a cura di Cornelio Galas
- documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino
A settanta anni dalla loro redazione ecco per la |
OTTOBRE 1936
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE
DI GERMANIA VON HASSELL
Roma, 3 ottobre 1936-XIV
Ho avuto il seguente colloquio con l’Ambasciatore von Hassell.
Mio viaggio in Germania. – L’Ambasciatore von Hassell mi ha comunicato ufficialmente l’invito di recarmi in Germania tra il 18 ed il 22 corrente mese. Egli era al corrente di quanto era stato detto ad Attolico circa la redazione di un comunirato a conclusione della mia visita, nel quale avrebbero dovuto venire toccati i seguenti punti: Locarno, Società delle Nazioni, Colonie, comunismo, riconoscimento dell’Impero. In massima, a nome del suo Governo, si è dichiarato d’accordo, riservandosi di concordare in seguito i particolari e di redigere il testo.
Locarno. – Per la questione di Locarno l’Ambasciatore von Hassell mi ha dichiarato che il Governo tedesco intende, in primo luogo, affrontare il problema in pieno coordinamento con l’Italia.
I tedeschi si propongono di rispondere al memorandum britannico, ma non prima che sia terminata l’Assemblea. Io ho fatto rimarcare che sarebbe opportuno posporre la risposta a dopo la mia visita a Berlino. Von Hassell ha preso atto e si è riservato di comunicare al suo Governo.
Il Governo del Reich dichiara di avere in massima una disposizione positiva nei confronti del raggiungimento di un Patto occidentale. Per quanto concerne i rapporti coi Sovieti, l’atteggiamento germanico si mantiene negativo, pur non ritenendo opportuno, in un primo tempo, compiere alcun gesto che possa venire a marcare tale atteggiamento. Basterà dichiarare che dapprima soltanto l’accordo occidentale viene considerato, escludendo ogni immissione russa.
Il criterio tedesco nella stipulazione del Patto rimane quello della rinuncia assoluta alla guerra tra Germania, Francia e Belgio, senza eccezioni. Qualora la Francia proponesse invece delle eccezioni, il Governo del Reich si riserverebbe di considerarle caso per caso. Nessuna interferenza deve essere stabilita tra il nuovo Patto di Locarno ed il Patto della Società delle Nazioni.
Questi i concetti di massima: l’Ambasciatore von Hassell ha aggiunto che nella prossima risposta alla nota britannica, risposta che avrebbe un carattere preliminare, il Governo del Reich si proporrebbe di dire soltanto che la Germania rimane fedele all’idea di garantire la pace nell’Occidente, mediante un Patto che fosse nello spirito della vecchia Locarno. Ma von Hassell stesso si domanda se una nota di tal tenore potrebbe considerarsi una vera e propria risposta al memorandum inglese, o non piuttosto una mossa per dilazionare.
Ho detto a von Hassell che era necessario esaminare insieme e piú a lungo tutto il problema e che lo stesso testo della risposta tedesca avrebbe dovuto essere direttamente influenzato da quello che sarà il testo del comunicato da concordarsi in seguito alla mia vísita a Berlino.
Spagna. – L’Ambasciatore von Hassell mi ha detto cme il Governo tedesco non intende per ora rispondere al telegramma di Franco, poiché una risposta assumerebbe il valore di riconoscimento. Si riserverebbe di farlo dopo l’occupazione di Madrid, concordandosi opportunamente con noi.
Colloquio col Duce. – Von Hassell mi ha infine detto che ha alcune cose da riferire al Duce per incarico personale di Hitler. Prega pertanto che gli venga fissato un colloquio, dopo il quale riprenderà le conversazioni con me per la preparazione del viaggio a Berlino e della risposta per Locarno.
Se il Duce autorizza, proporrei di accompagnare von Hassell a Palazzo Venezia, nel pomeriggio di lunedí.
IL RIARMO INGLESE
Roma, 7 ottobre 1936-XIV
L’Ambasciatore d’Inghilterra, tornato recentemente da un congedo di due mesi in Patria, è venuto oggi a vedermi. Mi ha detto per prima cosa che è rimasto impressionato, durante il suo congedo, delle ottime condizioni in cui si trova il suo Paese, ove ha notato una eccezionale ripresa di attività e di commerci. Il riarmo procede attivamente e rapidamente: per quanto riguarda la Marina e l’Aeronautica non s’incontrano difficoltà né per i1 materiale né per gli uomini.
Difficoltà s’incontrano invece per il reclutamento terrestre, che scarseggia; ma il Governo britannico è deciso di superare anche in questo settore ogni possibile ostacolo. Drummond ha avuto prima di partire una lunga conversazione con Eden, il quale lo ha personalmente incaricato di farci conoscere che l’interpretazione data dalla stampa ad alcune manifestazioni della vita politica britannica è falsa. È intenzione inglese di riprendere al piú presto le buone relazioni con l’Italia, e di considerare chiusa la pagina etiopica.
Ho fatto rilevare all’Ambasciatore britannico che l’interpretazione della stampa non era soltanto da parte italiana, ma praticamente di tutti i giornali stranieri. Ho documentato questa affermazione a Drummond con alcuni articoli di stampa estera. Ho detto che prendevo atto di quanto lui mi diceva ma che evidentemente sarebbe stato bene, anche per neutralizzare l’effetto di quanto era stato stampato, che la stampa inglese facesse conoscere pubblicamente quanto Drummond mi diceva per via diplomatica. Non ho avuto nessuna pratica risposta.
Drummond mi ha parlato allora delle preoccupazioni britanniche per l’azione che noi staremmo svolgendo in Egitto e in Palestina, sottolineando particolarmente la nostra propaganda antibritannica in Egitto. Mi ha detto che il Governo aveva delle prove, ma ho tratto l’impressione dal colloquio, anche perché il carattere delle affermazioni di Drummond era assai inesatto, che tali prove non ci siano. Comunque ho negato ogni nostro intervento nei movimenti arabi dell’Egitto e dell’Asia Minore.
Infine con Drummond abbiamo parlato del memorandum per Locarno. Pur premettendo che la questione era ancora allo studio e che quindi non ero in grado di fargli conoscere il nostro definitivo punto di vista in merito, gli ho detto e gli ho spiegato le ragioni per le quali noi siamo contrari ad una formula che tenda a trasformare il Patto di Locarno in una combinazione di accordi regionali tripartiti.
VIAGGIO A BERLINO
Col ministro von Neurath abbiamo riesaminato i vari punti del Protocollo e abbiamo espresso successivamente i nostri punti di vista sulle varie questioni.
Locarno. – Neurath ed io abbiamo confermato di tenerci in contatto per l’avvenire come per il passato, avendo riscontrato ancora una volta una identità di vedute su tale questione. La Germania – secondo quanto dichiarava von Neurath – non è disposta ad accettare Patti tripartiti, né ad ammettere una situazione risultante dalla somma della vecchia Locarno piú un Patto aereo tripartito anglo-franco-tedesco. Inoltre non intende che tra la nuova Locarno, la situazione orientale e il Covenant della Società delle Nazioni esistano rapporti di sorta.
Concordiamo nel giudicare inutile ai nostri fini il recente atteggiamento belga: anche la Germania farà conoscere tale suo giudizio a Bruxelles.
La discussione della eventualità di un Patto occidentale ha portato il Ministro tedesco e me ad esaminare i rapporti dei nostri due Paesi con l’Inghilterra. Ho detto a Neurath che noi non facevamo né intendevamo fare una politica antibritannica, ma dovevamo registrare le attività che gli inglesi svolgono contro di noi. Se l’Inghilterra continua in tale sua politica, noi siamo decisi a fronteggiarla, e la necessaria preparazione è già in atto. Neurath mi ha detto che concorda assolutamente con noi nel ritenere che l’Inghilterra cerca di svolgere una politica di accerchiamento contro l’Italia.
Ma la politica dell’Inghilterra, anche nei riguardi della Germania, è tutt’altro che chiara ed amichevole. Neurath non si è mai fatto illusioni su questo punto: egli sa che l’Inghilterra guarda la Germania nazista con animo ostile.
Ho ritenuto allora opportuno di dirgli che sono in nostro possesso alcuni documenti (che, d’ordine del Duce, rimetterò direttamente al Führer), i quali provano in forma definitiva le intenzioni della Gran Bretagna verso la Germania. Neurath mi ha detto che è ben lieto che tali documenti vadano nelle mani del Führer, il quale potrà piú tranquillamente abbandonare quei residui di illusioni creatigli da Ribbentrop, secondo le quali l’Inghilterra avrebbe voluto fare una politica di amicizia e di collaborazione sincera con la Germania. Ma anche il Führer in questi ultimi tempi ha avuto modo di rendersi conto di come le previsioni di Ribbentrop fossero fallaci.
Società delle Nazioni. – Tanto Neurath che io confermiamo appieno quanto risulta dal relativo accordo contenuto nel Protocollo. Dico a von Neurath che la nostra decisione di rimanere alla S.d.N. è tutt’altro che definitiva: a suo tempo, ed essendosi verificati alcuni eventi di polizia militare in Abissinia, noi riesamineremo la nostra posizione verso Ginevra. Neurath ne prende atto, ma per parte sua non insiste per una nostra uscita immediata, dato che noi, essendo ancora membri della S.d.N., abbiamo la possibilità di svolgervi, se del caso, un’opera di sabotaggio utile ai comuni fini.
Comunismo. – Si conferma quanto risulta dal Protocollo.
Spagna. – Neurath comunica l’intenzione del Governo tedesco di procedere al riconoscimento del Governo franchista subito dopo l’occupazione di Madrid. Concordo. Domando a Neurath cosa gli risulti circa la situazione militare delle forze rivoluzionarie. Egli non ha notizie precise, ma ritiene che si attraversi una critica fase di stasi. Gli dico che tale è anche l’opinione nostra e che il Duce mi ha incaricato, a questo proposito, di dire al Führer che egli intende compiere uno sforzo militare decisivo per determinare il tracollo del Governo di Madrid. Desidera sapere se il Führer è pronto ad associarsi a tale azione. Per parte nostra, oltre alle nuove forze aeree, che manderemo, possiamo anche fornire due sottomarini sufficienti a liberare il mare dalle forze dei rossi.
Neurath mi dice che certamente il Führer concorderà; comunque la questione verrà definita durante il colloquio a Berchtesgaden. Tra me e Neurath rimangono fissati nei riguardi della Spagna i tre seguenti punti:
1. sforzo militare immediato e comune;
2. riconoscimento dopo l’occupazione di Madrid;
3. azione comune, che verrà definita a suo tempo, per impedire il determinarsi e il consolidarsi di uno Stato catalano.
Austria. – Confermiamo quanto risulta dal Protocollo. Neurath esprime la sua soddisfazione per i recenti avvenimenti che hanno comportato il consolidamento totalitario della posizione di Schuschnigg. Mi associo pienamente a quanto egli dice.
Gli domando quali siano le intenzioni del Governo tedesco circa la elevazione di quella Rappresentanza al rango di Ambasciata. Neurath risponde che egli è contrario alla cosa, che ha dato istruzioni in tal senso a veri Papen, ma teme che quest’ultimo sia riuscito a carpire al Führer – il quale non attribuisce molta importanza a questa questione tecnica specifica – il permesso di avanzare la proposta a Vienna.
Gli dico che anche noi siamo contrari. Comunque rimaniamo d’accordo che, qualora si dovesse arrivare alla elevazione delle Legazioni al rango di Ambasciate, si procederebbe di piena intesa e si adotterebbe il provvedimento lo stesso giorno.
Politica economica generale. – Spiego a Neurath le ragioni che ci hanno indotto alla svalutazione. Neurath dichiara di rendersi esattamente conto e dice che il Governo del Reich non ha svalutato adesso per speciali ragioni contingenti, ma che si dispone a farlo non appena tali ragioni saranno cessate.
Collaborazione economica nel Bacino danubiano. – Confermiamo quanto risulta dal Protocollo circa l’opportunità di lasciare definire dagli organi tecnici – però al piú presto – la forma e i limiti di tale collaborazione. L’argomento induce a compiere un rapido esame dei rapporti politici coi vari Stati balcanici. Ci soffermiamo particolarmente sui rapporti con la Jugoslavia e Neurath, registrando la recente détente tra Roma e Belgrado, mi dice che sarebbe nostro interesse di stabilire al più presto buone relazioni con la Jugoslavia per due ragioni: una prima, di interesse comune, relativa all’opportunità di rafforzare mediante l’adesione jugoslava il barrage al comunismo; una seconda, di interesse particolarmente italiano relativa ai vantaggi, di sottrarre Belgrado all’influenza britannica, dato che al Governo del Reich risulta in forma sicura che gli inglesi tendono a crearsi una piattaforma di amicizia in Jugoslavia per assicurarsi le basi dalmate in caso di conflitto e per completare il tentativo di accerchiamento anti-italiano.
Rispondo a Neurath che fra noi e la Jugoslavia non esiste alcuna seria ragione di dissenso e che è pertanto nostra intenzione di raggiungere una intesa. Per quanto concerne poi la Romania, Neurath dice che, una volta stabilito l’accordo con Belgrado, essa dovrà inesorabilmente avvicinarsi a noi. Neurath dice infine che gli albanesi gli hanno fatto reiteratamente conoscere il desiderio di re Zog di stabilire una Legazione a Berlino. Il Governo tedesco vorrebbe conoscere il parere italiano in merito. Rispondo che in principio nulla osta e che mi riservo di fargli conoscere eventuali osservazioni in merito.
Abissinia. – Si conferma quanto risulta dal Protocollo e dico a Neurath che, per quanto riguarda i danni subiti dai cittadini tedeschi in Etiopia, egli può farmi pervenire una lista. Mi interesserò affinché il Viceré sul posto provveda a tacitare i danneggiati con provvedimenti di grazia.
Manciukuò. – Neurath dice che il Führer desidera di venire al riconoscimento del Manciukuò ma che egli intenderebbe ritardare di qualche tempo tale gesto per non compromettere alcuni contingenti interessi economici tedeschi in Cina. Tra la Germania e il Giappone si sono però stabilite relazioni di stretta collaborazione e, in via del tutto riservata, mi comunica che tra breve si procederà alla firma di due Protocolli: uno pubblico, contenente una intesa antibolscevica, e un secondo, segreto, contenente la clausola della favorevole neutralità in qualsiasi evenienza.
Per quanto ci concerne, nulla osta da parte tedesca a che noi si proceda al riconoscimento del Manciukuò in cambio del riconoscimento dell’Impero etiopico: anzi Neurath ritiene che un tale avvenimento potrà essere utile ed opportuno. Neurath esprime infine il desiderio di raggiungere tra l’Italia e la Germania un accordo culturale. Dò l’adesione di massima e si rimane intesi che tra breve si inizieranno le conversazíoni relative.
Di comune accordo, Neurath ed io, rinviamo al giorno successivo la firma dei Protocolli, riservandoci inoltre di concordare le dichiarazioni alla stampa e le comunicazioni da fare al corpo diplomatico. In linea di massima riteniamo non opportuno dichiarare che si è proceduto alla firma di un Protocollo. Ciò darebbe la stura a troppe arbitrarie ipotesi. Converrà però dire che gli argomenti dei nostri colloqui sono stati consacrati in apposito processo verbale firmato dalle due parti.
Il colloquio, al quale Neurath ha tenuto a dare il carattere di una assoluta e, vorrei dire quasi, eccezionalmente marcata cordialità, si è protratto dalle ore 11,20 alle ore 13,5.
A COLLOQUIO COL FÜHRER
Berchtesgaden, 24 ottobre 1936-XIV
Il colloquio si è svolto nello studio privato di Hitler, al secondo piano della sua villa. Il Führer esprime il suo compiacimento per la mia visita in Germania e si dichiara lieto dei risultati raggiunti per la collaborazione dei nostri due Paesi. Lo ringrazio e gli dico di essere incaricato dal Duce di portargli un saluto particolare, dal Duce che ha sempre nutrito per Hitler sentimenti di cordiale simpatia e di vivo interesse per la sua opera, anche nei momenti difficili.
Il Führer appare molto toccato da queste dichiarazioni che gli vengono da parte di chi: “è il primo Uomo di Stato del mondo, al quale nessuno ha diritto di paragonarsi neppure da lontano.”
Durante le sanzioni l’Inghilterra ha cercato piú volte di adescare la Germania con promesse, talvolta anche lusinghiere, per attrarla nella sua sfera d’azione anti-italiana. Il Führer non ha mai ceduto a tali lusinghe perché ha sempre tenuto presente l’immane opera compiuta da Mussolini per il suo Paese e per il mondo, e perché si è reso conto della intenzione britannica di separare i nostri due Paesi per batterli isolatamente.
Un’alleanza guidata dall’Inghilterra contro l’Italia prelude ad un’alleanza guidata dall’Inghilterra contro la Germania e viceversa. Le democrazie sono saldate tra di loro in un blocco automatico che trova una specie di cemento e di lievito nel bolscevismo. Queste forze sono egualmente nemiche della Germania nazista e dell’Italia fascista.
Al Führer, che mi domanda lo stato attuale dei nostri rapporti con l’Inghilterra, faccio un rapido esposto della situazione, mettendo in chiaro che non è né nelle nostre intenzioni né nei nostri programmi di svolgere una politica antibritannica per partito preso, ma che sarebbe sciocco e criminoso da parte nostra di chiudere gli occhi di fronte alle continue manifestazioni di preparazione anti-italiana da parte del Governo britannico.
La nostra contromanovra al tentativo di accerchiamento è rapida e decisa; qualora l’Inghilterra credesse di voler saldare intorno all’Italia un anello per soffocarla, la nostra reazione sarebbe immediata e violentissima. Ma – aggiungo – la Germania non deve farsi íllusioni. La politica britannica si rivolge altrettanto attivamente contro di lei. Se non se ne hanno manifestazioni positive e dirette, è perché l’Inghilterra cerca di guadagnare il tempo necessario per completare il suo riarmo.
A questo punto presento al Führer, come invio speciale del Duce, il documento noto. Il Führer legge subito la circolare di Eden e il telegramma Phipps, nel quale l’Ambasciatore d’Inghilterra giudica il Governo del Reich composto da pericolosi avventurieri. La lettura produce una profonda impressione nel Führer, che dopo un momento di silenzio, ha una reazione violenta.
“A giudizio degli inglesi vi sono oggi nel mondo due Paesi che sono guidati da avventurieri: la Germania e l’Italia. Ma anche l’Inghilterra era governata da avventurieri quando fece l’Impero. Oggi è soltanto governata da inetti.”
La lettura dei due documenti ha animato il Führer. Allora egli dice che all’intesa che esiste fra le democrazie bisogna opporne una guidata e capeggiata dai nostri due Paesi. Ma non bisogna limitarsi a tenere un atteggiamento passivo. Bisogna assumere un contegno attivo. Bisogna passare all’attacco.
Ed il terreno tattico sul quale conviene portare la manovra è quello dell’antibolscevismo. Infatti molti paesi, i quali, insospettiti da un’amicizia italo-tedesca per tema del pangermanismo o dell’imperialismo italiano si schiererebbero contro di noi, saranno portati a fare parte della nostra costellazione se vedranno nella unione italo-tedesca la barriera contro la minaccia bolscevica all’interno e all’estero.
In Ispagna italiani e tedeschi hanno già scavato insieme la prima trincea contro il bolscevismo. La Germania si è impegnata a fondo nella questione spagnuola senza alcuna mira territoriale e politica: il Mediterraneo è un mare italiano. Qualsiasi modifica futura di equilibrio mediterraneo deve andare a favore dell’Italia. Così, come la Germania deve avere la libertà di azione verso l’Est e verso il Baltico: orientando i nostri due dinamismi in queste direzioni, esattamente opposte, non si potrà mai avere un urto di interessi tra la Germania e l’Italia.
Faccio presente al Führer che fin dal 1919 Mussolini ha innalzato nel mondo la bandiera antibolscevica e che l’azione svolta all’interno è stata tale da far scomparire nel modo piú assoluto in Italia ogni minaccia comunista. Anche la rivoluzione spagnola, che pure tanta eco ha avuto nel mondo, non ha prodotto la minima ripercussione nelle masse operaie e contadine italiane, che hanno definitivamente divorziato da una ideologia marxista e comunista.
Anche la nostra azione in Ispagna, dichiaro, non ha mire territoriali: abbiamo soltanto voluto sbarrare la strada al bolscevismo che cercava di installarsi alle bocche del Mediterraneo. Adesso siano pronti e decisi a compiere uno sforzo maggiore pur di dare il tracollo al Governo di Madrid. Dico al Führer l’intenzione del Duce di mandare ancora 50 aeroplani e due sottomarini.
Il Führer approva pienamente, dice che è disposto a compiere qualunque sforzo pur di non lasciare la via libera a Mosca e mi assicura che darà istruzioni in tal senso alle sue autorità militari. Se fosse necessario, egli sarebbe disposto anche a mandare dei reparti di truppa. Gli dico che al momento della lotta per le Baleari noi avevamo già preparato due battaglioni di Camicie Nere.
Il Führer mi espone quindi la linea di azione che dovrebbe venir seguita. A suo giudizio, non v’è dubbio che l’Inghilterra, se avrà la sensazione di poterlo fare impunemente o facilmente, attaccherà l’Italia o la Germania, o tutt’e due. Questi Paesi, che rappresentano le forze giovani dirette ad ottenere una migliore e più giusta distribuzione di ricchezza, sono le naturali nemiche della potenza conservatrice inglese, la quale trova comodo accusarle di voler turbare la pace del mondo soltanto perché costituiscono una minaccia ai suoi interessi costituiti e che vorrebbe vedere consolidati nella cristallizzazione del mondo attuale.
Ma se l’Inghilterra vedrà – ed è quella la parte attiva dell’azione che il Führer propone – costituirsi gradualmente una costellazione di Potenze che sotto la bandiera dell’antibolscevismo sono disposte a far fronte unico con la Germania e con l’Italia, se l’Inghilterra avrà la sensazione di una nostra comune forza organizzata in Europa ed in Oriente ed in Estremo Oriente e anche nel SudAmerica, non soltanto si asterrà da una lotta contro di noi, ma cercherà di trovare con questo nuovo sistema politico un mezzo ed un terreno di intesa.
Se poi invece l’Inghilterra continuasse a meditare piani offensivi e cercasse soltanto di guadagnare tempo per il suo riarmo, allora noi la batteremmo su1 suo stesso terreno perché il riarmo tedesco e quello italiano procedono molto più rapidamente di quanto rion possa procedere il riarmo in Gran Bretagna, ove non si trami soltanto di costruire navi, cannoni ed aeroplani, ma ove si deve ancora procedere al più lungo e difficile riarmo spirituale.
La Germania fra tre anni sarà pronta, fra quattro sarà prontissima, se saranno cinque meglio ancora. Ma la potenza militare raggiunta dai nostri due Paesi sarà tale, anche in questa seconda ipotesi, da far desistere l’Inghilterra da ogni proposito aggressivo. La Germania lavora già attivamente per creare questo sistema di amicizie nel mondo. Bisogna cercare qualche cosa di più solido e profondo. Le intese devono sorgere da affinità spirituali e da identità di interessi. Quando queste condizioni sono realizzate, si fa presto, se è necessario, a consacrare sulla carta quello che già esiste di fatto.
La Germania è già effettivamente andata molto in là nella sua intesa col Giappone. Anche con la Polonia il lavoro compiuto è abbastanza buono. Ma il Führer è un po’ scettico sulle reali possibilità polacche perché quel Governo, ben lungi dal trovare, come il tedesco e l’italiano, le sue basi nel consenso popolare, si regge soltanto “sulla punta delle baionette”.
Un Paese con il quale la Germania è in buoni termini e che si augura possa ben presto arrivare ad una salda intesa con l’Italia, è la Jugoslavia. Bisogna che Roma agisca in primo luogo su Budapest per consigliare i magiari ad orientare il loro irredentismo verso la Cecoslovacchia, anziché contro la Jugoslavia. La Germania ha già dato consigli analoghi. D’altra parte bisogna riconoscere che le rivendicazioni ungheresi verso i serbi sono di portata molto modesta, mentre quelle verso i cechi sono di estrema importanza.
La Jugoslavia è preoccupata delle intenzioni aggressive che l’Italia nutrirebbe nei suoi riguardi. Basterà darle assicurazioni in tal senso per acquistarla al nostro sistema e sottrarla definitivamente all’influenza francese e sopratutto per impedire che le mene inglesi, dirette a fare di Belgrado un centro di azione anti-italiano, riescano. Assicuro il Führer che tali sono anche i nostri sforzi e che in realtà in questo periodo di tempo si è determinata una notevole détente tra l’Italia e la Jugoslavia. E noi siamo pronti ad andare molto piú in là: a raggiungere una vera e propria intesa.
Il Führer, concludendo la conversazione, ha ripetuto il compiacimento per gli accordi raggiunti a Berlino ed ha ripetuto la sua volontà di eliminare, sempre, nel futuro ogni difficoltà che, nella pratica, possa sorgere tra l’Italia e la Germania. Bisogna annullare gli ostacoli di dettaglio, quando la posta del gioco è troppo grande.
Il Führer ha fatto quindi entrare nella stanza Neurath, al quale ha brevemente riassunto la conversazione. Neurath, che ha sempre nei colloqui con me, e particolarmente negli ultimi giorni, manifestato un atteggiamento nettamente antibritannico, ha portato nuovamente il discorso sull’Inghilterra. Ciò ha dato motivo al Führer di ripetere che egli non si fa nessuna illusione sulle intenzioni che la Gran Bretagna nutre nei nostri e nei suoi riguardi; egli intende soltanto essere estremamente prudente per guadagnare tempo e raggiungere quella preparazione militare che dia la sicurezza assoluta del successo.
Ho parlato ancora al Führer di quella che è la nostra preparazione militare ed ho rimarcato che ne è rimasto vivamente impressionato. Neurath, quando abbiamo lasciato piú tardi la Villa del Führer, mi ha detto che la fermezza con la quale avevo esposto al Führer gli intendimenti del Duce di collaborare per la pace se sarà possibile, ma in pari tempo di prepararci duramente alla guerra, se sarà necessario, aveva vivamente colpito Hitler.
La conversazione si è svolta durante due ore e un quarto. Hitler, che parlava lentamente e sottovoce, aveva degli scarti violenti allorché parlava della Russia e del bolscevisino. Il suo modo di esprimersi era piano, piuttosto prolisso. Ogni questione formava oggetto di lunga esposizione ed ogni concetto era da lui ripetuto piú volte con diverse parole.
Come ho sopra detto, gli argomenti principali del suo dire erano il bolscevismo e l’accerchiamento inglese. Su questo ultimo punto però, a volte, manifestava delle incertezze. Neurath dice che dipendono dall’azione di Ribbentrop, che, ogni tanto, cerca ancora di fare al Führer delle iniezioni di ottimismo filobritannico. Ma il Ministro degli Esteri del Reich è molto scettico sui risultati dell’azione che Ribbentrop si propone di svolgere a Londra.
Ieri sera, a tavola, Neurath diceva testualmente: “Ribbentrop si accorgerà presto che è più facile farsi dire di sì a Londra come rappresentante di una marca di sciampagna, che non come rappresentante del Governo del Reich.” Comunque oggi Neurath mi sembra acquisito alla causa italiana. Se non altro, per fatto personale. Il duello tra lui e Ribbentrop è di pubblica ragione e tutti, in Germania, attendono di vederne i risultati, oggi che Neurath è riuscito a mandare il suo avversario ad operare sul terreno che egli stesso designava quale il migliore per gli sviluppi della politica germanica.
Qualunque successo di Ribbentrop a Londra, del resto molto improbabile, sarebbe l’insuccesso di Neurath. Quest’ultimo lo sa ed è pronto a battersi con ogni arma per impedirlo. Della Francia il Führer ha parlato, come del resto gli altri uomini tedeschi ne parlano, soltanto per inciso e con lieve disprezzo. Qualche ingiuria agli ebrei che la governano e nulla piú. Nel loro giudizio la Francia ha cessato, almeno per ora, di essere un soggetto di politica estera per diventarne un oggetto.
Il Führer si è mostrato particolarmente cordiale con me, ha chiesto ripetutamente notizie della vita e delle attività del Duce ed ha infine trattenuto a colazione tutto il personale del seguito, col quale è stato premuroso e cortese. Durante la sosta, ha telefonato due volte a Monaco per avere il resoconto del ricevimento fattomi, per il quale, del resto, personalmente aveva impartito le piú accurate istruzioni.
NOVEMBRE 1936
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE
DI GRAN BRETAGNA
Roma, 6 novembre 1936-XV
Dopo la firma dell’Accordo Commerciale con Eric Drummond ha chiesto di restare a colloquio con me. Mi ha detto quanto segue:
1. che il Governo inglese desiderava ritirare la guardia dalla Legazione di Addis Abeba non appena noi potessimo dare garanzia di prendere tutte le misure necessarie per assicurare i funzionari e le proprietà della Legazione. Ho creduto di poter dare immediatamente tale assicurazione a Drummond aggiungendo che Addis Abeba era perfettamente assicurata dalla Polizia e dalle truppe italiane. Drummond ha detto che avrebbe comunicato ciò al suo Governo e che la cosa avrebbe potuto diventare di pubblica ragione.
2. Mi ha parlato del discorso di Eden, come di un nuovo gesto che l’Inghilterra intende fare verso la conciliazione (anzi, per un lapsus linguae del quale si è subito ripreso, ha detto “verso un accordo”). A qualche osservazione che io gli ho fatto circa il testo del discorso stesso, egli mi ha risposto che probabilmente la traduzione dei giornali italiani non rispecchiava fedelmente lo spirito che animava il discorso di Eden, spirito che lui era autorizzato a dichiarare assolutamente identico a quello che il giorno prima aveva animato il discorso di Halifax.
Ha soggiunto che sarebbe molto opportuno per poter facilitare all’Inghilterra la sua marcia verso l’intesa, che la nostra stampa riservasse un’accoglienza, sia pure modestamente cordiale, alle parole del Ministro Eden. Un assoluto riserbo, o peggio ancora un attacco, complicherebbero nuovamente ed inutilmente la situazione. Ho detto a Drummond che prendevo atto di tali sue dichiarazioni e che comunque ero lieto che egli avesse avuto istruzioni di aggiungere tali spiegazioni a quanto appariva dalla pubblicazionc del discorso.
3. Mi ha detto infine che una missione navale si prepara ad andare a Londra unicamente per concludere un accordo tipo trattato navale 1936, come già concluso con la Germania, la Russia ecc. – Aveva avuto istruzioni di mettere bene in rilievo la portata esclusivamente tecnica di tale viaggio per evitare che da parte nostra si desse una interpretazione erronea e dannosa ai buoni rapporti tra l’Italia e la Gran Bretagna.
A questi che sono i termini del colloquio, ritengo doveroso aggiungere che ho trovato nel tono e nell’atteggiamento di Drummond un sostanziale cambiamento: per la prima volta egli ha parlato, e con viva insistenza, della necessità di una ripresa di buone relazioni fra l’Italia e la Bran Bretagna, dell’amicizia tra i due popoli, della convivenza dei reciproci interessi ecc.
COLLOQUI A VIENNA E BUDAPEST
Vienna-Budapest, 9-16 novembre 1936-XV
Tanto il Cancelliere Schuschnigg quanto il Segretario di Stato Schmidt, mi hanno subito chiesto informazioni particolareggiate circa il mio recente viaggio in Germania ed hanno tenuto a farsi rassicurare che gli Accordi di Berchtesgaden non hanno in nulla modificato la nostra politica verso l’Austria. Ottenuta questa assicurazione e manifestatami la loro soddisfazione, hanno detto che le relazioni tra l’Austria e la Germania non hanno subíto in quest’ultimo tempo alcun sostanziale cambiamento.
Vi sono però da parte tedesca tentativi notevoli e ripetuti di insinuarsi sempre maggiormente nella vita nazionale austriaca; particolarmente da parte di Göring, il quale ha offerto di cedere gratuitamente all’Austria fino a 600 aeroplani e di ospitare – facendo pagare perfino gli stipendi dalla Germania – gli ufficiali aviatori austriaci in campi tedeschi. Naturalmente tali offerte sono state respinte, pur riservandosi il Cancelliere Schuschnigg di accettare qualche fornitura di armi, evidentemente in proporzioni ridotte, che gli possa venire da parte tedesca.
Schuschnigg ha insistito molto (e forse a tal fine ha molto marcato le offerte di Göring) sulla ripresa da parte nostra delle forniture militari. Gli ho dato assicurazioni in tal senso, tanto piú che egli mi ha confermato il suo desiderio di firmare con noi l’accordo per la favorevole neutralità.
Lega delle Nazioni. – Per quanto concerne la Lega delie Nazioni ho trovato in Schuschnigg molti dubbi circa la possibilità dell’uscita austriaca. Egli si rende conto come per l’Austria sia praticamente impossibile di continuare a fare parte di una Società delle Nazioni dalla quale sia uscita anche l’Italia, però ha voluto farmi presente i vantaggi che per noi potrebbero derivare dal fatto di conservare a Ginevra, attraverso il rappresentante austriaco, un osservatore fedele.
Ad ogni modo siamo rimasti d’intesa che la questione verrà riesaminata, allorquando l’Italia avrà deciso il suo eventuale abbandono della Lega. Nel giro di orizzonte insieme compiuto della situazione europea non è emerso nessun elemento di particolare rilievo. Anche per quanto concerne la Spagna, il Cancelliere ha espresso la sua grave preoccupazione per la situazione ma, allorché gli ho parlato della intesa italo-tedesca di addivenire all’immediato riconoscimento del Governo franchista dopo, e se necessario anche prima, dell’occupazione di Madrid, Schuschnigg, pur non dichiarandolo apertamente, mi ha lasciato comprendere che da parte austriaca non si intenderebbe procedere cosí rapidamente al riconoscimento del Governo di Burgos.
Cecoslovacchia. – Tanto Schuschnigg quanto Schmidt hanno messo molto in evidenza la necessità per l’Austria di mantenere stretti rapporti economico-commerciali con la Cecoslovacchia, ma hanno escluso essere nei loro intendimenti di addivenire ad un qualsiasi accordo politico con tale paese.
Jugoslavia. – I rapporti tra l’Austria e la Jugoslavia sono normali e questi ultimi mesi non hanno segnato alcun cambiamento né in un senso né nell’altro. Armamenti. – Il riarmo austriaco procede piuttosto lentamente. Ho trovato una certa preoccupazione determinata da ritardi nelle consegne di armi da parte nostra. Ho assicurato che dopo la firma del Protocollo contenente l’impegno di reciproca benevola neutralità, non avrei mancato di richiamare l’attenzione del Duce sui desiderata austriaci.
A questo proposito debbo aggiungere che al momento della firma dell’accordo di cui sopra, tanto il Ministro degli Esteri ungherese quanto il Cancelliere d’Austria, hanno espresso il desiderio che in epoca prossima abbia luogo una riunione tra i Capi degli Stati Maggiori dei tre Paesi per esaminare le eventualità pratiche che potrebbero verificarsi e concertare conseguenti accordi. Ho creduto di aderire in massima a tale desiderio.
Riunione a tre. – Durante la riunione a tre nessun elemento di particolare interesse è emerso. Da parte austriaca è stato ripetuto piú o meno quanto sopra ho riassunto e da parte mia ho esposto le ultime vicende e sviluppi della politica estera italiana. L’accettazione e la firma del Protocollo nella forma e nel testo da noi proposti, sono avvenute senza incontrare troppe difficoltà, eccezione fatta per quanto concerneva l’impegno di eventuale abbandono della S.d.N., sul quale, particolarmente dagli austriaci, sono state fatte molte riserve.
Ho l’impressione, e Kànya la condivide, che i bastoni tra le ruote vengano messi soprattutto da Schmidt, il quale ogni giorno si rivela piú trafficante, arrivista e vanesio. Egli, e l’ha lasciato comprendere, crede di trovare una piattaforma alle sue ambizioni nella tribuna ginevrina. Sogna una gloriola societaria alla Titulescu o alla Benes. Bisogna ammettere, benché anche questa volta io abbia trovato nel Cancelliere Schuschnigg le solide qualità di ingegno e di carattere, che l’influenza di Schmidt diviene preponderante e spesso ingombrante.
Colloqui a Budapest
Non mette conto di accennare se non di sfuggita ai colloqui che ho avuto con il Reggente Horthy. Egli è ben poco al corrente della vita internazionale, mentre invece, secondo quanto dicono a Budapest, continua ad esercitare una influenza determinante e un controllo assiduo sulle questioni di politica interna. In breve, egli si è limitato a dirmi il suo compiacimento per l’avvenuta intesa italo-germanica e a riaffermarmi, sulla base di vecchie rievocazioni di carattere personale e di ricordi di carriera, la sua altissima considerazione per il popolo tedesco.
Nei colloqui con Darànyi e de Kànya sono stato in un primo tempo pregato di mettere al corrente i due uomini di Stato ungheresi circa l’esatto andamento delle maggiori questioni internazionali attualmente sul tappeto. Dopo di ciò Kànya mi ha parlato della posizione dell’Ungheria. In primo luogo ha tenuto a spiegarmi perché egli aveva voluto attenuare il paragrafo dei Protocolli concernenti l’eguaglianza dei diritti.
Mi ha detto che egli trova ben comoda la posizione attuale che gli permette di continuare a riarmare nella misura che crede, senza d’altra parte togliergli l’arma comoda, particolarmente ai fini di politica interna, di far ricadere sulla Piccola Intesa la colpa delle difficoltà che l’Ungheria possa trovare. Inoltre egli teme che una esplicita decisione di riarmo venga a creare nuove e piú dure situazioni nei confronti delle minoranze ungheresi.
Per quanto concerne i rapporti dell’Ungheria con gli Stati vicini, Kànya mi ha fatto le seguenti dichiarazioni:
Jugoslavia. – I rapporti tra Budapest e Belgrado vanno in realtà migliorando ed egli ritiene che in ultima analisi sia possibile addivenire ad un’intesa, anche cordiale, tra i due Paesi. Comunque crede che bisogna procedere su questa strada con molta calma e con assoluta circospezione.
Stoiadinovic è un uomo di grande duttilità e di alta capacità il quale è riuscito, nel volgere di un tempo relativamente breve, a creare per la Jugoslavia un’ottima atmosfera internazionale. In realtà oggi Belgrado vive in rapporti di amicizia e di buon vicinato con i Paesi limitrofi, si è determinata una détente nei confronti di Budapest e di Roma, non vi è stato nessun allentamento nei legami con Parigi, esiste una stretta collaborazione con Berlino, e da Londra non mancano di giungere offerte cortesi per fare entrare la Jugoslavia nel gioco che la Gran Bretagna vuole svolgere nel settore balcanico e mediterraneo. Kànya è favorevole alla politica da noi iniziata di riavvicinamento con Belgrado, ma anche per essa consiglia di procedere con oculata vigilanza.
Sarebbe indubbiamente vantaggioso anche per l’Ungheria se tra Belgrado e Roma si riuscisse a stabilire dei rapporti duraturi e ben definiti. Ma egli ritiene, fino a prova in contrario, che Stoiadinovic – mentre è disposto ad arrivare ad una distensione marcata – non sia invece desideroso di assumere impegni precisi e formali, dato che intende continuare a “ballare su molte corde”.
Romania. – I rapporti con la Romania attraversano una fase di relativa tranquillità. Qualche sospetto ha fatto nascere il discorso di Milano, sospetto che, però, si è spento, allorché si è compreso che l’affermazione del Duce non comportava alcuna immediata e pratica azione.
Kànya si rende conto delle difficoltà che la revisione presenta nei confronti della Romania e pensa che per il momento sarebbe opportuno arrivare ad un modus vivendi con Bucarest. Considera ciò molto difficile, data la prevenzione ed il nervosismo di alcuni circoli romeni, ma non dispera di riuscire.
Cecoslovacchia. – I rapporti sono formalmente corretti, di fatto pessimi ed è intenzione del Governo ungherese di dare apparente prova di buona volontà, ma di evitare contemporaneamente le relazioni tra Budapest e Praga. In sostanza la vecchia politica continua. Il dinamismo irredentista magiaro si deve orientare tutto verso la Cecoslovacchia la quale rappresenta il punto di minore resistenza. D’altra parte è da lì che le minacce continuano a dirigersi verso l’Ungheria. Vi sono dei campi di aviazione cechi, – un giorno, forse, russi – dai quali si può arrivare su Budapest in meno di dieci minuti di volo.
A Kànya risulta che la situazione ceca è preoccupante. La pressione tedesca si fa quotidianamente piú grave. Göring, con la sua irruente sincerità, ha detto che in meno di due o tre anni la Cecoslovacchia dovrà cessare di esistere. È evidente che in tali condizioni, l’Ungheria debba continuare a tenere al primo piano della sua politica le rivendicazioni territoriali verso i cechi.
Essendo pervenute a Kànya notizie di eventuali intese e negoziati in corso tra Roma e Praga, gli ho confermato quanto già avevo avuto occasione di fargli sapere e cioè che i nostri rapporti con la Cecoslovacchia continuano ad essere molto vaghi e che nessun riavvicinamento è in progetto e nemmeno nelle previsioni.
Russia e comunismo. – Kànya ha ripetuto che il comunismo all’interno viene combattuto con mezzi estremamente energici e che l’Ungheria anche sul fronte internazionale, è sempre disposta a prendere posizione aperta, se necessario e nel limite delle sue possibilità, accanto agli Stati anticomunisti.
Per quanto poi concerne la Russia, è evidente che il Governo magiaro non può guardare con simpatia verso tale Potenza. Comunque un regime comunista a Mosca, fino a quando non tenda ad allargare al di fuori dei confini nazionali la sua influenza ideologica e politica, è preferibile ad un regime zarista che diventi il centro collettore e attivatore di un panslavismo brutale e incoercibile.
Germania. – Con la Germania i rapporti continuano ad essere estremamente cordiali e l’intesa tra Roma e Berlino è valsa a mettere l’Ungheria in una posizione di privilegio, molto piú agevole di quanto non lo fosse per il passato.
Infine tanto de Kànya quanto Darànyi hanno espresso la loro riconoscenza per quanto il Governo Fascista ha fatto in ogni occasione per il popolo ungherese e mi hanno parlato della singolare eco che il discorso di Milano ha avuto in Ungheria.
Di ciò personalmente ho avuto occasione di rendermi conto durante la mia visita. Le accoglienze che ci sono state riservate dalla popolazione magiara, non solo da quella di Budapest, organizzata in associazioni e comunque diretta dal Governo, ma anche dalla popolazione rurale e da piccoli gruppi di persone, che nei viaggi abbiamo incontrato in zone disperse e lontane, hanno provato come il nome del Duce e quello dell’Italia siano cari e popolari nella nazione ungherese.
Con tale entusiasmo faceva invece contrasto il gelido atteggiamento della popolazione di Vienna. In nessuna occasione – e molte se ne sono presentate – i cittadini viennesi hanno compiuto un gesto che fosse di amicizia e di simpatia verso l’Italia. Per le strade folti gruppi di popolo si radunavano durante le cerimonie ufficiali e assistevano con corretta compostezza, ma non un saluto, non un applauso, non un grido, ad eccezione di qualche saluto romano accompagnato da un Heil, che rivelava la schietta marca nazista.
Nei teatri accoglienza altrettanto gelida e, particolare notevole, non sono mai stati suonati gli inni nazionali italiani all’inizio o alla fine degli spettacoli: forse non si era neppure del tutto sicuri della reazione del pubblico. Per contro devo invece dire che Schuschnigg è stato, come al solito, leale, corretto e cordiale nei nostri confronti. Ma ho l’impressione – e tutti quelli che erano con me l’hanno avuta del pari – che la sua politica di amicizia nei confronti dell’Italia sia ben poco popolare.
Gli ambienti diplomatici locali hanno seguito con il piú vivo interesse l’andamento della Conferenza di Vienna, e le fasi della mia visita a Budapest. In genere ho trovato molta cortesia in tali circoli e specialmente marcata da parte dei Rappresentanti tedeschi. Tanto von Papen a Vienna che Mackensen a Budapest sono stati presenti anche a quei ricevimenti non riservati al Corpo diplomatico.
Hanno chiesto correttamente notizie circa l’andamento dei lavori, ma non hanno mostrato né irrequietezza né sospettosa curiosità. Particolare, invece, degno di rilievo: i due Ministri britannici a Vienna e a Budapest, sono stati i soli che, nelle ripetute occasioni offertesi, non si sono fatti a me presentare. La cosa non è sfuggita ed ha determinato qualche commento. Molto cordiali i Rappresentanti diplomatici francesi.
I RAPPORTI ITALO-GIAPPONESI
Roma, 18 novembre 1936-XV
Ho ricevuto l’Ambasciatore del Giappone il quale mi ha fatto le seguenti comunicazioni:
1. Il Governo giapponese è venuto nella determinazione di trasformare la Legazione di Addis Abeba in Consolato Generale, domandando l’exequatur al Governo di Sua Maestà il Re d’Italia Imperatore d’Etiopia. Ciò è giudicato il riconoscimento dell’Impero, non facendo il Governo giapponese alcuna sostanziale differenza tra un riconoscimento de facto e un riconoscimento de jure.
L’Ambasciatore, nel farmi la comunicazione, ha chiesto assicurazioni per gli interessi e il commercio giapponesi in Etiopia, assicurazioni che non ho mancato di fornire.
2. Il Governo giapponese comunica che il Governo di Hsing-King ha fatto conoscere il suo gradimento all’apertura di un Consolato Generale in Manciuria, a Mukden. Come procedura l’Ambasciatore giapponese consiglia di fare dirigere una nota da Auriti all’Ambasciatore del Manciukuò in Tokio chiedendo l’exequatur per il nuovo Consolato Generale. Il Governo fa presente l’opportunità che i due gesti vengano mantenuti separati e non risultino quindi come un do ut des.
Pertanto, domani o dopodomani e cioè quando sarà venuta conferma da Tokio in seguito alle assicurazioni da me fornite a Sugimura, potremo dare alla stampa di Roma il comunicato relativo alla decisione giapponese per il riconoscimento dell’Impero italiano. Due o tre giorni dopo potrebbe venir pubblicata la notizia dell’apertura del Consolato di Mukden.
L’Ambasciatore del Giappone ha tenuto inoltre a farmi sapere che il suo Governo desidera addivenire ad una concretizzazione delle buone relazioni che si sono stabilite tra l’Italia e il suo Paese, stringendo legami che uniscano le due Nazioni sia nel campo economico che in quello culturale, politico, militare ecc. Egli mi ha detto che ha già pronto un piano in tale senso, e che si riserva di parlarmene non appena avrà ricevuto alcune istruzioni di dettaglio dal suo Governo.
Per parte mia l’ho incoraggiato dicendo che dal Governo italiano è altrettanto desiderata e auspicata una intesa col Giappone. L’Ambasciatore prima di congedarsi ha tenuto ad esprimere il compiacimento suo e del suo Governo per la nostra politica diretta a combattere, attraverso la lotta condotta in Spagna, il pericolo bolscevico nel mondo.
DICEMBRE 1936
COLLOQUIO CON JOVAN DUCIC
Roma, 18 dicembre 1936-XV
Ho ricevuto il Ministro di Jugoslavia il quale mi ha dato lettura di una lettera pervenutagli dal Presidente Stoiadinovic. Inizia il suo scritto dicendo che egli era d’accordo con noi circa l’opportunità di far cominciare i pourparlers dai rappresentanti dei due Governi, senza fissare in un primo momento quelli che dovranno essere i limiti dell’accordo. Dovranno invece risultare dall’andamento delle conversazioni. Per parte sua Stoiadinovic è molto ottimista circa i risultati di tali conversazioni e crede che l’intesa potrà portare lontano.
Proseguiva scusandosi del ritardo e spiegava che ciò era dovuto all’assenza da Belgrado del Principe Paolo; non appena ritornato il Reggente è stato informato delle conversazioni preliminari che avevano avuto luogo nonché del modus procedendi concordato. Il Reggente Paolo ha dato la sua piena adesione.
Stoiadinovic concludeva la sua lettera incaricando il Ministro Ducic di comunicarmi subito che in un prossimo lasso di tempo egli avrebbe nominato due Delegati ufficiosi, uno per le questioni politiche e l’altro per le questioni economiche, ai fini di iniziare le conversazioni. Accettava come sede Roma e raccomandava ancora il piú assoluto riserbo.
Il signor Ducic mi ha chiesto se noi desideravamo che tali Rappresentanti venissero tra Natale e Capodanno oppure se consideravamo opportuno il loro arrivo nei primi giorni di gennaio. Ho lasciato a lui la scelta.
NUOVO COLLOQUIO CON JOVAN DUCIC
Roma, 28 dicembre 1936-XV
È venuto a vedermi il Ministro di Jugoslavia, recante un messaggio da parte del Presidente Stoiadinovic. Il Presidente Stoiadinovic tiene a farci sapere che il ritardo verificatosi nell’iniziare i pourparlers ufficiosi con noi, è dovuto unicamente alla necessità che lui ha avuto di preparare internamente l’ambiente e di predisporre gli elementi necessari per le prossime conversazioni. Smentisce quanto alcuni giornali hanno detto e cioè che un riavvicinamento italo-jugoslavo sarebbe stato condizionato al previo accordo italo-britannico.
Il Presidente Stoiadinovic ha nominato suoi delegati ufficiosi per le trattative con l’Italia il signor Milivoy Pilja e il Ministro Plenipotenziario dr. Ivan Subotic. Essi giungeranno a Roma nei prossimi giorni di gennaio.
GENNAIO 1937
I VOLONTARI IN SPAGNA
Roma, 6 gennaio 1937-XV
L’Ambasciatore d’Inghilterra è venuto oggi a parlarmi e mi ha lasciato un appunto, nel quale è espressa la preoccupazione del Governo britannico per la questione dei volontari in Ispagna. Verbalmente mi ha ripetuto quanto è contenuto nell’appunto.
Gli ho risposto:
1. che la nostra risposta per la questione dei volontari – risposta concordata con la Germania – è ormai quasi pronta e che mi riservavo di rimetterla all’Ambasciatore britannico probabilmente entro domani. Tale risposta, nella quale è ancora compresa una esatta cronistoria del nostro atteggiamento nei confronti della questione volontaristica in Ispagna, è ispirata al buon senso ed alla sincera volontà italiana di evitare ogni maggiore complicazione;
2. che dovevo ancora far presente come noi avessimo per primi insistito sulla necessità di proibire ai volontari di andare in Ispagna. Ma oramai, allo stato delle cose, fino a quando l’Inghilterra non fosse stata in grado di impedire a tutti i Paesi, e particolarmente alla Francia, al Belgio ed alla Russia, di mandare volontari in aiuto delle forze comuniste, noi avremmo lasciato affluire i nostri volontari in Ispagna. Noi non li mandiamo. Non facciamo pressione sui volontari.
Lo spirito nazionale italiano è tale, che anche senza un appello del Governo, allorché si sente che è impegnata una lotta anticomunista, tutta la giovinezza italiana desidera partecipare al combattimento. Noi siamo prontissimi, ancora una volta, ad impedire l’afflusso dei volontari in Ispagna se anche da parte degli altri Paesi verranno presi provvedimenti analoghi. Altrimenti, i nostri volontari continueranno a partire e saranno in proporzione di dieci a uno.
3. che l’accenno ad “ambiguità” contenuto nell’ultima riga del suo promemoria non poteva esser diretto a noi. La nostra linea di condotta è sempre stata corretta e leale. Le mie odierne dichiarazioni non potranno certo venire tacciate di ambiguità.
L’Ambascíatore d’Inghilterra ha preso atto di quanto gli ho detto, ha riconosciuto la logica della nostra politica ed ha espresso il suo compiacimento per le reiterate prove da noi date al fine di rendere possibile una pacificazione e di evitare maggiori e piú gravi complicazioni.
COLLOQUIO CON SIR ERIC DRUMMOND
Roma, 11 gennaio 1937-XV
Ho ricevuto stamane l’Ambasciatore di Gran Bretagna il quale mi ha fatto le seguenti comunicazioni:
1. Il Governo britannico informava che era suo desiderio registrare il recente accordo mediterraneo presso la Società delle Nazioni. Domandava se il Governo italiano intendeva fare altrettanto. Gli ho risposto che per parte nostra non potevamo impedire al Governo britannico di regolarsi come meglio credesse; noi però non avremmo registrato tale atto a Ginevra.
2. L’Ambasciatore Drummond mi ha detto che presso la ex-Legazione britannica di Addis Abeba si trovano depositate cinque casse contenenti oggetti di proprietà personale del Negus. Due di esse racchiudono oro per il valore di cinque o seimila sterline; le altre invece contengono oggetti di valore non rilevante. Il Governo britannico desiderava richiedere l’autorizzazione del Governo italiano di asportare tali oggetti dall’Etiopia fino a rimetterli al loro proprietario
Sir Eric Drummond, nel fare tale richiesta, ha insistito sul fatto che i funzionari britannici avrebbero potuto far partire tali beni senza informarcene, ma valendosi semplicemente delle loro franchigie diplomatiche. Aveva invece voluto darcene notizia per debito di lealtà, confidando sulla benevola comprensione del Governo Fascista. L’Ambasciatore britannico ha anche ricordato un colloquio nel quale il Duce avrebbe promesso di trattare il Negus con generosità in seguito ad un gesto che questi avrebbe compiuto nei confronti della stampa estera.
Ho risposto a Sir Eric Drummond che non era nelle mie facoltà dare una risposta, che mi riservavo per un prossimo futuro, ma che in linea di massima dovevo obiettare fin da ora che i beni personali del Negus rimasti in Etiopia erano soggetti a confisca da parte italiana e che inoltre leggi specifiche vietano l’esportazione dell’oro dal territorio italiano. Ho fatto in linea di massima comprendere a Sir Eric Drummond che vi erano molte difficoltà a dare una risposta affermativa.
3. Sir Eric Drummond mi ha rimesso la nuova nota britannica relativa ai volontari. Nell’attesa di una risposta egli mi ha detto di essere stato incaricato dal suo Governo di richiederci se noi avessimo voluto proibire fin da ora, in via riservata, la partenza di nuovi contingenti di volontari, dato che i recenti sbarchi a Cadice avevano suscitato profonda impressione.
Ho risposto a Sir Eric Drummond che mentre confermavo le intenzioni del Governo Fascista di impedire ogni ulteriore partenza non appena realizzate le condizioni di cui alla nostra nota, non potevo assumere nessun impegno del genere di quello da lui richiesto. Ciò avrebbe lasciato campo libero ad altri Paesi, che, confinando per terra con la Spagna, continuano ogni giorno a fare affluire nelle zone rosse innumerevoli volontari comunisti. Gli ho detto che soltanto dalla ferrovia di Perpignano ci risultavano trasportati oltre 45.000 uomini in questi ultimi tempi.
Sir Eric Drummond ha preso atto di quanto gli ho detto ed ha egli stesso ammesso che oltre 500 persone al giorno – secondo le sue informazioni – traverserebbero la frontiera franco-spagnuola.
COLLOQUIO DEL DUCE CON HERMANN GÖRING
(NOTA: Al colloquio, che durò 2 ore, erano presenti anche il conte Ciano e il Consigliere di legazione Schmidt: è quest’ultimo a firmare la relazione dell’incontro)
Roma, 23 gennaio 1937-XV (Palazzo Venezia)
Ad una domanda del Duce circa le impressioni del suo viaggio in Italia, il Ministerpräsident Göring rispose che, di tutto quanto egli ha veduto e sentito, riporterà in Germania una forte impressione; in modo particolare lo ha interessato la sua visita a Guidonia. Egli ha constatato che l’Arma Aerea italiana è animata da un forte ottimismo – il che è perfettamente naturale e da approvare. In ciò vi è però anche un certo pericolo di sopravalutare la forza di combattimento dell’Arma Aerea rispetto alla Marina.
Anche in Germania ci si è occupati della questione della forza relativa all’Arma Aerea; egli (Ministerpräsident Göring) non crede che una forza aerea possa distruggere, in modo veramente decisivo, una flotta navale. A tale proposito sono state fatte esperienze con bombe da 250 kg. lanciate sull’incrociatore spagnuolo Jaime: nonostante che la nave sia stata centrata, tanto da far esplodere perfino le camere delle munizioni, essa ha potuto – per quanto con forte inclinazione laterale – raggiungere il porto ed essere riparata in modo da essere rimessa in servizio. Da questa esperienza risulterebbe chiaramente che gli aeroplani non sono in grado di distruggere navi corazzate.
Il Duce ammise di avere egli pure dei dubbi circa l’impiego dell’Arma Aerea contro la Marina. Anche in Italia ci si troverebbe a tale proposito ancora nello stadio delle riflessioni. Il Ministerpräsident Göring rilevò poi la protezione straordinariamente forte delle navi in rapporto alla superficie da proteggere dato che tutte le navi da guerra dispongono di un forte numero di cannoni controaerei.
C’è inoltre la difficoltà che da alte quote difficilmente si possono colpire le navi, mentre le bombe, lanciate da quote troppo basse, non hanno la necessaria forza di penetrazione. Si è poi fatta l’esperienza che i siluri, lanciati dagli aeroplani, molto spesso passano sotto il bersaglio poiché – data la loro posizione di partenza, che è piú alta di quella dei siluri delle navi, – ben spesso essi s’immergono, anziché galleggiare, immediatamente sotto la superficie dell’acqua.
Nonostante ciò si deve tuttavia tener conto che un’Arma Aerea può affaticare e logorare forze navali cacciandole continuamente fuori dai porti; l’aviazione non potrebbe però distruggere una flotta navale. Il Führer aveva posto al Ministerpräsident Göring ufficialmente il quesito, se non fosse meglio impiegare il denaro necessario per la costruzione di una nave da 35.000 tonnellate per la costruzione di aeroplani. Nonostante la sua carica di Ministro dell’Aeronautica egli non aveva potuto, dopo una ponderata riflessione, sconsigliare la costruzione della nave da 35.000 tonnellate.
Quale miglior soluzione egli aveva soltanto proposto di costruire la nave e di stanziare la stessa somma per l’ulteriore sviluppo dell’Arma Aerea. Bisogna a tutti i costi tener d’occhio gli armamenti navali considerando anche che l’Inghilterra sta costruendo 5 navi corazzate in soprannumero al suo programma regolare.
Il Duce rispose che prossimamente l’Italia avrà 4 nuove navi, e precisamente: due navi trasformate e due navi nuove da 35.000 tonnellate, cosicché l’Italia finirà per avere in tutto 8 navi corazzate. A queste si aggiungono 24 navi da 8000 tonnellate ognuna di tipo Condottieri, nonché 100 sommergibili.
Il Ministerpräsident Göring fece allora presente che l’Italia con 8 navi, la Germania con altre 8 ed il Giappone con almeno altre 12 costituirebbero una forza navale molto considerevole rispetto ad altri Paesi. In Germania si è, d’altra parte, straordinariamente contenti del fatto che l’Italia abbia trovato un modus vivendi con l’Inghilterra. Il Duce sottolineò l’importanza di una forte flotta navale, soltanto questa può assicurare all’Italia la libertà nella mia politica continentale.
Il Ministerpräsident Göring aggiunse allora che, con la sua campagna abissina, l’Italia ha dato la prova di saper portare a termine la sua politica anche senza l’Inghilterra, il che nei tempi passati era sempre stato ritenuto come cosa impossibile.
Il Duce dichiarò che l’Italia si tiene per quanto possibile riservata nei riguardi dell’Inghilterra, senza però misconoscere che per esempio l’ultimo discorso di Eden è stato considerato particolarmente cattivo, diretto contro l’Italia e la Germania. Il Duce è del parere che, quando il Führer parlerà prossimamente, questi dovrebbe tenere un discorso molto forte (eine sehr starke Rede), poiché la Germania ha un esercíto ed un’Arma Aerea forti e fra breve essa sarà molto forte anche per mare.
Nei discorsi inglesi si vede sempre ritornare il vecchio progetto di offrire alla Germania dei vantaggi economici per avere in compenso delle concessioni nel campo politico. Questo è un gioco vile, già ripetutamente tentato, anche altrove, dall’Inghilterra.
Il Ministerpräsident Göring espresse al riguardo la convinzione che il Führer, nel suo prossimo grande discorso davanti al Reichstag, sottolineerà molto fortemente l’asse Berlino-Roma e rileverà, sulla scorta di numerosi esempi degli anni scorsi, la falsità della politica degli Stati democratici. Si dovrebbe inoltre respingere la pretesa che Eden, nel nome dell’Inghilterra, si assuma arie di Gouvernante del mondo, dichiarando che simili consigli dell’Inghilterra sono privi d’interesse per la Germania.
Al Governo tedesco importa poco se una cosa susciti in Inghilterra un’impressione buona o cattiva; la politica tedesca appare basata su interessi prettamente tedeschi. La Germania considera con grande diffidenza l’idea di nuove conferenze aventi per oggetto l’economia mondiale oppure le materie prime, e a tale proposito essa mantiene un atteggiamento di attesa. In via non ufficiale si è fatto sapere alla Germania che si sarebbe disposti a farle delle concessioni, ma a condizione che essa abbandoni dapprima il piano quadriennale.
Nei riguardi della politica francese la Germania non ci vede molto chiaro. Negli ultimi tempi la Francia ha piú del solito dato segni di voler giungere ad un modus vivendi con la Germania. Il Führer risponde a questi tentativi dicendo di avere già più volte mostrato la sua buona volontà al riguardo, ma occorre che la Francia faccia proposte concrete.
La Germania si opporrebbe peraltro a tutti i tentativi di collegare vantaggi economici con contropartite politiche. Da parte tedesca si intende trattare le questioni economiche su basi prettamente commerciali, essendo del parere che la soluzione delle questioni politiche debba avvenire separatamente dal regolamento di quelle economiche, e soltanto sulla base di accordi ragionevoli.
Nella situazione attuale, gli unici garanti della pace appaiono d’altra parte soltanto quegli Stati, alla testa dei quali si trovano degli uomini che hanno dietro di loro l’intero popolo e che quindi possono anche assumersi degli impegni definitivi nel nome e con l’approvazione dei popoli stessi. Nei Paesi democratici non si sa mai se un Governo, col quale ci si è messi d’accordo oggi, sarà al timone ancora domani.
A questo punto il Duce disse che secondo il suo modo di vedere, le uniche vere democrazie sono la Germania e l’Italia; egli accennò anche all’imminente discorso domenicale di Léon Blum, nel quale questi molto probabilmente avrebbe preso posizione anche sulla questione dei volontari.
Il Ministerpräsident Göring disse di aver ricevuto una comunicazione autentica, che il Governo di Burgos ha incaricato il suo rappresentante a Berlino di assumere piú volontari per la Spagna.
Il Duce prese atto con soddisfazione di tale comunicazione e dichiarò di ritenere egli pure che il Governo nazionale spagnuolo abbia ora a disposizione soldati e armi a sufficienza. La nota comune della Germania e dell’Italia a Franco, è stata nel frattempo consegnata; nelle capitali dei due Paesi verrà inoltre consegnata lunedí, ai Rappresentanti diplomatici dell’Inghilterra, la risposta quasi identica della Germania e dell’Italia all’ultima nota inglese. Queste note di risposta saranno pubblicate dalla stampa nel pomeriggio di lunedí.
Il Ministro Göring domandò allora al Duce, per quale ragione l’Italia non è uscita dalla Società delle Nazioni. In Germania si era ben compreso che durante l’impresa abissina era di vantaggio all’Italia di rimanere nella Lega. Dato che questa impresa è però ora felicemente ultimata, in Germania si ritiene che l’Italia, potrebbe abbandonare la Lega; prevedibilmente seguirebbero allora l’Ungheria, l’Austria ed alcuni Stati sudamericani.
La Società delle Nazioni allora o andrebbe completamente in pezzi, oppure si ridurrebbe anche esteriormente ad essere quello che è stata fin dal suo inizio, ossia una rappresentanza degli interessi anglo-francesi. Il Duce rispose che la questione abissina non appare ancora ultimata. Manca il riconoscimento della conquista da parte della Società delle Nazioni, che l’Italia vuole attendere. Questo è in un certo qual modo un bicchiere di olio di ricino che la Società delle Nazioni o prima o poi dovrà ingoiarsi.
Il Ministro Göring accennò al fatto che la Germania sarebbe disposta a ritornare nella Società delle Nazioni nell’ambito di un nuovo Accordo locarnista; ma se nel frattempo l’Italia dichiarasse di non voler piú collaborare con la Lega, ciò rappresenterebbe per la Germania un nuovo momento e un suo ritorno alla Società non verrebhe neanche piú discusso. La questione non è di attualità per i1 momento, ma se l’Italia dovesse giungere a decisioni definitive nei riguardi della Lega, egli pregherebbe di informarne la Germania affinché questa potesse regolarsi circa la posizione da prendere.
Il Duce rispose che l’Italia de facto ha abbandonato la Società delle Nazioni e che essa non ha piú nessuna simpatia per 1’istituzione ginevrina. L’Italia potrebbe perciò uscire ora anche de jure dalla Lega. Si deve peraltro tener presente che un membro della Società delle Nazioni, il quale abbia notificato la sua volontà di ritirarsene, resta ancora socio per altri due anni, durante i quali esso deve pagare la sua quota e deve rispondere ai suoi doveri sociali.
In considerazione del momento fatale, che prima o poi dovrà venire, in cui la Società delle Nazioni dovrà riconoscere la conquista dell’Abissinia, l’Italia ritiene di danneggiare la Lega molto di piú se continua a farne parte. Se la Società riconoscerà la conquista dell’Abissinia, ciò equivarrà quasi come la sua propria liquidazione. Se d’altra parte la Lega non riconoscerà la conquista dell’Abissinia, l’Italia uscirà dalla Società delle Nazioni.
Alla domanda del Ministro Göring circa l’epoca in cui la Società dovrebbe prendere tale decisione, il Duce rispose che questo momento dovrebbe giungere già alla prossima Assemblea della Lega, se non anche prima, in un’Assemblea straordinaria, la quale sarebbe prevista per decidere circa l’ammissione dell’Egitto.
L’Italia è d’altra parte convinta che l’Austria, l’Ungheria e l’Albania non possono per il momento seguirla nel caso di una sua uscita dalla Società. L’Italia non intende neppure esercitare una pressione su questi Paesi, dato che i sacrifici sarebbero per loro gravi. La Turchia, in considerazione delle forti influenze massoniche, continuerà molto probabilmente a rimanere nella Lega, salvo che si verificasse un forte contrasto con la Francia per la questione del Sangiaccato. L’Inghilterra sosterrà naturalmente la Società delle Nazioni fino all’ultimo vedendo in essa una garanzia per il suo impero mondiale.
Per quanto riguarda il punto di vista personale del Duce, egli ritiene che il suo disprezzo per la Società delle Nazioni – disprezzo che egli ha nuovamente espresso in occasione del suo ultimo discorso di Milano – sia sufficientemente noto nel mondo.
Nuovamente richiesto delle sue impressioni di viaggio a Napoli e a Capri, il Ministro Göring dichiarò di portare con sé una profonda impressione delle dimostrazioni di simpatia della popolazione; ed espresse la speranza che le relazioni tra i due Paesi diventino sempre piú profonde e trovino la loro espressione in quella chiara linea di politica comune, di cui egli aveva piú particolarmente parlato con il Duce nel loro colloquio precedente.
Il Duce rispose che il fronte comune dei due Paesi ha già trovato la sua espressione nel fronte comune militare in Spagna. È sua volontà che ciò continui anche per il futuro. Il Ministro Göring chiese allora al Duce quale fosse il suo pensiero sullo sviluppo politico nel prossimo avvenire.
Il Duce disse che bisogna che prima di tutto si chiarisca la situazione in Spagna secondo gli interessi politici e ideali della Germania e dell’Italia. Il parallelismo dell’azione, che già da un anno esiste fra i due Paesi con buoni risultati, dovrebbe essere continuato. I due Paesi dovrebbero continuare a riaffermare la loro volontà di pace; nello stesso tempo dovrebbero però perfezionare i loro armamenti allo scopo di evitare qualsiasi sorpresa. La politica antibolscevica dovrebbe venir continuata e sopratutto si dovrebbe eliminare qualsiasi influenza della Russia in Occidente.
Qualora si potesse realizzare un avvicinamento tedesco-francese, l’Italia ne sarebbe lieta, ricevendo cosí la Germania mano libera ad Est, ciò che non è il caso nelle condizioni attuali. Se la politica tedesca riuscisse a spezzare i1 nesso tra Parigi e Mosca, ciò sorebbe certamente un grandissimo successo. Egli (il Duce) ritiene peraltro che questo sia molto difficile. L’Italia sarebbe, ad ogni modo, disposta a prestare qualsiasi aiuto in questo sforzo.
Se fosse possibile un avvicinamento tra la Germania e l’Inghilterra, l’Italia ne sarebbe parimenti lieta. Ma è naturale che un simile accordo può essere raggiunto soltanto sulla base di una completa uguaglianza di diritti e su un piano di reciprocità, indicati dal Führer. Soprattutto dovrebbe però essere conservata e mantenuta 1’uniformità della politica italo-tedesca, poiché questa uniformità è la condizione preliminare per assicurare l’indipendenza di una simile politica.
Il Ministro Göring domandò a questo punto quale situazione si presenterebbe se non si potesse concordare il divieto per l’invio di volontari in Spagna. Nella questione spagnola, la Germania intende andare solo fino al limite del possibile, evitando che dalle complicazioni spagnuole si sviluppi una guerra generale. È da temere che Mosca faccia della questione spagnola una questione di prestigio e che sostenga, con soldati propri, in misura sempre maggiore, le forze rosse spagnuole.
Il Duce rispose che esistono diverse possibilità di soluzione. Primo: Franco potrebbe avere un successo militare completo, e in questo caso la questione spagnola si risolverebbe sul piano prettamente militare. Questa sarebbe naturalmente la migliore delle eventualità. Secondo: possibilità di un compromesso fra i due partiti spagnoli con esclusione degli estremisti.
Nella questione del divieto dei volontari, la posizione dell’Italia e della Germania è in ogni caso favorevole. O si arriva ad un divieto, e allora da parte italiana è stato fatto, con i forti imbarchi degli ultimi giorni, il massimo degli sforzi possibili: il numero dei volontari italiani ha raggiunto i 44.000. Oppure il divieto non viene deciso, e allora l’Italia continuerà da parte sua ad inviare volontari in Ispagna.
Nella questione spagnola l’Italia intende spingersi fino al limite estremo, senza però arrivare al pericolo di una guerra generale. Egli non crede d’altronde alla probabilità di un simile conflitto nell’anno 1937: Léon Blum e i suoi collaboratori lo vogliono evitare, e se chiedono e gridano “aeroplani ed armi per la Spagna”, ciò fanno soltanto puramente per ragioni di politica interna. Anche l’Inghilterra teme un conflitto generale, e la Russia non lascia certamente andare le cose oltre il limite.
D’altra parte la Russia non ha inviato nessun nucleo di volontari, ma soltanto Capi e materiale, e si adatterebbe certamente ad accettare anche una sconfitta dei rossi. Si deve tener presente che il soccorso ai rossi da parte dei comunisti si è intensificato nel momento in cui i rossi spagnuoli avevano in ogni caso fermato Franco davanti a Madrid; nel campo delle sinistre l’umore era quindi già alquanto migliorato. Se la situazione dovesse nuovamente peggiorare per i rossi, cesserà anche l’entusiasmo dei volontari che stanno dalla loro parte e non vi sarà piú nessuno disposto a farsi ammazzare per una causa perduta.
Il Conte Ciano osservò che l’Ambasciatore d’Italia a Mosca, che si trova attualmente a Roma, gli aveva comunicato che i bolscevichi si starebbero lentamente preparando ad una sconfitta dei rossi in Ispagna e che essi sarebbero esclusivamente preoccupati di raggiungere un accordo internazionale del quale servirsi, verso la propria gente, come scusa per l’insuccesso della loro azione spagnola. Litvinov cercherebbe insomma una specie di “alibi” sotto forma di un accordo internazionale.
Il Duce fece presente le difficoltà della situazione interna russa e ripeté ancora una volta che la Russia non ha mai inviato truppe proprie in Ispagna. Essa si sarebbe limitata ad invitare i comunisti della Francia, del Belgio e della Svizzera ad unirsi ai rossi in Ispagna.
ll Ministro Göring parlò quindi delle intenzioni dell’Inghilterra, chiedendo al Duce che cosa questi ne pensasse della possibilità che l’Inghilterra cerchi di creare un fronte invisibile ma in date circostanze efficace, ivi compresa la Russia, contro l’Italia e la Germania.
A tale proposito il Duce accennò alle difficoltà esistenti fra l’Inghilterra e il Giappone, approvando, di passaggio, l’opinione del Ministro Göring che la Società delle Nazioni rappresenterebbe già per l’Inghilterra una specie di invisibile alleanza contro l’Italia e la Germania. Non vi sarebbe però motivo per preoccuparsi, dato che non vi è nessuna ragione perché la macchina della Lega, che già per ben tre volte non ha funzionato, si metta improvvisamente a funzionare alla quarta prova.
Sarebbe tuttavia consigliabile trattare l’opinione pubblica inglese con un certo riguardo. I conservatori inglesi hanno una grande paura del bolscevismo e questa paura potrebbe benissimo essere sfruttata politicamente. Tale compito spetterebbe sopratutto alla Germania, visto che i conservatori inglesi sono per l’Italia assai difficili da convincere, dati gli avvenimenti nel Mediterraneo.
Il Ministro Göring fece presente i tentativi della Germania per raggiungere un avvicinamento con gli elementi conservatori inglesi. A tale proposito occorre tener presente che l’attuale Governo inglese in fondo non è conservatore, ma addirittura orientato verso sinistra. Ad ogni modo la Germania è sempre disposta a mettersi d’accordo con l’Inghilterra, pur curando le sue buone relazioni con l’Italia. Del resto, essa trova la sua sicurezza sopratutto nel forte aumento dei suoi armamenti per terra, per mare e per aria, nonché in un’autarchia economica molto vasta, a raggiungere la quale si lavora con la massima energia.
Il Duce approvò pienamente questo anmcnto di forze. Egli diichiarò inoltre che secondo il suo modo di vedere, la prossima grande sorpresa per l’Inghilterra sarà data dall’aumento del comunismo inglese. Ciò sarebbe una buona lezione anche per il signor Eden. Il Ministro Göring disse che il popolo semplice in Inghilterra nutre sentimenti di simpatia per la Germania. Gli ambienti conservatori si preoccupano, è vero, della forza della Germania; ma la loro piú grande paura è il bolscevismo, e ciò non può farli effettivamente considerare come disposti in definitiva a collaborare con la Germania.
Invece il Foreign Office, sia per ragioni ideali che per motivi tradizionali, mantiene una posizione assolutamente ostile contro la Germania. Un ulteriore ostacolo, inoltre, alla collaborazione anglo-tedesca consiste nella forte influenza dei massoni e degli ebrei nell’Impero britannico.
A tale proposito il Duce accennò allo stretto collegamento fra l’Inghilterra e la Francia. È impossibile separare l’Inghilterra e la Francia. Nonostante tutte le discordie che si presentano di tanto in tanto, i due Paesi hanno interessi comuni troppo forti. Anche i legami finanziari sono straordinariamente saldi.
Il Ministro Göring confermò la stretta collaborazione fra il Quai d’Orsay e il Foreign Office. I due Ministeri non farebbero nulla senza aver preventivamente preso contatto telefonico. Recentemente egli (il Ministro Göring) aveva rifiutato a dei visitatori inglesi informazioni particolareggiate circa l’aviazione tedesca e le eventuali direzioni dellìespansione tedesca, con la motivazione che entro 20 minuti l’intero materiale sarebbe stato, da parte del Foreign Office, passato telefonicamente al Quai d’Orsay.
Gli inglesi dovettero riconoscere che egli aveva ragione. Gli ambienti inglesi, che stanno vicini al “Daily Mail”, intendono adoperarsi effettivamente per un’intesa italo-tedesco-inglese, ma la loro influenza non è abbastanza forte.
Il Duce aggiunse che non si dovrebbe lasciar passare occasione per frenare l’amicizia anglo-francese; simili tentativi dovrebbero però essere fatti con la massima prudenza, per non provocare un effetto contrario a quello desiderato. Il Ministro Göring approvò pienamente.
Il Ministro Göring disse in seguito che il Führer sarebbe straordinariamente lieto se il Duce volesse fare una visita in Germania. Essa verrebbe non solo fortemente a sottolineare la politica comune dei due Paesi, ma darebbe al Duce anche la possibilità di conoscere di persona, con i propri occhi, la situazione in Germania.
Il Duce rispose che una sua visita in Germania è nell’ambito delle possibilità, dato che anch’egli personalmente ha desiderio di rivedere il Führer e di constatare con í propri occhi lo sviluppo della Germania.
Il Ministro Göring disse infine che, secondo il suo punto di vista personale e in considerazione delle salde relazioni italo-tedesche, sarebbe certamente utile se il Governo italiano esercitasse la sua influenza sul Governo austriaco affinché quest’ultimo si attenesse con maggiore aderenza all’Accordo dell’11 luglio. Il Governo austriaco esercita una forte e completamente inutile pressione sugli ambienti nazionalisti del Paese.
Se il Cancelliere Schuschnigg qualifica il nazionalsocialismo come il nemico dello Stato n. 1, ciò rischia di provocare in Austria reazioni interne, senza la minima intromissione da parte tedesca. Sarebbe quindi consigliabile che il Governo austriaco assumesse verso questi ambienti nazionali un atteggiamento conciliante.
Bisogna tener conto che il Governo austriaco non è né fascista né nazionalsocialista, ma clericale. È quindi possibilissimo che esso, un bel giorno, ceda fortemente alle tendenze di sinistra che in Austria continuano a sussistere in misura abbastanza forte. Il Governo austriaco, data la sua presa di posizione sproporzionata contro il nazionalsocialismo, misconosce quindi anche il pericolo comunista.
Egli (Ministro Göring) accenna a tutto questo soltanto nel desiderio di fare da parte sua il possibile per evitare un conflitto interno austriaco, il quale potrebbe, per esempio, verificarsi nel caso di un ritiro di Glaise-Horstenau oppure di altri Ministri nazionali. Queste le ragioni che lo portano ad esprimere il desiderio che l’Accordo dell’11 luglio venga osservato più esattamente da parte del Governo austriaco.
Il Duce rispose che le relazioni dell’Italia con l’Austria si basano sul principio del rispetto della indipendenza di questo Paese con il dovuto ríguardo alla sua sensibilità. Egli (il Duce) è perfettamente a conoscenza che il popolo austriaco, in gran parte, non nutre simpatia per gli italiani; volendo tentare di influenzare il Governo austriaco, egli dovrebbe quindi procedere con molta cautela per non esporsi al pericolo di avere risposte poco piacevoli.
Dato però che il Ministro Göring ne esprimeva il desiderio, egli cercherà di influenzare il Governo austriaco nel senso suddetto aggiungendo, dal canto suo, che la piena esecuzione dell’Accordo dell’11 luglio è anche nell’interesse dell’Italia, tanto piú che l’Accordo venne a suo tempo concluso per desiderio dell’Italia. Egli (il Duce) ha personalmente ed in modo implicito fatto presente a Schuschnigg che, dato il carattere tedesco dell’Austria, sarebbe assurdo fare una politica antitedesca.
Una regolare esecuzione dell’Accordo dell’11 luglio è d’altra parte della massima importanza anche dal punto di vista internazionale. Qualsiasi nuovo conflitto tedesco-austriaco verrebbe per esempio immediatamente sfruttato dalla Francia, e si parlerebbe nuovamente della “guardia al Brennero”. L’Italia non intende farsi legare in alcun modo su questo punto.
Il Ministro Gòring osservò che il Governo austriaco non gode di nessuna simpatia nel popolo e si tiene al potere esclusivamente valendosi di provvedimenti brutali. Ma anche questi provvedimenti non gli avrebbero servito a nulla se la Germania non si fosse astenuta in modo assoluto dall’intervenire nelle questioni interne austriache. Da parte tedesca si sarebbe perfino disposti ad aiutare il Governo austriaco. Secondo una sua promessa fatta al Sottosegretario di Stato Schmidt, Goring aveva rilevato, nel suo discorso di Goslar, che il Governo austriaco non doveva essere considerato come antitedesco.
Lo stesso giorno, Schuschnigg designava il nazionalsocialismo come il nemico dello Stato n. 1. In Germania si ha l’impressione che l’Austria venga deliberatamente tenuta a disposizione da forze finora non note, come una specie di bomba a mano, che al momento opportuno dovrebbe servire per far saltare il fronte italo-tedesco. In Francia, in Inghilterra ed in Russia si sarebbe del parere che l’accordo italo-tedesco non è pericoloso finché esista la possibilità di farlo saltare valendosi dell’Austría.
Il Duce rispose che un simile tentativo non sarebbe pericoloso, in quanto che si conoscono fin d’ora le mete di quelle forze oscure che una stretta collaborazione italo-tedesca è in grado di manovrare. Basta far sapere al Governo austriaco che esso non deve in nessun caso prestarsi a qualsiasi tentativo di rottura da parte francoanglo-russa.
Il Ministro Göring disse che questo era uno dei punti rispetto ai quali esiste fra la Germania e l’Italia una certa diversità di vedute, e precisamente quanto alla valutazione delle forze operanti in Austria. La Germania è del parere che le correnti dominanti in Austria siano più orientate in senso internazionale di quanto apparentemente non si creda da parte italiana. Dal lato della Germania, egli può in ogni caso assicurare – e ritiene che ciò valga anche per l’Italia – che nei riguardi dell’Austria non vi saranno sorprese.
Il Duce diede la stessa assicurazione, rilevando che la garanzia sta nella continuità dei contatti tra l’Italia e la Germania. Il Ministro Göring confermò pienamente da parte stia la necessità di contatti continui fra i due Paesi. Egli rilevò che in sua presenza il Führer aveva dato al Ministro degli Affari esteri la direttiva di rimanere continuamente in contatto con il Conte Ciano e di far apparire tale collegamento anche esternamente – in un certo qual modo come contrappeso all’intima collaborazione francoinglese – cosí che ognuno sappia a priori l’inutilità di pretendere dall’Italia e dalla Germania un comportamento diverso nei comuni problemi politici.
Il Duce dichiarò che la comune politica italo-tedesca si estende sopratutto ai grandi problemi politici mondiali e secondariamente alle questioni minori, fra le quali è compresa l’Austria. Anche qui, il continuo contatto può garantire l’uniformità della politica, tanto piú che i due Paesi debbono adattare la loro azione all’incessante variare delle situazioni.
Egli crede all'”evoluzione” nella dinamica politica e non intende assolutamente lasciare “mummificare” la politica italiana. Mantenendo dunque un continuo contatto fra i due Paesi, non sorgeranno né sorprese né conflitti, e si otterrà invece unità e collaborazione.
Il Ministro Göring accennò alla questione degli Asburgo, la quale, se venisse effettivamente posta, conterrebbe elementi di massima sorpresa. La Germania non potrebbe in nessun caso tollerare la restaurazione degli Asburgo in Austria, qualunque fosse la forma (Regno, Reggenza ecc.), sotto la quale si tentasse di realizzarla. Ciò significherebbe la fine dell’Austria.
Il Duce rispose che, per ragioni storiche facilmente comprensibilí, la Casa Asburgo non gode di nessuna simpatia in Italia e che la restaurazione degli Asburgo provocherebbe nel popolo italiano una pessima impressione. Egli ha sempre avvertito i dirigenti austriaci di non giocare con la restaurazione, facendo presente i pericoli morali che l’Austria correva in questa questione. Anche con il Capo dei Legittimisti, Conte Wiesner, egli si era espresso molto esplicitamente in tale senso.
Il ministro Göring rilevò che gli Asburgo saranno sempre antiitaliani e che in un loro ritorno in Austria, logicamente, essi tenterebbero di riprendersi i territori già appartenuti al vecchio Impero austro-ungarico.
Il Duce rispose essere perfettamente conscio che nel caso di una loro restaurazione, gli Asburgo dovrebbero – allo scopo di far apparire minori le difficoltà interne – dapprima cercare un nemico esterno: e prevedibilmente 1′”uomo nero” prescelto in questo caso dagli Asburgo, sarebbe l’Italia. Egli ha d’altronde scritto un articolo contro Otto di Asburgo e può assicurare che tutte le notizie riguardanti progetti di matrimonio fra Otto e la Principessa Maria sono completamente prive di fondamento. La principessa Maria ebbe d’altronde a pregarlo personalmente di smentire con energia.
Con alcune parole di commiato del Duce e rinnovati ringraziamenti da parte del Ministro Göring per la gentile accoglienza in Italia, il colloquio ha avuto termine.
Durante il viaggio Roma-Berlino. – Gennaio 1937
f.to Schmidt