MUSSOLINI E IL GARDA – 4

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a cura di Cornelio Galas

Tra l’autunno 1943 e l’aprile 1945, dunque, come abbiamo visto fin dall’inizio di questa serie di servizi,  Mussolini risiedeva a Gargnano, sul lago di Garda, a villa Feltrinelli. S’è detto della sua diffidenza per quei luoghi, della sua idiosincrasia per il lago. Ora analizziamo altri aspetti di quel “soggiorno”. Negli ultimi mesi di vita il dittatore fascista cercava di portare avanti una trattativa occulta con gli inglesi? Ci sono molti indizi che lo fanno pensare. Intercettazioni telefoniche e postali effettuate dai tedeschi, numerose dichiarazioni dello stesso Mussolini e testimonianze di suoi più stretti collaboratori: sarebbero insomma molte le tracce a riprova che ci sono stati dei contatti segreti tra il Duce ed emissari degli alleati.

MUSSOLINI CON GRAZIANI

MUSSOLINI CON GRAZIANI

Mussolini, il 10 settembre 1944, da Salò, così scrive al Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani: “Soltanto il carteggio, ormai voluminoso, in caso di bisogno, parlerà e spezzerà ogni lancia puntata verso di noi. Il solo conoscere dell’esistenza dei miei incartamenti fa paura a troppi, sia a Vittorio Emanuele sia a Badoglio. Ma anche lo stesso Churchill e lo stesso Hitler saranno obbligati ad attenersi ad una linea veritiera. Anche questo scopo verrà raggiunto”.

In un’altra lettera di Mussolini al Graziani si legge: “Al momento ritengo di grande importanza portare al sicuro questi incartamenti, in primo luogo lo scambio di lettere e gli accordi con Churchill. Questi saranno i testimoni della malafede inglese. Questi documenti valgono più di una guerra vinta, perché spiegheranno al mondo le vere, le sole ragioni del nostro intervento a fianco della Germania”.

MUSSOLINI CON RACHELE E I FIGLI EDDA E VITTORIO

MUSSOLINI CON RACHELE E I FIGLI EDDA E VITTORIO

Questo è il tono di una terza missiva mussoliniana inviata al canuto e longilineo Maresciallo d’Italia (7 marzo 1945): “Caro Maresciallo, Churchill sa che io ho le cartucce pronteCertamente si mangia le unghie per la sua lettera dell’ottobre 1940, ora che si trova nelle grinfie dell’orso rosso. E se io agissi? La sua posizione diverrebbe insostenibile, sarebbe la fine, potrebbe avere come conseguenza il suo siluramento. No, non sono di tale avviso. Per noi è un ponte, un appiglio in caso di estrema necessità.

CHURCHILL

CHURCHILL

 Tutto questo Churchill lo sa benissimo. Parlare di tutto questo a Hitler? Guai! Lui agirebbe subito, forse pregiudicando definitivamente tutto, con il suo temperamento, il suo caratteraccio. Si perderebbe con atti inconsulti. Vi ripeto Maresciallo, queste ultime armi morali devono essere custodite gelosamente. Dovessimo soccombere materialmente, moralmente saremo imbattuti, saremo invulnerabili. Gli stessi eventuali vincitori saranno i compromessi”.

MUSSOLINI CON PAVOLINI

MUSSOLINI CON PAVOLINI

Parlando al telefono, sempre da Salò, con Alessandro Pavolini (segretario del Partito Fascista Repubblicano) il capo del fascismo repubblicano dice: “Al momento ritengo che la cosa più importante ed utile sia il portare al sicuro le nostre carte, soprattutto la corrispondenza e gli incartamenti sugli accordi segreti con Churchill”. Il 15 aprile 1945 Mussolini si rivolgeva al suo vecchio amico Nicola Bambacci con queste parole: “Allo stato attuale poco mi resta. Solo le nostre carte possono essere la nostra salvezza materiale e morale. Dovessi essere assassinato o morire in combattimento, sfruttate i documentiè in gioco l’interesse della nazione”.

CLARETTA PETACCI A SALO'

CLARETTA PETACCI A SALO’

In una telefonata del 22 marzo 1945, Mussolini si confida con Claretta Petacci, esprimendosi in questi termini: “Lui (Pavolini) non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerraNon ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la conoscono solo cinque persone”.

Il 14 marzo 1945, il Duce scrive all’amante: “Claretta mia cara, hai ragione.Si avvicina il giorno in cui Hitler si convincerà della necessità di trattative dirette con l’Inghilterra. Lui conosce le mie possibilità. Però, agire d’accordo con Hitler significa rischiare di correre il pericolo di compromettere la nostra situazione e la nostra possibilità di salvare il salvabile. Agire di nostra iniziativa da soli? Non è consigliabile. Ma a chi rivolgerci?”.

PAOLO ZERBINO

PAOLO ZERBINO

Telefonando al ministro dell’Interno Paolo Zerbino (25 marzo 1945), il leader fascista gli ordina: “Fate meglio che potete. Sono già pronte tre fotocopie. Mandate subito il materiale a Milano. Le altre copie fatele portare qui, con gli originali. Per gli ultimi il luogo di destinazione è già scelto. Io stesso terrò poche carte. Non si sa mai a cosa si può andare incontro, e bisogna in ogni modo impedire che anche una piccola parte degli incartamenti possa cadere in mano a gente che abbia interesse a distruggerli o a nasconderli”.

ANGELO TARCHI

ANGELO TARCHI

Al suo ministro dell’Economia Corporativa, Angelo Tarchi, Mussolini  confida nel marzo del 1945: “Ho qui una documentazione della quale, data la sua estrema importanza internazionale, non ho ritenuto fare copia: io devo salvare questa documentazione e specialmente una parte di essa. Vedete in questa lettera di Churchill vi è il perché, il motivo per il quale l’Italia è entrata in guerra, è stato anzi il momento in cui tutto sembrava perduto per l’Inghilterra. Si è sperato che io potessi, nella vittoria dei tedeschi, mitigare lo smisurato potere di Hitler: questo è anche il motivo per il quale nel 1940 non riunii il Gran Consiglio per farlo deliberare sulla guerra, anche se ciò significava violazione dello Statuto”.

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Le stesse cose le rifersce Pino Romualdi, un altro fedelissimo del Duce. Il 20 aprile del 1945 al direttore del Popolo di Alessandria, Gaetano Cabella, Mussolini dice: “Io ho qui tali prove di aver cercato con tutte le lie forze di impedire la guerra che mi permettono di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e sulle conclusioni della storia. Non so se Churchill è, come me, tranquillo e sereno”.autoblinda

La guardia del corpo del dittatore, Pietro Carradori,  ha riferito di aver accompagnato due volte il leader fascista a Porto Ceresio, presso Varese, a un passo dalla Svizzera. Lì il Duce aveva appuntamento con fiduciari del governo britannico. Il Carradori sapeva, inoltre, di altri incontri riservati tra i belligeranti avvenuti sul lago di Iseo, nella casa di un noto costruttore d’armi. Mussolini, con la sua borsa di pelle da cui non si è mai separato fino al momento dell’arresto, partiva sempre da Gargnano. Qui, a guerra finita, sono arrivati detectives dei servizi segreti anglosassoni per cercare carte e documenti. Era la fase finale di una caccia iniziata già durante la guerra.

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Gli inglesi sapevano, infatti, che tra i dossiers del Duce c’era qualcosa che li poteva interessare, e non poco. Villa Feltrinelli è sta perquisita ed è stato stilato un lungo elenco dei documenti che vi erano stati ritrovati. Un rapporto conservato a Londra, all’archivio di Stato di Kew Garden, ci notifica quello che è stato reperito e, soprattutto, quello che non è mai stato restituito alle autorità italiane dopo essere stato opportunamente microfilmato dagli inglesi.

Sempre a Gargnano, a villa delle Orsoline, Mussolini aveva fissato il suo quartier generale quando governava la Repubblica Sociale Italiana (RSI). In questa villa c’era il suo ufficio e proprio in questa sede accade, nel febbraio 1945, un episodio molto eloquente. Convocato nel suo ufficio il direttore dell’Istituto Luce, Nino d’Aroma, Mussolini gli chiede se può far riprodurre segretamente circa 200 documenti. D’Aroma risponde che non garantisce l’assoluta segretezza dell’operazione e rimane basito quando Mussolini gli fa un’insolita domanda: “Conoscono l’inglese i vostri fotografi?”. Parlando con il D’Aroma il Duce ha specificato: “Trattasi di un grosso carteggio con capi di governo e di delicati ed esplosivi documenti che in un prossimo avvenire potrebbero essere carte risolutive per il gioco politico internazionale del nostro paese”.

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Da varie fonti si sa che negli ultimi mesi di vita Mussolini ha fatto fare varie copie di incartamenti e che ha affidato le sue carte riprodotte a varie persone (alla moglie Rachele, al ministro Carlo Alberto Biggini, all’ambasciatore giapponese Shinrokuro Hidaka, al colonnello dei servizi segreti repubblicani Tommaso David e a giovani miliziani che le dovevano portare in Svizzera tra cui il lestofante Enrico De Toma). Alcuni fogli li ha fatti bruciare dal figlio Romano al momento dell’epilogo. Gli originali li teneva sempre con lui, in una borsa di cuoio che non abbandonava mai o in una piccola busta di pelle marrone che custodiva gelosamente in una tasca interna della giacca.

CARLO ALBERTO BIGGINI

CARLO ALBERTO BIGGINI

A Milano, nei giorni immediatamente precedenti il 25 aprile 1945, il dittatore fascista si stabilisce nella Prefettura da dove partono gli ultimi tentativi per cercare di mediare un patteggiamento con i partigiani. E sempre nello studio milanese, il vecchio demiurgo riordina per l’ultima volta i suoi papiri. In questa stanza, la sera del 25 aprile 1945, prima di partire per Como, Mussolini si rivolge al suo attendente, Pietro Carradori, che così riporta il colloquio avvenuto tra lui ed il suo principale.

Erano quasi le 20: “Mussolini mi chiamò e, con una espressione seria e solenne, aprì un cassetto della scrivania, ne estrasse una borsa di cuoio marrone chiaro, con cerniera e senza manico, la stessa borsa, la riconobbi immediatamente, che aveva con sé le due sere degli incontri con emissari inglesi a Porto Ceresio, e mi disse queste precise parole: “Carradori, tutto potete abbandonare, meno questa borsa. Qui dentro ci sono i destini d’Italia””.

ROMANO MUSSOLINI

ROMANO MUSSOLINI

Lasciando definitivamente Villa Feltrinelli il 18 aprile del 1945, Mussolini entrò nel salotto dove suo figlio Romano stava suonando al pianoforte il “Danubio Blu ”.  Prese congedo da sua moglie e dalla famiglia, semplicemente dicendo loro che usciva per andare a Milano per una conferenza.

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Il successivo contatto avvenne il 23 aprile 1945 quando Mussolini parlò con sua moglie Rachele al telefono dicendole di fuggire dalla villa e andare alla vecchia residenza reale a Monza.  Si sarebbero ricongiunti presso il Lago di Como a Nord Milano ma l’incontro non avvenne mai.  Insieme alla sua amante fu catturato e fucilato il 28 Aprile dai Partigiani italiani mentre si nascondeva nei pressi del Lago di Como.

E nella Villa Feltrinelli non fu trovato nulla dagli uomini della decima Divisione da Montagna americana che verso la fine di aprile 1945 entrò nell’ultima dimora del Duce? Procediamo con ordine. Parliamo intanto di questa Villa.

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Costruita nel 1892, la villa era abitata dai membri dell’importante famiglia Feltrinelli che costruirono la loro fortuna nell’industria del legname.  Vissero nella bella casa fino a quando l’esercito tedesco la confiscò, nel 1943.  I tedeschi vi assegnarono una trentina di guardie delle “SS” per sorvegliare ogni movimento di Mussolini e militarizzare i dintorni della villa.  Essi avevano scavato un rifugio a prova di bomba con pareti di calcestruzzo, eretto piazzole per l’artiglieria comprese diverse armi contraerea e alla villa stessa era stata data una mano della famigerata vernice grigia da campo tedesca.

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Mussolini, come abbiamo già visto, non era tanto un residente della villa quanto un prigioniero. Circondato da soldati tedeschi, ogni sua decisione era esaminata dai comandanti tedeschi, Mussolini sembrava ben consapevole del suo status.  Il dittatore assediato parlava della villa come di uno “scuro e fosco posto ”, una dichiarazione più adeguata al suo stato d’animo che alla descrizione della sua nuova casa. Trovò spesso sollievo con sua amante, Claretta Petacci, che fu convenientemente  trasferita alla vicina Villa Fiordaliso.

Torniamo all’intervento degli americani sul Garda. Gli esplosivi avevano demolito il primo dei sei tunnel lungo la strada sulla costa orientale del Lago, rallentando l’avanzata dell’86° reggimento fino a quando furono requisiti dei Dukws (camion anfibi) per aggirare il tunnel demolito. Come si trovarono al largo, proiettili di contraerea esplosero sopra di loro e la pioggia di schegge uccise almeno un soldato.

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Una volta sbarcati, gli uomini continuarono per la strada.  Il 29 aprile 1945 mentre membri del 86°reggimento stavano entrando nel quinto tunnel, un colpo sparato con precisione da un 88 mm. tedesco esplose all’interno, uccidendo quattro soldati e ferendone molti altri. In aggiunta all’orrore della scena c’erano i corpi di dodici soldati tedeschi, vittime di un fallito tentativo di sabotare il tunnel con esplosivi.

Lo stesso giorno, iniziarono i preparativi per catturare la Villa di Mussolini, o il “castello” come veniva chiamata da molti soldati.  Visibile sul lato occidentale del lago, la villa era stata sotto sorveglianza dagli alleati sin dal loro arrivo.  L’operazione si sarebbe potuta rivelare molto pericolosa poiché il giorno precedente erano stati visti dei soldati tedeschi spostarsi a nord lungo la strada principale.

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Diverse strutture insolite, di colore grigio biancastro, erano state viste nei pressi del villa ed erano state percepite per un qualche tipo di fortificazioni militari o bunker.  Inoltre si profilava sulla villa un minacciosamente struttura simile ad una torretta perfetta per il posizionamento di mitragliatrici o artiglieria contraerea.

Il tenente Eugene Hames, comandante di un plotone della compagnia K dell’85° reggimento, fu uno degli uomini selezionati per condurre l’operazione. Gli altri comandati all’operazione furono il Capitano Cooper sempre della compagnia K, il tenente Bogan della compagnia M e il comandante operativo del battaglione maggiore Eric Wikner.

Il piano iniziale era che il venticinquenne tenente Hames, accompagnato da dieci uomini del suo plotone, attraversasse il lago a metà del pomeriggio su un motoscafo e catturasse la villa.  Tuttavia l’operazione fu presto modificata dalla sua concezione originale.

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Quando il tenente Hames fu nell’area del plotone per selezione gli uomini per la missione, arrivò una jeep con un colonnello sul sedile del passeggero. Ascoltò con pazienza tutti i dettagli, quindi il colonnello rispose, “questo non mi piace, tenente.” “Neanche a me, signore”, rispose francamente il tenente Hames. Il colonnello decise che sarebbe stato meglio rinviare la missione fino a quando non fosse stato stabilito un piano alternativo.

Il colonnello, che molto probabilmente salvò la vita dei dieci uomini ritardando la missione, non avrebbe mai avuto la possibilità di sentire la notizia della sua esecuzione con successo.  Egli fu ucciso da un proiettile dell’artiglieria tedesca il giorno in cui venne occupata la villa, mentre era fuori dal quartier generale provvisorio della decima divisione di montagna a Torbole sul Garda.

Il colonnello era William O. Darby, che aveva addestrato e comandato il primo battaglione Ranger che aveva combattuto coraggiosamente attraverso il Nord Africa. A quel tempo il colonnello Darby era assistente del Comandante di Divisione per la decima Divisione da Montagna, quasi alla fine della guerra.

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Tuttavia, prima della morte di Darby, gli ordini furono modificati sostanzialmente.  In primo luogo la missione sarebbe stata effettuata da una task force speciale comandata dal Maggiore Eric Wikner, comandante operativo del 3° battaglione.  La forza di attacco sarebbe consistita in tutta la compagnia K, comandata dal Capitano Richard Cooper e da un plotone di mitragliatrici pesanti dalla compagnia M, comandato dal 1° tenente  Henry Bogin.

Con i tedeschi individuati attraverso il lago, la potenza di fuoco supplementare delle loro mitragliatrici calibro 30 avrebbe potuto essere necessaria. In secondo luogo, l’operazione era prevista di notte anziché l’assalto originale alla luce del giorno.  In terzo luogo, gli ordini erano di avere la task force in viaggio sul Garda in diversi Dukws invece che su motoscafi.

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Verso l’1.30 di notte del 30 aprile, i Dukws partirono dall’area di assembramento a San Zeno. Disposti in formazione sfalsata, il viaggio richiese un’ora per attraversare le quattro miglia di lago. Sebbene le tenebre nascondessero le loro posizioni, il rumore dei motori delle barche eliminava ogni possibile speranza di un attacco di sorpresa.  Negli anni successivi il tenente Hames ha affermato “Mi ricordo che pensai che quello che stavamo facendo era paragonabile ad andare a caccia del fagiano cavalcando un trattore Ford.”

Raggiunta la riva opposta due miglia a nord della Villa, i motori furono spenti e i veicoli scivolarono a riva.  Gli uomini procedettero a scaricare, più presto possibile, supponendo che se i tedeschi avessero lanciato un contrattacco sarebbe innanzi tutto iniziato con un bombardamento dell’area di sbarco.  I Dukws furono lasciati all’area di sbarco in caso di ritiro o se si fosse resa necessaria l’evacuazione. Appena gli uomini si spostarono verso la strada rilevarono delle terrazze che erano alte diversi piedi. Essi le superarono rumorosamente e avanzarono verso la villa.

VILLA FELTRINELLI

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La notte era molto scura e un uomo anziano, italiano, si avvicinò loro su una bicicletta.  Per fortuna egli non fu ucciso dai soldati in avanscoperta e comunicò che i tedeschi avevano lasciato la città il giorno precedente.  Questo era il movimento tedesco che aveva osservato il tenente Hames.  Avanzando verso la villa scoprirono, con loro grande sollievo, che le insolite fortificazioni erano in realtà un frutteto di limoni o “limonaia ”.  Le colonne di roccia grigio-biancastra avevano travi che le univano tra loro e che supportavano la frutta durante la crescita.

Arrivati sui terreni della villa, diverse squadre continuarono ad avanzare verso la città di Gargnano.  Furono disposti diversi blocchi stradali lungo le strade tortuose mentre il tenente Hames creava un perimetro intorno alla proprietà. Piazzate delle guardie all’ingresso posteriore, cautamente entrò nella villa con pochi altri attraverso la porta anteriore.

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Facendosi strada all’interno  della villa la trovarono come se Mussolini fosse appena uscito per la serata. Tutti i suoi effetti personali e altri oggetti erano ancora al loro posto.  La grande cucina era piena di prodotti alimentari e le camere da letto erano lussuosamente arredate e complete di lenzuola pulite sui letti.  Con le sue uniformi ancora appese nell’armadio. La camera da letto di Mussolini divenne rapidamente il posto di comando.

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Una stanza che sembrava essere un farmacia dette prova della mancanza di salute di Mussolini verso la fine della guerra. Essa conteneva numerosi tipi di pillole e farmaci vari, compresi quelli per curare le sue sofferenze da un’ulcera duodenale e blocco del dotto biliare. Come abbiamo già scritto presso la villa, Mussolini aveva anche un medico tedesco nominato da Hitler che gli fece iniezioni di vitamina e ormoni.

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All’interno della sala da pranzo il tavolo enorme era preparato come se un pasto fosse stato da servire a breve.  Il soldato Harold Sutton, un mitragliere della compagnia M fu tra quelli che entrarono nella sala da pranzo.  Egli ha ricordato “appeso sopra il tavolo si trovava il più bel lampadario che io abbia mai visto ”.

Diversi elementi di interesse storico furono trovati nella villa: spade donate al l Duce  da Hitler e Hirohito insieme ad un inestimabile violino Stradivari.  Sono state trovate anche diverse medaglie di cui una di una scuola di arrampicata in montagna. E c’era anche un regalo di Papa Pio XII. La maggior parte di questi preziosi oggetti  ha preso la strada verso gli Stati Uniti e fa ancora parte di collezioni personali.

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Nei terreni attorno alla villa i soldati hanno continuato a trovare altri oggetti di lusso, ma a differenza di quelli all’interno, questi furono lasciati per il comfort e l’utilizzo da parte dei nuovi occupanti.  Il molo di fronte della villa era intatto, ma una bella barca con un motore entrobordo, era stata distrutta ed era parzialmente sommersa.  Due Mercedes nere erano all’interno di un grande garage e loro motori erano stati rovinati da granate di fosforo posizionate strategicamente.

Dalle 8.15 del 30 aprile, la villa era stata messa in sicurezza come ordinato senza sparare un colpo. Gli uomini passarono la settimana seguente esplorando i villaggi vicini e a godere della villa, facendo a turno per dormire nel grande letto di Mussolini.  Molti andarono a Gargnano per acquistare dei souvenir, spedire lettere, consumare pasti e fare una doccia calda.

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Il 2 maggio 1945 mentre erano ancora alla Villa arrivò la notizia che avevano atteso per lungo tempo:“l’Esercito Tedesco in Italia si era arreso”   Gli uomini erano esaltati dalla notizia ma di nuovo nervosi poiché gli era stato ordinato di spostarsi a Udine, nell’Italia nord-orientale, vicino a Trieste. Insieme con l’Ottava Armata Britannica, dovevano impedire qualsiasi ulteriore movimento verso ovest da parte delle forze della Jugoslavia.  Alla fine i comunisti cedettero evacuando la zona, mettendo così fine alla guerra per i soldati dei 10aDivisione da Montagna.  Le perdite totali della divisione in Italia sono state di 975 uccisi in azione e 3.891 feriti in azione.  Incluso in questi numeri ci sono i 62 Kia (Killed In Action – Ucciso in azione) e 270 Wia (Wounded In Action – Ferito in azione) della battaglia per Lago di Garda.

GIANGIACOMO FELTRINELLI

GIANGIACOMO FELTRINELLI

Dopo la guerra la proprietà della villa fu trasferita nuovamente alla famiglia Feltrinelli.  Giangiacomo Feltrinelli fu il leader della casa editrice di famiglia e aderì più tardi al partito comunista.  Fu un candidato per le elezioni del 1948 in Italia e utilizzò la villa per promuovere la propaganda politica. Alla morte di Giangiacomo, a seguito della sua partecipazione al terrorismo politico, la villa è stata per lo più disabitata nel corso del 1960 fino a quando il figlio Carlo ha deciso di venderla.

BOB BURNS

BOB BURNS

Nel 1997,  l’albergatore Bob Burns ha acquistato la villa che ha subito un restauro durato cinque anni. A causa del significato storico della villa il restauro incluse i negoziati con le Autorità Italiane di Conservazione e anche con la nipote di Mussolini, Alessandra, che credeva che la proprietà potesse servire come memoriale per il famoso nonno.

Adesso è il Grand Hotel Villa Feltrinelli ed è aperto al pubblico.  Anche se le tariffe di soggiorno sono alte per il budget del viaggiatore medio, il turista può godere del suo tempo nella villa in una delle sue tredici camere, due delle quali dispongono di terrazze all’aperto.  All’interno della villa si trovano oltre settanta pezzi di mobili antichi originali. Ogni camera ha il proprio bagno con i pavimenti di marmo riscaldati.

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Le camere da letto sono solo alcune delle camere eleganti all’interno della villa.  Ci sono anche altre lussuose stanze pubbliche, compresa una libreria con letteratura classica e vecchie riviste National Geographic e Life.  Nascosto in una cabina c’è un grande schermo al plasma che offre agli ospiti una grande varietà di film.  Gli ospiti possono incontrarsi nel salone, una bella sala di ritrovo con soffitti affrescati e un pianoforte a coda.

Altri servizi disponibili sono tour personali del Lago di Garda a bordo de “la Contessa ”, la barca di lusso, di proprietà della villa, di cinquantadue piedi, massaggi terapeutici sia all’interno che all’esterno e un parco di otto acri. All’interno del parco, ci sono percorsi illuminati, la limonaia originale costruita nel tardo 1800 (le strutture che osservarono i soldati) e dei residence individuali.

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I quattro residence si trovano nell’ambito di terreni perfettamente curati e sono per gli ospiti che desiderano una permanenza più riservata ma che vogliono godere la bellezza della villa.  Ciascuna di queste offerte è unica e sono chiamate La Limonaia, Casa di Fiori, Casa Rustica, e La Rimessa per le Barche.

 Il rifugio anti-bomba in calcestruzzo,  che era stato scavato dai soldati tedeschi, ospita ora grandi generatori che aiutano a fornire energia elettrica alla villa.  Tuttavia, una caratteristica ora assente è la grande struttura a torretta che è stata abbattuta un giorno imprecisato dopo la fine della guerra ma prima dell’acquisto da parte di Mr. Burns.

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L’occupazione dell’ultima residenza di  Benito Mussolini è stata nascosta negli annali storia della seconda guerra mondiale e la storia è relativamente sconosciuta al di fuori del cerchio dei veterani della 10a Divisione da Montagna e dei loro discendenti.  Si è atteso a lungo che la storia di questa operazione unica fosse condivisa pubblicamente al di fuori di questo cerchio. Per gli uomini che vi hanno partecipato sarà per sempre ricordato il giorno in cui catturarono “il Castello di Mussolini”.

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