I “SEGRETI” DI GALEAZZO CIANO – 11

a cura di Cornelio Galas

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

A settanta anni dalla loro redazione ecco per la
prima volta in rete i documenti che Galeazzo Ciano
allegava al suo DIARIO

GENNAIO 1939

LETTERA A VON RIBBENTROP

Roma, 2 gennaio 1939 – XVII
segreta

Caro Ribbentrop,

nel colloquio che ebbe luogo a Palazzo Venezia il 28 ottobre u. s., il Duce, pur dando l’adesione di massima al progetto da Voi presentato per trasformare in Patto di assistenza militare l’Accordo tripartito anti-Comintern di Roma, fece una riserva sul momento in cui tale fondamentale atto politico avrebbe potuto effettivamente aver luogo.

Del pari si espresse recentemente con l’Ambasciatore del Giappone a Berlino, Generale Oshima, cui precisò inoltre che una decisione definitiva sarebbe stata da lui presa nel mese di gennaio. Penso che il Generale Oshima vi abbia riferito quanto sopra. Adesso, sciogliendo la riserva, il Duce ritiene che il Patto possa venire firmato e propone come epoca della firma l’ultima decade di gennaio. Lascia a Voi la scelta del luogo della cerimonia, nonché di stabilire la procedura relativa e di concertarvi, come avete fatto per il passato, col Generale Oshima.

Joachim von Ribbentrop with ambassador of Italy Dino Alfieri and ambassador of Japan Hiroshi Oshima

In questa decisione del Duce di procedere fin da ora alla stipulazione del Patto di assistenza da Voi proposto, è da escludere qualsiasi riflesso delle nostre relazioni politiche con la Francia.

Le rivendicazioni italiane verso i francesi sono di due nature. Le prime, di carattere contingente, si riferiscono a quelle questioni che formarono, almeno in parte, oggetto degli Accordi del 1935 da noi ora denunciati, e che sono lo Statuto degli italiani residenti nel Protettorato di Tunisi, la concessione di un porto franco a Gibuti e l’esercizio della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, la partecipazione italiana all’amministrazione del Canale di Suez. Noi riteniamo che tali questioni possano essere risolte attraverso normali negoziati diplomatici, dei quali però non intendiamo prendere l’iniziativa.

Le altre rivendicazioni sono di carattere storico, riguardano quei territori che geograficamente, etnicamente, strategicamente appartengono all’Italia ed ai quali noi non intendiamo rinunciare in modo definitivo. Ma questo è un problema di altra portata, che richiederebbe per la sua soluzione misure di ben diversa natura e che pertanto noi, adesso, non poniamo sul tappeto. Ma fin d’ora si può affermare una cosa sicura: la tensione italo-francese ha reso molto piú popolare in Italia l’idea dell’alleanza con la Germania, e questo è già, ai nostri fini, un risultato positivo e concreto.

Le vere ragioni che hanno indotto il Duce ad accogliere in questo momento la Vostra proposta sono le seguenti:

1. La ormai provata esistenza di un patto militare tra la Francia e la Gran Bretagna;

2. il prevalere della tesi bellicista negli ambienti responsabili francesi;

3. la preparazione militare degli Stati Uniti che ha lo scopo di fornire uomini e sopratutto mezzi alle democrazie occidentali in caso di necessità.

Ciò premesso, il Duce considera ormai necessario che il Triangolo anticomunista diventi un sistema e l’Asse potrà fronteggiare qualsiasi coalizione se avrà nella sua orbita e legati al suo destino i Paesi che lo possono in Europa rifornire di materie prime, e cioè principalmente: Jugoslavia, Ungheria e Romania. L’Accordo, come Voi stesso ci proponeste, dovrà venire presentato al mondo come un Patto di pace, che assicura alla Germania e all’Italia la possibilità di lavorare in piena tranquillità per un periodo abbastanza lungo di tempo.

Vi prego, caro Ribbentrop, di voler considerare confidenziale questa decisione del Duce, così come tenere segreta la stipulazione del Patto fino al momento stesso della firma. Poiché Voi verbalmente mi accennaste al desiderio che la firma abbia luogo a Berlino, Vi informo che dal giorno 23 gennaio, data in cui sarò di ritorno da Belgrado, alla fine del mese potrò, qualora Voi lo desideriate, recarmi nella Vostra capitale. Ma su tutto ciò avremo l’opportunità di concertarci in seguito piú specificatamente.

Con i migliori auguri, Vi mando, della mia più viva cordialità.

OLLOQUIO DI MUSSOLINI CON CHAMBERLAIN

Roma, 11 gennaio 1939 – XVII

Il Duce dopo aver dichiarato la sua soddisfazione nel vedere il signor Chamberlain e Lord Halifax ospiti in Italia, dice di voler precisare alcuni punti fondamentali della politica italiana.

1. L’Italia vuole la pace e farà una politica di pace oltre che per motivi di carattere generale anche perché l’Italia vuole mettere in valore i suoi territori d’oltremare.

2. L’Italia applicherà con la massima lealtà gli Accordi del 16 aprile.

3. La direttiva fondamentale della politica italiana è l’Asse Roma-Berlino. Tale Asse però non è di natura esclusiva e non ha impedito a noi di stabilire cordiali relazioni con l’Inghilterra né alla Germania di migliorare le sue relazioni con la Francia. L’Italia non esclude la possibilità di intese più vaste e permanenti fra le quattro Potenze occidentali, ma non intende assumere iniziative in materia.

4. I rapporti tra l’Italia e la Francia sono determinati dall’aver noi denunciato gli Accordi del 1935. Ciò prova in quali termini si debba porre la vertenza tra l’Italia e la Francia. Però c’è una questione che deve essere considerata come pregiudiziale: la liquidazione della questione spagnola che noi immaginiamo soltanto attraverso una completa vittoria del Generale Franco. È chiaro che l’Italia non ha nessuna ambizione diretta in Spagna: desidera soltanto che questo Paese trovi finalmente l’ordine e la pace sotto la guida di un Governo forte.

Da parte nostra non sono stati aumentati gli effettivi in Spagna in questi ultimi mesi, anzi sono stati ritirati, come è noto, diecimila uomini senza richiedere alcuna contropartita. I volontari italiani rappresentano soltanto il tre per cento delle forze franchiste ed anche per quanto concerne le artiglierie e gli aeroplani, nessun aumento ha avuto luogo da parte italiana. Se però la campagna per l’intervento in massa che alcuni organi di stampa e alcuni partiti stanno svolgendo in Francia dovesse determinare un grosso intervento francese, anche noi dovremmo esaminare ulteriormente la nostra politica e prendere nuove decisioni.

5. Poiché ogni tanto torna in discussione la questione del disarmo, è opportuno precisare che l’Italia non crede possibile giungere ad un disarmo effettivo bensì ad una limitazione degli armamenti che potrebbe essere in un primo tempo qualitativa e in un secondo quantitativa. Ciò permetterebbe anche di fare degli accordi sulla umanizzazione della guerra.

Chamberlain è d’accordo sulla possibilità di raggiungere una intesa per la limitazione degli armamenti. Crede però che a tale intesa dovrebbe partecipare, oltre alle quattro Potenze occidentali, anche la Russia, poiché in fatto di armamenti aerei e navali la non partecipazione di uno Stato rende impossibile l’accordo di tutti gli altri. Il Duce si dichiara della medesima opinione.

Chamberlain chiede al Duce se ha delle proposte o dei suggerimenti da avanzare in relazione alla questione dei rifugiati. Il Duce, riferendosi al problema dei rifugiati ebrei mette al corrente il signor Chamberlain del messaggio pervenutoGli recentemente da Roosevelt, nonché delle risposte da Lui date all’Ambasciatore americano e poi confermate nella lettera diretta al Presidente degli Stati Uniti.

Il signor Chamberlain è d’accordo sulle conclusioni cui è giunto il Duce nonché sulla soluzione da lui proposta. Dice però che nel frattempo bisognerebbe trovare un accordo per facilitare l’emigrazione dalla Germania degli ebrei. È però chiaro che nessuno Stato vorrà prendere questi ebrei se il Governo tedesco non accetterà di sottoporsi a qualche sacrificio, permettendo loro l’esportazione di una sia pur modesta quantità di denaro necessaria alla loro sistemazione.

Il Duce si dichiara d’accordo col signor Chamberlain e ritiene per parte sua che il Governo tedesco, intendendo risolvere in modo totalitario il problema ebraico, potrà fare qualche sacrificio per favorire il deflusso totale delle masse ebraiche dal territorio tedesco. Non bisogna però pretendere dalla Germania dei sacrifici troppo gravi perché il popolo tedesco ha molto sofferto a causa degli ebrei specialmente nell’immediato dopoguerra.

Avendo il signor Chamberlain fatto anche un accenno alla questione degli emigrati politici, il Duce risponde che non vede per essa una soluzione pratica tanto più che la questione degli emigrati politici è sempre esistita nei periodi della storia poiché la vittoria di un partito ha sempre determinato l’allontanamento di una parte degli avversari.

Il signor Chamberlain desidera rispondere ai punti precisati dal Duce e ringrazia per quanto Egli ha detto circa la necessità di svolgere una politica in favore della pace. Riconosce che essa è necessaria all’Italia per lo sviluppo dell’Impero ed il continuo progresso delle condizioni del popolo. Personalmente egli vede col più vivo rammarico spendersi da parte del Governo inglese in armamenti quel denaro che egli aveva accumulato attraverso una molto prudente politica finanziaria e che avrebbe voluto destinare a migliorare le condizioni di vita del popolo.

Ringrazia anche per quanto il Duce ha detto circa la Sua volontà di applicare lealmente i termini del Patto italo-britannico. Né Chamberlain né Halifax hanno mai dubitato della buona fede del Duce. Per quanto concerne l’Asse egli è d’accordo che rappresenta la base fondamentale della politica italiana: non intende pertanto fare alcunché contro di esso, tanto più che l’Asse non interferirà nella cooperazione tra l’Italia e l’Inghilterra così come questa cooperazione non tende a diminuire l’intimità dei rapporti esistenti fra la Gran Bretagna e la Francia.

Lord Halifax

In queste condizioni è necessario che le quattro Potenze facciano una politica di pace e attraverso una cordialità di relazioni stabiliscano le condizioni stesse di questa pace. Dopo la Conferenza di Monaco ritenne possibile impegnare nuove conversazioni con i tedeschi, ma purtroppo non poté ottenere nessuna effettiva corresponsione di amicizia da parte della Germania e nessun negoziato è stato iniziato. Nonostante gli incidenti che sono avvenuti, egli però conserva la buona volontà di migliorare le relazioni tra la Germania e la Gran Bretagna.

È con vivo rammarico che constata che le relazioni tra l’Italia e la Francia sono difficili. Dopo il 1935, il Governo inglese riteneva che non vi fosse più materia di controversia fra Roma e Parigi. Esiste è vero la questione spagnola, ma anche di questa il Governo britannico desidera vedere una soluzione al più presto. Per quanto non sia possibile prevedere la durata della guerra civile spagnola, che già oggi è troppo lunga, il signor Chamberlain crede poter affermare che ormai non vi è più pericolo di bolscevismo in Spagna.

Il Duce dice che non è d’accordo su questa affermazione. Da notizie precise pervenuteGli dallo stesso Generale Franco Gli risulta che la Polizia russa ha il pieno controllo delle zone della Spagna rossa e che se non fosse la G.P.U. ad alimentare la resistenza, il conflitto sarebbe finito da un pezzo.

Il signor Chamberlain domanda al Duce se ritiene possibile adottare il piano del Comitato di Non Intervento una vita finita l’offensiva che attualmente si sviluppa sul fronte della Catalogna. Il signor Chamberlain si rende ben conto che in questo momento di cosí importante azione militare, sarebbe vano chiedere a Franco di adottare il piano della Commissione di Non Intervento.

Il Duce risponde che a Suo avviso se l’offensiva della Catalogna potrà raggiungere il Suo obiettivo più lontano, il conflitto potrà considerarsi sostanzialmente liquidato. Ritiene però ugualmente che in tal momento si possa applicare i1 piano del Comitato di Non Intervento purché il ritiro dei volontari stranieri venga controllato in forma sicura ed al Governo di Franco siano riconosciuti i diritti di belligeranza.

Il colloquio ha termine alle ore 19.30 e verrà ripreso domani alle ore 17.30.


COLLOQUIO DEL DUCE COL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BRITANNICO

Roma, 12 gennaio 1939 – XVII

Il Duce inizia il secondo colloquio dichiarando che intende precisare oggi al Primo ministro britannico la nostra posizione nei confronti della Francia, tenendo conto che questo argomento interessa l’opinione pubblica mondiale e che al suo ritorno in Inghilterra il signor Chamberlain potrebbe venire interrogato a questo proposito. È nota la dimostrazione fatta dai Deputati il 30 novembre.

Tale dimostrazione fu spontanea ed il Governo italiano ne fu estraneo. Il primo passo ufficiale ebbe luogo il 17 dicembre con la denuncia degli Accordi del gennaio 1935. In tale denuncia, noi riaffermavamo anche la possibilità di un accordo attraverso negoziati diplomatici. La risposta francese fu invece un fin de non recevoir. Allo stato degli atti noi non desideriamo nessuna conferenza, non sollecitiamo interventi o mediazioni. Riteniamo che, quando la guerra spagnola sarà finita, sarà possibile di risolvere direttamente, attraverso conversazioni con la Francia, la controversia esistente.

Chamberlain arrives in Munich, September 1938

Dobbiamo però onestamente denunciare un pericolo: quello rappresentato dalla stampa francese. Questa stampa può attaccare le persone, compreso il Duce, e ciò non avrà conseguenze, ma non deve ferire l’onore militare del popolo italiano, poiché allora ogni reazione è possibile. Si deve sottolineare inoltre che negli ambienti militari l’ostilità verso la Francia è vivissima.

Chamberlain augura che una pronta soluzione della questione spagnola permetta di arrivare al più presto all’intesa fra l’Italia e la Francia. Un lunga attesa potrebbe presentare dei pericoli. Le relazioni fra l’Inghilterra e la Francia sono analoghe a quelle che esistono fra l’Italia e la Germania. L’Inghilterra non desidera fare mediazioni, ma, poiché tiene molto anche a mantenere i cordiali rapporti con Roma, auspica un miglioramento delle relazioni fra l’Italia e la Francia.

Prende atto di quanto il Duce ha detto nei confronti della stampa e si augura che anche la stampa italiana non voglia esasperare la polemica poiché, dato che un giorno si dovrà arrivare ad una discussione, converrà arrivarci in uno stato d’animo piú benevolmente disposto. D’altra parte Chamberlain nutre molti dubbi sulla stabilità del Governo in Francia e non vorrebbe che un indebolimento di Daladier potesse portare nuovamente al potere le sinistre.

Mussolini stringe la mano a Chamberlain, dietro Goering e G. Ciano

Il Duce dà assicurazioni generiche e dichiara che non ha altro da aggiungere su questo argomento. Propone quindi che in applicazione degli Accordi italo-britannici si dia inizio alla regolamentazione definitiva delle piccole questioni coloniali ancora in sospeso. Chamberlain è d’accordo. Quindi Chamberlain chiede di parlare su una questione che definisce delicata.

Come ieri ebbe occasione di dire, egli sperò, dopo Monaco, di poter mettere le basi per una migliore collaborazione internazionale e sopratutto per una più profonda intesa con la Germania. Ciò non è stato possibile. Nello stesso tempo deve fare rilevare che nell’opinione pubblica mondiale si è creata una grande ansietà circa quelle che sono le vere intenzioni di Hitler.

Il riarmo che in Germania si svolge con un ritmo febbrile, le voci di manovre di mobilitazione lasciano pensare al mondo che il Führer abbia in mente nuovi colpi di mano che potrebbero essere pericolosi per la pace generale. Alcune persone ritengono che il Führer mediti un’azione verso l’Ucraina per servirsi di un tale Stato indipendente ai fini di dislocare la Russia. Altri pensano che l’attacco potrebbe verificarsi ad ovest contro la Francia ed altri ad est contro la Polonia.

Simili azioni determinerebbero un conflitto con la Polonia o con la Russia o con tutt’e due. Non è detto che un tale conflitto non possa venire localizzato, ma comunque è da considerarsi pericoloso così com’è sommamente sgradevole lo stato d’inquietudine che l’incertezza sui veri programmi tedeschi produce nell’opinione pubblica mondiale. Può il Duce dare qualche chiarimento in proposito?

Il Duce riconosce che la Germania ha riarmato e riarma su una scala imponente, ma questo riarmo deve essere considerato in relazione al riarmo di tutti gli altri popoli e particolarmente al riarmo russo, sul quale non si hanno informazioni precise, ma che deve essere considerato di grandi proporzioni. Crede che Hitler desideri un lungo periodo di pace per poter meglio amalgamare i nuovi territori del Reich e sviluppare 1e grandi forze produttive della Germania.

È verosimile che vi siano elementi non responsabili che desiderano la dislocazione della Russia sovietica e personalmente aggiunge che se il bolscevismo scomparisse non sarebbe una sventura per l’umanità e certamente una benedizione per il popolo russo. Ma dalle informazioni in suo possesso è in grado di escludere che Hitler mediti un attacco contro l’Ucraina. Tale voce può essere sorta in seguito alla questione rutena.

Ma conviene precisare che anche l’Italia è contraria alla questione della frontiera comune tra l’Ungheria e la Polonia, poiché l’arbitrato di Vienna si è basato su concetti etnici ed è fuor di dubbio che la Rutenia non è abitata né da polacchi né da magiari. Esclude nella forma piú definitiva un attacco in direzione ovest. Dal Führer stesso ha avuto piú volte occasione di sentir ripetere che egli non intende menomamente mandare la gioventú tedesca a cadere in massa per una frontiera che considera ormai definitiva.

D’altra parte anche l’Accordo recentemente firmato a Parigi esclude una tale eventualità. La recente visita di Beck in Germania ed il progetto di un viaggio Ribbentrop a Varsavia rendono anche ottimisti circa le relazioni fra la Germania e la Polonia. Bisogna tener presente che tutte le voci ostili alla Germania sono sollevate dalla propaganda antinazista che vorrebbe riuscire ad isolare l’Impero tedesco.

Il ministro Ciano a colloquio con il ministro degli esteri polacco Józef Beck

Chamberlain ammette che una grande propaganda antitedesca sia stata svolta, ma deve ripetere che l’imponente riarmo tedesco dà motivo alla gente di essere sospettosa. La Germania ormai ha una forza tale da non temere nessun attacco. Nessun attacco può venire dalla Francia e dall’Inghilterra e, per quanto concerne la Russia, anche se questo Paese ha una certa possibilità difensiva, non ha alcuna efficiente prospettiva di attacco.

Il Duce ricorda a Chamberlain che la Germania ha tutto il diritto di temere una coalizione di popoli. Nel considerare il riarmo tedesco bisogna infine tenere presente che è proporzionato alla grande popolazione nazionale e che i tedeschi nell’effettuare il loro riarmo sono partiti da zero, hanno dovuto creare ex novo artiglierie, aviazione ecc. D’altra parte il carattere difensivo dell’armamento tedesco è provato dalla costruzione della “Linea Sigfrido” che fronteggia la “Linea Maginot”.

Chamberlain si dichiara convinto fino ad un certo punto, poiché l’armamento tedesco gli risulta essere troppo imponente per avere soltanto uno scopo difensivo. Comunque, poiché il Duce ha detto risultargli che il Führer desidera un lungo periodo di pace, si può pensare che il Führer dichiari ciò pubblicamente? Il Duce non esclude che il Führer possa eventualmente fare dichiarazioni in tal senso e fa rimarcare che anche le dichiarazioni fatte oggi al Corpo Diplomatico hanno un carattere essenzialmente pacifico.

D’altra parte il Führer deve tener presente che in alcuni Paesi ci sono delle correnti politiche che vorrebbero lo schiacciamento della Germania e quindi deve agire in conseguenza. Inoltre esistono anche le alleanze franco-polacca e franco-russa che sono un residuo del sistema di accerchiamento ginevrino. Tutto ciò giustifica la politica di armamento difensivo della Germania.

Chamberlain domanda se finita la guerra di Spagna e ristabilite le normali relazioni tra l’Italia e la Francia, il Duce ritenga possibile indire una Conferenza per il disarmo qualitativo. Il Duce si dichiara d’accordo, ma dice che qualsiasi Conferenza dovrebbe essere prima compiutamente preparata attraverso normali contatti diplomatici, altrimenti avrebbe un insuccesso. Aggiunge che in proposito ha idee chiare circa la possibilità di limitare qualitativamente tali armamenti e conoscere il momento opportuno.

Il signor Chamberlain porta la discussione sulla questione della garanzia alla Cecoslovacchia e domanda se l’Italia, in considerazione delle decisioni di Monaco, è favorevole a che la garanzia venga concessa e se deve venire concessa dalle quattro Potenze. Il Duce risponde che non ha obiezioni in linea di principio, ma che ritiene per il momento, sopratutto per una serie di considerazioni pratiche, ancora prematura ogni decisione in proposito.

Prima di parlare di garanzia alla Cecoslovacchia e di studiare in quale forma e da chi essa deve venir data, bisogna che il Paese si sia definitivamente assestato all’interno attraverso una nuova costituzione, che abbia fatto una dichiarazione di neutralità e che infine solamente le nuove frontiere, che per ora sono state tracciate sulla carta, siano state anche definite sul territorio. Chamberlain aderisce a tale punto di vista del Duce. Chamberlain comunica la partecipazione della Gran Bretagna alla Esposizione Universale di Roma del 1942 e dichiara di non avere altri argomenti di discussione.

Dopo un reciproco ringraziamento per le comunicazioni fatte con cordiale spirito di cooperazione, il colloquio ha termine.

VIAGGIO IN JUGOSLAVIA

18-23 gennaio 1939 – XVII

In primo luogo desidero mettere in rilievo le eccezionalmente cordiali accoglienze ricevute in Jugoslavia sia da parte delle gerarchie come da parte della massa popolare. Mentre in occasione del mio primo viaggio nel 1937 il ricevimento ufficiale contrastava singolarmente col gelido contegno del popolo, adesso l’atteggiamento della folla è apparso del tutto identico a quello del Governo. Ovunque sono state rivolte calorose manifestazioni all’Italia e al Duce: in nessun Paese, compresa l’Ungheria dopo lo Arbitrato di Vienna, ho sentito scandire con tanta frequenza e con tanto calore il nome del Duce.

Situazione interna. – Ho parlato a lungo col Presidente Stoiadinovic circa la situazione interna del Paese in considerazione anche delle molte voci allarmistiche diffuse particolarmente dalla stampa francese. Stoiadinovic ha dichiarato di essere assolutamente tranquillo circa la situazione interna e la sua posizione personale.

È vero che le elezioni, fatte da Korosec con un sistema di esagerata, incomprensibile ed ingiustificata libertà, hanno dato dei risultati notevoli in favore delle opposizioni, ma bisogna tener presente che immediatamente dopo la votazione le opposizioni stesse si sono scisse nei 17 gruppi che le compongono, mentre gli elettori di Stoiadinovic si raggruppavano in un Partito unico che trova la sua maggiore forza nella vecchia Serbia e negli elementi piú battaglieri e piú decisivi della gioventù nazionalista.

Anton Korošec

La questione croata esiste ed è di natura tale da non poter venire risolta in breve giro di tempo. Soltanto gli anni e il succedersi delle generazioni potranno modificare uno stato di fatto che richiama alla mente l’attrito che per lungo tempo è esistito fra Prussia e Baviera, tra Nord e Sud d’Italia. Comunque Stoiadinovic è convinto che nell’attuale situazione parlamentare, che gli consente un’assoluta libertà di azione, potrà prendere provvedimenti atti a migliorare anche questa situazione.

Egli procede con la piú grande energia alla costituzione e alla organizzazione del Partito radicale jugoslavo, modellato nel contenuto e nella forma sul Partito Nazionale Fascista. In occasione della mia visita alla sede centrale di Belgrado, ho potuto osservare attentamente le formazioni militari del Partito, tutte in uniforme, inquadrate come le organizzazioni italiane, con qualche elemento giovanile armato. Nella sede del Partito l’unica fotografia di personaggio straniero che appare, è quella del Duce accanto a Stoiadinovic alla manifestazione del Foro Mussolini. Le accoglienze ricevute alla adunata del Partito sono state eccezionalmente calorose.

La Monarchia appoggia l’azione di Stoiadinovic. Il Principe Paolo parlando con me della situazione interna, mi ha detto che nonostante alcune difficoltà, egli la considera con molto ottimismo ed ha affermato che Stoiadinovic è l’uomo politico serbo di cento cubiti piú in alto di tutti gli altri.

Politica estera. – Da quanto mi ha detto il Reggente Paolo, il Presidente Stoiadinovic, gli altri uomini politici e da quanto mi è stato dato di capire attraverso i contatti avuti con differenti ambienti, due sentimenti dominano l’opinione pubblica jugoslava nei confronti dell’estero: un senso di profonda soddisfazione per il consolidamento delle relazioni amichevoli con l’Italia; una diffusa e greve preoccupazione nei confronti delle mire prossime e remote dell’espansionismo germanico.

Ciano e Stojadinovic passano in rassegna alcuni soldati schierati nella stazione di Belje

Stoiadinovic, parlando della situazione in generale, ha ripetuto che per la Jugoslavia è indispensabile mantenere relazioni di ottimo vicinato e di stretta collaborazione con la Germania. Ma, pur rendendosi conto di una tale necessità, il popolo sente il disagio della vicinanza tedesca, della pressione politica ed economica di una cosí paurosa massa di vicini, aggravata dalle frizioni che, assai spesso involontariamente, la politica tedesca determina nei vari ambienti jugoslavi. Questo sentimento è valso a spingere sempre piú fortemente il popolo jugoslavo verso l’Italia.

È da tutti compreso che non saranno mai né la Francia né l’Inghilterra geograficamente lontane e militarmente di forza dubbia, a tutelare il popolo jugoslavo nei confronti della Germania. L’unico Paese che può fare questo è l’Italia. Questa convinzione, unita ad una naturale attrazione del popolo jugoslavo verso la civiltà romana, fa si che si desideri un sempre maggiore rafforzamento dei legami con Roma, cosí che la Jugoslavia possa trovare, nel quadro della politica dell’Asse il suo equilibrio e la sua sicurezza.

Questi sentimenti agiscono in modo che anche una distensione di relazioni con l’Ungheria sia vivamente auspicata. Pertanto Belgrado salutò con profondo compiacimento l’accenno amichevole contenuto nei brindisi scambiati in occasione della mia visita a Budapest. Ma in pari tempo si deve sottolineare che da una parte dell’Ungheria si mantiene sempre un contegno di ostile riserbo che non può incoraggiare il Governo jugoslavo sulla via della definitiva ed aperta conciliazione.

Ciano riceve da una donna in abiti tradizionali la sciarpa dell’amicizia, al suo arrivo alla stazione di Belje; il primo ministro jugoslavo Stojadinovic osserva la scena

Comunque Belgrado è disposta ad andare molto in là su questa via, e considererebbe con favore anche la possibilità di concludere un Patto di buon vicinato, collaborazione ed amicizia con Budapest, se da parte magiara non si accentuasse, particolarmente in questi ultimi tempi, l’ostilità nei confronti della Romania. Ciò impedisce la stipulazione di un Patto jugoslavo-ungherese: bisogna tener presente che la Romania è legata alla Jugoslavia da un Patto di alleanza e che un accordo diplomatico con l’Ungheria, in questo momento, dopo lo sfacimento della Piccola Intesa, apparirebbe agli occhi di tutti come un abbandono jugoslavo nei confronti del piú vecchio alleato.

Non è nella natura e nella morale del popolo jugoslavo agire in tal modo. Nessuno meglio del Duce, che ha dato prove esemplari e indimenticabili di lealtà politica internazionale, potrà comprendere ed apprezzare questo punto di vista jugoslavo. In ogni modo, ai fini di quella distensione che appare indispensabile nel Bacino danubiano, anche, e forse sopratutto, per resistere alla crescente pressione tedesca, la Jugoslavia è disposta a migliorare ulteriormente le sue relazioni con l’Ungheria nonché ad agire con ogni mezzo sul Governo romeno affinché un migliore trattamento delle minoranze ungheresi permetta la distensione dei rapporti romeno-magiari.

Ma se l’Ungheria metterà come condizione di una tale distensione la revisione delle frontiere, il Governo jugoslavo deve sottolineare fino da questo momento che la sua buona volontà non potrebbe essere sufficiente a risolvere un tale problema, capace di creare le piú gravi complicazioni. Stoiadinovic ha inoltre e ripetutamente sottolineato l’importanza che per il sistema italo-jugoslavo ha l’amicizia romena: il paese è ricco di quelle materie prime che ci sono indispensabili in pace e in guerra; data la situazione politica della Romania è facile ottenere attraverso un’abile azione, dei vantaggi in misura estremamente rilevante.

Ciano e Stojadinovic posano con alcune donne in abiti tradizionali durante la sosta del treno alla stazione di Stara Pazova

Dopo avere fissato cosí i punti piú importanti della politica nel Bacino danubiano balcanico, Stoiadinovic ha riaffermato le direttive di massima della politica jugoslava: avvicinamento sempre piú marcato a Roma e quindi inquadramento nell’Asse; abbandono di fatto della Società delle Nazioni ritirando a maggio la Delegazione che tuttora trovasi a Ginevra e non partecipando piú alle sedute della Lega; esame con spirito favorevole della possibile adesione al Patto anti-Comintern specialmente se anche da parte della Germania sarà fatto sapere alla Jugoslavia che una tale adesione sarà gradita a Berlino.

Albania. – Avevo già alcuni giorni or sono fatto un cenno al Ministro Christic della situazione albanese e quindi ho trovato il Presidente Stoiadinovic già preparato a sentirsi parlare di un tale argomento. Gli ho detto che il disagio interno del Paese, l’odio che si accumula contro la persona del Re, le molte zone di ombra che si notano nella politica dello stesso Zog, ci inducevano a considerare con una certa preoccupazione l’avvenire dell’Albania.

Tale preoccupazione era in noi resa piú viva dall’imponente massa di interessi che si sono gradualmente creati in detto Paese, alcuni dei quali, come quello dei pozzi petroliferi, di fondamentale importanza per l’Italia fascista. Non intendevamo quindi lasciare tali nostri interessi alla mercé degli eventi e volevano sorvegliare con la massima attenzione lo sviluppo della situazione. Premesso che consideravamo il problema albanese un problema unicamente ed esclusivamente italo-jugoslavo, e che eravamo certi che nessuna altra Potenza avrebbe potuto e voluto intervenire in tale questione, gli confermavo che il Duce non intendeva compiere il minimo gesto senza previo accordo con l’amica Jugoslavia.

Il Presidente della Repubblica Zogu Zogolli, dal 1928 ”Re degli Albanesi” con il nome di Zog I.

Stoiadinovic mi diceva che anche i suoi informatori lo avevano messo al corrente del disagio che si è impadronito sempre piú del popolo albanese ed ha parlato ín termini sommamente spregiativi della persona di Zog, facendomi intendere che anche in tempi recenti ha fatto delle avances a Belgrado per mettersi al soldo della Jugoslavia anche contro di noi. Mi ha detto che a suo avviso Zog sarebbe capacissimo, se ben pagato, di servire Francia ed Inghilterra in un momento di crisi per l’Italia.

Quindi le nostre preoccupazioni erano assolutamente fondate. A suo avviso si presentavano due soluzioni:

1. quella di sostituire con altra persona più degna Zog, ma egli stesso aggiungeva di non essere in grado di precisare con chi;

2. quella di procedere alla spartizione dell’Albania tra Italia e Jugoslavia cosí come in altri tempi si era ventilato. Ha aggiunto però che sul momento non era preparato a discutere a fondo la questione non conoscendo nei particolari il problema. Gli ho risposto che anch’io non ritenevo doversi discutere immediatamente la cosa, ma che consideravo sul momento sufficiente questa presa di contatto.

FILIPPO ANFUSO

Avremmo al momento opportuno potuto metterci in comunicazione diretta e prendere le decisioni del caso. Stoiadinovic ha approvato e ha specificato che una tale trattativa non desidererebbe farla passare attraverso Legazioni, bensí attraverso agenti fiduciari e personali che abbiamo designato nelle persone del Ministro plenipotenziario Anfuso e del fratello dello stesso Stoiadinovic. Stoiadinovic si è preoccupato anche di quelle, che potrebbero essere le reazioni di altre Potenze, ma ha concluso riconoscendo che se la Germania non farà obiezioni (egli è convinto che nell’intimo del loro animo i tedeschi vedranno con molto disappunto la nostra occupazione territoriale in Albania) l’operazìone sarà relativamente facile.

Gli ho detto quali vantaggi potrà avere la Jugoslavia da un tale evento:

1) l’accordo per la smilitarizzazione delle frontiere albanesi;

2) una alleanza militare con l’Italia che in quel momento sarà resa possibile e giustificata nei confronti della Germania dal fatto che anche noi diverremo Potenza balcanica;

3) alcune notevoli correzioni di frontiera nel Nord dell’Albania;

4) la eliminazione di un centro nazionale albanese che fomenta di continuo le agitazioni di Kossovo;

5) infine la promessa dell’appoggio italiano il giorno in cui la Jugoslavia deciderà, attraverso la occupazione di Salonicco, di assicurarsi lo sbocco nel Mediterraneo. Ho evitato di precisare con Stoiadinovic quali zone potrebbero essere occupate dalla Jugoslavia e quali dall’Italia. Ma mentre egli ha parlato di spartizione albanese, io ho sempre parlato di correzioni di frontiere.

Comunque il problema mi sembra avviato verso favorevoli soluzioni: lo stesso Stoiadinovic che è apparso anche lusingato dall’idea di poter dare al suo Paese il concreto vantaggio di una espansione territoriale, mi ha pregato di far cenno della questione al Principe Paolo. Anche presso di lui ho trovato un’accoglienza favorevole. Anzi, ha mostrato di avere meno interesse di Stoiadinovic per l’entità di territorio da assegnarsi alla Jugoslavia.

“Ne abbiamo già tanti albanesi nelle frontiere” cosí egli ha detto “e ci danno tali fastidi, che non sento nessun desiderio di aumentarne il numero.” Attraverso tali colloqui il ghiaccio che circondava il problema albanese è stato rotto e credo che allorché il Duce giudicherà matura la situazione, la questione potrà venire affrontata in modo definitivo. Né credo che troveremo troppe difficoltà per la delimitazione di confini: in primo luogo perché non ritengo che gli jugoslavi abbiano pretese esagerate e poi perché non mi sembra per noi eccessivamente importante l’avere 1000 chilometri quadrati in più o in meno di territorio albanese, bensí fondamentale il fatto di installarci definitivamente, in una posizione, sopratutto strategica, nella penisola balcanica.

Relazioni economiche e culturali. – La frase nel comunicato ufficiale dato alla stampa che concerne lo sviluppo futuro dei rapporti economici tra l’Italia e la Jugoslavia, è stata voluta personalmente dal Presidente Stoiadinovic e deve anch’essa giudicarsi in relazione a quanto prima esposto circa le preoccupazioni verso la Germania.

La Jugoslavia rifiuta di avere un solo cliente e di essere cliente di uno Stato solo: anche in questo settore vede la via della salvezza nella collaborazione con noi, e, se fosse possibile, in modo anche piú esplicito che nel settore politico. Stoiadinovic ha ripetuto la volontà di stringere con l’Italia legami indissolubili.

A tal fine ha cominciato col concludere la fornitura di mezzo miliardo già precedentemente trattata, ma non definita, ed ha assicurato che dirigerà particolarmente verso l’industria italiana gli ordini dei Ministeri militari e dei trasporti e ferrovie.

Anche per quanto riguarda le relazioni culturali l’azione verrà in futuro intensificata. Mentre è allo studio il progetto di un accordo culturale che permetta la diffusione e la conoscenza della lingua in vastissima scala, si darà vita ad Istituti di cultura, ad invio di studenti, a Mostre, ad Esposizioni ed in genere ad ogni iniziativa atta a sviluppare l’interscambio spirituale tra i due Paesi.

FEBBRAIO 1939

VIAGGIO IN POLONIA

25 febbraio – 3 marzo 1939 – XVII

Nel viaggio di andata a Varsavia, sosto per alcune ore a Vienna. Noto che la città ha l’aspetto piuttosto addormentato e stanco. Il Console Generale Rochira dice che infatti la vita di lusso, nei quartieri centrali, è notevolmente calata di tono, ma che la grande massa popolare lavora tutta, sta meglio e si mostra sempre più favorevole al nuovo regime. Accoglienze da parte delle Autorità e del pubblico, buone.

Il mattino del 25 arrivo a Varsavia. Il ricevimento della popolazione è caratterizzato dalla curiosità e forse anche da una simpatia senza calore. La città è bigia, piatta, tristissima, benché, cosa inconsueta, il sole illumini le vie di questa capitale senza carattere. Vengo informato che già da alcuni giorní piccole dimostrazioni antitedesche scoppiettano qua e là in tutte le città polacche.

Hitler and Beck, 1937

Le hanno provocate alcuni incidenti che endemicamente si producono a Danzica. La Polonia, nonostante tutti gli sforzi della politica di Beck, è fondamentalmente e costituzionalmente antitedesca. La tradizione, l’istinto e gli interessi la portano contro la Germania. Paese cattolico, con grandi nuclei ebraici, venato da forti minoranze tedesche, ha fatalmente in sé tutti gli elementi di contrasto con l’imperialismo teutonico. Non manco di far notare alle Autorità polacche che le agitazioni antigermaniche mi mettono in una situazione imbarazzante.

Mi viene risposto che è provato essere queste dovute all’azione svolta dalla propaganda francese a mezzo di elementi contrari al Governo nazionale. La Polizia ha agito con energia procedendo all’arresto di ottanta studenti (molti dei quali ebrei) e dimettendo quattro funzionari che avevano dato prova di debolezza nei confronti dei dimostranti. Per noi italiani vi sono invece elementi positivi di simpatia, ma si tratta di una simpatia generica e quindi inoperante.

Amano piú la nostra arte che la nostra vita. Conoscono meglio i nostri monumenti che la nostra storia. Per troppo tempo siamo stati rappresentati in Polonia da pittori, scultori, architetti e siamo stati rappresentati con l’inevitabile servilismo dell’artista, che trova, lontano, il mecenate straniero. Amano ancora nell’Italia, piú la grazia del pennello che la forza delle nostre armi, nella quale ancora non credono completamente.

Ho colloqui con diversi uomini politici, ma specialmente con Beck. Le conversazioni hanno un carattere piuttosto generico. La Polonia continuerà nella sua politica di equilibrio, quale è imposta dalla situazione geografica. Con la Russia, niente piú dei contatti strettamente necessari. Con la Francia, alleanza difensiva sulla quale però non si fa affidamento illimitato. Con la Germania buon vicinato, mantenuto a fatica dati i tanti elementi spirituali e concreti di contrasto.

Galeazzo Ciano and Józef Beck

Per Danzica, ferma intenzione di giungere ad una soluzione definitiva e piú chiara. Ma Beck vuole che questa scaturisca da liberi negoziati diplomatici, evitando ogni inutile e dannosa ed artificiosa pressione di opinione pubblica. Inquietudine ancora viva per la questione rutena. La Polonia non si rassegna a considerare definitiva la frontiera della Cecoslovacchia e si spera ancora nella realizzazione di una frontiera comune con l’Ungheria.

La preoccupazione per il problema ucraino domina silenziosamente il cuore polacco, benché Beck sottolinei spesso, con compiacimento e senza convinzione, le assicurazioni ricevute da Hitler. Parlando della situazione attuale della Cecoslovacchia, l’ha definita: “Un provvisorio che potrà anche durare a lungo, senza però cessare di essere un provvisorio.”

Io mi sono limitato a fare un giro di orizzonte della nostra politica, sottolineando con grande energia la consistenza dei legami che ci uniscono alla Germania ed affermando che l’Asse è e rimane la base permanente della nostra politica. Ho visitato alcune organizzazioni militari, ma particolarmente quelle aeronautiche, che mi hanno fatto buona impressione. Le industrie sono direttamente gestite dallo Stato e i risultati appaiono soddisfacenti. Il materiale che mi è stato mostrato era modernissimo, di buona fattura e di solide caratteristiche. Il personale sembrava buono.

Non molto posso dire del regime interno, perché non molto ho visto. Ma anche la stessa inquietudine determinata dalle manifestazioni studentesche, la preoccupazione che suscitava nel Governo la necessità di contenerle, l’atteggiamento equivoco di buona parte della stampa, confermano che si è ben lungi dalla esistenza di un regime autoritario e totalitario.

Beck e Goering

La sola voce che conta in Polonia è quella di un morto, il Maresciallo Pilsudski, e troppi sono coloro che si contendono il diritto di essere i veri depositari della sua parola. Il fatto che il Paese sia governato ancora da un dittatore postumo, prova che una forza nuova non si è ancora affermata e forse neppure manifestata.

Riassumendo le impressioni e riportandole nel piano dei nostri interessi, mi pare giusto concludere che sarebbe pericolosa leggerezza affermare, come in certi circoli tedeschi si è fatto, che la Polonia è un Paese acquisito al sistema dell’Asse e del Triangolo, ma sarebbe anche ingiustamente pessimista qualificarla addirittura un Paese ostile. Quando la grande crisi si produrrà, la Polonia resterà a lungo con le armi al piede e solo quando le sorti saranno decise si schiererà dalla parte del vincitore. E cosí facendo, agirà, da un suo punto di vista, bene, poiché è un Paese che ha interessi e contrasti, amici e nemici, da ambo i lati.

 

MARZO 1939

LA QUESTIONE CROATA

Roma, 17 marzo 1939 – XVII

Alle ore 19 ricevo l’Ambasciatore di Germania von Mackensen. Gli dico che ho desiderato di parlare con lui per richiamare la sua attenzione su alcune notizie di stampa che hanno cominciato a circolare e che riguardano una questione per noi particolarmente delicata: il problema croato.

Ho avuto occasione nel colloquio di ieri di far conoscere all’Ambasciatore tedesco il punto di vista italiano nei confronti delle vicende che si sono svolte in Cecoslovacchia: tali vicende sono state da noi considerate nello spirito dell’Asse e come sviluppo quasi inevitabile degli avvenimenti che si erano prodotti nel settembre e nell’ottobre scorsi. L’azione di fiancheggiamento svolta anche in questa occasione dall’Italia appare chiara dall’atteggiamento assunto in via ufficiale e attraverso la stampa.

Hans Georg von Mackensen (il primo a destra) ai funerali di Arturo Bocchini, capo della Polizia italiana durante il fascismo, tenutisi a Roma, il 21 novembre 1940. Si riconoscono, da sinistra, i capi SS Karl Wolff, Reinhard Heydrich, Heinrich Himmler (quarto da sinistra), i marescialli Emilio De Bono e Rodolfo Graziani

Ma oggi si comincia. a parlare della possibilità di un interessamento diretto tedesco alla questione croata. L’agitazione dei croati che si era particolarmente intensificata in questo ultimo tempo, trova indubbiamente nuovo alimento negli avvenimenti boemi e slovacchi. Si parla della possibilità che Macek si rivolga a Berlino onde ottenere l’aiuto tedesco per realizzare il suo programma di autonomia o di indipendenza.

Pur non avendo alcun elemento preciso e definito in merito, ritenevo necessario per amore di chiarezza e per quello spirito di lealtà che hanno sempre caratterizzato i rapporti tra le due Potenze dell’Asse, di far conoscere, che mentre l’Italia si era praticamente disinteressata di quanto era avvenuto in Cecoslovacchia, non avrebbe potuto minimamente adottare lo stesso atteggiamento nei confronti di eventuali vicende che coinvolgessero la Croazia.

Noi facciamo – di piena intesa con la Germania, che ha fatto del pari – una politica di stretta e cordiale collaborazione con Belgrado e consideriamo lo status quo della Jugoslavia come un elemento fondamentale nell’equilibrio dell’Europa centrale. D’altra parte il Führer ha sempre proclamato il disinteressamento tedesco per il Mediterraneo in genere, ed in particolare per l’Adriatico, che noi consideriamo ed intendiamo considerare in futuro quale un mare italiano. Pregavo l’Ambasciatore di voler cortesemente far conoscere il nostro punto di vista al Führer.

Hans Georg von Mackensen

L’Ambasciatore von Mackensen ha risposto che egli riteneva destituiti di fondamento tutti i rumori di intervento tedesco in Croazia. Pur non avendo notizie specifiche in merito egli giudicava che anche un’eventuale richiesta di Macek avrebbe trovato a Berlino un netto rifiuto. Confermava che il Führer aveva sempre dichiarato il disinteresse germanico nei confronti del Mediterraneo e non riteneva che questo fondamentale principio della politica hitleriana avesse potuto subire alcun mutamento in questi ultimi tempi.

Aggiungeva infine che anche il Reich ha sempre desiderato ed aiutato il consolidamento nazionale del Regno jugoslavo. Si riservava comunque di far conoscere quanto io gli avevo detto al Fúhrer e di comunicarcene in seguito la risposta, sul cui tenore del resto egli non nutriva alcun dubbio.

COLLOQUIO CON VON MACKENSEN

Roma, 20 marzo 1939 – XVII

Ricevo l’Ambasciatore di Germania il quale in relazione al colloquio del 17 marzo mi comunica quanto segue:

1. Conferma che la Germania non ha alcuna mira in nessuna zona del Mediterraneo, che è considerato dal Führer mare italiano.

2. La Germania smentisce qualsiasi voce di suo interessamento alle cose croate. Il problema non riguarda comunque il Governo e il popolo tedesco.

Hans Georg von Mackensen

3. Prende nota delle dichiarazioni dell’Italia che non può disinteressarsi di eventuali modifiche dello status quo in Croazia. Aggiunge che come l’Italia si è disinteressata della questione cecoslovacca che dalla Germania è stata risolta in rispondenza alle sue necessità ed ai suoi interessi, cosí se sorgerà la questione croata sarà il turno per la Germania di disinteressarsi al cento per cento di tale problema, lasciandone la soluzione all’Italia.

 

LETTERA DI VON RIBBENTROP A CIANO

Berlino, 20 marzo 1939
Personale

Traduzione

Mio caro Ciano,

dopo il mio ritorno da Praga e Vienna desidero utilizzare la prima ora libera innanzi tutto per ringraziarvi sentitamente dell’atteggiamento pieno di comprensione e di amicizia che il vostro Governo ha tenuto nei riguardi degli ultimi avvenimenti. È mia ferma persuasione, che la nostra azione, la quale ha procurato calma e ordine definitivi alla frontiera sud-orientale del Reich, significa un importante rafforzamento dell’asse Roma-Berlino e che questo mostrerà sempre più chiaramente in corso di sviluppo la sua efficacia.

Che il rapido svolgimento dell’azione ed il suo risultato siano stati per voi, come avete ultimamente fatto conoscere al signor von Mackensen, in un certo senso una sorpresa posso capirlo agevolmente. Le decisioni del Führer hanno dovuto, quando nelle ultime settimane le cose si sono acutizzate in modo sorprendente anche per noi, esser prese molto rapidamente e senza possibilità di lunghi preparativi.

Hans Georg von Mackensen (al centro)

Ho tuttavia, per quanto era possibile sotto la spinta degli eventi turbinosi, tenuto sempre al corrente l’Ambasciatore Attolico e, a Praga, sono stato lieto di potere informare diffusamente il vostro ex-Ministro in quella sede. Inoltre mi preme però oggi informarvi in modo assolutamente chiaro ed inequivocabile sul nostro punto di vista nella questione croata che avete menzionato al signor von Mackensen.

Conoscete la decisione del Führer, che in tutte le questioni del Mediterraneo la politica dell’Asse dev’essere determinata da Roma, e che pertanto la Germania non farà mai in Paesi mediterranei una politica indipendente dall’Italia. Questa decisione del Führer sarà sempre una legge immutabile della nostra politica estera. Come anche il Duce si è disinteressato della Cecoslovacchia, cosí siamo noi della questione croata e, comunque, agiremmo in questa direzione solo in strettissima unione con i desideri italiani.

Fu perciò una completa sorpresa che a questo riguardo vi fossero giunte all’orecchio, a quanto mi comunica il signor von Mackensen, voci d’altro tenore ed ho subito indagato personalmente per determinare dove queste voci potessero essere basate. Ho cosí stabilito che circa quattro settimane fa alcune personalità croate hanno avuto contatti a Berlino con un organo non ufficiale e cercato di venire a conoscere da esso qualche cosa di piú preciso sull’atteggiamento tedesco.

Questo organo non ufficiale non ha lasciato ai visitatori croati il piú piccolo dubbio che a questo riguardo non v’è alcuna possibilità di attività tedesca indipendente e che per di piú l’atteggiamento tedesco sarà determinato dalle intenzioni e dai desideri italiani. Questo e altri dettagli ho comunicato oggi verbalmente ad Attolico prima della sua partenza.

Galeazzo Ciano colto nella sede dell’Ambasciata italiana con l’ambasciatore Attolico e la moglie Eleonora

Sarebbe forse possibile che i croati, come accade frequentemente nei viaggi di uomini politici di tal genere, avessero cercato di sondare anche un altro organo irresponsabile. Indagherò su questo e troncherò una volta per sempre tutto ciò che possa dare occasione a false voci sulle intenzioni tedesche o ad equivoci.

Inoltre ho oggi informato Attolico ancora una volta dettagliatamente su tutte le questioni attuali e sono stato altresì con lui dal Führer, che anche da parte sua, per il Duce e per Voi, ha preso posizione sulle questioni che principalmente interessano l’Italia. Vi sarei molto grato se voleste portare il contenuto di questa lettera anche a conoscenza del Duce e trasmetterGli i miei più devoti saluti.

Con i più cordiali saluti sono, mio caro Ciano, vostro sempre devotissimo Ribbentrop.

LETTERA DI CIANO A RIBBENTROP

Roma, 24 marzo 1939 – XVII

Caro Ribbentrop, l’ambasciatore von Mackensen mi ha trasmesso la Vostra lettera del 20 marzo scorso con la quale, di ritorno da Praga, avete voluto informarmi delle circostanze che hanno determinato la recente azione della Germania in Boemia e in Moravia.

da sinistra: Mackensen, Ribbentrop, Ciano e Attolico

Del contenuto di tale lettera ho dato subito conoscenza al Duce. Ho preso atto con viva soddisfazione delle Vostre dichiarazioni concernenti le questioni del Meditediterraneo in genere e quella croata in ispecie. Esse confermano la comprensione, da parte della Germania, dei problemi e delle necessità italiane, e la decisione del Führer che in tutte le questioni del Mediterraneo la politica dell’Asse deve essere determinata da Roma.

Attolico mi ha recato i Vostri saluti che Vi ricambio con sincera cordialità, pregandoVi di far pervenire al Führer il mio devoto omaggio.

 

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