TRENTINI FAMOSI, MA NON TROPPO – 40

INES “SERENA” PISONI

Trento, 28 aprile 1913 – Roma, 4 ottobre 2005      

Ines "Serena" Pisoni

Ines “Serena” Pisoni

             

a cura di Cornelio Galas

Ines Pisoni, nata a Trento nel 1913, fu la compagna di Mario Pasi, martire della Resistenza, ma non va ricordata solo per questo. Fu anche una comunista, grande combattente sul fronte della dignità delle donne, per la parità di diritti sul lavoro, in epoche in cui il femminismo era ben là da venire.

Mario Pasi

Mario Pasi

Partigiana – con il nome di battaglia di «Serena» – si impegnò con successo anche nel giornalismo (vinse il Premio Saint Vincent, il più prestigioso d’Italia, nel 1960) e fu la prima donna italiana a parlare all’assemblea della Cee. Sua la firma (per la Cgil nazionale) sull’accordo che sancì la parità di salario fra uomini e donne.

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Infine, non va dimenticato che in anni davvero pesanti (nel 1952, segretario Togliatti) avviò sulla rivista del Pci una attualissima polemica sulla necessità per i politici di parlare con un linguaggio chiaro e semplice. Insomma più comprensibile ai cittadini del politichese, quello delle famose “convergenze parallele”.

Ines "Serena" Pisoni

Ines “Serena” Pisoni

Fu anche insegnante di «economia domestica»: prima a Riva sul Garda, poi in Istria, e di nuovo a Levico, Fiera di Primiero, poi direttrice di una scuola d’arte a Riva sul Garda e ancora a Trento fino al 1942, anno in cui dopo una intensa preparazione culturale e ideologica assieme a Mario Pasi (medaglia d´oro della Resistenza) medico e fondatore del Partito comunista a Trento aderì al Pci.  E subito iniziò la pubblicazione e diffusione di un giornale clandestino antifascista: «Il Proletario».

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Contemporaneamente, in quegli anni,  estese i suoi contatti antifascisti a Trento, Rovereto, Borgo Valsugana, Camparta, Tavernaro, Cognola e, dopo il 25 luglio 1943 con la Romagna. Ines Pisoni diventerà quindi «Serena», il suo nome da partigiana.

Il 5 maggio 1944, dopo una intensa attività formativa e di collegamento con varie zone del Trentino, si trasferì in Romagna dove curò un intenso lavoro politico e organizzativo di collegamento come segretaria dell’organizzazione clandestina del Pci  in varie zone. Lì, in Romagma resterà fino alla Liberazione.

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Nell’autunno del 1945, dopo un breve ritorno a Trento, venne chiamata a Roma, alla direzione del Pci, dove rimase fino all´inizio del 1946, quando, per una grave insufficienza cardiaca, conseguenza delle fatiche e delle tensioni sopportate nella guerra e nella Resistenza, fu ricoverata per un lungo periodo in una casa di cura.

In quella lungodegenza scrisse il manoscritto dal quale è stato tratto, dopo trent’anni, il suo diario partigiano «Mi chiamerò Serena», pubblicato nel 1978 a Ravenna dalle «Edizioni del Girasole» e, in seconda edizione, a Trento nel 1990 dalla Casa Editrice «Publiprint».

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Nel 1948 Ines Pisoni riprese la sua attività a Roma, dapprima nell’Udi (Unione Donne Italiane), impegnandosi a fondo sui problemi dell’infanzia e dell’emancipazione femminile e poi nella Cgil, dove svolse un ruolo primario nella battaglia per le parità di salario tra lavoratori e lavoratrici, impegnandosi a realizzare l’unità con le altre organizzazioni sindacali in tempi pur difficili.

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Il 16 luglio 1960 fu stipulato il primo accordo sindacale sulla parità di salario tra lavoratori e lavoratrici per tutti i settori dell’industria. Tale accordo, porta anche le firme di Ines Pisoni per la Cgil e di Sandra Codazzi (futura senatrice) per la Cisl.

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Dopo una intensa attività giornalistica sui problemi delle donne lavoratrici fin dall´1 gennaio 1952, ottenne l’iscrizione all’albo dei giornalisti della Regione Lazio. Contemporaneamente al suo lavoro sindacale partecipò periodicamente ai lavori della sezione femminile del Pci e nell’estate del 1952 riassunse in un articolo per “Rinascita” la sua aspirazione a un rinnovamento in senso umano oltre che formale, come detto, del linguaggio politico, partendo dalla sua esperienza in campo femminile e da quella più generale in campo sindacale.

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Dopo un primo rifiuto della segreteria di redazione (che riteneva l’articolo «fuori campo») Ines Pisoni volle avere un giudizio di Togliatti e, dopo qualche giorno ebbe la gradita sorpresa di rivedere il proprio dattiloscritto con una precisa annotazione di Togliatti: «subito in tipografia». Venne pubblicato col titolo redazionale «Per un linguaggio politico più accessibile e umano».

Palmiro Togliatti

Palmiro Togliatti

Il dibattito suscitato dal suo contenuto si protrasse per diversi mesi e cioè dal n. 8 fino al n. 12 della rivista, con la partecipazione di compagni e compagne dirigenti e anche lavoratori in fabbrica.

Per la sua sempre più intensa attività giornalistica sui problemi delle lavoratrici Ines Pisoni fu, a quel punto, chiamata a svolgere il suo impegno anche a livello internazionale e cioè alla Commissione Bureau International du Travail della Cee.

Ines "Serena" Pisoni

Ines “Serena” Pisoni

Per iniziativa della Federazione Sindacale Mondiale a Ines Pisoni sarà affidato il compito (verso la fine degli anni 1960) di presentare la relazione introduttiva alla prima riunione sindacale dei paesi della Cee svoltasi a Parigi.

Durante lo sviluppo della più generale battaglia per i diritti delle lavoratrici Ines Pisoni intensificò sempre più il suo impegno giornalistico e nel 1960 «per una serie di articoli sul lavoro femminile» le fu assegnato il Premio Saint Vincent per il giornalismo.

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Nel 1971, a causa di un grave intervento chirurgico per aneurisma cerebrale, fu costretta a rinunciare all’attività professionale. Poté così riprendere in mano il suo primo scritto del 1946 e dedicarsi in seguito alla stesura della prima e poi della seconda edizione del suo diario partigiano «Mi chiamerò Serena» (1978 e 1990): a Ravenna e poi a Trento.

La morte di Pasi

La morte di Pasi

La vicenda personale di Ines Pisoni e Mario Pasi – narrata nel libro autobiografico “Mi chiamerò Serena” – è diventata anche film. Con il titolo «Montagna Serena» (dai nomi di battaglia dei due), diretto dal romano Roberto Marafante e dal trentino Andrea Tombini.

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IL FILM

 

Le location del video hanno interessato il centro di Trento, Povo, la Val di Ledro e le scuole Crispi utilizzate per ricostruire il vecchio ospedale S. Chiara. Filo rosso della narrazione: l’intervista con Ines Pisoni, compagna nella vita e nella lotta partigiana di Pasi, realizzata nell’estate de 1999. Le sue parole si intrecciano con una serie di flashback narrativi e di interviste che permettono di conoscere la storia di Pasi.

«Nella mente e nella memoria di Ines – avevano spiegato i due registi – il tempo misurato non ha spazio perché ancora può rivivere davanti ad una telecamera digitale la dirompente emozione, quasi disperata, della notizie della morte del suo compagno, torturato e poi impiccato dai nazisti».

Come lei stessa scrisse nella premessa del suo libro diario “Mi chiamerò Serena”, il periodo più duro e penoso della sua vita non fu quello successivo alla notizia della morte di Mario Pasi ma «quando le forze fisiche mi abbandonarono e fui costretta a fermare il mio passo, a rinunciare ad ogni attività, a chiudermi in una casa di cura e nell’isolamento più completo».

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Mario Pasi

«E’ difficile – scrisse ancora – spiegare il perché … e non solo perché, di quei fatti, io sono venuta a conoscenza qualche mese dopo, quando tutto era irrimediabilmente compiuto, ma perché la notizia di essi mi colse in pieno fermento, con nel cuore la gioia della liberazione, alla quale avevo partecipato, con nella coscienza una consapevolezza che non era conquista soltanto mia, con intorno a me, a migliaia, uomini e donne che operavano nel nuovo clima democratico e che, sovente, s’eran buttato alle spalle un fardello di sofferenza e di dolore pesante come il mio e di più».

Una scena del film

Una scena del film

La figura della partigiana Ines Pisoni, lo ripetiamo, è legata indissolubilmente a quella del fidanzato Mario Pasi, medico del Santa Chiara di Trento, partigiano. Quando la polizia tedesca cominciò a sospettare di lui arrestando alcuni suoi compagni (Aldo Paolazzi, Gino Rossi e Luigi Tazzari), Mario Pasi raggiunse le montagne della zona del Piave.

Ines Pisoni, a quel punto, lasciò anche lei la città e raggiunse ad Alfonsine nel Ravennate la mamma di Mario, con cui ebbe un affetto filiale. Da li Ines riprese la lotta armata contro il fascismo.

Il cadavere di Pasi

Il cadavere di Pasi

Ha scritto efficacemente Arrigo Boldrini nella prefazione del libro:

«Non è stata, la sua, una folgorazione improvvisa, una fiammata di ribellione, ma un continuo e sistematico avvicinamento ad un mondo che l’antifascismo e la Resistenza esprimevano, entro il quale si poteva accedere solo con una ferma presa di coscienza, con una decisione irrevocabile, accompagnate, specie nei momenti di disperazione, persino da una cieca fiducia di essere dalla parte giusta e con la determinazione, sempre più motivata, di volerci restare, a tutti i costi».

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La lotta armata e di supporto alla Resistenza di Ines Pisoni, dopo la sua partenza da Trento, si è svolta in gran parte nella Romagna e nel Ravennate, passando da un nascondiglio all’altro, da un rifugio all’altro, nella attesa di buone notizie e nel terrore, invece, delle più crudeli esecuzioni nazifasciste.

L’indole e la cultura di Ines, al di là dell’amore per Mario, la portarono ad una istintiva aspirazione alla giustizia sociale che sempre più la sollecitò a combattere la guerra dei poveri, «dentro la quale la donna – sottolinea ancora Arrigo Boldrini nella sua prefazione -, per la prima volta, poté riconoscersi, pari tra pari, come protagonista autentica della storia».

Il biglietto ("Mandatemi del veleno, non ne posso più") fatto uscire da Pasi dl carcere di Bolzano

Il biglietto (“Cari compagni, mandatemi del veleno, non resisto più”) fatto uscire da Mario Pasi (nome di battaglia: “Montagna”) dal carcere di Bolzano

Dunque Ines Pisoni è stata, a suo modo, una protagonista nella storia femminile della Resistenza, una delle tante ma importanti. E non sarebbe giusto limitare la forza della sua azione a motivi sentimentali o a meri motivi familiari.

Piuttosto, come ha scritto un giorno Camilla Ravera, «ascoltando da ognuna di queste donne partigiane racconti di episodi e di situazioni scopriremmo in tutte la stessa semplicità, la coscienza di avere compiuto un dovere e la volontà incrollabile di combattere ogni forma di ingiustizia».

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