a cura di Cornelio Galas
In un volume della Biblioteca civica di Rovereto col titolo «Miscellanea» – «PROSE» – «M-Z-13», raccolte da FORTUNATO ZENI (1819-1879, fondatore del Museo Civico di Rovereto), sono rilegate 28 monografie del secolo XVIII e XIX, lavori molto interessanti per il Trentino e che trattano dei più vari argomenti. Tra questi, «Igiene naturale del Trentino» del Dottor COMINGIO BEZZI medico condotto di Mori – Edit., l’Autore – Trento, Stabilimento tipografico B. Monauni. 1867.
Si tratta di un lavoro ricco di notizie e di idee personali per certi versi ancora valide nel campo dell’igiene e della medicina sociale, e che rapportate al periodo storico in cui sono state vissute e scritte (seconda metà del secolo XIX ), mostrano come l’autore sia stato un medico intelligente, colto e aggiornato coi progressi della scienza in genere e della medicina e igiene in particolare.
Ma chi era il dott. Comingio Bezzi? Nacque a Cusiano (frazione di Ossana, in val di Sole) da famiglia di medici. I primi studi li fece a Trento e a Rovereto; passò quindi nell’Università di Pavia , dove fu scolaro di Panizza, Porta, Lovati e Pignacca; laureato nel 1852 egli pellegrinò per alcuni anni come medico condotto, finché dopo la morte del padre assunse la condotta medica di Roncegno e la direzione di quello Stabilimento di cura.
Fece viaggi di studio in Germania, Svizzera, Francia ed Italia. Nel 1866 si trattenne a Brescia per la cura dei feriti ivi raccolti ( tra i quali il fratello Ergisto Bezzi, patriota garibaldino). Nel 1870 medico condotto a Mori, di lì passò ad Ala e finalmente a Rovereto, chiamato come chirurgo primario nel civico nosocomio. Sempre pronto, sorridente e volenteroso.
Operatore appassionato, fu uno dei più strenui propugnatori delle teorie listeriane e tra i primissimi a diffonderne la pratica nei nostri paesi. Si interessò pure delle nuove dottrine batteriologiche, in relazione all’igiene e malattie infettive, ai continui ed importanti progressi della scienza, non trascurando per questo di occuparsi di letteratura».
Per meglio comprendere il valore del libro del Bezzi, e quali erano le condizioni igieniche del Trentino in quel tormentato periodo storico, è utile dare un rapido sguardo allo sviluppo e all’evolversi, attraverso i secoli, dell’Igiene fino agli albori del secolo XX.
L’ Igiene, che basandosi sull’empirismo e sulle osservazioni secolari, prescrive norme utili per mantenere lo stato di salute, ha origini antichissime e se ne ritrovano le tracce nelle più remote documentazioni della storia umana.
I primi concetti igienici, inerenti soprattutto a norme di Igiene individuale, pur con accenni a norme di Igiene pubblica, sono legati alle religioni, ciò che non può meravigliare, perché nei popoli primitivi e nelle più remote civiltà, l’intera medicina era legata alla religione. ( Antica medicina cinese, indiana , sumerica, assiro-babilonese, egiziana, ecc.).
Infatti, nella medicina biblica , nella legislazione sacerdotale egizia, nelle Leggi di Manou (o Manù ) della medicina indiana ed in altri casi ancora, pur riconoscendo la parte che spetta al rituale religioso, troviamo prescrizioni che riguardano l’igiene dell’alimentazione, la pulizia personale, la difesa dell’abitazione, l’eliminazione dei cadaveri, le relazioni sessuali, il riposo periodico.
Troviamo anche prescrizioni che si riferiscono più direttamente all’epidemiologia ed alla profilassi delle malattie infettive e contagiose, come l’isolamento per lavlebbra, l’importanza dei topi nella peste, la bollitura dell’acqua e la cottura degli alimenti, talune forme di tabù.
Molte di queste prescrizioni ebbero carattere individuale, oppure di casta, come nella legislazione sacerdotale egizia, ma altre volte acquistarono carattere collettivo, ossia di Igiene pubblica, come per la prima volta appare presso gli ebrei, anzi si può ritenere che il vero contributo portato dagli ebrei alla medicina, riguardi il campo dell’igiene e della profilassi.
Le civiltà greca e romana, segnano un nuovo periodo nel quale l’igiene, pur mantenendo il suo carattere empirico, viene presa in alta considerazione dalla legislazione civile. In Grecia la malactia rappresenta un perturbamento del ritmo armonico della vita e quindi, logicamente, scopo della medicina, deve essere quello di conservare per quanto è possibile e ristabilire questo ritmo, quando esso sia stato turbato ( Platone Aristotele) con delle cure fisiche: educazione fisica della gioventù, ginnastica, dietetica.
A Roma, il concetto greco dell’igiene passa nella medicina, erede della civiltà ellenica; così vediamo svilupparsi in modo meraviglioso sia l’igiene della persona con l’educazione fisica e le terme, sia l’igiene del suolo e dell’abitato, con la buona abitazione, con gli acquedotti, con le fognature, con le bonifiche. E nasce inoltre, per pura intuizione e forse per la prima volta, il concetto microbiologico ante litteram per spiegare la malaria (febbre palustre) con M. T. Varrone (116 a. C. – 27 a. C.) e Columella (a. 100 Era Cristiana).
Roma , estendendo più tardi la sua legislazione e la sua cultura a tutto l’Impero, diffonde quelle cognizioni e quelle prescrizioni igieniche che aveva appreso e ampliato. L’insieme dello sviluppo dell’igiene personale e del notevole incremento dell’igiene pubblica, fu certamente il motivo per cui nelle civiltà greca e romana, relativamente rare furono le grandi pestilenze.
La Scuola Ippocratica, spiega l’origine delle epidemie con l’aria piena di impurità (miasma) e considera come causa principale delle pestilenze l’inquinamento del suolo e dell’aria (emanazioni provenienti da cadaveri insepolti, acque stagnanti, inondazioni).
Dalla caduta dell’impero romano, l’Igiene ebbe un alternarsi di rilasciamenti e di riprese in relazione con le profonde vicende storiche e sociali che travagliarono l’Europa e specialmente l’Italia. Nel primo medioevo, col dileguarsi della scienza, tramontate le ricerche mediche, il ritorno dell’elemento soprannaturale nel concetto umano della malattia, l’igiene individuale e pubblica dimenticate e quasi scomparse, fanno riaffiorare le superstizioni nella medicina: incantesimi, scongiuri, pratiche magiche riacquistano l’antica importanza; si ebbe così un completo degrado igienico.
Il cristianesimo, dopo il suo primo espandersi, divenne fulcro dell’ assistenza, considerata come doverosa opera di carità e di pietà, specialmente nei riguardi delle malattie contagiose, e l’assistenza non poté essere disgiunta dalla profilassi, cosicché ebbero origine importanti misure di difesa sanitaria, che si concretarono con gli isolamenti nei lazzaretti , con i cordoni sanitari, con le lunghe quarantene e con i tentativi di disinfezioni.
Si può dire, di questo periodo, che le misure di profilassi contro le malattie ad alta diffusibilità costituirono la maggior preoccupazione delle autorità civili e religiose, mentre rimase trascurata l’igiene personale, l’igiene del suolo e dell’abitato, tanto in onore nell’epoca romana .
In ogni modo le pratiche igieniche e profilattiche conservarono sempre, fino ad epoche relativamente recenti, ed in specie nei riguardi delle malattie infettive, un carattere empirico. Nell’ultimo medioevo e nel rinascimento, si ebbe una ripresa di studi anatomofisiologici, biologici e clinici, quindi un miglioramento dell’Igiene con notevoli progressi.
Il risorgere delle energie che si manifestò in Europa ( 1500- 1700) col rinascere della cultura, delle arti, delle scienze, porta la facoltà creativa dell’uomo a una libertà maggiore di quanto fosse stato possibile nel precedente periodo medioevale. (Leonardo da Vinci: 1452-1519; Andrea Vesalio : 1514-1564).
Già si avvicinano i tempi nei quali l’osservazione effettuata con criteri veramente scientifici ed il metodo sperimentale introdotto da Galileo Galilei (1564-1642), dovevano mettere l’Igiene sopra un binario più positivo. Ma ancora nel secolo XVI Gerolamo Fracastoro (1478-1553) perspicace studioso veronese, concretava il concetto del «contagium vivum», antiveggendo l’era microbiologica e stabilendo le basi della diffusibilità delle malattie infettive.
Documento prezioso il suo «De contagione et de contagiosis morbis» pubblicato nel 1546 (sifilide, tubercolosi, lebbra, peste, vaiolo) in cui esprimeva il concetto che le malattie contagiose fossero diffuse da piccole particelle vive che egli chiamava «seminaria», le quali si moltiplicano e si diffondono rapidamente.
Nel secolo seguente (XVII), dopo che l’olandese Van Leuwenhoeck (1632-1723) ebbe osservato per primo i «microscopici animaletti», il Vallisnieri Antonio ( 1661-1730 ) formulò inequivocabilmente l’ipotesi che le malattie infettive potessero essere determinate da «invisibili germi». Verso la seconda metà del Settecento, l’Igiene assume veramente il carattere di una scienza a sé.
Ciò avviene contemporaneamente al formarsi della concezione ideologica e politica, che afferma i diritti del popolo a migliori condizioni di vita e il dovere dello Stato di provvedere alla salute pubblica. Giovanni Pietro Frank ( 1745-1821) fu professore a Pavia ( nel 1795) e poi a Vienna fino al 1821; nel suo trattato: «System einer vollstandigen medizinischen Polizey» affermava che la cura della salute pubblica spetta allo Stato; che questi ha l’obbligo di provvedervi non solo quando scoppiano gravi malattie e la salute pubblica sia in grave pericolo , ma di sorvegliare la pubblica igiene sempre con cura previdente.
Così verso la fine del 700, l’Igiene sia nel campo pratico, sia legislativo s’avvia con una preparazione scientifica fondata sulle ricerche biologiche e chimiche, alla soluzione dei più importanti problemi. È indubbio che si deve arrivare alle grandi scoperte del secolo XVIII e XIX per vedere gettate definitivamente le basi della Igiene come scienza.
Lazzaro Spallanzani ( 1729- 1779) prima e poi Luigi Pasteur (1822- 1895), preceduti da Francesco Redi ( 1626-1697 ) nel secolo XVII per quanto riguarda gli insetti, abbattono la teoria della generazione spontanea dei microbi così largamente ammessa, così fortemente creduta e che aveva tanto spesso sviato le menti da un sano concetto sulla diffusione delle malattie infettive.
Francesco Redi (1773-1857 ) da Lodi, con la scoperta dell’agente patogeno del mal calcino dei bachi da seta «parassita vegetale vivente», con lo studio delle condizioni che regolano lo svolgersi della malattia e con l ‘impiego dei mezzi di prevenzione, inizia il moderno indirizzo dell’ epidemiologia e della profilassi.
Infine Jenner (1749-1823 ), Pasteur (1882- 1895), Roberto Koch (1843- 1910), Elia Metchnikoff (1846-1916), Paul Ehrlich (1854-1915) ed i loro Allievi, fanno dilagare quella scienza microbiologica ed immunitaria che ha radicalmente trasformato una gran parte della medicina.
E mentre ciò avviene nel campo delle malattie infettive, un uguale movimento si pronuncia nelle altre branche dell’Igiene: verso la fine del secolo XVII, Bernardino Ramazzini (1633-1714) da Carpi di Modena, fonda l’Igiene del Lavoro con l’opera largamente diffusa in Europa: «Sui morbi degli artefici» che gli chiama medicina preventiva, ed è quindi l’iniziatore della medicina sociale; e nei secoli seguenti, igienisti soprattutto inglesi avviano su basi scientifiche l’igiene del suolo e dell’abitato.
Si ebbero così i più grandi riflessi sui pubblici poteri ed è così che nel secolo XIX, viene affermandosi il principio che la cura della pubblica salute è un dovere dello Stato donde l’inizio e lo sviluppo di una razionale Legislazione Sanitaria moderna, nei vari Stati, per la quale l’Inghilterra, sebbene precorsa dalle disposizioni sanitarie di molte città italiane (Venezia, Genova, Milano, Lucca, Firenze, Roma ed altre), fu alla testa di ogni altro Paese. Notevole per l’Italia è il concetto della bonifica igienica antimalarica) come funzione di Stato.
Questo evolversi della medicina individuale sociale-nazionale ed internazionale, questo progredire della legislazione che sempre maggiormente tende nel campo sanitario verso un ambito più vasto, infine questa trasformazione essenziale secondo la quale il massimo peso dell’attività medica viene portato dal campo della terapia a quello della profilassi, ecco i tratti caratteristici e determinanti della medicina della fine del secolo e che si rilevano specialmente quando si esaminino le condizioni dell’assistenza sanitaria, della profilassi, dell’igiene, e le norme di legislazione sanitaria di sanità internazionale che cominciano ad essere codificate.
Le condizioni igieniche d’Italia durante tutta la prima metà del secolo XIX, segnano un periodo di stasi. Tuttavia anche nei tempi più torbidi della nostra storia politica, non sono mancati profondi studiosi ed audaci innovatori. Basti ricordare Agostino Bertani (1812-1886) scienziato e patriota che coraggiosamente segnò la via del rinnovamento igienico della Nazione (medico di vasta cultura e attivissimo organizzatore); così pure Luigi Pagliani (1847-1932) fu il primo docente d’Igiene a Torino.
In Italia, nella seconda metà del secolo XIX , si viene delineando la formazione di una legislazione sanitaria improntata ai postulati dettati dalle nuove conquiste e si dà inizio a un programma di lotta sistematica contro la tubercolosi, la peste, il tetano, il colera, la malaria, le malattie veneree, l’alcoolismo, il cancro, la pellagra.
Prescindendo dagli incompleti ordinamenti del 1859 e del 1865, la prima Legge sanitaria italiana veramente organica e completa, fu quella del 22 dicembre 1888 N. 5849 dal nome di «Legge sulla tutela dell’Igiene e della Sanità pubblica» , voluta da Crispi e ne fu artefice Luigi Pagliani (1847- 1932).
Essa stabilì ai Comuni l’obbligo di possedere un proprio Regolamento d’ Igiene e specificò le competenze delle spese richieste dalla Legge per lo Stato-Provincia-Comuni. A questo seguì il Regolamento Sanitario Generale R.D. 6 dicembre 1901, N. 45 , e il Testo unico della Legge Sanitaria R.D. 1 agosto 1907, N. 636. Ne seguirono poi le varie Leggi codificate nel Novecento.
Brevemente: per quanto riguarda la Storia della Legislazione sanitaria Internazionale, va ricordato che la Prima Conferenza sanitaria ebbe luogo a Parigi nel 1851, una seconda pure a Parigi nel 1859, una terza a Vienna nel 1864, interessante per la presenza dei delegati tedeschi Hirsch e Pettenkofer ( Max von Pettenkofer, 1818-1901, uno dei più grandi epidemologhi del tempo ), una quarta a Costantinopoli nel 1866, la quinta a Washington nel 1881 (febbre gialla), la sesta a Roma nel 1885 (la Germania fu rappresentata da Robert Koch e il problema più importante fu la difesa contro il colera).
Solo nel 1903 fu nominata una Commissione permanente internazionale che si riunì a Parigi nel 1908 col nome di Ufficio Internazionale di Sanità pubblica e in funzione col 1909. Si giunge così alla legislazione internazionale del secolo XX .
Per concludere, nel 1923 la Società delle Nazioni Unite creò una propria Organizzazione sanitaria. La storia della collaborazione internazionale nei problemi sanitari ricomincia nel 1946 con la costituzione della World Health Organization (nota nel mondo come W.H.O.), in Italia col nome di «Organizzazione mondiale della Sanità», sigla O.M .S . con sede a Ginevra e di importanza capitale per l’Umanità.
Nel Novecento dunque l’Igiene internazionale è basata su criteri epidemiologici moderni e scientifici, non è più empirica, ed ha posto termine alle quarantene lunghe e sproporzionate, ai cordoni sanitari, agli isolamenti inutili, ed ha agevolato i movimenti degli uomini e delle merci, anche in tempi di grave minaccia di diffusioni epidemiche.
L’Igiene poi, oltre che assicurare un ambiente di vita favorevole, accompagna l’uomo in tutte le fasi della sua vita, nell’infanzia, nella casa, nella scuola, nell’ambiente di lavoro; lo assiste nelle sue peregrinazioni attraverso il mondo, nelle emigrazioni, nei trasferimenti coloniali, lo protegge contro le offese microbiche e parassitarie.
Dopo questo breve quadro sull’evolversi dell’Igiene e della Medicina sociale attraverso i secoli, fino al secolo XX e ai tempi nostri, possiamo meglio comprendere i concetti, le idee, le osservazioni ed il valore che informano il libro «Igiene naturale del Trentino» del Dottor Comingio Bezzi , nel tormentato periodo storico-sociale per il Trentino nel secolo XIX (libro pubblicato, come detto, nel 1867).
Il libro inizia con una «Introduzione» che sia per la chiarezza, sia per i problemi che riguardano direttamente il Trentino, merita di essere in parte riportata: «Ai medici spetta la educazione fisica coll’igiene, quella scienza, che insegna il modo di ottenere fìno dalla nascita l’uomo sano, di conoscerlo tale durante la vita in relazione alla natura sua madre e nutrice, e di renderlo atto a procreare figli vigorosi a lui somiglianti …
Noi non insegnammo abbastanza alle classi basse della società, che l’aria è il più importante alimento della vita, noi lasciammo giacere non pochi individui in certe abitazioni che sono vere sepolture, ove l’atmosfera è impura, spesso avvelenate da gas soffocanti, dal miasma e dal contagio, ignari della qualità dei cibi loro confacenti, e non di rado anche privi del pane quotidiano.
Anzi a maggior malanno tollerammo la bettola ed il postribolo, perché col vino e coi liquori andasse perduto il cervello, e colla dissolutezza restasse contaminato il sangue e il cuore. Ed è perciò che una moltitudine di infelici, abbandonati in preda all’ignoranza, alla miseria, e ai vizi che li abbruttivano, doveano fisicamente e moralmente decadere … doveano necessariamente diventare febbricitanti, tifosi, pelagrosi, scorbutici, rachitici, scrofalosi, tisici e pazzi, e cadere per primi vittime di tutte le epidemie reumatiche, miasmatiche e contagiose.
Noi vediamo perciò in Europa una certa decadenza fìsica accompagnare le popolazioni indigenti e miserabili, ciocché è conf ermato dalle più recenti statistiche, e dai medici più istinti a Pietroburgo, Vienna, Londra e Parigi». «Ed anche il Trentino, questo paese ricco di elettricità, di ferro e di magnetico nella sua natura minerale, vegetabile ed animale, sembra che non alimenti più una popolazione dotata di un organismo così bello forte e robusto come quello dei suoi avi latini.
Poco curanti della scienza igienica e naturale, noi abbiamo decampato dal loro vivere sobrio e temperante, e quindi non ve ne furono anche fra noi che vuotarono fino all’ebbrezza i bicchieri ricolmi di vini e di acquavite, che addormentarono la forza del cervello e dei muscoli col tabacco e colle voluttà, che perderono il sonno delle notti e con esso la riparazione dei nervi fra la crapula e la dissolutezza?
Quanti che paurosi del freddo lavarono il corpo loro e dei figli coll’acqua calda, quanti che preferirono al lavoro l’inerzia, e quanti, che per avere troppo blandito al sentimento e alla fantasia si sentirono fieramente percossi dal dolore e dal patema d’animo le tenere fibre del ventricolo, del fegato, del cuore e del cervello!
Che se anche queste vergini alpi, ultimo asilo della fuggente razza romana, vennero dai miasmi delle epidemie, che ne infettarono l’aria, le acque, le uve, il gelso, i bachi da seta, le piante granifere, e con esse il pane e la polenta, gli animali vertebrati e perfino l’uomo, che cadde malato di tifo e di pellagra, ne dobbiamo incolpare in gran parte la nostra scarsa cultura in fatto di scienze naturali i nostri pregiudizi e la nostra ignoranza dei precetti igienici.
Così al primitivo temperamento sanguigno arterioso delle nostre popolazioni si mescolò il linfatico ed il venoso, così per la scarsezza dei più essenziali prodotti del nostro suolo comparve la funesta piaga del pauperismo e della fame colle sue infinite malattie» .. «Nel corso di dodici anni, quale medico condotto in Valle di Sole, sopra una popolazione di quattromila abitanti, la maggior parte contadini, ho curato due grosse epidemie di vajuolo, quattro di febbri gastriche, due micidiali di crup (difterite), una di morbillo e di scarlattina.
È dunque un fatto di decadenza fisica d’un gran numero dei nostri individui. Sopra di essi io meditai per lungo tempo ed analizzando gli infermi da me osservati ed i dati portimi da dotti colleghi mi convinsi che le cause di tale sventura sono: il taglio dei boschi e la conseguente alterazione morbosa degli alimenti e degli stimoli fisici dell’uomo; la origine e la presenza nei nostri fiumi maggiori, o nei loro impaludamenti del miasma palustre; l’abuso dei liquori alcoolici, del tabacco e caffè nelle abitudini di vita; l’abuso dei piaceri sensuali; il pauperismo e l’egoismo; il sentimentalismo politico e religioso; i patemi d’animo; l’abuso del salasso; il difetto di istruzione igienica popolare, di fisica educazione, e di opportuni provvedimenti igienici.
Ho preferito l’analisi delle cagioni, che hanno debilitato fisicamente gli organismi nel Trentino, perché solo dalla esatta cognizione delle cause di un male si può dedurre il modo di prevenirlo; altrimenti la igiene invece di essere una scienza radicale sarebbe puramente una scienza palliativa … si noti però che scrivendo di igiene io aspiro a un bene possibile, giacché l’uomo f u sempre soggetto a malattie e col mutare dei secoli vi saranno sempre nuovi tormenti e nuovi tormentati.
Ma se l’uomo può e deve ammalare e morire , non cessa di essere verissimo che la medicina preventiva coll’aiuto delle scienze naturali può modificare, moderare e migliorare la sua organizzazione».
E’ utile ricordare, a questo punto, che il censimento del 31 dicembre 1880 segnalava che la popolazione del Trentino era di abitanti 351.689 (compresi 4380 militari). Secondo le statistiche del Clero del 1885, il Trentino aveva 404.225 abitanti. La popolazione era eminentemente agricola. Secondo il censimento del 1880, il 62% si dedicava al lavoro dei campi ( più il 10% giornalieri ).
L’Industria occupava il 14%; il commercio e i trasporti il 4% della popolazione. Come popolazione agricola, gli abitanti del Trentino, vivevano sparsi in piccoli centri. Soltanto le due città di Trento e Rovereto superavano i 6000 abitanti e la loro popolazione rappresentava l’8% della totale. Appena il 21% della popolazione abitava in centri superiori a 2000 abitanti.
Scriveva ancora Bezzi nel suo libro sul “taglio dei boschi”: “L’uomo deve perfezionare l’ordine di natura, non distruggerlo». Sono pagine di vera ecologia sia per l’ambiente che per l’uomo e, per le piante del Trentino; riguardo alla fisiologia delle stesse, Bezzi le divide in alimentari e respiratorie «che preparano all’uomo e agli animali i principi nutritivi e che somministrano colla respirazione giornaliera l’ossigeno elettromagnetico necessario alla respirazione animale».
E ancora:«Il Trentino, situato in ottima posizione geografica della zona temperata, e che per la natura dei suoi terreni forma un tutto colle diverse valli dell’Italia alpina, ed appartiene ai paesi ricchi di metalli magnetici e magnetigeni – come il ferro – e di potenti acque ferruginose, per legge fisica dovrebbe essere una terra avventurata, dove l’uomo, gli animali e le piante potrebbero prosperare nelle migliori condizioni».
«Di fronte a questo stato di cose gli è col più vivo dolore che constatiamo nel nostro paese una certa fisica decadenza. Noi, spinti dalla fame dell’oro, con vero furore abbiamo atterrato le selve secolari tanto rispettate dagli avi; la scure lasciò nuda la vetta dei nostri monti, così che dove un tempo vegetavano rigogliose piante resinose elettrizzanti, il pino, il piceo, l’abete, il ginepro, non miri che deserto di silice, di alumina, di perpetue nevi, monumento della nostra insipienza.
Di quì per mio avviso la facile putrefazione delle foglie e delle frutta staccate dagli alberi, e la straordinaria comparsa di parassiti, di vermi e di molte malattie, – come la tigna , il favo-vespaio, il tifo, – di accari nei formaggi e nelle farine, di funghi nel grano turco, nella segala, nelle castagne, dell’oidio nell’uva e nelle patate, seguita da conseguenze funestissime alla pubblica salute.
Il Trentino offre infatti un buon costringente ai 12 vegetali ed ai 54 parassiti animali scoperti dai medici nell’organismo umano. E la microscopia in proposito non ha ancora detto l’ultima parola! Ancora: non esiste medico che non abbia riscontrato nel nostro popolo, attese le facili, estese e profonde variazioni termometriche, la frequenza delle polmonitidi reumatiche epidemiche l’indole capricciosa e maligna, della artritide reumatica, del tetano.
Ciò punto non mi sorprende, perocché il taglio dei boschi sconvolse gli stimoli fisici naturali dell’uomo, rese variabilissime le oscillazioni termometriche e barometriche orali e diurne, accrebbe nella pianura il calorico e l’umidità. Queste condizioni fisiche estenuanti produssero gravi danni alla pelle ed ai nervi …”.
«In mezzo alle brillanti conquiste delle scienze naturali, ci è cagione di acuto dolore il fatto, che per imperdonabili leggerezze ed ignoranza si sieno tagliati i boschi, mentre essi, rispettati come santa cosa dai nostri maggiori, sono proclamati come un elemento importantissimo di igiene publica dall’Accademia di Francia, l’aeropago della moderna civilità».
Riportiamo a proposito della «Selvicoltura» quanto scrive il Brentari (Guida del Trentino 1890-1902): «La coltura dei boschi, per lungo tempo abbandonata all’inscienza ed all’avidità di lucro momentaneo di comuni e privati, viene fatta da qualche tempo con maggiore attenzione e maggiore sorveglianza da parte dell’autorità competente , così che è da sperarsi che le condizioni del paese, stremate sotto questo riguardo dall’irragionevole disboscamento, andranno migliorando con grande vantaggio diretto e indiretto delle future generazioni; alle quali potrà essere così risparmiato, almeno in parte, il flagello delle inondazioni che travagliarono così aspramente il Trentino negli ultimi 20 anni, e furono dovute sovratutto alla denudazione delle nostre montagne» .
Scrive ancora il Bezzi: «Una seconda causa della decadenza fisica del Trentino è il miasma palustre, prodotto dalle esalazioni dei suoi fiumi maggiori, dai loro impaludamenti, dalle fontane ove si lavano i panni dalle cloache ove esistono sostanze organiche, vegetali o animali, in particolare fermentazione putrida». (Miasma palustre = febbre paludosa, pa ludismo, malaria …).
«La valle dell’Adige e quella del Brenta sono le più infestate dal miasma febbrile, sia esso causato da gas deleteri, o da molecole albuminose capaci di trasmettere il proprio moto fermentativo alle molecole organiche, o sia esso un fermento organico germe di infusori, o un infusorio microscopico maturo, respirabile o digeribile. Nella valle dell’Adige si presentano febbri intermittenti e la stessa cachessia paludosa lungo specialmente il corso di quel fiume, e in modo peculiare da Bronzolo a Trento.
I luoghi più travagliati sono Egna, Salorno, S. Michele, la Nave, la Zambana, quantunque qui per fortuna le condizioni igieniche si sieno migliorate dopoché, rettificato il corso del Noce, i suoi abitanti possono bere le aque ferruginose e salubri di questo torrente.
In tale zona geografica l’Adige rallenta il corso, nelle piene impaluda, e colle mefite che produce crea un’atmosfera prediletta dalle mosche, dalle zanzare , dai ranocchi, da miriadi d’infusori, che si dilettano di aque stagnanti, e di aria appestata da putride esalazioni. Non basta; il miasma palustre si eleva perfino al magnifico altipiano di Pressano, dei Sorni e di Vigo, e visita talora anche Lavis e Gardolo. Oltracciò tutti conoscono quanto era insalubre quella parte della città di Trento, che volge all’Adige, allorquando prima degli ultimi tempi questo fiume la lambiva, e co’ suoi straripamenti la visitava”.
«La cachessia paludosa indotta dal miasma palustre è una malattia, nella quale il sangue soffre di una graduale diminuzione dei globuli rossi, di albumina e di fibrina, ed aumento dei bianchi e di acqua. Io ho potuto verificare questo fatto col globulimetro del Mantegazza, e con altre esperienze. Gli individui che ne sono affetti offrono una tinta giallo-verdognola, edema (enfiagione) generale con ingrossamento del fegato e della milza, febbre continua remittente o intermittente con o senza assalti perniciosi … cosicché il veleno palustre può considerarsi come il distruttore dell’elettromagnetico atmosferico, della respirazione e della globulazione rossa del sangue, della fisica organica e nervosa»…
… «Fa meraviglia come governi e popoli non abbiano rivolte cure più solerti, e dettate leggi più adatte, onde regolare i fiumi e le acque in generale secondo i dettami della medicina preventiva. Nel Trentino, a lode del vero, si praticarono con grande vantaggio della pubblica salute il taglio del Noce a Mezzolombardo, e quelli dell’Adige a Trento, a Mattarello, a Nomi; fu preparato il letto al Brenta alla sua uscita dal Lago di Caldonazzo nel 1802, ed, in seguito lungo il suo corso, e si prosciugarono le paludi che formava ed infestavano tutta la natura vegetale ed animale della bella Valsugana.
Con ciò il miasma palustre venne allontanato dai paesi montani e dalle colline, come Torcegno e Roncegno , ma non fu per anco combattuto e vinto nel fondo della valle. Il Brenta corre ancora troppo lentamente per mezzo al piano, e sul fondo suo si arresta perciò troppa melma putrida». «Egli è costume de’ nostri alpigiani, e in generale di tutto il paese e dei vicini Tirolesi di gettare nell’acqua ogni sozzura.
Si gettano nei fiumi, nei loro confluenti, nei laghi e nelle fontane le carogne di animali morti di malattia, dal bue al cavallo, al gatto ed ai marcidi bachi da seta. Esse imputridiscono nell’acqua e, se corrente, vengono trasportate da un luogo all’altro; così dove nel piano i fiumi rallentano il corso, si arresta e ristagna nel letto di questi un indicibile putridume, che impaludando crea i più fieri e micidiali miasmi.
Tale avviene, ad esempio, nel letto dell’Adige sotto Salorno, ove si raccoglie quanto di miasmatico conduce questo fiume dal Tirolo e dalle valli del Noce, e tale dagli altri fiumi e laghi del nostro paese, nei quali confluiscono molti torrenti, e le cui acque bevute importano il miasma.
Per primo insorgo contro un costume tanto contrario alla pubblica salute! Il male va tolto alla radice e perciò domando che con leggi energiche vi sia posto riparo da parte dei comuni; ma questi provvedimenti sarebbero assai sterili, ove i comuni nostri non fossero spalleggiati dal governo, ed ove non fossero d’accordo in queste misure anche i Tirolesi fra cui nasce e corre per lungo tratto l’Adige»
«Una riforma di questa natura si rende oggidì più urgente, dopo che per il taglio dei boschi l’atmosfera del Trentino si è in parte debilitata ed impoverita d’ossigeno, e favorisce quindi meglio l’estendersi delle infer mità miasmatiche e contagiose … Non è però il solo contatto che comunichi questa piaga, poiché il veleno palustre possiede purtroppo la fatale proprietà di sviluppare, trasportato dall’aria, lontani gli accessi perniciosi.
Ho curato sui monti e nel comune di Roncegno ben lunge dal Brenta dei fieri assalti di febbre perniciosa sincopale, epiletica ed asfitica . Il miasma palustre … dà anche facile ricetto ai germi di contagi esotici, facilitando la loro introduzione e le loro devastazioni. Nell’ultima epidemia di cholera che visitò il Trentino ( 1845-1854), lungo il Brenta si numerarono moltissime vittime, nessuna sui monti di Roncegno, dove l’aria e l’acqua sono pure ed elettrizzate. Per le stesse felici condizioni fisico-geografiche, ne restarnno illese la Valle di Sole ed altre valli. Da tutto ciò si raccoglie, che è necessario pensare seriamente alla completa liberazione del nostro paese dal miasma palustre».
A questo punto è necessario dare un quadro aggiornato e completo, sia pure breve, sul problema del «miasma palustre», così ben descritto dal Bezzi e così importante anche per il Trentino.
Miasma palustre, febbri paludose, febbri perniciose, paludismo: sono tutti sinonimi di «Malaria». La «malaria » è certamente una malattia antichissima, forse nota anche alle più remore civiltà, ma bisogna arrivare al V secolo a. C. per trovare nelle opere di Ippocrate una sicura documentazione e descrizione delle «febbri malariche».
Sul Palatino c’era un tempio dedicato alla “Dea Febbre», ne parlavano Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.) «febbre palustre» e Columella (anno 100 era cristiana ) «malaria» attribuita a zanzare: cause ambientali e organiche da paludismo.
Gerolamo Fracastoro ( 1487- 1553) da Verona, nel suo libro «De contagiane» del 1541, tratta della trasmissione della sifilide, tubercolosi e malaria. Sulle tracce del Fracastoro, Giovanni Maria Lancisci (1654-1720) nel suo libro «De noxiis paludum effluviis», tratta dei danni delle acque paludose, della fanghiglia che fermenta e si corrompe con la putrefazione di piante e insetti, con esalazioni di specifici veleni che alterano il sangue (aria delle febbri perniciose, febbri paludose) e ritiene necessario che i governi provvedano alle irrigazioni dei terreni per evitare la formazione di acque stagnanti e sia veramente proibito il taglio delle selve, giovando le più alte piante (piante di alto fusto) al miglioramento dell’aria.
Bernardino Ramazzini (1633-1714), ricorda che anche all’epoca romana, furono eseguite opere idrauliche di bonifica meravigliose ed insiste per la bonifica. Le scoperte di A. Laveran (1845- 1922), di R. Ross ( 1857-1937 ), di Gian Battista Grassi ( 1854-1925) ed altri studiosi italiani, risolsero il problema etiologico della malaria. Dimostrarono che la malaria è causata da emosporidi del genere Plasmodium che compiono il loro ciclo vitale completo fra l’uomo e la zanzara.
Non si può parlare di progressi igienici in Italia senza citare il successo ottenuto nella lotta contro la malaria. E la legislazione antimalarica italiana moderna si deve a C. Tommasi Crudeli (1834-1900 ), maestro precursore di Angelo Celli (1857-1914) che fu l’animatore della lotta Antimalarica.
La lotta antimalarica in Italia combattuta con criteri derivanti dalle scoperte e dagli studi dei grandi malariologi italiani, fu diretta allo scopo precipuo di redimere le terre malsane per la malaria con opere di grandi bonifiche, con la bonifica agraria, con la colonizzazione dei terreni bonificati, con la profilassi chininica, con gli studi per raggiungere lo scopo di ottenere «l’anofelismo senza malaria», che si ha quando vi siano altre specie o varietà anofeliche con scarsa o nessuna tendenza trasmettitrice. (La malaria è quindi una infezione chiusa ed intracorporea che si esaurisce in assenza di anofeli ).
Secondo il Bezzi , «altra causa della fisica decadenza che si manifesta in Trentino è data: dall’abuso dei liquidi alcoolici, del tabacco e del caffè»... L’abuso de’ liquori, dell’acquavite e del vino guasto dalla malattia delle uve e alterato dalla solforazione; l’abuso del tabacco e caffè nelle abitudini della vita sono altre cause di decadenza fìsica nel Trentino.
Quì dove una volta la temperanza e l’amore al lavoro onoravano, virtù predilette, i nostri alpigiani e gli abitatori delle città e delle borgate, vediamo ora manifestarsi a comune disdoro le malattie prodotte dall’alcool, il cretinismo, il delirio tremante dei bevoni, la melanconia e la fiacchezza sessuale della birra, la imbecillità del tabacco, le nevropatie del caffè».
“L’alcool, oltre produrre le allucinazioni dei sensi, il delirio, la paralisi, la inappetenza, la idropisia, la defibrinizzazione ed il difetto dei globuli rossi e d’albumina del sangue e l’infezione acetosa, agisce nel modo più funesto sul talamo coniugale. Casi di impotenza nei bevoni non sono rari fra noi. I figli poi generati da parenti durante l’ebbrezza nascono talora cretini, scrofolosi, rachitici, coreici, epilettici; ed io ebbi disgraziatamente a osservare parecchi casi di cretinismo, che per il primo chiamo alcoolico, in individui procreati anche da uomini d’ingegno nel momento dell’ubbriachezza!”
«Le donne, nel nostro paese, quando sono portate ad inebriarsi: preferiscono l’acquavite ed i liquori al vino, onde hanno origine varie infermità, come nevrosi, delirio, convulsioni dei muscoli animali ed organici (cuore, intestini, vescica, utero) e parecchie malattie della pelle. Le bevande alcooliche del resto menano i maggiori guasti nelle valli dove non cresce la vite … “.
«L’abuso del vino puro e sano non è tanto fatale quanto quello del vino alterato e dei liquori spiritosi. I vini del Trentino, questa importantissima miniera della nostra futura ricchezza, igienicamente sono buoni, i troppo alcoolici però ed i bianchi di certe vallate, quando se ne faccia abuso, riescono dannosi alla salute. L’acquavite di vino dovrebbe concedersi solo nella state ai contadini estenuati dalla fatica e dal calorico; e del resto escludersi assolutamente dalla dietetica assieme a tutti i liquori spiritosi.
«L’abuso degli alcoolici crebbe a dismisura nel Trentino, dopoché, senza che le leggi vi si opponessero, si moltiplicarono fra noi le osterie e le bettole, delle quali il numero è tanto grande da potersene contare quattro ed anche più in paesetti di duecento abitanti» .