a cura di Cornelio Galas
- documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino
A settanta anni dalla loro redazione ecco per la |
AGOSTO 1936
LA GUERRA CIVILE IN SPAGNA
Roma, 3 agosto 1936-XIV
Ho ricevuto l’Ambasciatore di Francia il quale mi ha comunicato l’urgente appello del Governo francese diretto ad arrivare ad una intesa di non intervento nella questione spagnuola, intesa che dovrebbe essere originariamente tra Francia, Italia ed Inghilterra e restare aperta a tutti gli altri paesi. Praticamente si tratterebbe di impegnarsi a non fornire armi o strumenti atti ad alimentare la guerra civile ad alcuna delle parti contendenti in Ispagna.
Mi sono limitato a prendere atto dell’invito rivoltomi dall’Ambasciatore di Francia ed ho dichiarato che, essendo assente dalla capitale il Duce, mi sarebbe stato difficile dare una risposta immediata.
Per quanto concerne i due apparecchi italiani atterrati in Marocco, l’Ambasciatore di Francia mi ha detto che si riserba di farmi avere in un promemoria personale tutti gli elementi che in merito gli verranno forniti dal suo Governo. Mi ha aggiunto che è suo desiderio di poter arrivare al più presto ad una soluzione amichevole di tale questione.
Per parte mia ho risposto che le Autorità competenti stavano compiendo un’inchiesta, ma comunque ero in grado di escludere ogni e qualsiasi sia pure indiretta ingerenza da parte del Governo fascista.
GLI APPARECCHI ITALIANI NEL MAROCCO FRANCESE
Roma, 5 agosto 1936-XIV
L’Ambasciatore di Francia mi ha comunicato che il suo Governo ha ricevuto la risposta dal Governo britannico, relativa al passo fatto per ottenere una intesa preliminare di non intervento negli affari spagnoli, fra le tre grandi Potenze del Mediterraneo. La risposta britannica è di massima favorevole. L’Inghilterra crede che l’intesa oltre che tra i tre paesi mediterranei debba essere fatta, fin da un primo momento, anche con la Germania e il Portogallo.
Poi ad essa dovranno aderire tutte le altre Potenze eventualmente interessate. L’Inghilterra è pronta a fare una dichiarazione di assoluto non intervento negli affari spagnuoli purché analoga dichiarazione venga fatta dal Governo francese e da quello italiano. Chambrun mi ha comunicato ancora che, in seguito a una démarche fatta a Berlino, il Governo del Reich ha dichiarato di essere pronto ad esaminare il modo di trovare regole comuni per un non intervento in Ispagna. Chambrun ha ammesso che questa risposta è vaga.
Chambrun infine mi ha parlato della questione degli apparecchi italiani atterrati nel Marocco francese. Mi ha lasciato tutti i dettagli tecnici che comunico al Ministero dell’Aeronautica, col quale mi preparo a concordare una risposta. Ma fin d’ora ho fatto presente a Chambrun che, pure essendo tuttavia in corso una inchiesta, potevo affermare che non si trattava di apparecchi in servizio presso un reparto dell’aeronautica italiana, bensì di aeromobili forniti da una industria privata a privati cittadini spagnuoli e che il Governo infine non era assolutamente al corrente dell’affare.
Ho ringraziato l’Ambasciatore di Francia per i funerali fatti agli aviatori caduti e ho sollevato la questione di quelli attualmente prigionieri e dell’apparecchio tuttora trattenuto a Moulouya. Gli ho detto che trattandosi di un atterraggio evidentemente dovuto a caso di forza maggiore, non si poteva insistere sulla contravvenzione alle regole di sorvolo, e che quindi mi attendevo che il Governo francese avesse nel più breve tempo risolto il problema rendendo l’apparecchio agli aviatori, ed a questi, la libertà di andarsene.
INTESA DI NON INTERVENTO IN AFFARI SPAGNOLI
Roma, 6 agosto 1936-XIV
Ho ricevuto l’Incaricato di Affari d’Inghilterra che mi ha consegnato l’unito promemoria relativo alla proposta francese per un accordo sul non intervento negli affari di Spagna.
Allegato
Promemoria
Come è senza dubbio noto al R. Governo, il Governo francese si è rivolto ai Governi britannico, germanico e portoghese, oltreché a quello italiano, nell’intento di addivenire ad una cooperazione per regolare la questione delle forniture di armi alla Spagna.
In risposta il Governo britannico ha informato quello francese che vedrebbe con compiacimento la rapida conclusione di un accordo fra le Potenze in grado di fornire armi e munizioni alla Spagna nel senso di astenersi dal farlo e di impedire il rifornimento di armi e munizioni dai loro rispettivi territori in base al principio di non immistione (non interference) negli affari spagnuoli.
Il Governo britannico è tuttavia d’avviso che un accordo del genere debba, al suo inizio, essere simultaneamente accettato da Governi come quello francese, germanico, italiano, portoghese e britannico che hanno preminenti interessi materiali o una situazione di prossimità geografica con la Spagna. A tale accordo è sperabile che vogliano ulteriormente accedere tutte le altre Potenze interessate.
Nel portare quanto precede a conoscenza del Governo italiano, l’Ambasciata di Sua Maestà ha ricevuto istruzioni di esprimere il desiderio del Governo britannico di appoggiare il passo e tale proposito compiuto tre giorni or sono da quello francese.
Roma, 6 agosto 1936.
Il Governo inglese ha fatto conoscere al Governo francese che esso era favorevole ad un accordo del genere tra tutte le Potenze che possono fornire armi e munizioni alla Spagna. L’accordo dovrebbe consistere nell’impegno di non rifornire la Spagna di armi e munizioni e di impedire la fornitura dai rispettivi territori.
Per incominciare, l’accordo dovrebbe intervenire tra Francia, Germania, Italia, Portogallo e Inghilterra. Successivamente potrebbe essere, come il Governo inglese confida, sottoscritto anche da altre Potenze. Ho risposto all’Incaricato d’Affari d’Inghilterra negli stessi termini della comunicazione fatta poco prima all’Ambasciatore di Francia.
Anche con lui ho messo in evidenza cioè che l’Italia aderiva in massima alla tesi del non intervento; ma che tale non intervento avrebbe potuto essere efficace solo se fosse esteso a tutti gli Stati interessati, e sopratutto se non si fosse limitato alle forniture di armi, ma esteso invece anche alla propaganda e ad ogni altro genere di appoggio.
Vi era una forma di intervento e di lotta ancora più pericolosa di quella di cui faceva mostra di preoccuparsi il Governo francese, ed era la lotta che si combatteva sul terreno ideologico e spirituale; e questa lotta e questo intervento dovevano impedirsi insieme e parallelamente alle forniture di armi.
COLLOQUIO CON L’AMBASCIATORE DI FRANCIA
Roma, 7 agosto 1936-XIV
L’Ambasciatore di Francia mi ha questa mattina rimesso il progetto di dichiarazione che dovrebbe impegnare i Governi firmatari a mantenere la neutralità nei confronti della Spagna. Mi ha detto che dovrebbero fin da un primo momento aderire a tale progetto sei Paesi e cioè: Francia, Italia, Inghilterra, Germania, Portogallo e Russia.
Per quanto concerne i quesiti fatti da noi nella nostra risposta, l’Ambasciatore mi ha detto che praticamente í punti 3 e 4 trovavano già la loro risposta nel progetto di dichiarazione, e che comunque il Governo francese era pronto ad esaminare ogni modifica o suggerimento che potesse venire da parte del Governo fascista.
Per quanto concerne invece il punto 2°, l’Ambasciatore ha detto “che il Governo francese non disconosce l’importanza delle manifestazioni di solidarietà morale di cui il Governo fascista si preoccupa: ma osserva però che tali manifestazioni si producono nei due sensi e che pare difficile considerarle in una dichiarazione che ha e deve avere un carattere essenzialmente pratico.”
Ho detto all’Ambasciatore che facevo le più ampie riserve su questa sua risposta la quale non veniva a far conoscere il preciso punto di vista sulla questione sottoposta dal Governo fascista al Governo francese. La risposta che egli mi dava eludeva praticamente lo scopo della nostra domanda: quello cioè di procedere a un disarmo degli spiriti considerato da noi altrettanto e forse più necessario dell’embargo sulle armi. Premesse queste riserve, ho detto che avrei fatto conoscere al Duce quanto precede e avrei dato una risposta appena possibile.
IDROVOLANTI PER FRANCO
Roma, 10 agosto 1936-XIV
Ho rimesso all’Ambasciatore di Francia il progetto di dichiarazione, con l’aggiunta dell’articolo relativo al reclutamento di volontari e alle sottoscrizioni di denaro. Gli ho detto anche che, per parte nostra, non ritenevamo sufficiente, come controllo, l’informazione tra Governi delle misure prese per evitare l’esportazione di armi, ma credevamo invece che, in conformità alla nostra domanda, sarebbe stato necessario dare maggiore precisione alle garanzie. Attendevamo quindi proposte concrete in merito.
L’Ambasciatore di Francia mi è parso abbastanza ottimista circa l’accettazione da parte del suo Governo della nostra formula.
Naturalmente, durante il colloquio avuto con Chambrun, non ho mancato di elencargli la serie di documenti dai quali risulta che la Francia ha fornito e continua a fornire armi e munizioni al Governo rosso di Madrid. Chambrun ha preso nota di quanto gli dicevo e, a sua volta, mi ha chiesto se era vero che l’Italia si preparava ad inviare 20 idroplani, attualmente riuniti ad Orbetello, al Generale Franco. Ho senz’altro smentito la notizia.
Per quanto concerne il processo degli aviatori prigionieri nel Marocco francese, ho detto a Chambrun che naturalmente un giudizio e una condanna avrebbero la píú triste ripercussione nell’ambiente aeronautico italiano e nella nostra opinione pubblica. Gli stessi Accordi Valle-Denain ne potrebbero ricevere un forte colpo.
L’Ambasciatore ha preso atto di quanto gli ho detto e mi ha assicurato che per parte sua farà di tutto per evitare che il processo abbia luogo, anzi, in conformità a mia richiesta, cercherà di facilitare il rilascio dei piloti prigionieri e degli apparecchi tuttora trattenuti, pur rimanendo in attesa di una nostra risposta circa la nota questione degli aeroplani atterrati in territorio coloniale francese.
LA PROPOSTA FRANCESE
Roma, 14 agosto 1936-XIV
Ho ricevuto l’Ambasciatore di Francia il quale mi ha detto che il suo Governo lo aveva incaricato di comunicarci l’accordo di massima alla proposta da noi avanzata di impedire le sottoscrizioni e il reclutamento di volontari per la Spagna. Tale adesione era però platonica in quanto, col pretesto che sarebbe stato troppo lungo fare accettare anche agli altri Governi la nostra formula, il Governo francese proponeva quanto segue:
- a) l’adozione della dichiarazione di “non intervento” come prospettata dalla Francia;
- b) l’Italia avrebbe aggiunto unilateralmente che manteneva la sua richiesta per la proibizione di sottoscrizioni e di reclutamento di volontari;
- c) il Ministro degli Esteri francese avrebbe fatto sapere verbalmente al nostro Ambasciatore che la Francia concordava con lui sull’opportunítà di non inviare né uomini né danaro in Spagna. Ho risposto all’Ambasciatore che tale proposta francese ci pareva assolutamente inaccettabile. Mediante essa si cercava di trasformare in una pura e semplice raccomandazione unilaterale quella che era stata una nostra richiesta formale, raccomandazione che poi, mentre legava le mani all’Italia e forse parzialmente alla Francia, lasciava del tutto liberi altri paesi che sono stati, quale l’U.R.S.S., i principali iniziatori di sottoscrizioni e di azioni collettive e popolari in favore del Governo rosso di Madrid.
Ho detto all’Ambasciatore di Francia che avrei fatto conoscere al Duce quanto egli mi comunicava, ma che comunque sentivo il dovere fin da adesso di fargli tutte le mie riserve sull’accettabilità della proposta francese.
Ho aggiunto che, mentre noi, rinunciando ad insistere sulla limitazione delle campagne di stampa, di radio, e sulla proibizione di pubbliche riunioni avevamo fatto molti passi innanzi per incontrarci con la proposta francese, mi pareva che d’altro lato, invece, si rimanesse fermi sulle posizioni e che non si facesse niente per favorire un accordo con noi.
In fine della conversazione gli ho parlato anche della necessità di rimettere subito in libertà il nostro velivolo atterrato al Marocco. L’Ambasciatore di Francia mi ha assicurato del suo intervento a Parigi.
JOUHAUX A MADRID
Roma, 17 agosto 1936-XIV
L’Ambasciatore di Francia è tornato stasera a sollecitare una nostra risposta a quanto fu proposto da lui nell’ultima visita, venerdì scorso. Mi ha lasciato i testi delle lettere scambiate tra il Ministro degli Esteri francese e l’Ambasciatore d’Inghilterra, relative all’accordo di non intervento.
De Chambrun ha rinnovato le consuete raccomandazioni per la nostra decisione favorevole alle proposte francesi, assicurando anch’egli come Ingram che le nostre proposte aggiuntive saranno oggetto di un secondo e più vasto accordo. Anche a lui ho ripetuto che mi riservavo di dare una risposta dopo aver preso le istruzioni dal mio Capo.
Intanto però richiamavo la sua attenzione su alcune gravi manifestazioni francesi che venivano a compromettere qualsiasi platonica teoria di “non intervento”: il discorso del Ministro dell’Interno, il discorso del signor Duclos, Vice-Presidente della Camera, e il viaggio del signor Jouhaux in Ispagna, avendo quest’ultimo dichiarato prima della partenza che si recava a Madrid “per assistere al trionfo dei lavoratori sui fascisti.”
L’Ambasciatore de Chambrun ha dovuto convenire che si trattava di manifestazioni gravi e pericolose, ma a suo parere esse dovevano servire a fare ancor più apprezzare lo sforzo del signor Blum per mantenere e concertare una politica di non intervento.
ACCORDI COL GENERALE FRANCO?
Roma, 17 agosto 1936-XIV
L’Incaricato di Affari d’Inghilterra è venuto oggi a raccomandare a nome del suo Governo, l’accettazione da parte italiana delle proposte francesi per il “non intervento”. Mi ha aggiunto che tale accettazione rappresenterebbe una prima fase dell’accordo, in quanto in un secondo tempo le proposte italiane per impedire le sottoscrizioni di denaro e l’arruolamento dei volontari potrebbe esser l’oggetto di una nuova e più vasta intesa.
Mi ha lasciato un promemoria che riassume gli argomenti da lui esposti. Avendomi fatto cenno alle voci che esistono circa l’eventualità di un accordo tra l’Italia e il Generale Franco per la cessione di alcuni territori marocchini, gli ho opposto un assoluto diniego. Gli ho detto infine che prendevo atto della sua raccomandazione e che mi riservavo di fare avere una risposta al Governo francese dopo aver ricevuto le opportune istruzioni da parte del Duce.
SETTEMBRE 1936
IL NEGUS A GINEVRA
Roma, 7 settembre 1936-XIV
Ho ricevuto oggi il signor Avenol. Abbiamo trattato, come primo argomento, quello del ritorno dell’Italia a Ginevra. Gli ho subito messo in chiaro che noi intendevamo, prima di riprendere la nostra collaborazione, che fosse definitivamente chiarito il punto concernente la Delegazione etiopica.
Il signor Avenol mi ha detto che, a suo parere, difficilmente una delegazione del Negus si presenterà a Ginevra. Il Negus partì l’ultima volta troppo abbattuto per ritentare oggi una prova. Comunque, se anche una delegazione si presentasse, il signor Avenol afferma, da informazioni già assunte da lui presso i migliori giuristi, che essa verrebbe allontanata, non riconoscendosi la validità dei poteri.
In realtà Avenol ritiene che sarebbe molto pericoloso per la Società delle Nazioni di trasformarsi in un “rifugio della legittimità”. Troppi sarebbero i Governi spossessati che potrebbero invocare il precedente etiopico per tentare di farsi rappresentare a Ginevra da sedicenti delegazioni. Da ciò la Lega non ne guadagnerebbe né in prestigio né in potenza. Il signor Avenol ritiene inoltre che nessuna Rappresentanza si leverà in difesa di una eventuale delegazione etiopica non convalidata.
Egli dice che in questo momento in tutti i delegati è troppo vivo il senso di preoccupazione per gli avvenimenti maggiori e più gravi che sono in corso e che minacciano costantemente la pace del mondo. Ognuno sarà contento di mettere definitivamente agli atti il sorpassato problema italo-etiopico.
Gli ho detto che prendevo atto di tali sue informazioni. Comunque non mi pareva opportuno che i nostri rappresentanti intervenissero al Consiglio o alla prima seduta dell’Assemblea quando cioè potevano ancora comparire i delegati etiopici. Alla seconda riunione dell’Assemblea noi ci saremmo fatti rappresentare qualora alla prima gli etiopici non fossero apparsi o, se apparsi, fossero stati allontanati.
Per quanto concerne la riforma della S. d. N. il signor Avenol mi ha detto che è sua impressione che nessun paese in questo momento vorrà spingere per arrivare ad una conclusione in merito. Se l’argomento verrà abbordato lo sarà soltanto formalmente e senza conclusione positiva. Avenol, in fine di conversazione, ha insistito per essere ammesso a presentare i suoi ossequi al Duce.
Gli ho detto che il Duce potrà riceverlo e che mi riservo di accompagnarlo in uno dei prossimi giorni. Avenol rimane a Roma fino a giovedí.
COLLOQUI COL
MINISTRO D’UNGHERIA
Roma, 7 settembre 1936-XIV
È venuto a vedermi, di ritorno dall’Ungheria, il Ministro Villani. Mi ha intrattenuto sui seguenti argomenti:
1. Visita del Reggente a Roma. – Il Ministro Villani è stato incaricato dal suo Governo di far conoscere al Duce che il Reggente accetta l’invito con piacere e che, a partire dal 15 ottobre, è pronto a venire a Roma. Resta in attesa di conoscere quale data sarà più gradita a Sua Maestà il Re e al Duce.
2. Mia visita in Ungheria. – A nome del suo Governo, il Ministro Villani ha tenuto a far sapere che una mia visita in Ungheria riuscirebbe particolarmente gradita. Ha vivamente insistito perché in tale visita io sia accompagnato da mia moglie, alla quale il Governo ungherese vorrebbe riservare particolari accoglienze. Suggerirebbe che in occasione di questa visita – la quale potrebbe aver luogo in novembre – si tenesse a Budapest la riunione dei tre Ministri degli Affari Esteri italo-austro-ungherese, secondo quanto previsto dai Protocolli di Roma. Al ritorno o all’andata potrei sostare a Vienna.
Gli ho risposto che per parte mia mi sembrava che nulla ostasse all’idea di una mia visita a Budapest e che mi riservavo di far conoscere la data e le modalità dopo aver preso le opportune istruzioni dal Duce.
3. Convegno Hitler-Horthy. – Villani mi ha subito dichiarato che il colloquio Hitler-Horthy è stato sopratutto determinato dal desiderio personale del Reggente di conoscere e di entrare in contatto diretto col Führer, Capo di una Nazione per la quale il popolo ungherese ha vivo sentimento di amicizia. La visita è stata sprovvista di carattere politico, tanto è vero che il Reggente Horthy, il quale non tratta mai personalmente problemi politici, non si è fatto accompagnare da alcun Ministro, né da funzionari del Ministero degli Affari Esteri.
Durante il colloquio però sono stati toccati i seguenti punti:
a) Accordo austro-tedesco. Il Reggente si è vivamente compiaciuto con Hitler per il raggiungimento dell’accordo che ha determinato uno stato di détente nell’Europa centrale e che ha tolto una preoccupazione grave in Ungheria in quanto ha permesso il ristabilimento di rapporti cordiali fra l’Italia e la Germania, paesi egualmente cari al popolo magiaro. Hitler ha concordato con Horthy e ha detto che è sua intenzione di rendere sempre più stretti e sicuri i legami che uniscono il popolo tedesco a quello italiano.
b) Comunismo. Il Führer e il Reggente si sono trovati d’accordo nel riconoscere nel comunismo il maggior pericolo per l’Europa e per la pace. Il Führer ha manifestato al Reggente Horthy la sua intenzione di svolgere un’attiva azione anti-comunista. Gli ha detto che in Ispagna opera effettivamente e che a questo proposito era lieto di potergli dare una prova ulteriore dei buoni rapporti esistenti fra l’Italia e la Germania, poiché l’azione in Ispagna di fiancheggiamento del Generale Franco era svolta di comune accordo.
c) Cecoslovacchia. Il Reggente ha trovato vivo risentimento nel Führer contro la Cecoslovacchia. Per quanto questi gli abbia dichiarato di essere pronto a serrare un patto di non aggressione con i cechi qualora questi abbandonino la loro amicizia con la Russia, Horthy ha riportato l’impressione che la Germania si proporrà, non appena ultimati i suoi armamenti, di manifestare con gesto concreto la sua avversità verso la Cecoslovacchia.
4. Società delle Nazioni. – L’Ungheria ha preparato un Memoriale, di cui il Ministro Villani mi ha consegnato copia, relativo alla ríforma del Patto. Tale Memoriale non sarà consegnato subito, ma soltanto in un secondo tempo. Frattanto egli pregherebbe di fargli conoscere per iscritto le nostre eventuali osservazioni o critiche. La Delegazione ungherese a Ginevra sarà diretta da Kànya. Per quanto l’ultima decisione non sia ancora presa, pur tuttavia sembra sicuro che Kànya solleverà la questione del riarmo ungherese. Anche su questo argomento vorrebbero conoscere l’opinione nostra circa l’opportunità o meno di sollevare la questione adesso. La Germania ha assicurato il pieno appoggio diplomatico. Il signor Villani mi ha detto che il popolo ungherese conta a pieno sulle promesse di aiuto piú volte fattegli dal Duce qualora la Piccola Intesa prendesse occasione per mobilitare.
5. Jugoslavia. – Le conversazioni tra il signor Stojadinovic e il Ministro d’Ungheria a Belgrado proseguono attivamente ma con scarso risultato. La Jugoslavia vorrebbe, per venire ad un accordo, che l’Ungheria facesse dichiarazioni di disinteresse nei confronti delle minoranze soggette al regime serbo. Questa dichiarazione non potrà essere fatta dall’Ungheria, anche e sopratutto perché potrebbe a sua volta essere invocata analogamente dalla Romania e dalla Cecoslovacchia. Comunque il signor Villani ritiene che tra l’Ungheria e la Jugoslavia si potrà addivenire gradualmente, e magari temporaneamente soltanto, a una distensione di rapporti.
6. Romania. – Il Governo ungherese ha visto con piacere l’allontanamento di Titulescu; ma adesso è preoccupato dalla crescente influenza delle Guardie di ferro le quali, se andassero al potere, si preparerebbero a svolgere una politica molto dura nei confronti delle minoranze ungheresi. A tale proposito il Ministro Villani sollecitava un eventuale intervento dei nostri rappresentanti a favore di dette minoranze.
Gli ho risposto che i nostri rapporti con la Romania erano stati nel recente passato piuttosto tesi. Il gesto del signor Antonescu li aveva evidentemente migliorati formalmente, ma per ora non vi era niente di concreto. Comunque a suo tempo, se un nostro intervento apparirà utile ed opportuno, non mancherà di prodursi in favore dell’Ungheria.
COLLOQUIO COL MINISTRO
DEGLI ESTERI AUSTRIACO
Roma, 15 settembre 1936-XIV
Nel colloquio che ho avuto ieri col Segretario di Stato per gli Affari Esteri d’Austria, sono stati trattati i seguenti argomenti:
Spagna. – Il Segretario di Stato austriaco mi ha espresso la sua preoccupazione per le condizioni in cui si trovano e verranno a trovarsi in futuro i sudditi austriaci residenti in Ispagna. Da tempo erano avviate le pratiche per la istituzione di una Legazione austriaca in Madrid. Adesso, prima di dare ulteriore corso a tale questione, il Governo austriaco desidererebbe conoscere il nostro punto di vista.
Ho detto a Schmidt che allo stato degli atti consideravo assolutamente inopportuno creare una rappresentanza diplomatica presso un Governo che, con ogni probabilità, tra breve sarà definitivamente spodestato. Se, come tutto lascia supporre, Franco raggiungerà la vittoria, noi potremo opportunamente appoggiare presso il nuovo Governo nazionale, col quale per le ragioni note si stabiliranno i rapporti piú cordiali, i desideri e gli interessi dei cittadini austriaci.
Polonia. – Il signor Schmidt avrebbe voluto conoscere qualche particolare o informazione relativa al risultato conseguito dal Generale Rydz-Smigly nel suo recente viaggio a Parigi. Gli ho dato lettura del resoconto del colloquio che ha avuto luogo a Venezia tra detto Generale e il Sottosegretario di Stato Bastianini.
Il signor Schmidt, pure ammettendo che qualche miglioramento nei rapporti tra Francia e Polonia si è verificato in seguito a tale visita, ritiene che di sostanzialmente mutato nulla vi sia nella politica polacca. Avuta da me conferma che le relazioni esistenti tra il Governo italiano e quello di Varsavia sono, particolarmente in seguito al gesto polacco di abolizione unilaterale delle sanzioni, notevolmente cordiali, mi ha espressa l’intenzione del Governo austriaco di accentuare le relazioni già amichevoli che esistono tra Vienna e Varsavia.
Cecoslovacchia. – Gli ho confermato, a sua richiesta, che il modus vivendi commerciale recentemente firmato a Roma non contiene nessuna clausola di particolare vantaggio per la Cecoslovacchia ed è totalmente analogo agli altri accordi commerciali realizzati dopo il 15 luglio coi Paesi ex-sanzionisti. Nessun mutamento è avvenuto, né si prevede, nei rapporti normali esistenti tra Roma e Praga.
U.R.S.S. – Mi ha chiesto se la rottura delle trattative commerciali aveva anche un contenuto politico. Gli ho detto che le trattative commerciali si erano rotte in quanto la Russia ci chiedeva di deflettere da una linea di condotta adottata verso tutti gli Stati e che tende a condurre al pareggio assoluto la nostra bilancia commerciale. Certamente tale rottura di negoziati ha avuto un riflesso negativo anche nei rapporti politici tra i due Paesi i quali in questi ultimi tempi, particolarmente a causa della rivoluzione spagnuola e dei processi di Mosca, si sono intiepiditi, come lo provano le continue e violente campagne di stampa.
Jugoslavia. – Il signor Schmidt mi ha detto che già più volte il Presidente Stoiadinovic ha fatto conoscere al Cancelliere Schuschnigg il suo desiderio di incontrarsi con lui. Schuschnigg non ha dato risposta in nessun senso perché l’Austria desidera adattare i suoi rapporti con la Jugoslavia a quelle che sono e saranno le relazioni italo-serbe.
Ragioni sostanziali di disaccordo tra Austria e Jugoslavia non esistono, tranne la questione absburgica, sulla quale il Governo di Vienna intende d’altronde soprassedere, e l’attrazione che tuttora la capitale austriaca esercita sul popolo croato. Comunque, poiché da molti segni sembra che tra Berlino e Belgrado si tenda a stabilire dei rapporti di particolare cordialità, Schmidt si domanda se non sarebbe opportuno determinare una distensione, che a suo avviso non dovrebbe essere difficile, per attrarre piuttosto Belgrado nell’orbita romana.
Ho detto a Schmidt che anche noi avevamo considerato il problema sotto questo aspetto e che in un prossimo futuro, allorché un nostro nuovo rappresentante diplomatico sarà a Belgrado, avremmo, con le dovute cautele e con molta sicurezza, esaminato quali possibilità vi fossero, e conseguentemente preso una decisione.
Rapporti economici italo-austriaci. – Il signor Schmidt, a nome del Cancelliere Schuschnigg, ha vivamente pregato perché ai rapporti economici tra i nostri due paesi venga mantenuto il carattere attuale. L’appoggio dato in tale campo dall’Italia all’Austria è valso e vale profondamente a difendere l’autonomia e l’indipendenza rispetto alla Germania.
Ho assicurato il signor Schmidt che i rapporti economici tra l’Austria e l’Italia saranno sempre guidati da un criterio politico e improntati allo spirito di amicizia che lega i due paesi.
Riforma del Patto. – Ho confermato a Schmidt che noi non abbiamo preparato nessun progetto di riforma: comunque siamo contrari a qualsiasi modifica del Patto diretta ad aumentare la potenza offensiva della Società delle Nazioni.
Gli ho detto però, secondo quanto Avenol aveva recentemente riferito, che non ritenevo che nella prossima Assemblea il problema sarebbe stato discusso a fondo e nell’intento di raggiungere risultati positivi.
Riunione italo-austro-ungherese a Vienna. – Gli ho comunicato di avere richiesto attraverso il Ministro Villani il gradimento del Governo ungherese a tale riunione. In massima saremmo rimasti d’accordo per fissarla entro la prima decade di ottobre. L’ordine del giorno verrà concordato attraverso le rappresentanze diplomatiche.
IL MINISTRO TEDESCO FRANK
A COLLOQUIO COL DUCE
Roma, 23 settembre 1936-XIV (Palazzo Venezia)
Il Ministro Frank ha iniziato il suo dire porgendo al Duce il saluto del Führer e il ringraziamento per l’opera svolta dalle Autorità Consolari italiane, dagli equipaggi dei piroscafi e dalle Autorità del Regno in favore dei tedeschi profughi dalla Spagna. Ha proseguito, quindi, esprimendo al Duce il desiderio del Führer di riceverlo non appena possibile in Germania, non solo nella sua veste di Capo del Governo, ma anche in quella di fondatore e Duce di un partito affine al nazionalsocialismo.
Ha detto anche che il Führer desidera poter prendere contatti personali con il Ministro degli Esteri e che pertanto era stato incaricato di invitarlo a recarsi in Germania.
Per quanto concerne la Spagna, il Ministro Frank ha assicurato che la Germania presta aiuto ai partiti nazionali unicamente per solidarietà di concezione politica, ma che non ha né interessi né mire nel Mediterraneo. Il Führer tiene a far sapere che considera il mare Mediterraneo quale un mare prettamente italiano. All’Italia spettano nel Mediterraneo posizioni di privilegio e di controllo. Gli interessi dei tedeschi volgono verso il Baltico che è il loro “Mediterraneo”.
Un problema sul quale il Ministro Frank vuole richiamare l’attenzione del Duce è quello delle rivendicazioni coloniali, problema che trova la sua base nelle necessità economiche del popolo tedesco. Il Führer non nasconde che su questo punto troverà la netta ostilità britannica. L’invio di Ribbentrop a Londra rappresenta l’ultimo tentativo di far comprendere alla Gran Bretagna le necessità e la posizione della Germania. È chiaro però che qualsiasi azione di riavvicinamento alla Germania da parte inglese dovrebbe essere seguita da un’azione di riavvicinamento britannico all’Italia.
Comunque su tale possibilità il Führer non si fa troppe illusioni. Tra le gerarchie naziste e le gerarchie fasciste sono necessari dei rapporti diretti al di fuori e al di sopra della diplomazia ufficiale. L’azione dei due paesi, è, come quella dei due partiti, specialmente diretta contro la propaganda ed il pericolo bolscevico.
Negli ambienti governativi tedeschi la questione austriaca è considerata liquidata con l’accordo austro-tedesco dell’11 luglio, cui il Governo germanico intende mantenersi strettamente fedele. Ne è una prova il fatto che Hitler ha rifiutato di accogliere al congresso di Norimberga il rappresentante del partito nazista austriaco.
Nei riguardi dell’Ungheria, Frank dichiara che le relazioni germano-magiare sono buone e che si deve in esse trovare un nuovo elemento di collaborazione con l’Italia. Per quanto concerne Ginevra è intenzione del Führer di marciare d’intesa con il Governo fascista ed il Ministro Frank aggiunge che la Germania è pronta a compiere, in qualsiasi momento si ritenga opportuno, il riconoscimento dell’Impero in Etiopia.
Il signor Frank conclude il suo dire esprimendo la fiducia sua personale e del Governo del Reich nella necessità di una sempre piú stretta collaborazione tra la Germania e l’Italia. Il Duce risponde che in Italia non abbiamo nessuna fretta di vedere riconosciuto l’Impero Etiopico; ciò, più che nostro interesse, è un interesse delle altre Potenze.
Però apprezza le intenzioni del Governo tedesco e fa presente che il riconoscimento offerto, fatto in occasione di uno speciale avvenimento, quale potrebbe essere ad esempio la visita a Berlino del Ministro degli Esteri, assumerebbe particolare importanza.
Per quanto riguarda Ginevra, l’Italia ne è praticamente fuori, e può darsi che nel giro di poche ore, qualora la Società delle Nazioni, alla presenza della Delegazione italiana, anteponga quella della sedicente delegazione etiopica, ne sia fuori anche giuridicamente.
I rapporti con l’Austria sono e si mantengono dei più amichevoli. L’accordo dell’11 luglio ha trovato le sue basi nei suggerimenti che lo stesso Duce dava il 5 giugno a Schuschnigg, consigliandolo di favorire un’intesa con la Germania, perché l’Austria era in primo luogo un paese tedesco e poi perché era un paese troppo debole per fare una politica antigermanica.
È lieto di constatare come le relazioni tra l’Austria e la Germania siano migliorate. Per quanto concerne la Francia dichiara che per noi, date le condizioni di politica interna di tale paese, non è possibile di svolgere con essa una qualsiasi politica.
La Francia è malata e vecchia. Non si pensa che a mangiare; è un paese in cui la cucina è diventata un’“arte dello Stato”. La decadenza demografica è spaventosa. In Francia si perdono duemila unità alla settimana. In questi ultimi giorni i radicali tentavano una riscossa, però le forze comuniste sono impotenti. Se Blum cercasse di sbarcarle, probabilmente il partito comunista si rivolgerebbe alla piazza. La Francia non ci interessa sino a quando non sarà finita la crisi interna.
In Ispagna si sono già formati i due fronti, da un lato quello tedesco-italiano, dall’altro quello franco-belga-russo. Il Duce concorda con Hitler nel ritenere che la determinazione dei due fronti è ormai un fatto compiuto.
L’Italia ha aiutato gli spagnuoli ed anche attualmente numerosi aiuti sono in corso, senza condizioni, per quanto molto sangue italiano sia stato versato e le Baleari siano state salvate soltanto da uomini e materiale italiano. Per ora bisogna vincere. Dopo la vittoria non chiederemo niente alla Spagna che possa modificare la posizione geografica del Mediterraneo, ma le chiederemo soltanto di svolgere una politica che non sia contraria agli interessi dell’Italia.
La nostra azione in Ispagna è una prova effettiva della nostra partecipazione alla lotta antibolscevica.
Per quanto concerne l’Inghilterra, il Duce ritiene che Hitler abbia ragione di compiere il tentativo Ribbentrop. Non riuscirà. Ribbentrop non farà nulla. Le posizioni sono già definite: Francia e Russia, ed insieme alla Francia l’Inghilterra. Quindi Londra non potrà mai fare una politica con la Germania. Tra l’Inghilterra e la Francia c’è un vecchio patto per cui i due paesi, padroni della società delle Nazioni, si sono impegnati a fare una politica comune. Talvolta potranno forse scontrarsi, ma non arriveranno mai ad una rottura.
È una solidarietà storica tra due paesi ricchi, conservatori e democratici. È in possesso del Duce un documento che quando Ribbentrop conoscerà, varrà a fissarlo su quelli che potranno essere i risultati della sua missione: l’Inghilterra intende ménager la Germania soltanto per avere il tempo di realizzare il riarmo.
I nostri rapporti con Londra sono cattivi né possono migliorare. Ogni misura britannica provoca una nostra contro-misura. Quando gli inglesi mandarono la flotta in Alessandria d’Egitto, il Duce inviò 5 divisioni al confine cirenaico. Adesso che gli inglesi preparano nuove basi navali, noi prepariamo le controbasi. Il dominio dell’aria nel Mediterraneo è e sarà sempre dell’Italia.
Se tuttavia l’Inghilterra volesse fare una politica nuova nei nostri confronti, ne potremmo anche esser contenti. Ma, allo stato degli atti, nessun segno lascia prevedere questa eventualità. È da tenere presente, tra gli altri sintomi, il carattere del viaggio di Edoardo VIII il quale, come ha evitato di toccare l’Italia, ha altrettanto accuratamente evitato di toccare la Germania.
Per quanto concerne le Colonie, il Duce ritiene che i tedeschi hanno ragione di sollevare e di agitare il problema. I tedeschi, come gli italiani, sono un popolo senza spazio. Al momento opportuno l’Italia s’impegna ad appoggiarli. Si sa già quale risposta la democrazia inglese si prepara a dare alla richiesta tedesca: le popolazioni che per venti anni hanno goduto i vantaggi del sistema liberale inglese, non devono essere messe sotto il regime autocratico tedesco. È pacifico che con un pretesto o con l’altro, sul terreno coloniale, in Germania si avrà sempre l’Inghilterra contro.
Il Duce consiglia, inoltre, di respingere la conferenza per le materie prime. Essa non risolverebbe niente. Le materie prime che si trovano nel terreno nazionale o coloniale si pagano con la semplice moneta dello Stato, ma se si acquistano all’estero, si debbono pagare con l’oro.
Per quanto concerne la visita in Germania, il Duce ha detto che è suo desiderio di compierla. Essa però deve essere ben preparata per dare senz’altro dei risultati concreti. Avrà un immenso clamore e quindi anche nelle sue conseguenze deve avere una portata storica. Essa determinerà l’incontro dei Capi di due movimenti e di due filosofie affini.
La visita sarà preparata anche dal punto di vista della diplomazia ufficiale: deve determinare e segnare non soltanto la solidarietà dei regimi, ma anche la politica comune dei due Stati che bisogna chiaramente tracciare verso Oriente e verso Occidente, verso Sud e verso Nord.
Il Ministro Frank rivolge ancora al Duce una domanda e cioè desidera sapere come l’Italia sia riuscita a normalizzare i suoi rapporti con la Chiesa, mentre in Germania la questione è irta di difficoltà.
Il Duce risponde che la lotta contro la religione, sia cattolica che protestante, (non contro gli ebrei, perché in tal caso si tratta di razza) è inutile perché la religione è inafferrabile come la nebbia. Per lo Stato è importante di dividere nettamente il compito con la Chiesa: voi, preti, vi occupate della religione, non della politica; dell’anima e non del corpo. Il cittadino appartiene allo Stato: la Chiesa cura in lui soltanto il settore religioso.
Dopo la Conciliazione anche in Italia si produsse una crisi assai grave e poco mancò che il Papa non arrivasse alla scomunica. La lotta si concluse col trionfo dello Stato. La gioventù viene educata dallo Stato. La Chiesa fornisce i cappellani, che si limitano a dire la messa. Ma non devono occuparsi né di sport, né di dopolavoro, né di ginnastica, né di circoli ricreativi: il campo ecclesiastico è la teologia. Dal 1° settembre 1931, l’Azione Cattolica, in Italia, praticamente non esiste più.
Conviene riconoscere che i risultati di tale politica sono stati soddisfacenti: nessun contrasto notevole si è prodotto da allora, ed anzi, nelle ore difficili del conflitto italo-etiopico, il clero ha dato ottima prova.
Comunque conviene vigilare continuamente. La Chiesa cattolica è come una palla elastica: per vedere il segno della pressione, bisogna che la pressione sia costantemente esercitata, altrimenti la palla riprende la forma primitiva.
Il Ministro Frank parla infine dei suoi progetti culturali e dell’intenzione di fondare a Monaco un palazzo del diritto in cui dovrà essere un istituto di legislazione fascista al quale saranno ammessi i migliori studenti di legge in Germania. All’inaugurazione verrà invitato il Ministro Solmi.
Chiede infine al Capo quali debbano essere a suo avviso i rapporti fra Stato e Partito. Il Duce risponde che in Italia il problema fu risolto facendo divenire il Partito un organo dello Stato, anzi una milizia civile agli ordini dello Stato.
SENTIMENTI ANTI-ITALIANI IN INGHILTERRA
Roma, 26 settembre 1936-XIV
È venuto a vedermi l’Incaricato d’Affari d’Inghilterra, signor Ingram, il quale dopo avermi espresso il suo compiacimento per l’atteggiamento calmo mantenuto dall’Italia dopo le recenti delíberazioni ginevrine, mi ha parlato della situazione nel Mediterraneo.
Ha tenuto a dirmi, a nome di Vansittart, che tutte le manifestazioni recenti britanniche in Mediterraneo, quali il viaggio del Re, il viaggio di Sir Samuel Hoare, il viaggio del Ministro Stanhope, l’invio di truppe in Palestina, la visita della flotta turca a Malta, non avevano e non hanno nessun carattere di politica anti-italiana. Esse devono venire invece considerate quali manifestazioni normali della attività britannica.
A suo dire, la cattiva interpretazione di tali avvenimenti sarebbe dovuta ai giornalistí italiani in Londra, e particolarmente al corrispondente della “Tribuna”, Sansa, i quali tenderebbero a far credere ad un tentativo di accerchiamento contro l’Italia, cui da parte inglese non si pensa né si è mai pensato.
Mi sono limitato ad ascoltare quanto Ingram ha detto ribattendo soltanto quando egli ha fatto vago accenno ad eventuali rapporti tra il Governo fascista e i Capi del movimento arabo in Palestina (accenno che egli ha ritirato alla mia prima reazione); e, nei riguardi della stampa, gli ho risposto che non solo i nostri corrispondenti avevano dato tale interpretazione agli avvenimenti in parola, bensí quasi tutta la stampa mondiale.
Il signor Ingram ha tenuto a sottolineare che da parte inglese non si pensa né si desidera una politica anti-italiana… Ma, anche De Kérillis, che ho ricevuto pochi minuti dopo e che è ritornato dall’Inghilterra, mi ha ripetuto che i sentimenti anti-italiani sono diffusi e radicati in tutto il popolo inglese, che nutre verso l’Italia “un odio irriducibile”.