fuga. A tutta velocità. A scanso di equivoci. E lontano dalla potenziale fonte di percosse.

FAR ZO’ LE MANZE – Non c’entra il macellaio. Perché le manze da “trattare” non sono bovini dai quali ricavare carne in varie pezzature. Le manze sono le pannocchie. Quindi si tratta di spannocchiare, togliere le foglie secche della pannocchia e “scartozzàr”, scartocciare, tirar via i chicchi.

ESSER BONORIF – Qui sono messi insieme due termini: bon e ora, buon’ora. Insomma il bonorif è un tipo mattiniero. “’sa fat Bepi a st’ora….te sei bem bonorif ancoi….” – Ah l’è colpa dela sposa, la m’ha butà for de cà”.

 

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MA TI CHI VEGNIRESSIT A ESSER ? – (proposta da Alessandro Tonelli) – Indagine che non riguarda i dati personali di chi si ha di fronte. Piuttosto la parentela in loco. E quindi l’esatta collocazione del residente in un mosaico a volte complesso. Esempio: “Mi vegniria a esser el neò del fradèl del Toni Bamba, quel che l’ha sposà la fiola del Bepi, cugnà del Giani Buta, che l’abita zo ale casòte nove”. Non è raro che la domanda sia preceduta da “No so ‘n do meterte…”. Insomma nasce dal sospetto – quasi sempre fondato – che non ci si sia mai incontrati prima.

TUTI BONI A TRAR EN TERA UN CHE CAGA – (proposta da Alessandro Tonelli) Sembrerebbe il plagio di un noto spot televisivo (Ti piace vincere facile…). In realtà è una frase coniata ben prima di quella reclame. Si usa per definire un’azione semplice. Oltre che vigliacca, dato che chi è impegnato nella delicata operazione è in posizione passiva. E basta appunto un dito per farlo cadere. Con scontate conseguenze. Ma anche reazioni da parte del malcapitato.

SE TE VOI SAVER LA VERITA’ VA DAL PU PICOL DELA CA’ – Beata (e maledetta a volte) innocenza infantile. Laddove al piccolo scappa sempre qualcosa che non doveva assolutamente trapelare dalle mura domestiche. Esempio: “El papà ieri el ghe vardeva le mudande ala tata…”. Inutile aggiungere che a scanso di equivoci e problemi di ogni tipo è meglio evitare di parlare di cose riservate in presenza dei bambini.

HAT MAGNA’ STROPACUI? – Ci si riferisce a bacche selvatiche che hanno – di qui la definizione dialettale – potere astringente. La conseguenza è un fastidioso gonfiore di stomaco, il blocco intestinale. Il rimedio? Dolce euchessina per i bambini. Purga (o clistere) per gli adulti. Per analogia la domanda potrebbe anche riguardare il significato di strane smorfie. O un inspiegabile mutismo: “dai dime qualcos oscia…”.

FAR NA RESTA – Chi gioca a bocce sa di cosa si tratta: un colpo, tutt’altro che facile, con il quale si colpisce la boccia avversaria. Mentre la propria (boccia) andrà proprio al posto di quella centrata e allontanata dalla zona punti. Vuol dire però anche buttar giù d’un fiato un bicchiere. Con un colpo solo. Attenzione se lo si fa con i superalcolici: la boccia potrebbe risalire di colpo fino al naso e agli occhi.

MOCHELA – Da mòcol, moccolo della candela. Insomma l’invito – perentorio – è quello di spegnere conversazione o azione (fastidiosa) proprio come si fa con la candela. Di solito la richiesta riguarda anche il fumo… (t’ho dit de mocarla lì del tut).

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MA SE L’HO VIST EN GIRO L’ALTER DI’ – Sorpresa, stupore, sgomento. Di solito di fronte alla bacheca dei necrologi. Primi commenti: “Ma no ‘l me parea malà, sì, bianch come na pezza, ma come so solìt”. Si usa anche apprendendo dal giornale dell’arresto di qualcuno del paese. O comunque conosciuto. Due le reazioni in questo caso: “Ma no pol esser lù…”. Oppure: “Se i l’ha mess denter qualcos de brut l’avrà combinà”.

DAMEN DOI, DE NUMER – Dal fruttivendolo, in pasticceria, ovunque il prodotto sia in vendita a pezzi. Avvertenza per evitare di doverne pagare poi una quantità esagerata, soprattutto per il costo finale. Può succedere poi che la richiesta non sia compresa nella foga del mercato. E allora: “T’avevo dit doi de numer, oscia…sa m’en faga de tuta sta roba…”. Oppure: “Sì ma no do ravioi…magnem en quatro”.

NO ‘L SA NE’ DE ORA NE’ DE VENT – Modo di dire suggerito alla redazione di “Conosser” da Giancarlo Angelini, giornalista, “lupo di lago”. Ora e vent sono venti che soffiano esattamente in senso contrario sul lago di Garda. In pratica si tratta di definire qualcuno o qualcosa che non ha una ben definita caratteristica. Insomma che non sa di niente. Ed è indeciso se andare da nord a sud o da sud a nord. Come i due venti gardesani.

MEIO FAR ENVIDIA CHE PECA’ – Meglio far invidia che compassione. Si dice a qualcuno che evidentemente dopo anni di risparmi finalmente è riuscito a farsi il Suv. Con eloquenti commenti silenziosi, fatti di sguardi più che di parole, da parte dei vicini. Morsi dall’invidia, appunto. Ma meglio questo che la commiserazione da parte degli stessi se lo stesso individuo gira ancora con la “Duna”.

NO ‘NZOLARGHE GNANCA LE SCARPE A QUALCHEDUN – Impossibile avere l’onore di allacciare le scarpe a qualcuno di importante, inarrivabile?  Sì, proprio perché LUI, il potente, non può fare questa concessione a chi non fa parte della sua casta. In realtà la presa di distanza ha come parametro più che il censo o lo stato nobiliare, borghese, l’intelligenza o la capacità di svolgere una professione, di praticare uno sport.  Abilità in senso lato. E divario più o meno profondo e largo tra l’uno e l’altro.

STAR LI’ TRA L’US E l’AS – Restar lì tra l’uscio e l’asse. La porta e i cardini. In dialetto si gioca sulla stessa consonante (esse) che preceduta da due vocaboli diversi (u, a) in fondo dà proprio l’idea dell’indecisione. Un po’ come il “nente o stente?” (andiamo o restiamo?). Inevitabile il richiamo ad una decisione da parte del padrone di casa: “Fora o denter, che ghè giro d’aria oscia”.

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SDERENA’ – Richiama efficacemente gli effetti del deragliamento. Ma non si riferisce ad un treno uscito dai binari bensì ad individuo stanco al punto di non riuscire a completare un percorso. Sia fisico che mentale, tipo un ragionamento. “Ah som propri sderenà stasera…te savessi cossa i m’ha fat far”. “E su e zò co ‘sti sachi de cemento…som sderenà. Dame ‘n bianco valà che me tiro su”.

L’E’ NADA LA GAZA… – Occasione perduta. La gazza (ladra, specializzata nel mordi e fuggi in questo caso) insomma è fuggita verso altri lidi proprio mentre se ne stava parlando. Può anche essere la corriera, un treno, l’effetto del ritardo ad un appuntamento importante. L’è “zamai” nada la gaza…. Laddove “zamai” è rafforzativo.

SGIONFABOZE – Si dice di chi è attaccato alla bottiglia. Alcolista compulsivo. Ma anche di chi racconta cose che non stanno né in cielo, né in terra, tantomeno in una bottiglia ormai vuota che a quel punto si può solo gonfiare di aria. “Chi el te l’ha dit? Ah quel lì l’è ‘n sgionfaboze, no ‘sta crederghe…”.

FAMA’ COME ‘N LUZ – Affamato come un luccio. Da qui anche “luzia” per fame insaziabile. Da non confondere con santa Luzia (santa Lucia) che invece propone il 13 dicembre ai bambini giocattoli (non commestibili) e dolci (vara che te fa mal massa caramele).

REPEZADA – Riparazione non a regola d’arte. Aggiunta di un pezzo non compatibile con una determinata struttura architettonica. Tentativo di bricolage che poi avrà bisogno di intervento di sistemazione (lassa star valà che ciamo el Gino, lassa star per carità). Pezada è anche una pedata. Quindi per analogia repezada potrebbe anche essere intesa come opera fatta con i piedi più che secondo le istruzioni dettate dal cervello.

DAME NA MAM CHE TE DAGO NA ZATA – Intreccio tra umanità e mondo animale? In realtà è una sorta di mutuo soccorso però su livelli diversi. Vale più l’aiuto concretizzato da una mano o da una zampa al lavoro? Più verosimile che sia l’ammissione di disparità tra quello che si offre in cambio di un sostegno. Ma le interpretazioni sono parecchie. Tutte ancora in fase di elaborazione da parte degli esperti. Ortopedici e veterinari.

 

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SCALDACOLA – Dicesi di individuo che riscaldando la colla provoca evidentemente una reazione non solo chimica quanto inappropriata al contesto. Accendendo una polemica. Coinvolgendo altri, tutti “incollati” a quel punto oltre  ustionati. Attenzione agli incendi indomabili. “Zerto che sei bem en scaldacola… vara che casim è vegnù fora: date na calmada valà”.

TRAR SASSI NEL LACH – Tipicamente gardesano. Rivano in particolare. “Ancoi se ciava tuti, vago a trar sassi nel lach”. Isolamento. Azione inutile in sé quanto benefica per sfuggire allo stress. L’invito a “trar sassi nel lach” vale anche come “mandare a quel paese” qualcuno. Pur di toglierselo di torno. Altro significato: rassegnazione del disoccupato. Meditazione innocua. Sfogo. “n do elo nà el Renato? Ah, l’era for de testa, el sarà nà a trar sassi nel lach…”.

GH’E’ DEN I FITALINI – Casa in affitto, occupata. Ma di solito l’espressione si usa per frutta “abitata” da vermi o affini. Evidentemente morosi e quindi poco graditi dal locatore. Per gli agenti immobiliari: avviso di cortesia se l’alloggio è stato messo sul mercato. “El varda che i gà dent ancora tut…e i è anca malmostosi”.

AVER CARGA’ STORT E NAR A ONDE – Chiaramente l’immagine richiamata è quella di un mezzo di trasporto sul quale il carico è stato sistemato in maniera sbagliata e quindi a rischio di caduta. Si usa per segnalare un ubriaco e il suo inconfondibile modo di caracollare dopo l’operazione – appunto, il carico – di riempimento del serbatoio. “Vara, vara no ‘l stà pu ‘n pè….el casca, no, sì che ‘l casca”.

A L’ALBI – Non è affatto, come nella lirica, l’appuntamento con il successo (All’alba vinceròòò). Albi è il trogolo del maiale. Quindi si manda qualcuno all’albi o si afferma che è ormai all’albi ad esempio dopo un rutto che sconvolge un pranzo. Peggio se al ristorante. Se oltre al rutto c’è anche qualche altro sfiato del gas vuol proprio dire che il soggetto in questione più che del piatto e delle posate avrebbe bisogno di grufolare all’aria aperta. Meglio se nel pantano. “Scusa se tel domando neh, ma to marì falo così anca a casa quando ve sentè a magnar?”

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DO ETI E DO DECA, LASSO? – Succedeva nelle botteghe di alimentari di paese. Ma – dicono – succede anche adesso nel reparto gastronomia dei supermercati. In pratica, a fronte della richiesta di due ettogrammi di affettato, formaggio, pomodorini sott’olio, ecc. la bilancia “sballa” di due decagrammi. Si tratta allora di chiedere al consumatore il permesso di lasciare quei venti grammi in più … Se l’acquirente non è d’accordo l’addetto farà sempre e comunque una smorfia. Come dire: “elamadona no me som sbaglià po’ così tant…”. E penserà: “Che i te restà sul stomech quei do eti giusti…”. Diverso il caso della carne. Dove una fetta in più di filetto alza inevitabilmente (e di tanto) il prezzo. “La varda, ghe taio via do tre tocheti de grass… così la paga de men…” Decisamente da rifiutare proposte indecenti tipo: “La me n’aveva domandà tre eti? Oscia, taia e taia m’è vegnù fora en chilo, ‘sa fente? Ghe meto tut come se fussa carne per el spezatim ah?”

TE ME CAPISSI BEM… – In realtà la curiosità sulla comprensione di ciò che si è appena espresso è solo un pretesto per confermare la critica mossa ad una situazione, ad un soggetto terzo, assente durante la conversazione. Esempio: “L’è ‘na denter en cabina per provarse le braghe e ‘l gà lassà denter le mudande sporche….te me capissi bem”. Oppure: Gò dit, va a torme quatro ciopète. El m’è ‘rivà a cà con quatro chili de pam….te me capissi bem”.

E MI, E TI  E ‘l TONI, NAREM DALA … Incipit di una nota canzone popolare. Molto scurrile. Vietata ai minori di anni 18. Perché la destinazione del terzetto è una donna formosa con la quale consumare un atto sessuale di gruppo del quale poi vantarsi appunto cantandolo ai quattro venti. Di solito basta accennare “E mi, e ti e ‘l toni” per capirsi al volo su come andrà a finire la serata. Fa parte dell’album (datato) in cui ci sono altre canzoni del genere (Lo spazzacamim….le fa vedere il buco, il buco del camin. NIneta damela per carità… Do te vett o Marietina… A far l’amo en mez al prà….ecc.)

GO’ I DIAOLETI – I demoni, sia pure gerarchicamente inferiori a Satana,  non c’entrano. C’entra invece l’ipotermia. L’abbassamento repentino della temperatura corporea. Che provoca formicolìo agli arti (soprattutto mani e piedi), sintomo dell’incipiente congelamento.

DARSE NA PACA – Non è autolesionismo. Anzi, l’opposto. E cioè: atteggiamento narcisistico. Il soggetto farà vedere a tutti con apparente disinteresse la moto appena comperata, il vestito firmato, la ragazza con la quale esce da qualche giorno, l’ultimo modello di occhiali, del telefonino. Non sa che gli spettatori più o meno occasionali si divertono di fronte ad una scena da attori alle prime armi. E poi ci sarà sempre il provocatore: “Ma ‘n do l’hat tot, dai cinesi?”.

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– tra 16 e 18

 

NET COME ‘N POM – Pulito come una mela. Ovviamente si dà per scontato che il frutto non sia stato trattato con antiparassitari. E nel caso di frutta biologica che comunque non sia stato toccato da mani sporche. Si usa questo paragone anche per definire lo squattrinato. Laddove pulitissimo è il portafoglio.

SGALMERON – Si dice di un tipo rozzo. Da sgàlmera, calzatura (un tempo molto usata) con suola di legno e I tomaia di pelle. Chi usa le sgàlmere fa un rumore tipico: ta tanf to tonf, ton tanc. Molto lontano da una sinfonia, da una sequenza di note. Quindi foneticamente richiama appunto la persona che non ha molta grazia. Non solo nel camminare.

BAGOLON – Da bàgola. Ovvero escremento di pecora, di capra, di coniglio, raffica di “palline” per l’esattezza. Proprio per indicare il modo di parlare, irrefrenabile, di qualcuno. Definizione che può interessare oltre che la forma anche la sostanza ovviamente. Sempre assimilabile al paragone bucolico cui si accennava. “El m’ha dat na stracada de bale quel bagolòn…”

MAT COME NA ZORLA – Tanti – anche tra i trentini – confondono la zòrla con la molla. In realtà la zòrla (meglio sarebbe dire el zòrlo) è il maggiolino. Ovvero un insetto, un coleottero. Che ha un modo di volare strano, schizofrenico, irregolare insomma.

TE DAGO ‘N SCOPELON CHE ‘l MUR TE ‘N DA N’ALTRO – Minaccia di violenza ad altissimo potenziale. Unp scapaccione come la racchetta che si usa nello squash. E gli stessi effetti. Oltre che “scopelòn” si può usare anche “sberlòn”, forte sberla. Se nel frattempo non si calmano gli animi il rischio è sempre quello della rissa. Laddove il muro, si sa, non potrà far da testimone su chi ha cominciato prima.

NO L’E’ QUELA SO MARE – Dichiarazione di illegittimità. Con convinzione, anche senza prove del Dna. Si dice di qualcosa che non c’entra con qualcos’altro. “No l’è quel el conceto, no l’è quela so mare…no l’è quel el so snol (maniglia, chiave di apertura in senso lato)”. Chiaramente “no l’è quel so pare” è usato solo in cause giudiziarie sulla paternità. Ma “mater semper certa est…” Tranne, appunto, se non c’entra proprio in un contesto.

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ESSERE DE ‘L GAT – Occhio, perché il famoso aforisma di Trapattoni (non dire gatto finchè non ce l’ha nel sacco) qui è decisamente capovolto nel significato. E’ il gatto che, metaforicamente, mette nel sacco, tiene in scacco il malcapitato. Che, come un topo, è a quel punto spacciato, senza alcuna possibilità di evitare le fauci di un destino buio. Resta solo un’amara, cupa, rassegnazione: Som nà a zercarmela…

GIUST AL VERS – E’ pronto. Magari per una fortunata (vedremo dopo per chi) coincidenza: l’è arivà giust al vers. Insomma è arrivato al momento giusto. Attenzione, dipende però a cosa serve l’incontro, il rendez-vous. E da quali pensieri soprattutto è preceduto (ah, se el me vei al vers…). Potrebbe trattarsi di un regolamento di conti. O di un aiuto insperato,  in zona Cesarini. Altro modo di dire: vegno stasera, en d’en vers o ne l’altro. Cioè in qualsiasi modo. Si scoprirà dopo quale.

MA SI’ DAMEN ‘N DE’ – Ipocrita risposta a chi offre da bere, di solito vino o superalcolici . Si tratta di dosare il versamento del liquido nel bicchiere (bicièr) o bicchierino (bicierìn) o in qualcosa di più grande (la famosa “candola”). Il dito (dè) starebbe per “’pena ‘pena” o “’na scianta”, vale a dire “poco poco neh”. Il più delle volte chi offre da bere prende sul serio il consiglio. E ne versa davvero poco, giusto l’altezza di un dito ovviamente in posizione orizzontale. Al che l’alcolisto non anonimo può rispondere con la battuta: “Sì, ho dit ‘n dè, ma alt de drio” (riferito al sostegno posteriore della bottiglia).

DAI, EL SE LASA – Dai, si lascia gustare (riferito a vini, bevande, cibo). Non è propriamente un complimento convinto. Precede ad esempio in enologia l’analisi del retrogusto. In realtà tante volte si vorrebbe dire “N’ho bevù e magnà de meio, ma pitost che do dei nei oci…”. Il risparmio, l’eliminazione dell’oggetto offre così il tempo per proseguire l’assaggio e magari mascherare espressioni facciali tutt’altro che in linea con quanto detto. Quasi sempre represso il giudizio negativo (“Elamadona…ma ‘l sa de tap”.

SCIOPETI – Certo, possono essere anche piccoli fucili giocattolo per bambini. Più facile però che il tappo (anzi, il bollino) rosso ce l’abbiano i ragazzini con il morbillo (el bocia no ‘l va a l’asilo: el gà i sciopèti). Nel senso che sul viso soprattutto si formano queste piccole pustole, indice di uno stato avanzato della classica patologia perlopiù di interesse pediatrico.

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HAT DORMI’ COL CUL DESQUERT? – La solita domanda retorica. Nel senso che chi la pone ha già qualcosa che va al di là del semplice indizio per esprimere un giudizio sul “modo” di dormire dell’interessato al quesito. E cioè: barba incolta, faccia stralunata, capelli che hanno atteso invano il pettine. Insomma, il tipo in questione mostra evidenti segni di una nottata insonne. Quanto alla mancanza di adeguata copertura delle parti intime il sorrisino dell’inquirente cela quasi sempre il riferimento a coiti notturni prolungati. E in particolare alla classica posizione del missionario.

TOR SU ‘L PE’ – Prendere su il piede. Ma non è un esercizio ginnico o meglio un numero da contorsionisti. Si riferisce, in Trentino, alla raccolta, di solito involontaria, del fondo del caffè da una tazzina, del fondo del vino da una bottiglia. In ogni caso qualcosa che doveva restare in fondo, ai piedi. Magari perché lasciata lì inavvertitamente da qualcuno. Reazioni frequenti: Barea, ma no hat cambià el filtro dela moka?

DAR NA MAN DE BIANCH – Semplicemente imbiancare. Anche se si usano altri colori (ho finì la tempera ocra propri a metà del plafòn de la sala, ‘cramento). Operazione che, nel “fai da te” (me som rangià) finisce sempre per costare di più (in materiali) e richiede giorni di lavoro per pulire. Espressione che può anche sottintendere una violenza fisica. Vara che te dago na man de bianch… Nel senso di rendere cadaverico il colore della pelle dell’aggredito. Non solo per la paura.

SEGNEMEL SU VALA’ – Non è una cambiale né un pagherò, ma la disponibilità a certificare il proprio debito su un libro che l’esercente, il commerciante, il fornitore tiene vicino alla cassa. La speranza, recondita, è quella che il vidimatore prima o poi si dimentichi di quell’appunto (nome e cognome del debitore , casuale, cifra in sospeso). Quando la somma “esposta” raggiunge valori importanti non resta che la speranza in una vincita al lotto o in un incendio (quasi sempre doloso). “Ma sat che no ‘l vedo pu en giro? El me resta squasi domili euri diaolporco…”.

FAR MUSINA – Musina sta per salvadanaio. Negli anni sessanta e settanta questo tipo di contenitore per il risparmio di denaro veniva consegnato dalle Casse Rurali a tutti gli studenti. Quei libretti al portatore fanno parte dei conti dormienti che tanti problemi di autocertificazione hanno creato nei mesi scorsi. Laddove si è scoperto di avere in deposito cinquantacinque lire dal 1964. Interessi vanificati ovviamente dall’entrata in vigore dell’euro. “Fa musina” è l’invito a non scialacquare, a metter via. Non solo soldi ma anche beni così mobili che potrebbero uscire di casa e finire all’asta.

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QUEL DAL FORMAI – Personaggio misterioso, ma non troppo, evocato a mò’ di minaccia (vegnirà bem quel dal formai per ti…t’encontrerai quel dal formai prima o dopo) di punizione quasi divina, soprannaturale più che terrena. In ogni caso il settore caseario (formaggi e affini) c’entra ben poco con le conseguenze di questo arrivo dato per certo in un futuro che potrebbe anche non essere lontanissimo. Insomma, si tratta di una resa dei conti. Alla quale il “ricevente” se ha coraggio, risponde di solito, con aria di sfida: “Vara che mi no me cago miga adòs da la paura…”.

AVERGHEN ‘NA GNOCA – Non si tratta – l’errore è indotto dal termine “gnoca” – di trovarsi come in una sorta di harem. Dicesi invece di chi è ammalatissimo. Situazione che può essere precisata nei particolari patologici dalla seguente frase: “averghe ‘na carga de fever”.  In ogni caso serve una grande pazienza, una grande capacità di sopportazione.  Confronta anche: “n’ho ciapà na pasùa”, rafforzativo e allo stesso indicativo (da quela predica, da quel mal de recie, da…).

FA POLITO – Invito a comportasi bene. Ad eseguire un lavoro a regola d’arte. A rispettare anche le norme non scritte. Insomma il suffisso “Pol” contiene in sé ovviamente tante cose. Ito sta per “andato”, uscir bene da un impegno. I polli non c’entrano. E nemmeno la “polis”. Anche perché la politica spesso e volentieri non combacia con l’etica.

ZAVAT – La ciabatta – anche se richiamata foneticamente nella pronuncia – non c’entra. Zavàt è il rospo. Quindi dicesi zavat non tanto il brutto, ma lo sciatto, chi non s’impegna. Accrescitivo: zavatòn. Possibili equivoci: “Te sei propri ‘n zavàt: ‘n do hat mes le zavate?”. Laddove le zavàte non sono le “rospe” ma, in questo caso sì, le ciabatte.

ESSER SU LE UCE – Stare sugli aghi. Ma non come i fachiri. Qui si parla di ansia, in sostanza sta per “essere sulle spine”. In compagnia: “Alora nente o ‘sa fente? Dai che i me sera…”

 

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VEGN DENTER CHE TE TE SCALDI FORA – Non è affatto una proposta ambigua e contraddittoria come potrebbe sembrare di primo acchito. Perché “fora” non sta qui per fuori nell’accezione comune, bensì per “mettere in circolo” il caldo che arriva in un locale riparato dal freddo. Diversa in termini calcistici l’espressione: “Scaldete fora che te meto denter”. Ovvero riscaldamento prima dell’entrata in campo di un giocatore al posto di un altro, a partita in corso. Attenzione a “scaldarse fora” con superalcolici. In realtà la dilatazione dei vasi sanguigni di cui l’alcol è responsabile produce soltanto una momentanea ed ingannevole sensazione di calore in superficie che, in breve, comporta un ulteriore raffreddamento del corpo e aumenta il rischio di assideramento, se si è in un ambiente non riscaldato e freddo o all’aperto. Diffidare anche della frase: “vara che l’acqua la smarzìs i canai”, proferita sempre da alcolista noto e inguaribile.

NO L’E’ BOM DE FAR NA “O” COL BICIER – Dicono che Giotto riusciva a disegnare un cerchio perfetto a mano libera, senza alcun aiuto. L’eccezione che conferma la regola: impossibile senza un compasso, un normografo o anche seguendo come nel caso in questione, la circonferenza di un bicchiere, realizzare un cerchio. C’è però chi – evidentemente non portato per il disegno, tecnico in particolare – nemmeno se facilitato da questi strumenti riesce nel progetto.

TRAT ZO COPI? – Non è assolutamente il caso di rivolgere questa domanda a chi, sul tetto, sta eseguendo opere di carpenteria. La reazione potrebbe essere violenta. Accompagnata dal lancio di “copi” e magari anche di attrezzi e utensili. In sostanza la richiesta di informazioni è retorica. Ma si riferisce allo stato mentale del soggetto al quale in pratica si dà del matto. Potrebbe esserci anche un commento, di rimando, di questo tipo: “Me sa che te sei ti che ha ciapà i copi en testa: te zavàri”.

 ‘SA FAT CHI PO’ – Cosa fai qui? Quel “po’ finale potrebbe essere fuorviante. Avere il significato cioè di “del resto” ma anche di sorpresa “toh, c’è questo in questo posto proprio adesso….come mai?”. Attenzione a chi dovesse essere oggetto di tale inchiesta mentre si trova al ristorante con l’amante, che magari (questo il fattore aggravante) è proprio la moglie dell’inquirente. “Sem amizi fim dale elementari” potrebbe essere una giustificazione inadatta alle circostanze.

TE VEGNERAI SU L’ORGHEN ANCA TI – Redde rationem spostato nel tempo (indefinito, ma proprio per questo è una spada di Damocle). “Orghen” è sinonimo di tanti sostantivi che hanno come comun denominatore qualcosa che potrebbe far male. Specie se, diciamo così, le canne (dell’organo) sono di notevoli dimensioni. Confronta anche: te vegnerai anca ti sul bachetòm”. Laddove per bachetòm si intende un marchingegno usato dai cacciatori per imprigionare gli uccelli. Col vischio.

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GHE SET? – Interrogativo posto, solitamente, a chi dovrebbe essere vicino: ad un vetta, in cima alle scale, in un posto dove dovrebbe essere comunque arrivato o quasi. E’ anche indagine sullo stato psicofisico del soggetto, soprattutto quando si ha la sensazione che, eufemisticamente, pensi ad altro. Se alla domanda l’altro risponde con una domanda (Sì, perché?), scatta subito la giustificazione della curiosità: No, perché no te me pari tant su la tua… Attenzione a non fare confusione con “Gat sé?”. Che non è una contrazione della domanda in questione ma un atto di cortesia (hai sete?). Nell’affermazione in prima persona plurale (Ghe sem), cioè “ci siamo”, non necessariamente si conferma il raggiungimento collettivo di un obiettivo. Anzi, in alcuni casi diventa, preceduto da imprecazione (oscia, diaolporco, ecc.) una sorta di avviso di pericolo: oscia, ghe sem, el vigile l’ha mes fora la paleta… DIGHE GRAZIE AL SIOR… – Classico maltrattamento psicologico di minori. Laddove s’impone di ringraziare sconosciuti (ma evidentemente noti a mamme e papà) che offrono caramelle. Le stesse caramelle che poi per leggi non scritte non si dovrebbero accettare da anonimi. L’ordine, negli anni cinquanta, sessanta e parzialmente negli anni settanta, era eseguito senza fiatare. Pena, lo si sapeva, un calcio nel sedere appena varcata la porta di casa. Non è da molti anni che c’è stato un cambio di tendenza al riguardo. Anche perché i bambini di oggi per dire grazie devono ricevere almeno una ricarica da 50 euro del telefonino. I SE PARLA DA ‘N PAR DE MESI – Gossip paesano. Su rapporti più o meno palesi, più o meno destinati a durare, non sempre prossimi alle nozze. Ci si riferisce alla fase della conoscenza reciproca. Che una volta implicava anche interrogatori da parti dei futuri, possibili, suoceri, su: condizione sociale, lavoro, imponibile dei genitori di lui, tipo di macchina a disposizione, eventuali malattie genetiche. Era scontato che la liaison fosse solo ed esclusivamente verbale. E quindi interessasse solo per parlare la bocca. Vietato l’uso di altri organi. CIUCIA’ DALE STRIE – Succhiato dalle streghe. E per questo al limite dell’anoressia. Non è ben chiaro come, perché e quando le streghe – dato e non concesso che di streghe si tratti – commetterebbero questi atti vampireschi. Di certo, se la causa è sub judice, l’effetto è devastante. Per i minorenni – colpa del mago Onan? – c’è anche il pericolo della cecità permanente.

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EL ME L’HA FRACADA – Dichiarazione equivalente – nel codice civile – alla denuncia di truffa. Cioè: mi ha abbindolato. Mi ha creato un danno con destrezza (anche sinistrezza se la controparte è mancina). Può anche finire lì, nell’ammissione dello sfortunato rapporto. Ma è più frequente il caso della memorizzazione della presa in giro subita. E di conseguenza la preparazione della vendetta. Ah, ma se ‘l pensa che la sia finida chi…

QUEI DOI I E’ MERDA E MEL – Non sia fuorviante l’accostamento tra coprologia e apicoltura. Anche perché l’altra, analoga, frase (I è cul e camisa) ripropone in fondo la stessa dicotomia. Dicesi di abbinamento tipo acqua santa e diavolo. Sacro e profano (ano, appunto).  Vara che mi te l’avevo dit che quei doi i bega, ma ala fim i ne tol per el cul…

VEI SU CHE TE TE BUTI ZO DO MINUTI – Sembrerebbe un’istigazione al suicidio. Ed invece è sì la proposta di un riposo. Ma non eterno: due minuti, un quarto d’ora, il tempo per la pennichella o per un po’ di relax. L’equivoco nasce ovviamente solo nel caso il letto si trovi al primo piano o al piano rialzato. Perché se la camera fosse per caso al pianoterra non servirebbe indicare il luogo (su). Diverso il caso se l’invitato si trova al secondo piano e il divano o comunque il posto dove riposare si trova al primo: Vei zo che te te buti zo…

‘NA PACA – Vari significati a seconda della situazione. Gò ‘na pàca nel ginocio: contusione agli arti inferiori. Presuppone la domanda: Come ela stada? Cioè, come te la sei procurata quella botta? Ho ciapà ‘na pàca de soldi. Qui invece pàca sta per mucchio di denaro. Ovviamente meglio della contusione. Anche qui scatta di solito la domanda indiscreta: da chie? La risposta sarà sempre falsa (da l’assicuraziom, per i straordinari, da me zio dela Merica). Anche se in realtà si tratta magari di una vincita al lotto o col gratta e vinci. Inconfessabile la provenienza dei soldi se sono provento di reato.

VEI, VEI CHE GHE PASSA EN TIR – Indicazioni per manovre in entrata o uscita da una strettoia. Mette subito il conducente del mezzo in soggezione. Ed ha due volte su tre il risultato nefasto dello specchietto retrovisore esterno rotto. Graffi sulla carrozzeria non esclusi. I commenti più frequenti: Se no te sei bòm de guidar perché te set comprà ‘na machina sì grossa?

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per capir i trentini – 10

HAT FINI’ DE PINDOLAR? – Nella maggior parte dei casi trattasi di avviso a chi, in uno spazio ristretto, continua a girare a vuoto. Mentre l’autore del monito è magari impegnato in duri lavori domestici. Tipico esempio: la moglie con l’aspirapolvere e il marito che vaga per casa alla ricerca del telefonino, del caricabatterie, del telecomando, di qualcosa da bere, di qualcosa da sgranocchiare (con le briciole che finiscono sulla moquette appena pulita). Sul posto di lavoro l’oggetto del richiamo è chi non ha magari ancora ben assimilato i ritmi, le modalità di produzione. O fa finta, con un arnese in mano, di cercare l’ispirazione. Datore di lavoro o caporeparto in questo caso possono passare alla fase b: “Almem zerca de no starme en mez ai pei”. O alla fase c: “Se no sai cossa far tò la spazadora e neta su per tera”. La fase c presuppone il licenziamento in tronco: “Vame for dale bale valà, te prego”.

BASETE EL CUL – Arcaica espressione trentina. Non ha propriamente il significato di autocertificare la propria fortuna. Piuttosto implica un’impossibile figura quasi da kamasutra, quindi una sfida già vinta in partenza nei confronti di chi dovrebbe mettere in pratica questo esercizio. E’ in sostanza la proposta di un’azione complicata, per non dire irrealizzabile a meno di estenuanti allenamenti sotto la direzione di un contorsionista. Risultato? Si deve comunque andare via per molto tempo. E lontano da chi invita alla pratica di questa difficile disciplina. Confronta: “Va a quel paes…” (implicito: dove ti insegnano a baciarti il sedere).

CIAO NINETA – Potrebbe avere radici nella Resistenza (Ciao, bella, ciao, ciao, ciao …) ovvero sintetizzare l’addio, obbligato da eventi di varia natura, non solo bellici, ad una fidanzata, ad una moglie, ad un’amante.  Col tempo però ha assunto altri reconditi significati. Effetto di una causa (“La gaza l’è zamai nada”) che impone appunto la rinuncia a qualcosa di caro, ad un sogno, ad un progetto.

DIMEL N’ALTRA VOLTA – Detto da chi ormai ha acquisito da tempo il concetto espresso con eccessiva ripetitività dall’interlocutore. Va inteso, ovviamente, in senso contrario (“Se no te la mochi te dago en pugn”). Guai insomma a dirlo realmente un’altra volta. E un’altra volta ancora.

AH, PER QUEL… – Non si sa mai chi o cosa sia in realtà “quello” cui ci si riferisce con quello che di fatto è un intercalare frequente. Di certo non è “questo”. E nemmeno “l’altro”. Insomma, sta per “del resto”, non bene specificato. La prova del nove? “No l’è quela so mare…”. Certezza espressa in tempi non sospetti in fatto di procreazione assistita. Quando non occorreva scrivere il nome del padre su una provetta.

 

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per capir i trentini – 9

VOT EN CAFE’ ? HO ‘PENA MES SU LA MOKA PER MI – Proposta che non si può rifiutare anche se a quel punto magari si è già al decimo caffè della giornata. Già si sente peraltro il classico borbottìo del caffè che sta eruttando e quindi il rischio, in caso di diniego, è quello di dover far da spettatore silente e impotente a tutto il rituale che porterà il proponente a girare il cucchiaino nella tazzina scuotendo la testa (“Vara che en cafè a st’ora no ‘l t’avrìa miga fat mal…”).

TIRETE DRIO LA PORTA QUANDO TE VAI – Non si tratta, come potrebbe sembrare, di scardinare la porta d’ingresso e portarla con sé quando si esce. Soprattutto se quello non è il tuo appartamento. E’ piuttosto un invito a ricreare, dopo il congedo, la situazione di sicurezza domestica preesistente. Molto dipende anche dal tono usato per la richiesta. Perché se c’è una famosa postilla percettibile quando ormai si sta per richiudere la porta (“E no stà pu farte veder ‘n sta casa”) di fatto vuol dire che si è stati cacciati. A ragione, a torto, per un breve lasso di tempo o per sempre. A quel punto la reazione (“Ma ciàvete, valà”) è violenta, con la porta che, sbattuta, fa cadere calcinacci o soprammobili.

‘ NDO EI I ME CALZOTI? E LA CAMISA? – Nel menage matrimoniale (ma succede anche nelle convivenze) finito il periodo dell’innamoramento, della luna di miele, queste sono domande (rivolte dai maschi di solito) che dai e dai possono inficiare il rapporto. Perché presuppongono una sorta di “assistenza 24 ore su 24” da parte della moglie/compagna/amante fissa. Oltre a lavare, stirare, sistemare abbigliamento e biancheria negli appositi spazi, infatti, la donna in questo caso dovrebbe anche praticamente fare da “servo muto” fornendo gradualmente e a comando i capi richiesti. Campanello d’allarme una risposta del genere: “Se te dessi na mam en casa ogni tant chissà che no fioca anca a feragost…come canta el gigi d’alessio”. Decisamente prodromo di separazione invece quest’altra: “Ah se no te sai dove t’hai mes la roba quando te sei tornà stanòt…porteghe a la to sbrindola le mudande da lavàr”.

COREGHE DRIO ADES – Riflessivo. Non è rivolto ad altri ma al proprio, fatale, ritardo alla vista della corriera che ormai è lontana dalla stazione. Ma può anche trattarsi di un ladro che ha appena sfilato la borsa al soggetto decisamente rassegnato al furto subito. O di un pallone finito nel torrente. Vani anche se apprezzati almeno come atto di solidarietà, commenti tipo: “Dai che forse la ciapèm ancora…”.

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DORMIVIT? – Tempo imperfetto come la sostanza della domanda. Nel senso che presuppone uno stato di corpo e mente di fatto modificato dalla stessa indagine. Insomma, prima l’oggetto dell’inchiesta dormiva, adesso, per colpa dell’interrogativo posto di solito con una sorta di ipocrita cautela (“scusa neh, no volevo sveiarte”) non dorme, non può dormire, più. Scontata la risposta: “Sì, dormivo, fin quando te m’hai domandà se dormivo”. Può risultare esasperante, sfottente e quindi da evitare la giustificazione tipo: “Zà che passèvo de chi me son dit: dai che vegno a trovarte … ma no savevo che te dormissi a st’ora” (ed invece si sa benissimo che l’amico svegliato di soprassalto di solito fa il turno di notte in cartiera).

DAI CHE EN DI’ O L’ALTER NEM A MAGNAR NA PIZA ENSEMA – L’appuntamento indefinito e indefinibile tradisce un desiderio esattamente contrario: quello di non essere costretti a stare attorno allo stesso tavolo, a subire una conversazione noiosa, a condividere una pizza e bevande che poi bisognerà magari offrire. Auspicio affidato al vento del “massì, tant per dir qualcòs”. Quindi volatile, deperibile fin dal momento del saluto finale (“Bom dai alora che ne vedèm”).

TOTI – Non c’entra né l’eroe della stampella, né il numero due di Forza Italia, né il capitano della Roma con una “t” in meno. Si tratta di un avviso di pericolo rivolto perlopiù a bambini. “Toti, neh” (rafforzativo) quando il bimbo sta per toccare il vaso cinese costato duecento euro. In pedagogia neonatale prime informazioni sulla natura, la commestibilità delle cose: “Toti che l’è caca”.

HO VIST LA TO SPOSA L’ALTER DI’ – Dato e concesso che ci sia stato questo contatto visivo bisogna sempre specificare all’amico “marito de cuius” che si è trattato di avvistamento fugace con altrettanto fugace e disinteressato saluto (“Ah, l’ho saludada da lontam…”).  Mai e poi mai scendere in dettagli di tempo, luogo, modalità. Ad esempio: se la sposa in questione era in atteggiamenti intimi con altri limitarsi a “l’era sentada co n’amica che la beveva en caffè, no ho volù disturbarla”. Se invece l’approccio con la stessa donna rientra nel classico tradimento proprio ai danni dell’amico, glissare con il classico: “Ah te sei propri fortunà, la par ancora na putelota…”.

GUAIAPORCOLE – Interiezione complessa. Composta da: guai, diaolporco, ghe n’ho do sportole. Serve per sintetizzare in una stessa parola vari tipi di sensazioni, di emozioni, di insofferenza. Senza dare l’esatta idea di come ci si sente davvero in quei momenti.

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per capir i trentini – 7

DAME ‘N BUTOM – Richiesta di aiuto (in questo caso seguita da “valà”) soprattutto quando un veicolo si ferma per problemi alla batteria. Se è un problema di alimentazione (prevedibile visto che magari è da una settimana che si viaggiava in riserva) meglio farsi dare un passaggio, con tanica a mano, al più vicino distributore. Può essere anche una sorta di sfida (dai, su, prova a darmi uno spintone) comunque da subordinare assolutamente alla stazza dell’interlocutore. Che potrebbe anche raccogliere comunque il gesto presuntuoso e rispondere: Ah, se no te voi alter…

EL GA’ LA LUNA – Per indicare che uno non è di buon umore. E quindi va, come dire, lasciato nel suo temporale isolamento. Diverso invece “el vòl la luna”. Dicesi di chi pretende troppo. L’interrogativo (Ma gat la luna?) mette sempre sul chi va là l’oggetto dell’indagine. Che di solito reagisce così: “Sì, e alora? Tonte domandà qualcos?”

TEGNIR UM EN BONA – Prima di Tangentopoli, anche in Trentino, era una pratica tacitamente ammessa nei rapporti tra cittadini e politici, meglio funzionari addetti a uffici per l’erogazione di contributi o agevolazioni di varia natura. Era ammesso anche il baratto. Ad esempio una decina di bottiglie di olio extravergine (cfr: Onzèr), una paio di metri di luganeghe, tre casse di mele. Dopo i noti scandali degli anni Novanta (peraltro reiterati anche in tempi più recenti) si accettano solo contanti per evitare la tracciabilità di carte di credito o assegni. La vicenda dei vitalizi d’oro insegna invece che il sistema, gradualmente, è riuscito a fare a meno di questo prebende esterne avviando un tipo di finanziamento endogeno, autoctonomistico. La reazione popolare: E pensar che me ‘l som tegnù en bona per ani…a me spese.

EN BIANCO PER MI, NA SPUMA PER EL BOCIA – Tipica frase al bar negli anni Sessanta-Settanta. Laddove era evidente la diversificazione della richiesta di consumazione tra vecchie e nuove generazioni. Adesso la situazione si è capovolta. Non è raro vedere un giovane ordinare uno spritz e aggiungere: “El ghe daga en caffè anca al vecio valà”.

 

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i trentini – 6

 

VARA CHE TE SEI NEH… Indicativo con scelta dell’aggettivo lasciata all’interlocutore. Trattasi comunque quasi sempre di esagerazioni caratteriali. Cioè: guarda che sei ben strano….guarda che quando pianti un chiodo… Lo spazio lasciato alla fantasia di solito non è accolto favorevolmente. La risposta più frequente: Perché ti alora?

MOLETE FORA. Invito ad uscire di casa, a frequentare gli amici, meno riferibile all’impegno sociale. Per chi è ancora ingessato nel vestito buono della domenica o è reduce da un matrimonio, da un galà si tratta semplicemente di allentare il papillon, la cravatta, mettersi insomma comodo. Non in pigiama però se ci si trova in casa d’altri. Possibili obiezioni: Come faga a molarme fora se som ai domiciliari?

SALUDEME LA SPOSA. Gesto di cortesia subordinato, negli effetti, al grado di parentela di chi manda questi saluti o ai rapporti di amicizia tra i due soggetti: mandante e ricevente. Accertarsi, prima di inviare questo saluto a distanza, soprattutto di come stanno andando le cose tra i due sposi. Se infatti nel frattempo si sono separati la frase suonerà come una evidente presa in giro. Possibili risposte da parte di un marito geloso: “Perché, cosa ghat a che far ti co la me sposa?”

VANZIT QUALCOS? Richiesta di saldo nel computo dare/avere. Sempre e comunque in risposta ad atteggiamenti che lasciano immaginare pretese di pagamento o definizione di conti in sospeso di varia natura. La reazione può essere questa: Mi no, e ti?

AH, NO I GHE ‘N VEGN FORA. Tipico commento di un gruppo di pensionati di fronte a cantieri edili, soprattutto pubblici. L’ortodossia formale prevede che la frase sia pronunciata con le mani congiunte dietro la schiena e il capo che fa movimenti orizzontali da destra a sinistra (o viceversa) alzando gli occhi al cielo. Attenzione: i precari nel settore edile potrebbero avere reazioni violente. Tipo: Diaolporco no gavè gnent da far? Vara che vegno lì col pal de fer…

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per capire i trentini – 5

SEM DEMO’ ARIVAI – Rassicurazione del conducente ai passeggeri quando di fatto tutti ormai hanno il corpo anchilosato per i disagi di un lungo, interminabile viaggio. Può indurre alla depressione cronica quando la frase è già stata ripetuta più volte nelle ultime tre ore. Di solito la reazione di chi è ancora in grado di parlare è la seguente: “Me sa che arivèm sì, ma a l’ora del mai e nel dì del miga”.

GAT ARIA DE LA’? – Richiesta tecnica, professionale, nella sistemazione di serramenti o piastrelle o comunque di elementi che devono avere appunto un preciso spartiacque tra loro. Si può riferire anche all’addetto al compressore. O, raramente, a chi è rimasto chiuso nell’ascensore. Le risposte variano da “Fin che te voi” a “’Cramento no sta butar però…”.

VA A FARTE CIAVAR – Due le scuole di pensiero per l’analisi di questo imperativo. La prima: sta per l’augurio di trovare un partner appassionato per un atto sessuale più che soddisfacente e più o meno concordato. La seconda: previsione certa di una truffa del quale l’oggetto sarà di lì a poco vittima nonostante l’avviso. Che però spesso è volutamente tardivo. Non è mai dato di sapere come poi realmente vada a finire.

DAMELA TOMELA – Partita di giro popolare. Ovvero la perfetta parità – nel bilancio, nel baratto, in qualsiasi scambio commerciale – tra entrate e uscite. Serve anche ad indicare l’inutilità di un’azione (damela tomela….sem chi né fodrai né embastii) proprio in virtù del consuntivo citato in apertura. Nel dubbio, tra dato e ricevuto, ci si può sempre affidare al sistema “Fermete n’atimo che fem do conti”.

L’HAT PU VIST? – Domanda retorica (nel senso che la risposta è nota: “No, no l’ho propri pu vist”) solitamente accompagnata da un gesto eloquente: braccia allargate e occhi al cielo. E’ relativa a improvvise scomparse di chi doveva pagare qualcosa o restituire un favore o semplicemente render conto di un fatto che lo vede suo malgrado protagonista. Il più delle volte negativo. Nel caso il soggetto irreperibile si facesse vivo casualmente sarà sempre accolto da “Vei chi, vei chi…si sì digo propri a ti, can da l’ua”.

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come parla i trentini – 4

 

VEI CHI VALA’. E’ solo apparentemente un invito contraddittorio. Perché valà in realtà è diminutivo di ebbenvalà (cfr. hebbenvallah). Questo nella forma. Nella sostanza resta intrinseca la scarsa volontà reale, sincera di invitare a venire da noi chi preferiremmo in cuor nostro restasse dov’è. In questo caso ebbenvalà è una tacita rassegnazione del trentino (Massì valà…) ad un gesto di apertura che in effetti sarebbe chiusura a metà.

ZA’ CHE SON CHI… Preludio ad un’azione non prevista, quasi obbligata dal caso (già che sono qui). Indefinita e indefinibile (Podria nar a trovar la Gina o la Olga o la Franca…no quela l’è massa lontana). Opportunità colta al volo (Podo star chi anca a zena da voi, va bem…). Rara la combinazione con atti di solidarietà (Podria giustarve quela taparela che scorla…ma no gò drio i atrezi oscia).

MAGNA QUEL CHE TE VOI. Concessione di ampia libertà ai commensali. Senza alcun obbligo o timore reverenziale nei confronti di chi ha preparato il pasto. Più raro il “bevi quel che te voi” anche perché dipende dalla varietà della cambusa domestica. Assolutamente da evitare la postilla “tanto quel che vanza ghel dem ai ruganti”: potrebbe ingenerare dubbi sulla qualità degli alimenti proposti.

TUTMAL TE GAI NA BELA CERA. Frase che solitamente serve a mascherare il disagio di fronte ad un eccessivo aumento (o repentina diminuzione) di peso dell’interlocutore. Detta durante la visita ad un amico/a ricoverato/a in ospedale è palesemente contraddetta dall’espressione del viso di chi la pronuncia. Tanto che si vede benissimo nella nuvoletta del non detto ma pensato: “Elamadona se l’è mess mal, no l’avria mai dit”.

L’ERA N’OM COSI’ BOM… Pronunciata durante le esequie, a bassa voce, facendo però in modo che il commento arrivi ai parenti del morto. Da evitare riferimenti al destino tipo “Eh, prima o dopo la ghe toca a tuti”. Soprattutto in presenza di anziani. Prima di completare la frase con quello che si pensa (“Odio, adès almem la sposa la pol finalmente vivere en paze”) uscire dalla chiesa e fare attenzione a chi sta nelle vicinanze.

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LASSA LI TUT COME L’E’. Si dice prima di uscire dal garage-officina all’amico di bricolage. Perchè di solito avanza sempre qualcosa una volta montato il kit Itea. Ma si usa anche dopo un tamponamento. Quando, evitata la constatazione amichevole (perchè dopo el so mi che vei sempre fora rogne…) si chiama la polizia stradale per un graffio sulla portiera. Infine è tipico in tempi di crisi, in riferimento al conto corrente. Con la speranza che senza prelievi al bancomat il saldo diventi attivo.

MONA. Anche un pretore trentino, negli anni settanta, ha sentenziato sul significato imbelle, inoffensivo di questo termine. Te sei en mona, sta per “sei uno sciocco, un cretino”. Diverso da imbecille o deficiente. Anzi, dar del mona a qualcuno significa inserirlo a tutti gli effetti nella propria cerchia di amici. Vei chi mona. valà, che te dago na man. Valà mona, no volevo miga far sul serio…Inutile dare della mona ad una donna per assonanza e assostanza. Sarebbe come dire che l’acqua è bagnata.

NENTE. Sempre seguito da punto di domanda. E detta da uno della compagnia che intende tornare presto a casa dalla sposa rifiutando l’ultimo giro di bianchi. Se si spazientisce farà seguire a Nente anche “o che fente?” Se si è solo in due bisogna usare il “Tei, nem valà che l’è tardi”. Rafforzativo: “Nem, se no te lasso a pè”.

OSTREGA. Ostrica. Ma serve più che altro come in Dio C…amping, ad evitare bestemmie che si hanno sulla punta della lingua. In questo caso comunque si usa come aggettivo “disperativo”. “Ostrega, me despias…” “Ostrega…no elo nà en ferie? Pecà…” O ancora come interpunzione. “Ostrega, me son dit, vaga o no vaga, ostrega…po’, ostrega, ghò pensà su e, ostrega, me som dit, l’è forse meio, ostrega, che staga a casa…te sei n’ostrega anca ti valà”

PUTANA VACA. Espressione cacofonica. In genere inoffensiva e comunque non direttamente riferita al genere femminile. Diversa da putana bestia, troppo generica. E anche da “putana de to mare”, troppo specifica. Anche qui, come in ostrega, l’uso può essere esteso a varie situazioni. “Putana vaca, me son desmentegà de serar el gas”. O “Putana (de quela) vaca…i me serà l’Orvea”. “Ma putana vaca quant che metet a vestirte che sem zà en ritardo sporco, putana vaca”

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per capir el modo de parlar dei trentini

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FAGO TUT MI. In Lombardia tradotto con “ghe pensi mi”, in Veneto con “Faxo tuto mi” (cioè oltre a mandar via il fax, anche sms o messaggi mail se serve). Classica manifestazione di egocentrismo. Di solito implica anche una sorta di massima sicurezza nei propri mezzi e altrettanto disprezzo per le potenzialità altrui. Classica anche la risposta a queste dimostrazioni di onnipotenza. Volelo far tut lu? Ma lassa che ‘l faga. Tanto, ogni dì vei sera. E tra zento ani anca lù el sarà soto tera coi so soldi…

GROP. Sta per nodo. Quello trentino serve di solito per “ligar su le robe sul trator”. Ogni grop fatto bisogna pensare anche al dopo. Cioè a quando bisognerà “desgratarlo”. Operazione non sempre felice. Grop sta anche per nodo alla gola. Qualcosa che sta sul gozzo. Il più delle volte però deriva da problemi di alimentazione: “Ho magnà polenta e cunel…sono ancora engroppà: dame na sgnapa ala ruta valà”.

HACCR…AMENTO. Parolaccia che prevede l’aspirazione iniziale. Ma non alla toscana (quella sarebbe hadonna hucaiola), proprio alla trentina. Cioè come se ti fosse scappata la macchina appena comprata, coi sedili ancora col nylon, giù dalla discesa per colpa del freno a mano non tirato. Ecco, la situazione drammatica è quella. Cui segue, quando è tornata un po’ di calma, la contrazione dello stesso termine (Cr…amento). Con pronuncia più dolce. Come dire: se no gh’era quele bale de fem che i ha lasà quei de la trento-bondone sule curve la saria nada pezo.

IE. Deriva dal mondo contadino. E’ l’incitazione al bove, all’asino (al mulo no, di solito anche sotto naja davano solo un colpo di vibran nel sedere), ad animali da traino. Poi è andata al servizio della parlata moderna per invitare interlocutori lenti e logorroici (con problemi anche di dissenteria) a chiudere il discorso. O almeno le incidentali (non meno di una decina prima della pausa). Infine nei lavori forzati ha preso il posto di “Oh issa, oh issa”. Cioè: “Ie, che nem…ie che sem ormai sul pontesel co sto frigo dal cazzo…”

 

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per capir el modo de parlar dei trentini – 1

 

AH. Tipica risposta dei trentini a domande tipo: Ho vist to sposa che la baseva uno al bar. Oppure: ela tua quela zafira che i sta portando via col carro attrezzi en viale Dante? O ancora: At capì cosa t’ho dit? Si tratta sempre di espressione quasi gutturale. Come se ci fosse dell’altro da dire. Che però sta male dire. Meglio tenerselo dentro. Poi succede che di colpo, basta un niente, vien fuori tutto. E allora il trentino è inarrestabile. Di solito comincia così: “Sì, sì…sì…ensoma dai…ma DIAOLPORCO…(bip)…perchè dai…ma dai (bip)…e alora? E alora? (bip)

BOM. Altra frequente interiezione (da tirar su con la paletta quella canina eh) usata come sinonimo di chiusura di un’azione. Esempio: Bom, chi avem finì per ancoi. Oppure: Bom, ghè altro da far? O ancora: bom valà, ne vedem. Del suo originario significato restano naturalmente tutte i corollari (e anche i pistillari) appartenenti alla lingua italiana.Bom sto panet all’aglio: ‘do l’at comprà? Dal Giulio, do ani fa, l’era per i oseleti. Bom sto strudel, con cosa l’at fat? Coi pomi de la val de non. Strano, perchè el sa de speck…ah scusa no, quela lì l’è la pasta per i canederli.

COPETE. Occhio all’accento. Sulla o, letteralmente: ucciditi. Non è un invito al suicidio ma un avviso. Esempio: l’amico sta per cadere dalle scale. Avviso: Copete, dai che no gho gnancora l’abitabilità. O ancora: motociclista che sfreccia ai 200 all’ora in centro abitato. Più che un avviso un augurio: ma schiantete. Con l’accento sulla prima e siamo in gelateria. E le copete di solito sono al delirio arabo al flora, al bunga bunga in viale trento, al…cosa ghè restà de creme? Gnente? Alora cioccolata, fior di latte e nocciola. Picole…

DIME TI. Dizionario minimo, pardonn, invito al dialogo, pardon, richiesta di commento retorica. Nel senso che è assolutamente vietato rispondere. Dime ti se uno el deve ridurse così…Dime ti se i terroni i deve robarne la case Itea…dime ti se mi dovria dirghe qualcos dopo tute quele che ‘l ma dit…

EBBENVALLAH. Esclamazione che trae origini dal periodo di occupazione musulmana del Basso Tirolo. Cioè, cronaca dei nostri giorni. Indica accettaziione fatalistica di quanto succede. E nello stesso tempo tradisce un nuovo credo: non c’entra però Maometto, piuttosto, in tempi di crisi economico-cultural-politico-sportiva una sorta di ascetico torpore. Parlando come mangiamo: meti su la peverada valà che stasera no go voia de nar fora a magnar la pizza.

COLA LENGUE (sì, ensoma, scioglilingua se no se capis)

 Mi el dis so el dis che el dis lu el dis l’ha el dis disnà el dis ma el dis lu el dis no el dis ‘lo sa el dis che el dis mi el dis ho el dis disnà el dis (cfr provenzale, alla voce “il dit”)

 Ti ‘n tant tò ‘l te (cfr lingua mandarino)

 nar, nar che g’ho da nar (cfr dialetto beduino)

 nar a far i fari (cfr antiche usanze caucasiche)

 vegno giò giobia col gerlo dele ciarese con giò el giolet (cfr antico regno Droato)

 n’of ne la nef (cfr natura morta)

ghe set o no ghe set che g’ho sè asè? (cfr filmografia naufragi)

 Ti tasi che mi taso se te tasi ti (cfr Il padrino)

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