a cura di Cornelio Galas
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documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino
Il piano Laval-Hoare
nelle osservazioni
di F. Suvich
dicembre 1935
Per sua eccellenza il capo del governo
14 dicembre – XIV
Critica del Progetto presentato da Francia e Gran Bretagna
Il progetto non tocca tre dei problemi che sono considerati da noi tra i punti principali da risolvere:
- la congiunzione territoriale fra le due Colonie;
- il disarmo dell’Abissinia;
- lo sfruttamento delle ricchezze minerarie nelle zone non sottoposte al controllo italiano.
Il problema della congiunzione territoriale fra le due colonie potrebbe anche essere rinviato ad un secondo tempo. Tuttavia esso dovrà essere mantenuto aperto. Bisognerà discutere se e come sollevarlo e se, senza pregiudicare la questione nel suo piú ampio aspetto territoriale, sia da chiedere fin da ora la congiunzione ferroviaria.
Il problema del disarmo invece dovrà essere affrontato subito, sia pure in via di emendamento al Progetto dei Cinque per il regime di assistenza all’Abissinia. Il problema dello sfruttamento minerario delle altre regioni potrebbe anche essere risolto in margine alla negoziazione con qualche accordo preciso con Francia e Gran Bretagna, che dovrebbe ottenere l’assenso del Negus.
I. Scambi territoriali
Per quanto riguarda i punti toccati dal progetto si osserva:
- a) Tigré. Si deve chiedere di avere tutto il Tigré come era da noi occupato nel 1896; in via subordinata tutta la regione da noi occupata oggi; possiamo senza inconvenienti garantire un regime speciale per Aksum con determinate garanzie per il culto copto; è una concessione che costando poco a noi può darci dei vantaggi in contropartita data la esagerata importanza che si vuole annettere a questa questione di Aksum.
- b) Dankalia. Non è chiaro quale è il territorio a noi riservato; bisognerebbe ottenere una linea che dal sud di Macallé vada a raggiungere il Lago Gum nella Somalia francese, lasciando in nostro territorio il Biru e il Teru. Non è escluso che questa nostra richiesta possa trovare giustificazione nella dizione del progetto franco-inglese che parla di far confinare al sud la Dankalia italiana colla Aussa. Per l’Aussa poi, che dimostra buone intenzioni di sottomettersi, bisognerebbe chiedere l’indipendenza. Il progetto franco-inglese parla di rettifica di frontiera mentre bisogna parlare di fissazione di frontiera.
- c) Frontiera fra la Somalia e l’Ogaden. Anche qui bisogna parlare di fissazione e non di rettifica di frontiera. Si potrà chiedere in proprietà tutto il Bacino dei fiumi che defluiscono verso la Somalia italiana. La richiesta per quanto possa parere giustificata non ha molta probabilità di essere accolta. Servirà tuttavia a negoziare.
- d) Accesso al mare per l’Etiopia. È chiaro che su questa contropartita si basa tutto il sistema del progetto. Per quanto la concessione sia grave e ostica non pare se ne possa chiedere la soppressione. Se da una parte la cessione di un porto e di una striscia di terreno, – in assoluta proprietà – può apparire piú opportuna quando sia fatta in territorio italiano perché meglio controllabile e domani piú facilmente può essere soppressa, d’altra parte una tale concessione ronde piú evidente il sistema della compensazione.
Per altri motivi è molto cattiva la soluzione di un porto e corridoio in territorio inglese. Si creerebbe probabilmente una solidarietà di interessi anglo-etiopica che ci disturberebbe molto per la nostra futura espansione in Abissinia. Il meno peggio potrebbe essere la soluzione del problema su territorio francese, con la cessione all’Abissinia di una parte del porto di Gibuti o di altro porto vicino e con qualche forma di cessione o di neutralizzazione del territorio sul quale corre la ferrovia.
Si potrebbe anche pensare a una neutralizzazione della ferrovia in tutto il suo percorso, dato che la stessa è la via naturale per arrivare ai territori che ci sarebbero riservati nel sud etiopico. A tale proposito va messo ancora in rilievo l’interesse che avremmo ad aumentare la nostra partecipazione alla ferrovia.
Se ci si dovesse orientare verso la soluzione su territorio italiano, bisognerà cercare di non dare la città di Assab ma una parte della baia con corridoio che corra completamente in territorio italiano. Si potranno chiedere opportune misure per la comunicazione fra le due parti della nostra, colonia e con ciò si verrebbe a svalutare la cessione fatta. Si potrà, almeno come negoziato, proporre la cessione a lungo affitto del corridoio e del porto. Ad ogni modo il porto dovrebbe essere neutralizzato e ci dovrebbe essere il divieto per l’Abissinia di costituirvi una marina da guerra.
II. Zona di espansione economica e di popolamento
Per quanto riguarda la estensione della zona bisogna riconoscere che la superficie è notevole: si tratta di qualche cosa come 400 mila chilometri quadrati comprendenti in notevole parte territori ricchi e fertili. Si potrà chiedere tuttavia qualche rettifica per adattarci meglio alle condizioni geografiche e comprendere interamente nella zona regioni come il Caffa e il Gimma. È da esaminare se estendere la richiesta anche al territorio dello Jambo, dello Uollega e al Beni Sciangul.
Il punto del piano che invece non va è l’organizzazione della zona. Le disposizioni relative non sono chiare, tuttavia l’interpretazione pare essere la seguente: rimane per tutta l’Abissinia il Piano dei Cinque, quindi un consigliere principale presso l’Imperatore al quale sono sottoposti alcuni altri Consiglieri per i rami piú importanti dell’Amministrazione (Economia, Finanza, Lavori Pubblici ecc.). Questi si occupano di tutta l’Abissinia secondo una divisione per competenza materiale.
Per la zona riservata invece viene creata una organizzazione speciale, che fa capo ad un Consigliere che potrà essere italiano, che riassumerà i vari servizi secondo un criterio di competenza locale. Pare tuttavia che i servizi di sicurezza non debbano essere affidati all’organizzazione speciale per la zona che fa capo al Consigliere italiano, ma debbano essere quelli della organizzazione generale per tutta l’Abissinia.
Sono chiari gli inconvenienti che derivano da questo sistema. Il Consigliere principale (che secondo il Progetto franco-inglese non sarà né italiano, né francese, né inglese) nominato dal Negus e dalla S.d.N. si investirà probabilmente della sua parte di difensore dei diritti e di riformatore dell’Abissinia e sarà in continua opposizione alla nostra tendenza a prendere piede definitivo nella zona riservata e ad estendere la nostra espansione anche nelle altre zone.
Il Consigliere aggiunto italiano (che del resto dovrà anche essere nominato dalla S.d.N. e approvato dal Negus) sarà comandato e controllato dal Consigliere principale. I servizi poi dipendenti saranno prevalentemente, ma non esclusivamente italiani, e quindi la minoranza non italiana, specialmente se sostenuta dal Consigliere principale, sarà a sua volta un controllo e un impedimento per il libero svolgimento della nostra attività.
Perché il piano possa essere preso in considerazione bisogna che in una qualsiasi forma noi si abbia mano libera nella organizzazione della zona riservata. Ciò si potrebbe ottenere sia affidando alla Chartered tutti i servizi compresi quello della sicurezza (sempre sotto la sovranità dell’Imperatore e magari in forma di delegazione da parte dell’organizzazione di assistenza della S.d.N.) sia dando alla organizzazione dei servizi della zona tutti i poteri, compreso quello di pubblica sicurezza da esercitarsi sotto la sovranità del Negus con obbligo di riferire direttamente alla Società delle Nazioni senza nessuna dipendenza dal Consigliere principale.
Si possono studiare anche altre forme. Anche eliminata una ingerenza diretta della S.d.N. nella zona riservata, il Progetto ha sempre il gravissimo difetto di dare il complesso dell’Abissinia in mano alla S.d.N. che sarà la migliore salvaguardia dell’Abissinia stessa contro una nostra azione di espansione e contro una nostra eventuale futura azione militare. Ma nella fase attuale non pare possibile ottenere che il Progetto prescinda da tale ingerenza societaria.
Esame del progetto in rapporto alla situazione generale
Il Progetto come presentato non è buono e non potrebbe essere accettato; introdotte alcune delle riforme sopra prospettate non diverrebbe per questo buono ma potrebbe tuttavia essere preso in considerazione quando si decidesse di chiudere per ora la questione etiopica sia pure con una soluzione di carattere non totalitario.
La decisione evidentemente rientra nella valutazione di quelle che sono le nostre possibilità militari, la prospettiva di una disintegrazione dell’Abissinia e la resistenza economica e finanziaria del paese.
Una ripulsa ci porterebbe probabilmente all’embargo sul petrolio e alla nostra uscita dalla S.d.N. e quindi alla difficoltà di ulteriori trattative sul terreno collettivo. La nostra questione, in altre parole, sarebbe rimessa completamente al successo dell’azione militare.
Suvich
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Londra
rapporto di Dino Grandi
sulla conquista etiopica
Londra, 27 dicembre 1935-XIV
Opinione pubblica britannica e avvenimenti dal 10 al 21 dicembre 1935
Nonostante che le giornate Natalizie abbiano allontanato da Londra molti fra gli esponenti politici, pure gli avvenimenti che hanno avuto luogo dal 10 al 21 corrente continuano ad essere l’argomento di tutte le discussioni nei corridoi della Camera dei Comuni, nei Club politici, nella City, nella redazione dei giornali e nelle riunioni private. Tali discussioni sono tenute maggiormente vive dalle incerte notizie sul dibattito attualmente in corso alla Camera francese in materia di politica estera.
Nei circoli anti-fascisti e sanzionisti, come in corrispondenze da Parigi su questi giornali liberali e laburisti (gli articoli di P. Reynaud sul “Paris Soir” sono qui stati largamente riprodotti), ricorre spesso una frase con cui si intendono definire gli avvenimenti che hanno portato alle dimissioni di Hoare, al discorso di Baldwin col rigetto del Patto di Parigi, al voto alla Camera dei Comuni nella seduta del 19 u. s. e alla conseguente nomina di Eden a Segretario di Stato per gli Affari Esteri. Tutto ciò è definito come “la vittoria della pubblica opinione”.
Se per pubblica opinione si intende la demagogia parlamentare di Westminster, allora la definizione è esatta. Ma se per pubblica opinione si intendono l’istinto e il sentimento diffuso delle grandi masse popolari britanniche, tale definizione non potrebbe essere piú erronea e piú contraria alla realtà. Questo non è soltanto il mio obiettivo giudizio sulla situazione, ma è anche il giudizio degli osservatori piú imparziali degli avvenimenti di politica interna britannica di questi ultimi tempi.
Ho avuto piú volte occasione di affermare e d’illustrare (da ultimo nelle mie lettere al Duce del 19 settembre e 25 ottobre) come sino ai primi di settembre u. s. le grandi masse britanniche sono rimaste, nella grande maggioranza, indifferenti alla questione Abissina. Il famoso “Peace Ballot” del giugno scorso, come è stato dimostrato a piú riprese nelle discussioni che hanno avuto luogo alla Camera dei Comuni e alla Camera dei Lords su questo argomento (sedute del 22-23-24 ottobre e del 19 dicembre ai Comuni e ai Lords), non aveva alcun riferimento colla situazione internazionale determinatasi in seguito al sorgere della Questione Abissina.
Esso significò allora soltanto la volontà di pace di 12 milioni di cittadini britannici, e questa volontà di pace fu espressa nella formula generica e semplicista di adesione ai principî della S.d.N. Dei risultati dal “Peace Ballot” si sono valsi i politicanti, gli anti-fascisti, i fanatici della “League of Nations Union”, i liberali e i laburisti in genere per immobilizzare la Questione Abissina nel quadro rigido e senza uscita della S.d.N. e ciò allo scopo soprattutto di mettere il Governo conservatore, alla vigilia delle elezioni in una via senza uscita, o quanto meno in una posizione di politica interna ed estera scabrosa e difficile. Questa prima fase dell’attitudine britannica nei riguardi della Questione Abissina è troppo conosciuta, e su di essa ho cosí spesso e a lungo riferito, da rendere superfluo il soffermarvisi oltre.
È alla fine di agosto, o meglio ai primi di settembre, a seguito del fallimento delle conversazioni Tripartite di Parigi e del discorso di Hoare all’Assemblea di Ginevra, alle misure difensive prese dall’Italia nel Mediterraneo e all’invio della flotta inglese a Gibilterra, a Malta e ad Alessandria, che la Questione Abissina diventa piú direttamente una questione italo-britannica e come tale comincia ad impegnare il sentimento profondo dell’opinione pubblica britannica o, meglio, per essere piú esatti, il sentimento delle masse britanniche.
Chi ha eccitato, esasperato questo sentimento popolare contro l’Italia Fascista (molto piú degli stessi gruppi anti-fascisti e molto piú della stessa propaganda societaria), sono stati: Downing Street per ragioni di politica interna elettorale, e il Foreign Office per ragioni di politica estera, nelle quali, come V. E. sa, la Questione Abissina non entrava se non come un motivo e uno scopo secondario e indiretto. A metà di ottobre, come V. E. ricorda e come ho descritto nella mia lettera al Duce del 13 ottobre, la tensione è giunta a un Punto tale da fare prevedere come imminente qualche cosa di irreparabile.
Molti e di natura diversa sono stati gli elementi che hanno in quel momento determinato un improvviso cambiamento della situazione. Non starò adesso ad enumerarli perché V.,E. li conosce perfettamente. Ma è certo che se il Governo conservatore si è trovato ad un tratto davanti alla necessità di modificare la sua tattica dell’attacco frontale contro l’Italia, e di adottare invece la tattica dell’offensiva di amicizia (tattica che è durata da metà di ottobre fino al giorno preciso delle elezioni generali cioè il 14 novembre), ciò è dovuto in massima parte all’improvvisa constatazione che le grandi masse britanniche nel loro istinto sicuro si stavano accorgendo che la politica del Governo conservatore stava portando l’Inghilterra direttamente alla guerra, ossia precisamente al risultato opposto a quello che le masse britanniche intendevano raggiungere con la loro adesione alla politica di Ginevra (Peace Ballot) e alla politica delle sanzioni.
L'”offensiva di amicizia” iniziatasi colle assicurazioni date al Duce da Drummond il 18 ottobre e durate sino al giorno delle elezioni generali aveva, come ho piú volte illustrato (e particolarmente nella mia lettera del 25 ottobre al Duce), tre obiettivi:
- 1) placare le improvvise inquietudini delle masse popolari alla vigilia delle elezioni;
- 2) convincere l’Italia ad accettare un indebolimento del suo sistema difensivo nel Mediterraneo (“détente” Mediterranea);
- 3) decidere a Ginevra le sanzioni evitando in quel momento una troppo ostile reazione italiana contro l’Inghilterra, salvo iniziare l’applicazione delle sanzioni il z 8 novembre, tre giorni dopo le elezioni.
Interpretare oggi gli avvenimenti che hanno portato alle dimissioni di Hoare, al rigetto delle Basi di Parigi e alla nomina di Eden come una vittoria della pubblica opinione è un’asserzione contraria alla piú elementare verità. Le masse britanniche non vogliono saperne di “guerra societaria” oggi come non ne volevano sapere nel mese di ottobre. Il che non vuole assolutamente dire che le masse britanniche non sarebbero pronte, come lo sono state nel mese di settembre, quando improvvisamente davanti al sospettoso spirito britannico si è profilato lo spettro della Questione Mediterranea e la pretesa minaccia dell’Italia agli interessi imperiali britannici, a battersi fino in fondo se ritenessero, o fosse loro fatto ritenere, che sono in gioco gli interessi della Gran Bretagna e dell’Impero.
Ecco perché è necessario da parte nostra di sorvegliare attentamente e di neutralizzare la manovra di Eden (v. mio telegramma di ieri n. 0416), la quale in questi giorni appare identica a quella da lui fatta con successo al ritorno da Parigi verso la fine di Agosto: fare cioè slittare di nuovo la Questione Etiopica sul terreno delicato e pericoloso di una “Questione Mediterranea” che non esiste, ma che non mi meraviglierei Eden tentasse di risuscitare di nuovo, per bloccare a sostegno della sua politica di difesa della Società delle Nazioni e degli interessi imperiali, i sentimenti delle masse popolari e delle correnti politiche imperialiste e di destra che sino a questo momento hanno diffidato di lui. Mi permetto su questo punto che giudico essenziale per quelli che saranno i prossimi sviluppi della situazione, di richiamare la personale attenzione del Duce.
Piú i giorni passano e piú si dimostra chiaro che Hoare è stato la vittima di un intrigo parlamentare, e che la vittoria della pubblica opinione altro non è stata se non la vittoria della demagogia parlamentare, la quale ha guadagnato a poco a poco tutti i settori della Camera dei Comuni.
Nella mia lettera del 20 corrente al Duce ho indicato quali sono state le diverse linee dell’azione parlamentare che si è andata svolgendo contro la persona di Hoire. Il Progetto Hoare-Laval ha suscitato la piú viva opposizione in seno al Gabinetto da parte di Eden e dei membri del Governo che l’hanno sinora sempre seguito (i “Giovani Turchi” come li chiamano a Londra).
Ma Baldwin è riuscito a dominare la frazione dissidente del Gabinetto, tant’è vero che nella seduta del 10 lo stesso Eden, seppure a malincuore, si è deciso a difendere, in nome di Hoare assente, il Progetto di Parigi contro gli attacchi dell’opposizione. Va inoltre rilevato che il tanto incriminato telegramma a Sir Sidney Barton (pubblicato nel “Libro Bianco”) è stato spedito da Londra il 10 dicembre quando tanto Hoare quanto Vansittart erano assenti, e Eden aveva la direzione interinale del Foreign Office.
Il secondo intrigo svoltosi da parte del gruppo liberale-nazionale della maggioranza è stato pure, dopo qualche giorno, dominato da Baldwin, il quale è riuscito ad ottenere da Simon, capo del gruppo nazionale-liberale, un’adesione alle Basi di Parigi e alla politica del Governo. Chi ha deciso invece delle sorti di Hoare e del suo Progetto è stata l’attitudine improvvisamente divenuta dura e intransigente della larga sezione dei Conservatori di sinistra capitanati da Sir Austen Chamberlain, dei “congiurati del Carlton Club” come oggi tutti li chiamano a Londra.
Come ho informato nel mio telegramma n. 7 del corrente i Conservatori di sinistra si sono riuniti una prima volta il giorno 8 e hanno deciso di soprassedere a fissare il loro atteggiamento a seconda di quelle che sarebbero state le dichiarazioni di Hoare. Nelle prime ore del pomeriggio del giorno 18 i Conservatori di sinistra si sono radunati di nuovo, e hanno deciso di porre immediatamente a Baldwin l’aut-aut: essi avrebbero votato la fiducia al Governo soltanto se il Governo si fosse presentato all’indomani ai Comuni colla dichiarazione formale del ritiro del Progetto di Parigi e colla confessione solenne dell’errore compiuto.
Baldwin ha ceduto all’intimazione dei Conservatori di sinistra, ed ha domandato a Hoare di modificare nel senso da quelli richiesto, le dichiarazioni che Hoare stava preparando e che nelle grandi linee erano state già approvate dal Primo Ministro sin dalla sera precedente. Hoare ha rifiutato di presentarsi ai Comuni in una posizione di pentito e di penitente ed ha preferito dimettersi per difendere la sua politica dal suo banco di deputato.
Allego, per curiosità del Duce, un appunto contenente dati ed elementi di fatto da me personalmente raccolti nella giornata del 18, dati che confermano la successione cronologica degli avvenimenti, la quale del resto oggi è di pubblico dominio e su cui non vi è piú discussione di sorta.
L’opinione pubblica non c’entra dunque nella caduta di Hoare. I motivi di tale caduta risiedono nel Parlamento e non hanno origine nei sentimenti del Paese. Ne è prova il rincrescimento e la simpatia che nell’opinione pubblica britannica si è rivelata per Hoare all’indomani della sua caduta. Tutti sono d’accordo nel ritenere che dalla giornata del 19 una sola persona è uscita ingrandita dal dibattito, la persona di Hoare. Tutto ciò è tutt’altro che irrilevante ai fini degli avvenimenti politici che seguiranno nelle prossime settimane, ed è un’ulteriore prova che le masse britanniche sono rimaste assolutamente estranee agli avvenimenti parlamentari del 18 e del 19 dicembre.
Quale sarà ora la politica di Baldwin e di Eden? Tutti gli elementi equilibrati e sani del Paese sono d’accordo nel giudicare la politica di Hoare come la sola che rispondesse agli interessi della Gran Bretagna e agli interessi della pace. Ma tutti sono altrettanto d’accordo nel ritenere che la logica della situazione renderà difficile, non foss’altro per un certo periodo di tempo, a Baldwin e a Eden di riprendere anche se lo volessero, la politica di Hoare, politica che Baldwin ha solennemente rigettato e contro la quale Eden è stato assunto alla direzione della politica estera britannica.
I meno pessimisti insistono nel ritenere che Baldwin e Eden, spinti dal senso della realtà internazionale, da una valutazione pacata degli interessi britannici, e dai sentimenti diffusi del Paese dovranno presto o tardi rimettersi sulla strada calcata da Hoare. Ma essi aggiungono di non sapere come e quando sarà possibile a Baldwin e a Eden di fare ciò senza rischiare una situazione parlamentare ancor piú critica di quella che non si è verificata nella scorsa settimana. Si confida pertanto nel “fatto nuovo”. E questo fatto nuovo dovrebbe consistere in:
- 1) un’effettiva resistenza francese all’applicazione di ulteriori sanzioni;
- 2) una decisiva avanzata delle truppe italiane in Abissinia.
In attesa di questi avvenimenti che, a parere di molti, verrebbero a disincagliare la politica di Baldwin e Eden dalle attuali difficoltà e permettere un riesame della situazione e un ritorno sostanziale alla politica di Hoare, gli spiriti sono dubbiosi, preoccupati e sospesi. L’annuncio delle proposte Hoare-Laval del 10 dicembre ha infuriato il Parlamento e soddisfatto il Paese. Il voto alla Camera dei Comuni del 19 u. s. col quale il Governo di Baldwin si è consegnato prigioniero alla demagogia di Westminster, ha soddisfatto il Parlamento, ma ha determinato un senso di incubo nel Popolo Britannico.
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Rapporto dell’addetto navale
a Londra
Londra, 3 gennaio 1936-XIV
Argomento: Atteggiamento inglese questione A. O. (Africa Orientale)
1)
La situazione qui, dopo la grande gazzarra inscenata in occasione del progetto anglo-francese di regolamento del conflitto italo-etiopico, è di stasi. Le feste di Natale sono intervenute a tempo per distogliere l’attenzione del pubblico dalla questione abissina incanalandola in altre occupazioni piú gradite.
Benché la grande maggioranza dei giornali non tralasci occasione per mettere sempre nella peggiore luce possibile ogni manifestazione italiana nei riguardi della questione italo-abissina, tuttavia si nota una certa stanchezza relativa al conflitto ed una certa tendenza a voler ormai sfruttare altri argomenti. Ciò non pertanto nel pubblico il progetto di pace anglo-francese ha prodotto delle curiose reazioni. Il discorso di Hoare alla Camera ha messo di fronte al pubblico un aspetto della verità dei fatti che non era stato presentato alla opinione pubblica prima delle elezioni.
Davanti a questa esposizione, una parte di quel pubblico, che reclamava a gran voce la intransigente e completa applicazione dei principî leghisti è rimasta disorientata e la critica che viene apportata al progetto di regolamento del conflitto italo-etiopico è una critica non costruttiva poiché si limita a ripetere con enfasi i ben noti principî vieti e utopistici senza rendersi conto della nostra effettiva occupazione in Abissinia, della nostra resistenza e della nostra volontà di andare fino in fondo, nonché della nostra possibilità di fare ciò.
2)
Una certa parte della opinione pubblica sotto la immediata impressione del progetto anglo-francese e del discorso di Hoare si è irrigidita e domanda la applicazione delle sanzioni ad oltranza anche a rischio di provocare una guerra nel Mediterraneo. Vi sono delle persone (Lord Cecil, liberali, laburisti) i quali sostengono che piú espliciti sono gli accordi militati fra le potenze societarie e meno probabile sarà una reazione di forza della Italia nel Mediterraneo.
Vi sono altri, d’altra parte (di solito militari ed alcuni imperialisti) che sono persuasi che un conflitto nel Mediterraneo verrebbe circoscritto a quella zona senza estendersi ed ampliarsi in una conflagrazione europea e che comunque si risolverebbe in tal modo, almeno per un certo tempo, il problema della sicurezza delle comunicazioni imperiali con l’Oriente.
Volendo fare una distinzione per ceto sociale si può dire, grosso modo e per quanto possibile fare tali classificazioni, che nel ceto piú basso vi è una marcata indifferenza verso il conflitto italo-abissino, si pensa piuttosto agli affari domestici e soltanto fra coloro che covano animosità antifasciste appare un interesse alla questione. Nel medio ceto si può dire che la ostilità all’Italia è quasi universale, alimentata dagli innumerevoli pregiudizi preesistenti e dai giornali. Nel ceto piú elevato è quasi lo stesso ma vi è forse una maggiore tendenza fra persone piú illuminate che non è acciecata da questa ondata di fanatismo e di misticismo malsano a rendersi conto della situazione quale essa è in realtà.
È ovvio come dietro a queste manifestazioni di ostilità contro l’espansione italiana, poiché anche nella stampa ormai si comincia a gettare la maschera e a parlare un po’ piú dell’espansionismo italiano e un po’ meno dell’Abissinia, vi siano forti gruppi di persone che premono sul Governo e sulla opinione pubblica. Fra questi gruppi, quello degli armamenti e principalmente la Vickers, sarebbe preminente.
A questi gruppi, come è noto, si unisce in modo assai efficace la Chiesa Anglicana la quale vede nell’Abissinia italiana un enorme campo di espansione per la Chiesa Cattolica in Africa a suo scapito e che inoltre cerca di profittare della crisi attuale per atteggiarsi a “leader” delle confessioni cristiane (non cattoliche) in Europa (v. messaggio di Capo d’Anno dell’Arcivescovo di Canterbury alle Chiese Cristiane in Europa).
3)
Quello che ormai emerge di concreto dal seppellimento del progetto di pace è la intesa politico-militare franco-inglese, ossia la ricostituzione della “Entente Cordiale” che da anni è stato vivo desiderio del Foreign Office (Vansittart ecc.). Secondo la stampa, le disposizioni nel campo navale per una azione concertata in Mediterraneo in caso di una offensiva italiana sarebbero complete fin dall’Ottobre mentre le trattative per l’Esercito e la Aeronautica sarebbero cominciate soltanto il 10 dicembre.
Tuttavia si fa notare che per queste forze armate occorre una impostazione diversa da quella per la Marina, la quale è sempre pronta. Infatti bisognerà vedere quali disposizioni verranno prese nei riguardi dello schieramento dell’Esercito francese sulla frontiera alpina e di un aiuto inglese per la sostituzione di queste truppe sul Reno, e inoltre occorre perfezionare le disposizioni per l’impiego da parte degli aerei inglesi dei campi di atterraggio in Francia.
Che la intesa anglo-francese in materia navale sia assai avanzata vi sono molti indizi fra cui quelli di cui al foglio n. 344 del 30 Dicembre u. s. dell’Addetto Navale a Parigi e quanto segnalato dallo scrivente con foglio n. 80/S del 27 Dicembre a Maristat. Ad ogni modo qualunque siano le intese che sono intervenute fra la Francia e l’Inghilterra è evidente che una volta terminato il conflitto italo-etiopico la Gran Bretagna dovrà porsi il dilemma: o continuare a considerare l’Italia come nemico potenziale con tutti i rischi conseguenti in Mediterraneo, oppure trascinare l’Italia in una intesa Franco-italo-britannica per la sicurezza dell’Europa, ossia dovrà essere ricostituito il fronte di Stresa.
Nel frattempo giunge notizia che il Comitato del Lloyds ha ridotto da 5/- per cento a 3/4 per cento il premio di assicurazione per carichi che transitano per il Mediterraneo e il Mar Rosso mentre il premio su carichi di moneta metallica rimane invariato a 2/6%.
4)
Gli ambienti dell’Ammiragliato sono assai riservati ed è difficile di poter ottenere qualche notizia sicura in merito alla questione Mediterranea. Ho ricercato l’occasione di avere un colloquio amichevole con l’Ammiraglio Vice sottocapo di Stato Maggiore, membro del Board, e riassumo qui brevemente i punti principali della conversazione e le impressioni riportate.
Ho cercato di attaccare il discorso chiedendo per quali ragioni l’Inghilterra ,si ostinava a voler ritenere che noi Italiani avevamo intenzione di attaccarli. Nel fare questa domanda volevo tastare il terreno nei riguardi dei recenti accordi navali franco-inglesi.
L’Ammiraglio mi ha risposto con queste precise parole: “Abbiamo dovuto inviare navi in Mediterraneo e prendere tutte le precauzioni del caso per non essere colti alla sprovvista. Quando, come nel vostro caso, vi è un Dittatore, un solo uomo che comanda, quando non si può avere alcuna premonizione o sintomo di ciò che potrà avvenire poiché dipende dalla volontà di un solo uomo se vengono prese le decisioni piú gravi, noi non possiamo fare a meno di premunirci a tempo”.
“Supponiamo – egli ha proseguito – puramente a titolo discorsivo, di considerare le seguenti tre ipotesi:
- a) che venga messo l’embargo sul petrolio,
- b) che avvengano dei rovesci militari in Abissinia,
- c) che la situazione finanziaria in Italia sia tale da destare le piú gravi preoccupazioni di modo da dover rinunciare in pieno o in parte alla campagna in Africa.
“Queste tre ipotesi – egli ha detto – possono essere concomitanti. Per l’embargo sul petrolio è probabile che non vi sarebbe una immediata reazione, ma, ad ogni modo, l’Ammiragliato ritiene che una o piú di queste ipotesi che si avverassero potrebbero provocare, tosto o tardi, come un ultimo gesto disperato da parte dell’Italia, una reazione armata contro l’Inghilterra”. L’Ammiraglio mi ha fatto chiaramente intendere che si temeva sopratutto per l’Egitto. “In queste condizioni – egli ha proseguito – è assolutamente necessario che ci teniamo pronti per ogni eventualità”.
5)
Avendogli io chiesto fino a quando riteneva dovessimo restare in questo stato di tensione egli mi ha risposto all’incirca cosí: “Speriamo che la questione sia presto accomodata poiché noi non possiamo continuare ancora molto tempo in questo modo senza indire la mobilitazione e, allora, capirete, la cosa acquista un aspetto ben piú grave. L’Ammiragliato ha detto al Foreign Office che bisogna arrivare ad un accomodamento al piú presto possibile per queste ragioni”.
Per cercare di avere qualche dato di fatto piú preciso gli ho chiesto se riteneva che la situazione si sarebbe protratta in questo modo fino all’epoca delle grandi pioggie, ossia fin verso Giugno, ma egli non ha voluto pronunciarsi sulle date né ha voluto fare alcun accenno intorno alla cooperazione navale franco-inglese in Mediterraneo.
6)
Avendogli io espresso come opinione personale che non mi sembrava affatto necessario, dal punto di vista inglese, di rinforzare la flotta in Mediterraneo poiché quella ivi esistente in Agosto era sufficiente per far fronte alla flotta italiana se si pensa che questa è priva di navi da battaglia, egli mi ha risposto cosí: L’Ammiragliato aveva ritenuto necessario rinforzare in special modo il naviglio sottile e gli incrociatori da 10 000 T. e inoltre annetteva grande importanza all’arma aerea, importanza che egli personalmente metteva al quanto in dubbio. Ha anzi soggiunto scherzosamente “sarebbe stata una buona occasione per definire una volta per sempre -la famosa controversa questione della arma aerea contro la corazzata”.
7)
Durante tutto il colloquio egli non ha voluto ammettere che l’invio della Home Fleet e di altri rinforzi fosse dovuto a ragioni di intimidazione. L’Ammiraglio ha detto inoltre che non c’era mai stato alcun desiderio da parte del Governo Inglese o dell’Ammiragliato di provocare una guerra contro l’Italia. Ha ammesso che indubbiamente fra gli ultra-leghisti e sanzionisti vi fossero delle persone che avrebbero potuto desiderare ciò ma che una simile soluzione non era mai entrata nelle previsioni degli organi responsabili inglesi. Egli ha espresso la opinione che le sanzioni non saranno rinforzate.
8)
Avendogli chiesto la sua opinione circa le previsioni che potevano farsi a crisi terminata, se cioè l’Italia doveva sempre considerarsi come nemico potenziale da parte dell’Inghilterra o se vi sarebbe stato un accordo franco-italo-britannico, l’Ammiraglio mi ha risposto che molto dipendeva dagli avvenimenti, ma che, mentre prima del conflitto italo-etiopico una guerra con l’Italia era assolutamente esclusa dallo Stato Maggiore inglese, d’ora innanzi bisognava invece considerare l’Italia come un eventuale nemico potenziale onde non essere colti alla sprovvista come era avvenuto nel mese di Settembre scorso.
9)
Concludendo nulla per ora è sostanzialmente cambiato e si ha l’impressione che per il momento non vi è alcun indizio di una diminuzione della flotta inglese in Mediterraneo e di un ritorno a condizioni normali fino a che la questione politica relativa alla crisi italo-abissina non sia stata in qualche modo definita. L’impressione che qui si ha è che oramai l’avvenire ed il regolamento della questione siano unicamente influenzati dalla situazione militare in Africa orientale, né sembra possibile farci illusioni su un accoglimento piú favorevole della nostra tesi ed in genere su un movimento di simpatia per le nostre aspirazioni fino a che non venga riportato un qualche decisivo successo militare sul campo di battaglia.
Gli effetti emotivi
della guerra di Spagna
secondo i prefetti e l’Ovra
a) Torino. 30 agosto 1936
Gli avvenimenti spagnuoli, che la popolazione di tutte le categorie segue con vivissimo interesse, mentre hanno suscitato nella maggioranza un sentimento di solidarietà per i nazionali insorti e di raccapriccio per i massacri dei rossi che si sono abbandonati alle più folli forme di crudeltà, hanno reso più profondo il senso di gratitudine verso S. E. il Capo del Governo che ha saputo dare al nostro Paese ordinamenti ispirati a principi di autorità, di collaborazione e di giustizia.
E così ferma è divenuta la volontà di opporsi al dilagare dell’esperimento bolscevico (considerato da alcuni, nonostante gli eventi di Francia e di Spagna, come fenomeno anarcoide destinato a successi di breve durata nei paesi latini) che numerosissimi sono coloro i quali sarebbero favorevoli ad un intervento da parte dell’Italia a favore degli insorti ed una partecipazione al conflitto, anche a mezzo di volontari. Ciò anche per rispondere all’atteggiamento provocatorio dei fuorusciti.
Tale stato d’animo e tale modo di considerare gli avvenimenti spagnoli è anche condiviso da grande parte della classe operaia. In materia però sembrerebbe criterio di polizia poco prudente, e quindi da non consigliare, quello di abbandonarsi ad un eccessivo ottimismo. Invero non mancano coloro, – per quanto il numero non ne appaia rilevante, – che seguono gli avvenimenti spagnoli con malcelata simpatia e con irrequieta curiosità, quasi per trarre da una eventuale vittoria dei comunisti un lontano auspicio per quello che può essere il loro sogno di irriducibili sovvertitori
L’atteggiamento di questi ultimi viene controllato e seguito con ogni cura in modo da poter intervenire senza indugi e con la massima energia al momento opportuno. Per quanto riguarda questi ultimi mi richiamo alla relazione n. 022328 del 7 luglio scorso, relativa all’atteggiamento dei sovversivi in correlazione alle situazioni estere.
b) Genova. 1°settembre 1936
Gli avvenimenti della Spagna hanno destato nella popolazione in genere di questa Provincia, più che altrove, un senso di raccapriccio per le inaudite barbarie apprese non soltanto dalla stampa, ma dalla viva voce dei profughi, giunti in poco più di un mese, in numero di oltre undicimila.
La gran maggioranza della popolazione genovese ha stigmatizzato la selvaggia degenerazione politica verificatasi nella Spagna, e dal raffronto con l’ordine, la disciplina e la giustizia sociale che regnano in Italia, ha tratto motivo per dimostrare ancor maggiormente adesione al Regime, partecipando compatta alle manifestazioni patriottiche avutesi recentemente in occasione del rimpatrio dall’AO dei vari scaglioni delle Camice Nere della XXVIII Ottobre.
Si nota tuttavia qualche preoccupazione che gli avvenimenti della Spagna e la “politica ambigua” di talune nazioni possano provocare una conflagrazione. Il popolo genovese, compatto e disciplinato, dimostra anche in tale circostanza la sua fede nella chiaroveggenza e nella saggezza di S. E. il Capo del Governo, in cui ha il 30 decorso ascoltato l’alta parola in una atmosfera vibrante di entusiasmo e di orgoglio nazionale.
Nella popolazione in genere gli avvenimenti di Spagna non sembra abbiano avuto sensibili ripercussioni, all’infuori di quelle riferite e che si sono rilevate attraverso inequivocabili manifestazioni di fede.
Per quanto riguarda l’elemento operaio non è da escludere che i moti spagnoli abbiano suscitato in una esigua minoranza, soprattutto fra gli anziani, una reminiscenza di tempi, ideologie e sistemi oramai superati, non tendente, però, a mire preordinate di sovvertimento.
Qualche sintomo di malcontento deriva sopratutto dallo stato di disagio che perdura in una parte degli operai di questa provincia per i salari, non ancora tutti proporzionati al costo della vita, e per non infrequenti sospensioni di lavoro per mancanza di ordinazioni. Si tratta però di malcontento che non ha finora e non avrà certamente alcuna manifestazione collettiva.
Un sintomo sporadico di accenno ai fatti spagnoli si è avuto col rinvenimento di alcuni foglietti antifascisti dattilografati, a firma di una ipotetica “associazione segreta mazziniana”, invitante gli italiani alla rivolta contro il Fascismo.
Detti foglietti, come è stato giù riferito, furono rinvenuti all’interno di qualche portone e dentro alcune cassette di impostazione. Sono tuttora in corso accurati accertamenti per l’identificazione dello autore; ma si ritiene poter escludere, a quanto risulta anche in via fiduciaria, che esso si identifichi in persona appartenente ad un qualsiasi nucleo o cellula antifascista organizzata e non è improbabile che i foglietti dattiloscritti siano stati introdotti attraverso l’equipaggio di navi battenti bandiera estera.
L’elemento operai viene attentamente osservato e vigilato con largo impiego di elementi fiduciarie con tutti i possibili mezzi di polizia. Esso si mantiene disciplinato ed appare saldamente inquadrato nelle organizzazioni sindacali, per cui ogni possibile manifestazione, a quanto è dato provvedere, non potrà avere che carattere individuale e non sfuggirà all’immediata repressione da parte della R. Questura e dagli altri organi concorrenti di polizia.
c) Milano. 27 agosto 1936
La ripercussione che gli avvenimenti di Spagna hanno avuto sulla pubblica opinione è stata segnalata da questo Ufficio con relazioni e numerosi referti fiduciari, trasmessi, di volta in volta, a codesto On. Ministero, Divisione Polizia Politica e Divisione Affari Gen. e Riservati.
Richiamo in proposito la mia più recente lettera 24 cor. N. 10936 e la fiduciaria del venditore ambulante N. 5, in data 26 corrente. Tuttavia, in adempimento alla richiesta di cui al telegramma in oggetto, ho il pregio di comunicare che la ripercussione degli eventi spagnuoli si è manifestata sotto un duplice profilo, ed a tale stregua va quindi considerata.
Tra la popolazione fedele al Regime Fascista e tra l’elemento d’ordine in genere, i morti di Spagna hanno gettato un senso di orrore per gli eccidi inauditi di cui sono quotidianamente ricche le cronache. Naturalmente, le simpatie di questa parte della pubblica opinione, di gran lunga più numerosa, vanno alle forze nazionali spagnole, che sono insorte per arginare il movimento delle sinistre ed il minacciante terrore bolscevico.
Pur senza eccessive preoccupazioni, in quanto si ha sensazione cosciente della saldezza del Regime in Italia, sotto la guida illuminata e sicura del Duce, si opina, in questa maggiore corrente della opinione pubblica, che una affermazione bolscevica in Spagna, nel caso di sconfitta delle forze nazionali, potrebbe avere, in tempo più o meno prossimo conseguenze e ripercussioni di estensione imprevidibile, specialmente se la eco di un siffatto avvento stimolasse la pericolosa tendenza manifestatasi in Francia di marciare a grandi passi verso sinistra.
Si vede in conclusione, una minaccia, sia pure lontana, del pericolo bolscevico, così pertinacemente agitato da Mosca e dalla terza internazionale. E perciò le forze dello ordine che costituiscono la maggioranza schiacciante del paese sono deste, ed inclini a serrarsi attorno al grande Capo per tutti gli eventi, nella lotta che si delinea nel mondo per la difesa ed il rafforzamento del principio altamente civile instaurato dal Fascismo da una parte, ed il sistema retrogrado e di violenza che il bolscevismo tende ad affermare, dall’altra.
Dall’elemento operaio in genere, che non sia ligio al Regime, o che non sia indifferente perché apolitico, ed in particolare da quello di principi sovversivi, gli avvenimenti di Spagna sono guardati con un panorama affatto diverso, che è in netta opposizione a quello innanzi tratteggiato.
Si vede con simpatia e con solidarietà, nelle correnti dell’antifascismo e del sovversivismo, del cero operaio ed anche non operaio, la possibile vittoria dei governativi in Spagna ed una eventuale affermazione bolscevica. Si premette che tali correnti costituiscono una esigua minoranza nel quadro generale delle forze politiche, e perciò non possono rappresentare un pericolo in atto, opportunamente vigilate e contenute.
Tuttavia in siffatte correnti gli avvenimenti di Spagna hanno ridestato propositi e speranze, finora sopite, di una riscossa del proletariato in senso classista, soprattutto perché è diffusa l’opinione che il trionfo bolscevico nella Spagna determinerebbe sicuramente eguale soluzione nella limitrofa repubblica Francese, la cui atmosfera politica si ritiene già favorevole e preparata ad un avvento di tal genere.
Come è stato comunicato all’On. Ministero, con precedente rapporto, le segnalazioni dei fiduciari di questo ufficio sono concordi nel riferire che negli ambienti socialisti e comunisti locali si cercherebbe di reclutare elementi disposti ad arruolarsi per combatter in Spagna, ed eventualmente in Francia, ma la segnalazione, per quanto concorde, è rimasta finora generica e non sono stati comunicati nominativi di eventuali arruolandi.
È stato anche riferito circa elementi che si sarebbero presentati al locale Consolato Spagnuolo per essere arruolati al fine anzidetto. Ma il Console, a scanso di compromissioni, e nel dubbio di un possibile trionfo delle forze degli insorti nazionali, si sarebbe disinteressato della profferta, allontanandosi per recarsi in congedo.
È stato infine segnalato, pure in via fiduciaria, dello arrivo a Milano di un funzionario del partito comunista, latore di numerosi passaporti falsi da consegnarsi a sovversivi espatriandi per la causa spagnuola, ma la notizia degli arresti preventivi, operati su larga scala da questo ufficio, su disposizioni ministeriali, avrebbe preoccupato il funzionario che sarebbesi affrettato a lasciare Milano.
Finora, dunque, a quanto risulta, nessuna particolare azione o attuazione di programmi reconditi, in dipendenza degli avvenimenti spagnuoli, ma soltanto il delinearsi della pubblica opinione, con previsioni, propositi o speranze in un senso o nell’altro come sopra detto. Assicuro V. E. che questo ufficio segue con la massima attenzione tale argomento, e di ogni eventuale emergenza utile sarà ragguagliata la E. V.
d) Milano. 31 agosto 1936
Non può dirsi che gli avvenimenti di Spagna abbiano qui avuto ripercussioni. Essi sono peraltro seguiti con interessamento, progressivo man mano che si sente avvicinarsi la fase conclusiva della guerra ingaggiata fra i partiti di sinistra ed i nazionali. Nei ceti industriali, finanziari, commerciali e professionali, nella borghesia, cioè, l’accanimento con cui la plebaglia anarchica, che ha ormai preso il sopravvento sullo stesso governo repubblicano, infierisce contro le istituzioni e le persone, distruggendo chiese e trucidando religiosi ed avversari, desta un profondo senso di raccapriccio e di riprovazione.
Nei detti ambienti non si nasconde viva simpatia per le truppe del generale Franco e si fanno voti per la vittoria dei falangisti, poiché si ha la precisa sensazione che la disfatta degli insorti porterebbe in Spagna ad un governo bolscevico, che si estenderebbe facilmente alla vicina Francia.
Uguali sentimenti hanno, nella loro gran massa, gli operai in genere, che considerano la ferocia e le atrocità dei sovversivi iberici un attentato, oltre che alla religione, alla pace ed all’ordine sociale: non possono infatti non raffrontare la disciplinata tranquillità del nostro paese con l’anarchia che regna in Spagna e che si profila in Francia, e non trarre motivo di soddisfazione dalle provvidenze del Regime Fascista, non ultime quelle salariali.
Le varie correnti dell’antifascismo, invece, sono spiritualmente vicine ai governativi e si augurano, col trionfo di essi, un “fronte popolare” antifascista che faccia sentire la sua concreta influenza anche in Italia: si astengono, però, non dico di propagandare, ma di esprimere solo i loro sentimenti o, peggio, di assumere atteggiamenti o compiere comunque manifestazioni che possano avere significato di solidarietà con il “fronte popolare”.
e) Bologna. 30 agosto 1936
Con riferimento al telegramma ministeriale n. 441/28419 del 28 corrente, pregiomi riferire all’E. V. quanto è stato possibile accertare, a cura del mio Organismo, in ordine alle ripercussioni degli avvenimenti spagnoli nel Regno: Premesso che l’opinione pubblica è, in generale, interessata vivamente dagli odierni moti spagnoli, si può affermare, con chiaro spirito di obbiettività, che la corrente più ampia – quella formata dalla parte sana del popolo – guarda con simpatia alle “forze nazionaliste e militari”, tese al ristabilimento dell’ordine, e freme di indignazione per le atrocità commesse dai comunisti e anarchici. Indignazione che si ripercuote particolarmente nelle sfere ecclesiastiche e negli ambienti religiosi, della città e della campagna.
Dai ben pensanti e da innumeri cittadini si svolgono, di frequente e con un senso di egoismo nazionale, i confronti dell’Italia disciplinata di oggi con i vari paesi europei straziati dalle convulsioni politiche. E si esprime un senso di larga e sicura fiducia nelle direttive del Regime, segnatamente tra le categorie di intellettuali, nei ceti del commercio e dell’industria.
Fra le masse degli operai si è insinuato, gradatamente, un interesse davvero acuto per l’esito della rivoluzione spagnola. Se ne rilevano i segni, facilmente e un po’ da per tutto: lettura appassionata delle cronache dei moti sui giornali; commenti e discussioni vivaci negli intervalli del lavoro, dentro e fuori le fabbriche; soste di gruppi di operai davanti edicole, specie nelle ore del pomeriggio, allorché le edizioni della sera annunziano con vistosi titoli gli avvenimenti del giorno; conversazioni, alla sera, nei caffè e nelle osterie, con tendenza ad ascoltare, oltre che la radio, anche le voci tendenziose di ogni genere. Non sono pochi, fra gli operai, quelli che preconizzano il trionfo dei “rossi” e sognano lontani miraggi anche in Italia.
Anzi, da informazioni raccolte, si va facendo strada fra costoro la convinzione che, dopo la vittoria dei comunisti in Spagna, verrebbe ben presto instaurato il regime bolscevico in Francia. Guadagnate, così, importanti posizioni, la Russia – attraverso il suo “Comintern” – allungherebbe altrove i suoi tentacoli.
Una categoria assai più ristretta è formata, fra gli operai, dai comunisti, vecchi socialistoidi o simpatizzanti tali, antifascisti in genere: categoria pericolosa in quanto va ravvivando, in sé, una fede sopita e tende a propagarla, sfruttando i facili entusiasmi per l’assurdo paradiso sovietico, fomentando taluni contingenti disagi, raccogliendo pretesti di ogni specie.
Si rilevano vari segni di tali perniciosi conati. Qualche scritta comunista – talune con frasi esaltatrici della Spagna proletaria – è apparsa in provincia di Livorno (nello stabilimento “ILVA” di Piombino); in provincia di Massa; a Ferrara. Alcuni fermi di operai sono stati operati, in questi giorni, a Lucca, a Reggio Emilia, a Prato per frasi disfattiste in relazione agli avvenimenti in Spagna.
Anche a Bologna, per quanto non siano apparsi segni manifesti, si è raccolta l’impressione che, specie nelle grandi officine (come quella di Casaralta), si annidino degli elementi sospetti, che soffiano sull’animo dei compagni di lavoro.
Anche in alcuni settori dei lavoratori edili si andrebbe delineando una corrente non certo chiara in rapporto ai moti spagnoli, per effetto, forse, di qualche sobillatore che giuoca sul contingente disagio della mano d’opera disoccupata e sulla generale passione per le vicende politiche del giorno.
Quanto all’identificazione e all’arresto dei sovversivi, che tentano di svegliarsi e dei perturbatori in genere dello spirito pubblico, il mio Organismo ha avviato da tempo attive ed estese investigazioni e, appena possibile, effettuerà le necessarie azioni risolutive, particolarmente a Bologna e in provincia di Modena.
Con perfetta osservanza.
f) Bologna. 31 agosto 1936
I tragici avvenimenti spagnuoli sono seguiti con vivo interesse dalla popolazione di questa Provincia e formano oggetti di commenti in ogni classe sociale. Le gesta raccapriccianti di ferocia dei comunisti spagnuoli e l’offesa continua che essi fanno al sentimento religioso ed umano hanno avuto e continuano ad avere una larga e profonda ripercussione nell’opinione pubblica, ed in particolare nella parte sana della cittadinanza che, amante dell’ordine e della disciplina, è anche gelosa custode della fede religiosa sinceramente professata.
Non è mancata qualche preoccupazione, quando si sono verificati gli incidenti diplomatici col nostro Governo e con quello del Reich. Ha riscosso unanime consenso il fermo atteggiamento assunto dal R° Governo in quella occasione, ed ora la cittadinanza ha la sensazione che, dopo l’applicazione da parte di quasi tutti gli Stati europei dell’embargo sul materiale bellico destinato alla Spagna, il conflitto resti circoscritto a quella Nazione e, pertanto, segue le vicende di quell’atroce lotta civile con una certa tranquillità, non tralasciando occasione per manifestare la sua viva simpatia in favore degli insorti del Generale Franco, giacché è nei suoi voti di vedere debellato, con la vittoria dei Nazionalisti, il comunismo spagnuolo.
Ma la lotta, che dilania la Spagna, è seguita pure con vivo interesse dai pochi elementi comunisti della provincia, i quali seguono con ansia le alterne vicende delle truppe rosse e sperano in un successo decisivo dei governativi spagnuoli, nella speranza di una più larga affermazione dei loro principii.
Concorrono indubbiamente a risvegliare in tali elementi le loro ideologie da tempo sopite, le lettere che giungono dalla Francia e dalla Spagna e che sono improntate, per lo più, ad entusiastica esaltazione degli avvenimenti spagnuoli e dei successi ottenuti recentemente in Francia.
Si è avuto pure occasione di osservare che, mentre i sovversivi fino a qualche tempo fa, leggevano nei giornali, quasi esclusivamente od a preferenza le notizie d’indole sportiva, ora, invece, essi dedicano tutta la loro attenzione alla cronaca degli avvenimenti spagnuoli, e, non appena aprono il giornale, leggono con vivo interessamento e commentano, secondo le loro vedute, le ultime notizie che divulga la stampa e, quando i giornali non pubblicano nuove notizie in relazione agli avvenimenti spagnuoli, essi azzardano commentare che i compagni comunisti hanno riportato qualche vittoria sui Nazionali e che, per tal motivo, la stampa fascista tace.
Nelle loro conversazioni amichevoli, l’elemento operaio, non devoto al Regime, per quanto con molta circospezione, discute dei vantaggi che ad essi apporterebbe il trionfo del comunismo, le cui conseguenze si sarebbero già fatte sentire anche in Italia, tanto da indurre il Governo Fascista ad aumentare di propria iniziativa i salari agli operai, per evitare che il disagio economico fosse stato sfruttato ai fini della propaganda avversa al Regime.
Purtuttavia, non si sono avute manifestazioni di alcun genere, che possano dare prova di una ripresa di propaganda sovversiva, per quanto s’abbia notizia che tra gli elementi comunisti vi sia una certa tensione di spirito, nell’attesa del risultato della lotta in Spagna, che dovrebbe segnare per essi una nuova mèta raggiunta. Nel complesso la quasi totalità della popolazione segue con ansia, direi quasi spasmodica, lo svolgersi degli avvenimenti spagnuoli, e, mentre auspica il trionfo delle forze nazionali per un lodevole spirito di conservazione, è ben paga che l’Italia in questo momento sia governata da un Uomo, che è sicura garanzia dei suoi immancabili destini e che non consentirebbe mai qualsiasi velenosa infiltrazione comunista.
Ciò nonostante, l’azione di polizia è tutta tesa alla vigilanza verso gli elementi infidi e pronta a stroncare con severità e rigore qualsiasi velleità, non dico di insurrezione, ben lontana dalle condizioni di insieme dell’ordine e dello spirito pubblico, ma di ogni tentativo di propaganda o di attività avversa al Regime nazionale.
g) Firenze. 31 agosto 1936
In relazione ai telegrammi n. 28177/441 e n. 28419/441, rispettivamente del 22 e 28 corrente, pregiomi significare che gli avvenimenti spagnuoli sono seguiti dalle popolazioni di questa Provincia di tutte le classi sociali con vivo interesse.
La guerra civile della penisola iberica, coi suoi metodi di brutale malvagità omicida e distruttiva per opera dei partiti rossi, ha destato in queste popolazioni profondo raccapriccio dal punto di vista umanitario e tale raccapriccio hanno sentito e sentono tutti, anche coloro che, pur mantenendosi ossequienti alle istituzioni, non hanno saputo dimenticare le ideologie dei partiti cui appartennero prima della Rivoluzione Fascista.
Dal punto di vista politico, come lotta tra Idea Fascista e comunismo, la quasi totalità delle masse, intellettuali ed operaie, si augura .fermamente la vittoria dei fascisti spagnuoli sui comunisti, quale inizio della fine del comunismo nel mondo. Il Clero, da parte sua, essendone direttamente interessato, contribuisce con cerimonie religiose nelle chiese e con pubbliche preghiere di fedeli ad una efficace propaganda contro la follia rossa che parte da Mosca.
Si fa presente che in questa giurisdizione esistono due importantissimi centri operai: Prato ed Empoli, nei quali, prima della Marcia su Roma, si erano notevolmente diffuse le teorie dei partiti di sinistra e che in tutta la Provincia non mancavano logge massoniche numerose ed agguerrite, sorte sopratutto per il fatto che il gran maestro dei giustiniani, il defunto Torrigiani, era toscano.
Tale situazione del passato, sebbene siano trascorsi 14 anni di arroventato clima fascista, ha lasciato nell’animo di qualche illuso uno strascico che affiora in questo momento europeo di lotta tra fascismo e comunismo, sia pure con la massima circospezione, con sporadiche, rare manifestazioni individuali che sanno sfuggire a qualsiasi controllo.
Si nota, infatti, che taluni individui notoriamente antifascisti nel senso generico della parola, o appartenenti ai disciolti partiti di sinistra in particolare, seguono con una certa apprensione le notizie riferentisi alle sconfitte dei rossi spagnuoli e si augurano la vittoria dei medesimi, Trattasi, ripeto, di intimi sentimenti individuali che non vengono manifestati esterioramente per tema di giusto castigo.
I più accorti, in proposito, sono quei pochi, pochissimi, intellettuali della sorpassata massoneria che non hanno saputo acclimatarsi nell’ambiente fascista e che hanno perduto la possibilità di comandare, come comandavano, nascosti nell’ombra delle logge. Tra gli operai di sentimenti antifascisti, invece, si è avuta qualche manifestazione esteriore, subito individuata e repressa, come risulta dai rapporti inviati di volta in volta a cotesto On/le Ministero: si tratta però, come sopra è detto, di manifestazioni sporadiche ed individuali.
Tutti gli Organi di Polizia, con spirito ammirevole di iniziativa investigativa, non disgiunto da un senso di profonda umanità fascista, seguono attentamente lo spirito pubblico per individuare e spegnere immediatamente qualsiasi focolaio di manifestazione antifascista, per cui si può serenamente fare affidamento, in qualsiasi momento della vita nazionale, non soltanto sulla disciplina, ma anche sul più alto senso di patriottismo delle popolazioni di questa Provincia, sensibilissime alle complesse ed efficaci provvidenze del Regime per il popolo.
h) Roma. 30 agosto 1936
Gli avvenimenti spagnoli sono ovunque seguiti in questa provincia con manifesto vivo interesse, e ovunque suscitano fra il popolo fremiti di orrore per la brutalità che caratterizza l’azione dei rossi.
Può con sicurezza affermarsi che è da tutti sinceramente auspicata la vittoria dei falangisti che si vorrebbe anzi fossero sostenuti con ogni possibile mezzo nella lotta intrapresa. Questo sentimento di solidarietà con le forze che si contrappongono al dilagare della barbarie bolscevica, trova conferma nell’asprezza con la quale si critica il contegno del Governo di Francia per la tolleranza di cui dà prova di fronte alle subdole manovre miranti a porgere validi aiuti ai rossi spagnoli, e nella simpatia con cui è invece seguita l’azione della Germania decisamente e palesemente diretta a premunirsi da ogni eventuale pericolo bolscevico.
Se ripercussioni delle lotte in Spagna si sono verificate e si verificano tuttora nello spirito pubblico queste possono riassumersi nel riconoscimento unanime da parte del popolo della preziosa tranquillità che gli ha assicurato il Regime Fascista e che gli consente di confrontare con orgoglio e fierezza la vita che si svolge in Italia con quella travagliata non soltanto della Spagna insanguinata ma anche di altre nazioni.
Con ciò non è tuttavia da escludersi che tra gli sparuti elementi sovversivi, specie comunisti, gli avvenimenti spagnoli possano avere fatto sorgere qualche speranza che tuttavia non ha avuto invero alcuna estrinsecazione.
i) Avezzano. 31 agosto 1936
Mi pregio informare la E. V. che gli avvenimenti spagnoli, hanno avuto sulla popolazione ripercussioni diverse a secondo dei principi dei singoli gruppi. E così mentre a quei cittadini che aderiscono maggiormente al fenomeno religioso, le stragi e le violenze colà effettuate, hanno determinato un senso di orrore e di esecrazione, nella grande maggioranza dei cittadini fascisti si seguon, con ansia e trepidazione l’opera di riscossa e gli atti di eroismo che compiono le schiere dei falangisti.
Negli elementi sovversivi poi la guerra civile in Ispagna ha prodotto una eccitazione che va attentamente seguita e tempestivamente repressa. Vecchi sovversivi che da parecchio tempo si erano assonnati in politica, evitando anche di avvicinare i compagni di fede, oggi, quasi risvegliatisi, danno segni manifesti di attività. Leggono assiduamente le cronache degli avvenimenti spagnuoli, si mostrano felici della strage consumata da quei sovversivi, ed auspicano che giorni identici possano prossimamente aversi in Italia.
Sono convinti che la vittoria arriderà agli estremisti con conseguente avvento del bolscevismo, che, subito dopo, si propagherà nella Francia. E così, con l’aiuto di queste due grandi nazioni bolscevizzate e con quello della Russia sperano in un prossimo futuro di poter risorgere ed insorgere in Italia per schiacciare il Fascismo.
Con queste convinzioni e con tale programma, i più audaci non mancano di fare, sia pure prudentemente, propaganda fra le masse. Gli incidenti verificatisi nel Comune di Caprarola (Viterbo) e di Terni ove si è già proceduto a numerosi arresti costituiscono una conferma precisa di quanto ho sopra esposto. Pertanto è necessario da parte della Polizia un’azione intensa e vigile per poter stroncare in tempo ogni focolaio di attività.
Da parte mia ed in esecuzione degli ordini ricevuti verbalmente da V. E. sto provvedendo ad intensificare il servizio confidenziale e specialmente a Terni, centro operaio importantissimo, provvederò quanto prima a mettere in ogni fabbrica importante un abile fiduciario.
Con ossequio.
l) Bari, 27 agosto 1936
È fuor di dubbio che l’interessamento a quanto avviene in Spagna cresce di giorno in giorno fra le masse operaie, constatazione questa già fatta specie a Taranto per le numerose maestranze ivi esistenti.
Tale interessamento assume, poi, fra i sovversivi forme addirittura morbose, tanto che sul lavoro, al caffè, al passeggio ovunque non si discorre d’altro che del ” fronte popolare” e della fortuna cui esso va incontro per effetto delle attuali vicende.
Di fronte a siffatto evidente stato di cose le autorità cercano di premunirsi, effettuando in quel R. Arsenale improvvise perquisizioni con risultato costantemente negativo, ma il provvedimento, mentre non produce alcuna intimidazione, viene interpretato dalla massa degli operai come un allarme degli organi di polizia con la conseguente erronea convinzione dell’esistenza di un largo movimento comunista.
Modo speciale di ragionare derivante dalla frenesia del momento! Certo cosa è che nessuno ha osato finora di prendere una iniziativa qualsiasi nonostante lo stato di eccitabilità degli animi di cui potrebbe trarre profitto qualcuno dei più facinorosi per qualche inconsulto atto singolo o collettivo.
Comunque, sono stati di recente identificati gli operai più esaltati addetti al R. Arsenale e quelli del cantiere Tosi e non mancherò di prendere subito contatto col Questore di Taranto per infrenare senz’altro l’esaltata azione sovversiva di essi.
E per dare un’idea dell’esaltazione raggiunta, citerò, fra gli altri, due giovani comunisti:
- 1) Carucci Angelo di Giuseppe e di Semeraro Livia, nato a Martina Franca il 21.4.1909, congegnatore;
- 2) Ghiara Antonio di Annibale e di Caputo Elisabetta, nato il 13.6.1909 a Bari, congegnatore.
Entrambi sono addetti al R. Arsenale e l’informatore li segnala come giovani, intelligenti, capaci, anche per il prestigio verso i compagni, ad influenzare le masse. Essi hanno ora concretato di formare un nucleo di giovani volenterosi da incanalare allo studio di teorie politiche-economiche per acquistare padronanza di idee ed esperienza rivoluzionaria da porre in atto al momento opportuno. Intanto, hanno commissionato ad un libraio vari libri del genere.
Quello che si è detto per le masse operaie in linea generale per Taranto va ripetuto in minore proporzione per le altre provincie della zona e con maggiore accentuazione per quella di Bari dove abbonda di più l’elemento sovversivo.
Infatti, l’arresto recente del noto comunista Capriuolo Nicola fu Samuele e dei compagni De Giglio Giovanni di Raffaele e Battiston Giovanni fu Giammaria, oggetto del rapporto 22 andante N. 00631 per propaganda sovversiva nei pubblici giardini di Bari anche fra persone sconosciute, è prova evidente del febbrile infervoramento cui essi si abbandonano di fronte agli avvenimenti spagnoli.
Ciò premesso, ho il dovere di assicurare che l’organismo della 3 zona segue con la massima attenzione, a mezzo di agenti e di fiduciari, ogni movimento, ogni atto dei sovversivi tutti identificati ed è pronto ad ogni evenienza come ad eseguire gli ordini che V. E. vorrà compiacersi di dare.
m) Bari. 31 agosto 1936
Di seguito al mio rapporto 27 andante N. 00636, assicuro la E. V. di avete avuto, il giorno successivo, contatto col Questore di Taranto cui, oltre ad avere fatto presente il reale stato di animo delle masse in genere e dei sovversivi in ispecie quale effetto delle ripercussioni prodotte dagli avvenimenti spagnoli e risultanti a questo organismo da informatori in quotidiani rapporti con gli operai per comuni ragioni di lavoro, ho pure esibito un elenco di sovversivi, tra i più esaltati, addetti a quel R. Arsenale ed al Cantiere Tosi per quei provvedimenti che avesse creduto opportuno proporre al fine di infrenare l’azione sovversiva di essi.
Ho avuto, però, l’impressione che le informazioni apprestate al Questore di Taranto dal suo fiduciario non collimassero con le mie tanto che egli ha citato a prova e come esempio il noto comunista Voccoli Edoardo fu Lorenzo di essersi cioè pronunziato in senso ottimista e favorevole ai nazionalisti spagnoli.
Da questo particolare è emerso chiaro che il Voccoli, nel timore di trovarsi davanti a persona sospetta, non ha manifestato con lealtà il suo pensiero, sicché le informazioni desunte dall’autorità di p. s. di Taranto non rappresentano lo stato reale delle cose svolgentesi colà, essendo anche ben noto il costante, sovversivo atteggiamento del Voccoli. Da mia parte confermo quindi – come ho detto al collega di Taranto -l’eccitato interessamento delle masse operaie per gli avvenimenti spagnoli da considerarsi aumentato in forma morbosa per i sovversivi. Unisco l’elenco dei sovversivi tarantini di cui sopra. Tanto anche in relazione al telegramma d’ieri N. 28419/441 di V. E.
n) Caltanissetta. 31 agosto 1936
In risposta alla circolare telegrafica sopraindicata pregiomi riferire a codesto On. Ministero che gli avvenimenti spagnuoli vengono seguiti in questa provincia da ogni ceto e categoria di persone con particolare interesse. Gli elementi politicamente sani mostrano un senso di rammarico per la guerra fratricida che si combatte nella Spagna e per gli atti di crudeltà di cui si sono macchiati e si macchiano l’esercito rosso governativo ed i partiti estremisti di quella nazione, spargendo la desolazione ed il terrore. Essi quindi auspicano che l’esercito nazionale del Generale Franco possa avere presto ragione su quello del governo, che vorrebbero abbattuto in modo definitivo, affinché il bolscevismo che mira a conquistare completamente la Spagna possa essere sgominato.
Le notizie, perciò, comunicate sia dalla radio che dai giornali, appassionano il pubblico e tanto più sono ascoltate o lette con maggiore o minore soddisfazione a seconda che sono più o meno favorevoli all’esercito del Generale Franco.
Nell’elemento operaio, però, in quelli che, prima dell’avvento del Fascismo, professavano idee sovversive e specialmente comuniste, si nota un interessamento opposto, cioè una certa soddisfazione per la guerra che si combatte in Spagna; con tacito, circospetto compiacimento vengono da essi apprese le notizie favorevoli all’esercito rosso, con la speranza che la vittoria finale coroni i suoi sforzi e che la ristabilita autorità del governo possa determinare un maggiore sviluppo ed una più vasta affermazione del bolscevismo in Europa.
Nessuna manifestazione di alcun genere, che sarebbe senz’altro prontamente repressa, e stata neanche lontanamente accennata, limitandosi i pochi simpatizzanti dell’attuale governo spagnuolo ad esprimere qualche frase generica di compiacimento per la resistenza che oppone al movimento nazionale capitanato dal Generale Franco. Comunque, assicuro codesto On. Ministero che la vigilanza su tali elementi continua attivissima ed ininterrotta e non mancherò di comunicare con la dovuta premura tutto ciò che riterrò meritevole di particolare importanza.
o) Trapani. 31 agosto 1936
Ho procurato d’attingere presso varie fonti, per rendermi personalmente conto di ciò che il popolo pensa della rivoluzione spagnola. Sembra che vi presti scarsissimo interesse! C’è forse sotto anche una ragione economica.
Si sa essere la Spagna la più forte concorrente dei Trapanesi per sale e pesce sott’olio. Il fatto che parte almeno dei produttori spagnoli sono a soqquadro giova all’industria trapanese e questo sanno e comprendono benissimo gli operai delle saline e delle aziende che preparano il pesce sott’olio; essi si ripromettono anzi un certo beneficio.
IN COLLABORAZIONE CON:
Enzo Antonio Cicchino
nato a Isernia nel 1956. Vive a Roma.
matricola Rai 230160.
enzoantoniocicchino@tiscali.it
Autore e regista documentari RAI.