SCOGLIOSI

Era un innesto mentale. Un sogno artificiale. Colori e calori a comando. Non era di plastica la mia mano. Scivolava sulla superficie di quel masso, appiattito dai marosi, con la sicurezza, al tatto, di non incontrare asperità. Né schegge di tempo.

Putride alghe. Lattine arrugginite.
“Sono venuto qui per arrivare proprio in questo punto. E toccare proprio questo sasso”.
Non era passato molto tempo da quel pomeriggio arrosto. Ah, certo, era diverso Monterosso d’estate.
“Cos’hai sui piedi? Sembra catrame…”
-E anche fosse?
Un’incredibile grandinata aveva messo a dura prova la fragile copertura di un chiosco.
L’acqua misurava la propria crescita ogni minuto. L’unità di misura era il bordo di un marciapiede.
“Senti freddo?”
-Un po’…
La sacca era fradicia. Nessuno dei due aveva voglia di spostarla dal punto in cui si trovava.
Tra la zona ancora asciutta e quella esposta al diluvio io e lei avevamo lo stesso petto. Lo stesso naso. La stessa bocca.
“Andiamo a cercare un albergo?”
-No, si sta così bene qui…
Sul sasso ho ritrovato la scanalatura dove si era fermati gli occhiali da sole.
“Laggiù c’è la Francia. Più giù la Spagna, Gibilterra, poi l’oceano: ci pensi?”
-Ma in mezzo c’è il mare…

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