“ROBA VECIA”
RICERCA SU OGGETTI ED ATTREZZI
TIPICI DELL’AMBIENTE AGRICOLO
DELLE GIUDICARIE ESTERIORI
Classe II E – scuola media Ponte Arche – anno scolastico 1979-80
“Roba vecia”. Una ricerca su oggetti ed attrezzi dell’ambiente agricolo delle Giudicarie Esteriori. Condotta nell’anno scolastico 1979-80 dalla classe II E della scuola media statale di Ponte Arche. Questo nell’ambito del progetto speciale “Scuola – Mondo del Lavoro” proposto allora dal Centro di Orientamento Professionale dell’Assessorato all’Istruzione della Provincia Autonoma di Trento.
Oltre agli alunni la ricerca vide impegnati i professori Romano Turrini, Piergiorgio Caldera, Rosanna Bellotti e Mariella Speranza. Come vedrete, nella galleria fotografica ci sono attrezzi ed oggetti, oggi in disuso, ma tipici dell’ambiente agricolo delle Giudicarie Esteriori. Un lavoro, quello degli studenti di Ponte Arche, fatto soprattutto nelle proprie case e in quelle dei vicini, alla ricerca di materiale interessante.
“Dopo una selezione preliminare – si legge nelle premesse dell’opuscolo dal quale ho estrapolato le foto – si passò alla programmazione di alcuni itinerari nella valle. E qui cominciarono le prime difficoltà. La zona comprende il Lomaso, Fiavè, il Bleggio Inferiore e Superiore, i Comuni di Stenico, S. Lorenzo ed altri. Insomma, un’area molto vasta. Durante le ore di scuola risultava praticamente impossibile potersi muovere senza limitazione di orario. Si optò quindi, nella maggior parte dei casi, per il pomeriggio. Fu possibile quindi fotografare oggetti ed attrezzi là dove si trovavano.
Ecco spiegata la non perfetta riuscita di alcune foto, scattate magari in una stalla o su un solaio, con sfondi (e luminosità) non certo ideali. Man mano che le foto sviluppate dal fotografo Bosetti e stampate a scuola (non c’erano ancora le digitali ndr) erano pronte, si faceva di ese una breve didascalia. Tutto questo all’insegna della massima economicità. Attingendo ad un fondo scolastico che doveva servire ad altre 15 classi. Infine la stampa dell’opuscolo da parte della Tipografia Iris di Riva del Garda.
La pubblicazione è suddivisa in quattro capitoli: la casa, il lavoro nei campi, “I mistéri de ‘na volta” e l’appendice. Con citazioni poetiche tratte dai “Tre canzonieri” del poeta rivano Giacomo Floriani.
LA CASA
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Fogolàr: era il centro, il fulcro della vita domestica
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Fogolàr: attorno ad esso si ritrovava la famiglia per riscaldarsi, ma veniva soprattutto usato per la cottura dei cibi
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La catena del fogolàr alla quale si attaccavano i paiuoli di rame
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i paiuoli di rame
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Gli attrezzi principali per attizzare il fuoco: il mòi, il sofiadòr, la palèta
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Le braci venivano smosse o tolte con questo ferro ricurvo a forma di falcetto
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Altre pentole venivano appoggiate sulla “gradèla”
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Un apposito sostegno: il tre pe’
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Le pentole, per ovvie ragioni, avevano un manico molto lungo
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Sul fogolàr si tostava l’orzo servendosi dei “brustolini” di ferro che erano o appesi alla catena o tenuti, con dei manici molto lunghi, direttamente sopra la fiamma
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Girarrosto
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Le carni venivano infilzate su questi spiedi
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Quando il caffè o l’orzo erano tostati venivano macinati dentro massicci macinini
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Un “brustolino” meno antiquato: veniva usato sulla cucina economica
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Il caffè preparato veniva versato dalla “cogoma” in rame nelle tazze
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Un altro macinino
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Il problema dell’acqua era risolto con rifornimenti alla fontana pubblica tramite i “crazidei” appesi alla “brentola”. Quella nella foto veniva appoggiata su una sola spalla
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Brentola con crazidei da poggiare su entrambe le spalle: c’era un apposito incavo per la testa
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La sgociarola, sopra el secer: scolapiatti sopra il lavello
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Lavèc: qui dentri su faceva la “lesiva”, ossia il bucato a base di cenere di legna di faggio
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El secèr
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Pestello con mortaio, in legno
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Tazze e mestoli di legno di varia foggia
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Pentola in rame
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Mestoli in rame
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La “stagnàda”, pentola in rame
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Falcetto, pesante scure con manico corto
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Il “moz”, grosso coltello da cucina, come il falcetto, serviva per tagliare le ossa
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Cavatappi rudimentale
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Grande fiasco rivestito in vimini
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“Fornel” con decorazioni
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Forno per il pane
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Sotto le coperte, per preparare caldo il letto, si metteva la “monega” con lo “scaldalet”
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Scaldalèt: poteva essere “a ragno” o con coperchio
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Nella camera, in un angolo, si teneva il “completo” per la pulizia personale
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Nella “olla” si conservavano cibi sotto sale
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La “sopressa”, per stirare: funzionava con le braci
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L’apposito sostegno per la “sopressa” nei momenti di pausa della stiratura
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Piccolo fornello portatile: serviva un po’ ovunque
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Fornèl a spirit: precursose degli attuali fornelli da campeggio
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Lampada ad olio
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lampada con gancio
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lampada: veniva appesa al soffitto
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Lampada più moderna
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Lampada con base lavorata in ferro o legno e rotellina per regolare la fiamma
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Lampada a benzina, per i minatori
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Lampada a carburo: conteneva un piccolo serbatoio di acqua. Essa gocciolando aul minerale faceva sprigionare del gas utile all’illuminazione
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Lampada a carburo più piccola con il vetro sul davanti: richiama nella forma la moderna pila tascabile
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Lampada-fornello, con una sorta di cappello con vetro sopra la fiamma: veniva messa accanto ai pulcini appena nati per riscaldarli. Una mini-incubatrice
LAVORO NEI CAMPI
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La “piovìna”: serviva per arare i campi
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Il “piov”: utilizzato per fare i solchi per la semina
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Il “piov”: era usato anche per altri lavori nei campi
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La “zapa”
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Rastrello a tre punte detto “tre pe'” o “crocefìs”
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La “podeta”: per tagliare rami non grossi: veniva agganciata alla cintura con la “cicagnòla”
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Ferro ricurvo con manico
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“Raschin”: triangolo di ferro con il manico al centro. Si usava per la pulizia della corteccia delle piante
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Lo “ampìn”: era lo strumento adatto per smuovere le “bore”, i tronchi
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La “sèsola”: per tagliare piccole quantità di erba e soprattutto il frumento
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Lo “ster”: qui venivano messi i chhi di frumento o di mais. Serviva sia come misura di peso che come misura empirica di superficie agraria. Quello riprodotto conteneva circa 7 chili di sementi
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“Vol”: grande cesto con un lato più basso dell’altro. Vi si faceva saltare il frumento in modo che il vento portasse via la pula
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Tamìs: fatto con rete metallica molto sottile, serviva per eliminare eventuali impurità nel prodotto
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Ceclàr: serviva per battere soprattutto le piante di fagioli. Composto da due bastoni uniti da una breve cinghia di cuoio
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Golanèr: simile al tamìs, ma costituito da un laborioso intreccio di bastoncini di nocciolo
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Nella “pilota” in granito veniva pestato l’orzo con il “palferi”, usato dalla parte piatta
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Pala di legno per raccogliere i cereali
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Paletta di legno per spostare o insaccare i cereali
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Paletta di legno per cereali
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“el fer da segar”: falce per il fieno
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“Piantole”: per battere ogni tanto i”el fer da segar”
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Prèda per affilare il ferro: era tenuta nel “codèr” con dell’acqua e appesa alla cintura del contadino
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Restèl: serviva a raccogliere il fieno
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Il fieno veniva ammucchiato nel “retèl” o nella “baza”
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Una particolare attrezzatura per la fabbricazione dei denti del rastrello. I bastoncini venivano infilati in un foro e poi con la scure girata si batteva fino a farli uscire, puliti e con una forma regolare, dall’altra parte
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Con la “soga, la spora e ‘l caviciòt” si legava il fieno sui carri
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Altri ferri di diversa misura e forma
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Servivano per tagliare il fieno dal mucchio, dove era conservato pressato
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Le “bronze”, campanacci che servivano come riferimento sonoro per i pastori
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Campanella oer un vitellino
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Altra “bronza”
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giogo doppio
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giogo semplice
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“comacio” per cavalli o muli
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La museruola doveva impedire al vitellinno di mangiare paglia, ancora non digferibile dal suo organismo o ai buoi perchè non fossero distratti da qualche bel ciuffo d’erba durante l’aratura
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“Bruschìn” e spazzola a gradini
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Frusta
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I ferri
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La “travaia”: luogo dove il maniscalco metteva i ferri agli animali
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Altra “travaia”: tramite una cinghia a forma di otto si immobilizzavano innanzitutto le corna. Poi l’animale veniva sollevato da terra con delle cinghie fatte passare sotto il ventre e collegate ad una trave del soffitto. Per finire si faceva scorrere un palo da un lato all’altro per tenere sollevata la gamba e più precisamente il garretto. A questo punto, con le debite precauzioni, si era pronti per la ferratura
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La “craizera”: sorta di sedia senza gambe. Si issava sulle spalle con delle cinghie e serviva per il trasporto di pesi di vario genere. Era usata dai venditori ambulanti
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Con il “gerlo” si portava letame o semplicemente terra là dove era impossibile arrivare con altro mezzo: era fatto con liste di nocciolo
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La “tragiola”, slitta, veniva utilizzata per il trasporto a valle, lungo i “tovi” di legna raccolta in fascine
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Altra “tragiola”
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Questa foto non rappresenta propriamente un “broz” ma serve a renderne comunque l’idea. Serviva per il legname più grosso. Praticamente due ruote, più piccole di quelle di un carro comune. Dove la strada diventava più agibile esisteva come un gradino e qui si mettevano le rimanenti due ruote posteriori
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2Carèt” a due ruote
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“Bena” per portare il letame
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La “bènola”: vi siriponevano le patate, pannocchie di granoturco, biancheria e all’occorrenza anche i bambini
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Con questo, con lo “scagnèl” il contadino costruiva le “bène” servendosi dele “strope”, tagliate dall’albero con la luna giusta
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Carro: ce n’erano di diversi tipi
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Carro: era usato per diversi scopi
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Biròc: trainato da un cavallo era un mezzo in possesso delle famiglie più benestanti
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Soffietto per irrorare le piante con anticrittogamici
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Altro soffietto con canna più lunga
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Soffietto: la polvere veniva immessa attraverso yb apposito foro ad imbuto
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“Machina del verderàm”: contenitore che veniva messo in spalla, munito di maniglia che azionana la pompa
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Carriola con serbatoio: sempre per diffondere pesticidi. Molto prima del trattore con atomizzatore
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Macchina della “pastura”; per sminuzzare i “canòti”, ovvero le piante del mais ed anche il fieno. La lama è costituita da un semplice ferro con maniglia, fissato per la punta
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Machina della “pastura” con la ruota di ferro
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Macchina per sgranare le pannocchie: i chicchi uscivano dall’imboccatura anteriore, mentre i tutoli, i “panocei” uscivano sul retro
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Macchina per sgranare le pannocchie
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Macchina per pulire i fagioli, il frumento, i cereali in genere
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A seconda del prodotto bisognava solamente cambiare i setacci interni
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Trebbiatrice: veniva portata sull’aia, sollevandola tramite le maniglie in basso. I covoni erano appoggiati sul ripiano di assi e poi fatti entrare dall’imboccatura
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Una sorta di pettine, sollevato per l’occasione, separava il grano dalla paglia
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Modello di trebbiatrice più moderno e di maggiori dimensioni. Veniva trainato in un’aia del paese e lì ogni contadino portava il proprio grano da trebbiare. Si fece una grande festa a Fiavè quando arrivo questa macchina. Anche perchè questa trebbiatrice veniva fatta funzionare con la corrente elettrica (visibili sulla fiancata gli interruttori). I tempi stavano cambiando anche per il lavoro nei campi …
I MESTIERI DI UNA VOLTA
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Pettine: Sega che serviva per fare scanalute che raggiungevano la profondità della lama
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Il “cortèl a dò maneghi”: per togliere la corteccia dai tronchi e per fabbricare manici per attrezzi di campagna
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Sega normale, con manico in ferro, elegante nella forma
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Sega con telaio
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Sega per cucina: veniva usata in casa per tagliare la legna da ardere. La si teneva tra le ginocchia
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Sega ad arco: con manico molto rudimentale e il segaccio
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Il compasso: strumento utile anche allora
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La “troela”: l’unico mezzo per poter forare il legno
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“Troèle”
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Un altro tipo di troela
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La “carèga”
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“Zàngola”: veniva messa qui la panna. Il late, lasciato tutta la notte in recipienti larghi, era spannato al mattino. Si toglieva cioè la panna formatasi per affioramento delle parti più grasse del latte
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“Zàngola”: la panna veniva sbattuta energicamente finchè si separava il burro dal latticello
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Chi aveva poco latte o lo lavorava in casa, prendeva la panna e la sbatteva nella “pinna”
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Forme per il burro
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Il latte scremato veniva messo nella “caldèra” e riscaldato; l’aggiunta di caglio provocava la coagulazione delle proteine del latte, ottenendo così la pasta di formaggio ed il siero. Mettendo la pasta in appositi stampi si ottenevano le forme di formaggio. Riscaldando ancora il siero si otteneva la ricotta. Il siero rimasto, “saroni” o “scota” veniva dato ai maiali
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La canapa, dopo essere stata tagliata ed essicata, veniva posta a macerare in acqua. Dopo alcuni giorni, i fasci venivano messi ad essicare al sole. Per separare la parte legnosa dalla parte fibrosa si batteva e maciullava cion questo apposito martello di legno
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La “gramola”: altro strumento per trattare la canapa
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Si passava poi alla pettinatura: prima con un attrezzo a denti larghi e poi con un pettine a denti più stretti per raddrizzare bene le fibre
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La lavorazione continuava con la filatura mediante “mulinel”
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“Mulinella”
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“Aspi” per avvolgere il filo
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“Guindol”: per ottenere dei gomitoli
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Fuso e rocca
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Matasse
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Gomitoli
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Macchina da cucire a pedale o a manovella
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Custodia in legno per macchina da cucire: una chiesa in miniatura
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Per formare le matasse si usavano anche i “canòi”
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Forbici per tosare le pecore
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La macchina del “moleta”, l’arrotino
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Due eleganti custodie per aghi e ferri da maglia
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L’arrotino pestava su un rudimentale pedale che metteca in funzione una ruota, Ad essa era collegata una cinghia di cuoio che dava il movimento alla mola
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Una mola casalinga, di modeste dimensioni
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Il mezzo carattristico del “moleta” era la bicicletta. Era dotata di due catene, una per la funzione consueta, l’altra per azionare la mola che era posta sopra il manubrio. All’occorenza la mola poteva essere spostata appogiandola alla ruota, a mo’ di carriola
APPENDICE
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Stadera o “pes”: bilancia costituita da un gancio superiore che veniva appeso con una corda alle travi del soffitto e da yba asta su cui scorreva il peso. Gli altri due ganci inferiori sostenevano solitamente i “retei” di fieno da pesare
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Bilancia a due piatti: su uno venivano messe le misure di peso (marchi) e sull’altra le cose da pesare
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“Sgàlmere”: scarpe caratteristiche per la suola in legno (faggio o pioppo)
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Ramponi: erano applicati alle scarpe con delle stringhe fatte passare negli anelli
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Le “grole”: trappola per combattere il nemico numero uno dei raccolti, i corvi
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Forca dai denti ricurvi: per vari usi
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Porta caratteristica delle case di un tempo
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El “cadenac”, modello più semplice di chiusura. L’anello e la sbarra traversale erano fissati all’esterno, il ferro più piccolo serviva per aprire e chiudere all’interno. Quello nella foto era montato su porte a doppio battente
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Orologio da taschino con catenella completamente in argento
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Vaso “ciapa mosche”: non è altro che un vaso di vetro con il fondo ripiegato verso l’interno e sostenuto da tre piedini. Sotto il vaso si metteva lo zucchero mentre nell’anello interno si lasciava cadere dell’acqua. Le mosche, attirate dallo zucchero, entravano subito, mangiavano allegramente e poi tentavano la risalita. Il vaso però veniva chiuso con un tappo e gli insetti giravano, giravano finché finivano per annegarsi nell’acqua
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