MUSSOLINI E IL GARDA – 8

“Polvere nera, i 600 giorni di Mussolini a Gargnano», stampato dalla Grafica 5 di Arco (Trento),  è il libro di Bruno Festa, che ha pubblicato una serie di altri lavori dedicati al lago di Garda: «Boschi, fienili, malghe a Magasa», «I luoghi della Rsi», «Viti, vini e vignaioli della riviera bresciana», “Pescatori”.

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Seicento pagine, proprio come i giorni trascorsi dal Duce, dall’8 ottobre 1943 al 18 aprile 1945, «in un paese pieno di pettegolezzi e di spie», pagine si storia, documentate, ricavate dal materiale degli archivi, dai giornali dell’epoca, da interviste ai sopravvissuti.

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«Ho confrontato migliaia di documenti – spiega Festa, di Gargnano, professore nelle scuole medie -, comparandoli con diari e altri scritti. Ho aggiunto i risultati di lunghe chiacchierate coi miei compaesani, che mi hanno indicato tracce utili a individuare luoghi e nomi. Volevo rispondere ad alcuni interrogativi: in che misura l’arrivo Mussolini ha influito sulla vita della popolazione, e quali conseguenze ha avuto? E la presenza per 18 mesi dell’apparato ministeriale e militare su gente tranquilla, avvezza a coltivare olivi e limoni, a praticare la pesca sul lago o l’allevamento in montagna?».

La ribalta romana e le adunate oceaniche facevano a pugni con la tranquillità di un borgo, quello gardesano, che temeva il rischio di altri bagliori: quelli dei bombardamenti, divenuti molto più probabili a causa di un personaggio così ingombrante. Festa ripercorre, in particolare, i movimenti di due figure di riferimento: il parroco, una persona dinamica, intenzionata a ottenere un utile concreto per la sua comunità (si comporta «con una agilità quasi spregiudicata»), e il Podestà, dalle idee meno sicure, ma che intuisce come la presenza del Duce potrebbe facilitare la realizzazione di opere pubbliche quali un nuovo acquedotto o la strada tra il centro e la 45 bis.

BRUNO FESTA

BRUNO FESTA

Alla fine le uniche conseguenze positive riguardano la costruzione del ricovero antiaereo. Le “SS” negano invece la fornitura di 400 quintali di cemento per una struttura identica a Villa. In mezzo a truppe italiane e germaniche, a funzionari e impiegati ministeriali, alla corte di familiari, segretari, apparati di sicurezza e diplomatici, questuanti e maneggioni, a volte ospiti forzati nelle case requisite (ben 400), ecco le persone «della porta accanto», che partecipano in modo dignitoso a una storia più grande di loro, contribuendo a dare un volto pulito a momenti tragici. Fino all’accaparramento e alla spoliazione delle sedi governative dopo il 25 aprile.

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«Il capo del fascismo non ama il lago, e sogna spesso di abbandonarlo – rammenta Festa – E quando se ne va finisce nelle braccia del suo tragico destino. La Liberazione è stata preceduta da azioni partigiane poco conosciute anche sull’Alto Garda. Alcuni episodi devono ancora essere chiariti, come l’alterazione o il furto di sette bauli di documenti, alcuni dei quali affidati al parroco, che denuncia il fatto; o le 80 casse ricolme di carte, immagazzinate a Palazzo Bettoni Cazzago, e sparite, probabilmente prelevate dagli americani».

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Un Libro insomma che accende i riflettori su Gargnano e su un periodo buio della storia gardesana e nazionale. Torniamo ai “misteri” di Salò.

Il carteggio Mussolini-Petacci fu al centro di processi che videro da una parte la famiglia Petacci, guidata da Miriam (sorella di Clara) prima contro i conti Cervis di Gardone Riviera, che custodivano il materiale, poi contro lo Stato italiano, che reclamava l‟imponente documentazione. I Petacci reclamavano la proprietà di lettere, diari, pellicce, profumi, scarpe, grammofono, macchina da scrivere che erano appartenuti a Clara.

MIRIAM PETACCI

MIRIAM PETACCI

I Cervis avevano accolto e mantenuto Clara e famiglia ricevendone, a loro dire, gli oggetti e le lettere in dono. Dopo intricate diatribe, il carteggio trovò ospitalità presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma, dove si trova ancora oggi. Il processo “Petacci – Cervis” si tenne a Brescia, tra giugno e luglio 1952. Possiamo ricostruirlo attraverso i servizi del Giornale di Brescia, che spiegano che sul banco degli imputati erano saliti “i coniugi Caterina e Carlo Cervis accusati di essersi appropriati di 30 valige, un baule e due casse contenenti effetti personali, scarpe, profumi, documenti, lettere e carte varie e la corrispondenza privata fra Claretta e il dittatore, buoni del tesoro, indumenti personali dell‟amante di Mussolini fra cui quattro pellicce (due di agnello di Persia, una di volpe argentata e un’altra di volpe azzurra)”. Il processo iniziò il 25 giugno 1952 di fronte ad un’aula strapiena di curiosi e giornalisti. Durante il dibattimento, il Presidente del Tribunale chiese a Caterina Cervis perché i Petacci (non solo Clara ma anche la famiglia) fossero stati mandati da lei, che li aveva ospitati “senza pretendere compenso”.

MARCELLO PETACCI

MARCELLO PETACCI

Nella sua risposta, Cervis raccontò che il 18 aprile 1945, giorno in cui Clara e Mussolini lasciarono il Garda per portarsi a Milano, “Claretta mi prese in disparte e mi mormorò: grazie per quel che avete fatto sinora per me, io vi affido le lettere scambiate in 13 anni fra me e lui. Se non dovessi più tornare date tutto il carteggio ai figli di mio fratello Marcello, quando avranno raggiunto la maggiore età. Tenga anche le mie pellicce: se non dovessi più tornare sono sue”. Marcello Petacci, però, finì fucilato a Dongo il 28 aprile 1945, assieme ad altri gerarchi del regime fascista.

CLARA PETACCI

CLARA PETACCI

Miriam Petacci, dal canto suo, esibì in tribunale una lettera nella quale Claretta le scriveva: “Tutte le mie carte sai dove sono. Conservale e rispettale. Tienile tu. Nessuno meglio di te può essere custode dei miei scritti, di tutta la mia anima trasmessa in fogli a lui. Troverai le sue lettere. Forse potrai col tempo rintracciarne altre”. Miriam, che era patrocinata dall’avvocato gargnanese Arnaldo Avanzini, sostenne che i Cervis si erano appropriati indebitamente del materiale.

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Il processo si concluse il 7 luglio. La sentenza, letta alle 18.45, riteneva “i coniugi Cervis responsabili di appropriazione indebita” ma accordava loro l’amnistia in base alla Legge Togliatti del 1946. Dopo successive battaglie legali e pronunciamenti di tribunali, il carteggio Mussolini-Petacci, con i diari ed altri documenti di grande valore storico ed umano, è stato accolto in maniera definitiva nell’Archivio Centrale di Stato a Roma.

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Torniamo indietro. Gargnano, 14 gennaio 1945. Benito Mussolini scrive a Clara Petacci, la sua amante. Della relazione tra Clara (che risiede a villa Fiordaliso e poi a Villa Mirabella di Gardone Riviera) e “Ben” (come la signora chiama confidenzialmente il duce del fascismo) è al corrente anche Rachele Guidi, moglie di Mussolini che, col marito ed i figli, abita a villa Feltrinelli di Gargnano. Le telefonate tra Benito e Clara sono frequenti e, tra i centralinisti, qualcuno che sta dalla parte di Rachele, mette la moglie tradita in condizione di ascoltare il colloquio tra il marito-dittatore e l‟amante, l’ennesima bufera tra Rachele e Benito è il risultato più immediato.

RACHELE

RACHELE

Ebbene, a fine gennaio 1945, a burrasca ancora in corso, Mussolini scrive da Gargnano una delle sue 318 lettere a Clara e accenna ad un particolare che non è poi così insignificante. “Mia cara, ecco i fatti: oggi alle 14.33 mentre salivo sulla torretta che deve essere demolita per via degli aerei, sono stato raggiunto da mia moglie. Ho subito capito che il ciclo della calma era finito. Non so come, essa aveva sentito la tua telefonata …”. Mussolini, nel descrivere l‟episodio, accenna solo per inciso all‟abbattimento della torretta che si innalza sulla sinistra di villa Feltrinelli, guardandola dal lago: è troppo occupato a respingere l‟ennesimo furioso attacco della moglie.

VILLA FELTRINELLI

VILLA FELTRINELLI

Tralasciando, però, le preoccupazioni personali di Mussolini, il tardivo abbattimento della torretta pone qualche interrogativo. Mussolini vive a Gargnano dall’8 ottobre 1943 e conosce il rischio di bombardamenti alleati sul paese, motivati soprattutto dalla sua presenza. Per questo si interessa di persona della costruzione del ricovero antiaereo pubblico nel capoluogo, cui seguiranno quelli a Villa e a Bogliaco. Un ricovero viene allestito anche alle spalle della villa Feltrinelli, uno all‟asilo di Gargnano ed un altro nei pressi di Palazzo Feltrinelli che, all’epoca della Rsi, è la sede delle Segreterie del duce. La domanda è semplice: quale rischio può effettivamente rappresentare la torretta di villa Feltrinelli per la vita di Mussolini? Se davvero è pericolosa, perché viene fatta abbattere solamente tra il febbraio e l’aprile 1945, cioè quando le truppe alleate stanno dilagando in val Padana ed il tracollo nazifascista è ormai palese?

PALAZZO FELTRINELLI

PALAZZO FELTRINELLI

Basti ricordare che, nell‟arco di un paio di mesi, tra il dicembre 1944 ed il febbraio 1945, il territorio di Gargnano viene colpito almeno quattro volte dagli aerei alleati: nella campagna di Muslone, in centro storico, a Villa e nei vigneti di Zuino. Carta geografica alla mano, nessuno di questi punti dista oltre 3 chilometri in linea d‟aria da villa Feltrinelli o Palazzo Feltrinelli, cuore del regime nero. A questo punto possiamo avanzare un paio di riflessioni. La prima è che appare chiaro che gli alleati non hanno voluto colpire palazzo Feltrinelli o la villa (ben individuabile anche senza torretta) come invece sarebbe stato loro possibile. Di conseguenza ci si chiede perché i loro attacchi abbiano solo sfiorato i principali edifici della Rsi.

KARL WOLFF

KARL WOLFF

L’altro pensiero è per Karl Wolff, capo delle SS in Italia, e Rudolph von Rahn, ambasciatore plenipotenziario del Reich in Italia, che devono “proteggere” Mussolini. Entrambi vivono a Gardone Riviera, 12 chilometri da Gargnano. Possibile che impieghino sedici mesi per appurare che la torretta (che si eleva per 3 o 4 metri su un lato della residenza privata del duce) è pericolosa? Se davvero quella torretta è pericolosa, chiedersi il perché di tanto ritardo è ancora più doveroso. Si tratta di due piccoli interrogativi, forse. Che vanno, però, a rafforzarne uno ben più grave: il capo della Repubblica sociale italiana aveva davvero, allora, ancora, un qualche peso politico?

CHURCHILL

CHURCHILL

Sono quasi sessant’anni che gli storici si interrogano se negli anni che precedettero e accompagnarono la Seconda guerra mondiale, ci fu o meno uno scambio di lettere segrete tra due personaggi all’apparenza lontanissimi: Benito Mussolini e Winston Churchill.

Nel maggio 1940 Churchill diventa primo ministro inglese. Sono quelli i giorni più difficili per le nazioni che si oppongono ad Hitler in Europa. Polonia, Danimarca, Norvegia, Belgio e Olanda sono invasi, in Francia gli eserciti di Parigi e Londra sono alle corde e sul punto di essere accerchiati. Sembra che il nazismo possa trionfare da una settimana all’altra. E’ questo il clima in cui secondo molti intercorsero contatti segreti con Roma per impedire che l’Italia entrasse in guerra. Secondo altri invece, inglesi e soprattutto i francesi, avrebbero chiesto a Mussolini di entrare in guerra per poi, una volta arrivati all’armistizio, influire su Hitler per moderare le sue richieste alle nazioni sconfitte. In entrambi i casi Mussolini avrebbe avuto grosse ricompense territoriali, soprattutto in Africa.

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Poi però la guerra prese una piega diversa. L’Inghilterra con l’aiuto degli Stati Uniti riuscì a fronteggiare l’emergenza. Già nel 1942 i rapporti di forza erano mutati. E con loro, le promesse di qualche anno prima cominciarono ad imbarazzare chi le aveva fatte, cioè Churchill. Chi le aveva ricevute, cioè Mussolini, pensò invece di usarle per ottenere buone condizioni di pace. Ma di questo ed altro parleremo nella prossima puntata.

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