I RAPPORTI ITALO-TEDESCHI AI TEMPI DI SALO’
a cura di Cornelio Galas
Nel libro “Mussolini e il diplomatico. La vita e i diari di Serafino Mazzolini, un monarchico a Salò”, di Scipione Rossi, detto Gianni Scipione Rossi (Viterbo, 9 novembre 1953, giornalista e saggista italiano) edito nel 2005 ci sono importanti riferimenti ai rapporti italo-tedeschi di quegli anni.
.Si sa in quali concitate circostanze il governo repubblicano si andava costituendo. Particolarmente laboriosa fu l’individuazione di una soluzione per il Ministero degli Esteri. La ricostruzione di Renzo De Felice resta la più verosimile. “Per gli Esteri – scrive lo storico – pare che Mussolini avesse pensato all’ex ambasciatore a Mosca Augusto Rosso”, che però rifiuta. “Pavolini – continua De Felice – pensò allora a Camillo Giuriati.
A mettersi in contatto telefonico con lui fu Anfuso, che nel frattempo aveva raggiunto Mussolini in Baviera a Hirschberg […]. Il risultato non fu però migliore. Giuriati disse ad Anfuso che sarebbe stato disposto a servire Mussolini, ma che era monarchico. Anfuso propose allora altri quattro nomi: Raffaele Casertano, Attilio De Cicco, Serafino Mazzolini, Attilio Tamaro. Con nessuno di costoro né Pavolini né Buffarini Guidi furono però in grado di mettersi in contatto. Tornata la palla ad Anfuso, questi riuscì finalmente a parlare con Mazzolini.
Nel frattempo, sotto l’urgere dei tempi e delle insistenze di Buffarini Guidi, Mussolini si era però rassegnato ad assumere lui stesso il dicastero degli Esteri. Mazzolini […] fu così nominato segretario generale dal ministero, incarico dal quale sarebbe stato successivamente promosso (7 marzo 1944) a quello di sottosegretario, con funzioni che di fatto sarebbero state quelle di un vero e proprio ministro”.
Mazzolini non era dunque la “prima scelta”. Era noto per essere sodale di Federzoni e fedele a Casa Savoia. Probabilmente Anfuso non si aspettava, telefonandogli, una adesione entusiastica. Ed entusiastica, in effetti, non fu. Perplesso, il 24 settembre prende ventiquattro ore di “pausa di riflessione”. Poi chiede di parlare direttamente con Mussolini, nel frattempo giunto alla Rocca delle Caminate. Con i ministri raggiunge la Rocca il 27 sera. Discute del suo ruolo con Pavolini e Buffarini. Lui preferisce essere nominato segretario generale piuttosto che sottosegretario.
Il 28 incontra Mussolini. E scrive nel diario: “Il Duce mi riceve alle 13. È fisicamente deperito ma lo spirito è vigile, lo sguardo come sempre. Conviene sull’opportunità che io assuma come Segretario Generale. Nessuna coazione ai funzionari che avranno con lo Stato solo rapporti di impiego. Gli parlo della convivenza coi germanici e gli riferisco i termini d’un colloquio avuto poco prima col Ministro Rahn. Credo adotterà decisioni per chiarire. Ha parole dure per Badoglio. Esco soddisfatto”.
Poche righe, che aprono una nuova pagina nel diario di Mazzolini. D’ora in avanti, fino al 14 febbraio del 1945, quando sopraggiunge la crisi diabetica, il diplomatico registrerà – sia pure sinteticamente – i suoi quasi quotidiani incontri con Mussolini, annotandone umori, preoccupazioni, delusioni. Dovute alla gravità della situazione nel suo complesso, ma in primo luogo – come dimostra proprio il tenore di questo primo appunto – alle difficoltà dei rapporti con l’occupante tedesco. Poche righe che dimostrano anche come la partecipazione di Mazzolini all’ultima avventura del fascismo, nonostante la fede monarchica, sia stata consapevolmente politica, e non meramente “tecnico-professionale”.
Nel suo caso, il tradimento della memoria è a tutto tondo. Riguarda sia chi ne sminuisce il ruolo, sia chi al contrario impropriamente lo ingigantisce. È il caso, quest’ultimo, dell’attendente di Mussolini, Piero Carradori, che ritiene di ricordare un Mazzolini impegnato, con Graziani, a convincere un Mussolini titubante ad assumere la guida della Rsi. Carradori racconta di aver sentito, alla Rocca, Mazzolini scongiurare il Duce. ‘Se vi tirate indietro – gli avrebbe detto – c’è il rischio di deportazione di tutti i maschi italiani. Questo, mi dicono da Berlino, è il progetto del Fürher’”.
Una testimonianza non attendibile se non altro per una questione di date. Ammesso che Mazzolini non abbia voluto riportare l’intero contenuto del suo primo colloquio con Mussolini, questo è sicuramente avvenuto a fine mattinata del 28 settembre, quando il Duce ha già presieduto la seconda seduta del Consiglio dei Ministri. Se il tenore del colloquio fosse stato quello ricordato dall’attendente, se ne dovrebbe dedurre che Mussolini non fosse ancora convinto del suo ruolo. Un’ipotesi che non trova alcun riscontro, né coevo né successivo.
A parte Carradori, tutte le altre testimonianze su Mazzolini sono convergenti: un bravo diplomatico, un “signore”, fedele alla Repubblica intesa come titolare della continuità istituzionale dello Stato, ancora fiducioso nelle capacità di Mussolini e affascinato dal suo carisma.
Per l’interpretazione politica del suo ruolo nella Rsi come “tecnico” – interpretazione accettata anche da Renzo De Felice – fondamentale risulterà in primo luogo la testimonianza di Alberto Mellini Ponce de Leon, suo capo di gabinetto a Salò. Console generale, fascista, in passato in contrasto professionale con Mazzolini nella gestione dei rapporti con gli arabi, Mellini rende onore al “galantomismo” del sottosegretario accentuandone le preoccupazioni per la funzione apolitica della diplomazia e i contrasti tra il Ministero degli Esteri e il Partito Fascista Repubblicano.
Anzi, proprio il “galantomismo” unanimemente riconosciuto finisce col rappresentare il punto d’appoggio di una tesi indimostrata. Dalla pubblicazione delle memorie di Mellini, nel 1950, bisogna attendere 32 anni perché vengano alla luce quelle di un altro stretto collaboratore di Mazzolini, Luigi Bolla. Non fascista, Bolla giustifica la sua presenza a Salò sostanzialmente con motivazioni “alimentari”, esalta il proprio presunto ruolo di strenuo difensore della “carriera” dalla politica e proietta sul sottosegretario i propri sentimenti, salvo criticarlo quando, nonostante il “galantomismo”, si farebbe irretire della politica.
La terza e ultima diffusa testimonianza sul sottosegretario si deve a un altro diplomatico, Ettore Baistrocchi. Vice console di Mazzolini a San Paolo, in realtà la sua è solo una testimonianza umana sull’amico scomparso, spesso imprecisa e legata alla memoria degli anni sudamericani. Per il periodo saloino Baistrocchi si limita a rilanciare le impressioni di Mellini e Bolla, non essendo testimone diretto. Ha incontrato Mazzolini l’ultima volta nel 194o. Nel 1943 è in Giappone, da dove non aderisce alla Rsi e viene internato.
Resta dunque solo da chiarire perché Mellini e Bolla travisino la figura di Mazzolini. La risposta va ricercata nel clima del dopoguerra. Sia Mellini sia Bolla vengono prima epurati e in un secondo momento reintegrati. L’essere stati al Nord pesa come un macigno sulla loro carriera. L’unica difesa possibile – per l’antifascista Bolla anche sul piano etico – è nel chiamarsi fuori dal nodo politico e dipingersi come semplici dipendenti dello Stato. Se anche Mazzolini è a Salò solo un “tecnico”, la loro versione risulta più credibile.
La sua morte prematura non gli consente di replicare. E d’altra parte è noto che – da Graziani a Pisenti, solo per fare due esempi – sono in molti i gerarchi repubblichini che rivendicano il loro ruolo prevalentemente tecnico e patriottico nei ranghi di una Repubblica “necessaria” per arginare i tedeschi.
Per i sopravvissuti il problema è rappresentato dal confronto con i diari di Mazzolini. Un problema che Mellini affronta direttamente, mentre Bolla – trent’anni dopo – lo evita con cura.
L’esistenza dei diari viene alla luce nel febbraio del 1949, quando Attilio Tamaro li cita la prima volta in un fascicolo di Due anni di storia, che esce a puntate per l’editore Tosi. L’ex diplomatico aveva contattato a Gubbio Cesare Minelli, ex ufficiale di complemento della Gnr, che a Salò svolgeva le funzioni di segretario particolare dello zio. Alla morte di Mazzolini, Minelli aveva nascosto i diari – le agende 1939-1945 – e altri documenti, affidandoli alla futura moglie. Arrestato dai partigiani il 27 aprile, rientra a Gubbio in agosto con le carte, che rifiuta di consegnare all’altro zio, Quinto Mazzolini.
Cede invece a Tamaro, nel 1948, i diritti all’utilizzazione del materiale e gli consegna le agende 1943-1945 e le altre carte, tra le quali la minuta della lettera di Mussolini a Hitler del 4 ottobre 1943.
Tamaro utilizza i diari e, in particolare, tre appunti volanti relativi a confidenze di Mussolini su Ciano, il processo di Verona, Edda. Poi, d’accordo con Cesare Minelli, li passa a Mellini che sta lavorando alle sue memorie e ne pubblica alcuni stralci in appendice, tralasciando però gli appunti relativi al periodo 25 settembre 1943-10 ottobre 1943, cioè i giorni in cui maturano le scelte di Mazzolini e il diplomatico deve affrontare i primi problemi “di governo”.
I diari e gli appunti volanti tornano poi a Gubbio, dove Cesare Minelli li conserva con i ricordi dello zio senza più preoccuparsene, fino alla morte sopravvenuta nel 1997. Nessuno li cerca più. Nessuno sa che esistono anche le agende 1939-1942. Tutte le citazioni di Mazzolini successive al 1950 sono riprese da Tamaro o Mellini. Anche De Felice, nel citare l’appunto volante del 12 gennaio 1944 su Ciano, lo riprende di seconda mano da una versione imprecisa pubblicata da Baistrocchi, che aveva ottenuto da Minelli le fotocopie degli originali, senza riuscire a decifrarne completamente la calligrafia.
È noto che la tesi dei reduci saloini della Rsi come “repubblica necessaria” per contenere gli effetti della occupazione tedesca – che ha come corollario la “nazionalizzazione” dei 18 mesi di Salò – è stata oggetto di argomentate contestazioni. Se non c’è dubbio che, sul piano concreto, la sovranità del governo repubblicano ebbe serie difficoltà ad affermarsi in senso pieno e la capacità della Rsi di arginare gli occupanti fu ridotta, altrettanto indubitabile è tuttavia che – ponendosi nell’ottica dei dirigenti saloini e dello stesso Mussolini – questo era l’obiettivo. O, almeno, questo era l’obiettivo percepito.
Al di là del velleitarismo ideologico della componente estremista del neo-fascismo – da Pavolini a Preziosi – e dei socializzatori, la Rsi nel complesso fu vissuta su due fronti paralleli: da un lato la continuazione della guerra contro gli angloamericani e a fianco dei tedeschi per salvaguardare l’onore della Patria incrinato dall’armistizio; dall’altro come quotidiano sforzo per garantire la sovranità italiana sul territorio nazionale.
Su entrambi fronti il rapporto con i tedeschi, al di là delle affermazioni di principio, non poteva che essere e in effetti fu di perenne contrasto. Come Anfuso a Berlino, Mazzolini a Salò fu protagonista e insieme spettatore di questo dramma, il cui attore principale è naturalmente un Mussolini dall’umore altalenante tra ottimismo illusorio e depressione, sia nei confronti delle prospettive belliche, sia nel rapporto con l’alleato germanico.
I diari di Mazzolini nella sostanza confermano le preoccupazioni del Duce, il problematico rapporto con Hitler, considerato alternativamente un amico fedele e un avversario. Si sa come la necessità di fissare dei paletti nei rapporti con i tedeschi sia stato argomento già del primo colloquio tra Mussolini e il capo della nuova diplomazia italiana.
La questione si ripropone ciclicamente fino agli ultimi giorni di vita di Mazzolini. Lo schema si ripete con una costanza impressionante. Dai membri del governo e dalle province si segnalano a Mussolini le prevaricazioni tedesche. Mussolini nei casi più gravi – al di là dei due vertici di aprile e luglio 1944 – scrive a Hitler; in tutti gli altri affida a Mazzolini la trattativa con l’ambasciatore Rahn o gli sollecita un intervento di Anfuso a Berlino.
Di norma viene coinvolto l’ambasciatore nipponico Hidaka, che svolge in qualche modo il ruolo di notaio dell’insoddisfazione italiana, essendo inimmaginabile una sua effettiva capacità di pressione sui tedeschi. La questione è sempre aperta e resta, naturalmente, insoluta. Gli appunti di Mazzolini – di cui pubblichiamo alcuni stralci – rappresentano in questo senso un’autorevole conferma.
DAL DIARIO …
4 ottobre 1943 – Il Duce mi riceve subito e mi intrattiene a lungo colloquio. È assai contrariato per l’invadenza germanica in tutti i settori della vita nazionale, invadenza che pone il Governo e lui che ne è a capo in una situazione che rasenta il ridicolo. Ha scritto in proposito una lunga lettera al Fürher di cui mi consegna la copia dopo avermela letta, lettera che sarà consegnata da Graziani a Hitler. Il Duce mi dà incarico di consegnarne copia all’Ambasciatore del Giappone e di pregarlo di intervenire presso Hitler.
7 ottobre 1943 – Parlo al telefono col Duce. Egli è sempre preoccupato della possibilità funzionale del Governo di fronte alla invadenza militare germanica.
26 novembre 1943 – Alle 17 ho un lungo colloquio col Duce. Lo trovo molto depresso. La politica delle autorità germaniche nelle dieci provincie di confine lo turba. Mi dice che non potrà presentarsi alla Costituente se non dopo aver avuto garanzie che quelle terre sono e rimarranno italiane.
26 febbraio 1944 – Lungo rapporto dal Duce che trovo di cattivissimo umore ed assai preoccupato delle solite interferenze tedesche i tutti i settori della vita del Paese. La tensione tra lui e l’Ambasciata è davvero preoccupante. Anfuso che arriva poco dopo mi dice che il Fürher inviterà il Duce ad un incontro. La notizia mi fa molto piacere. L’incontro potrà dare ottimi frutti. Nel pomeriggio vedo l’Ambasciatore Rahn assai preoccupato a sua volta per alcuni atteggiamenti del ministro Tarchi.
4 marzo 1944 – Nel pomeriggio vado dal Duce che mi impartisce istruzioni in merito alla presentazione delle credenziali dell’Ambasciatore del Giappone. Alla cerimonia, che avrà luogo il giorno otto, il Duce intende imprimere carattere di particolare solennità anche per sfatare le voci secondo le quali proprio in quel giorno i tedeschi dovrebbero eliminare il Governo e procedere alla occupazione integrale dell’Italia.
9 aprile 1944 – Vado a rapporto dal Duce. Non lo trovo di buon umore. Quando gli auguro la Buona Pasqua mi ringrazia e mi dice: non è buona questa Pasqua! Non è persuaso che l’incontro col Fürher dia effetti.
23 aprile 1944 – Il Fürher marca la nota della cordialità: esamina il problema italiano, ha parole dure per i traditori ed assicura il Duce che egli considera lui come solo alleato per l’amicizia che a lui lo unisce per l’identità ideologica delle due rivoluzioni. I colloqui si concludono in un clima di caldo cameratismo che si rinnova al momento del commiato. Il Duce è raggiante!
20 giugno 1944 – Il Duce mi parla della situazione interna che giudica criticissima anche per l’impossibilità materiale in cui ci troviamo di armare gente per la solita persistente incomprensione dei militari germanici. Il Duce desidera che l’Ambasciatore Hidaka sia al corrente della situazione.
31 agosto 1944 – Consiglio dei Ministri. Il Duce fa un’ampia esposizione sulla nostra situazione politica interna e pone in rilievo la condizione di disagio in cui il Governo viene posto dalle continue interferenze di troppi organi germanici. La casistica e le prove che il Duce porta sono impressionanti. Alla fine egli propone di parlar chiaro ai tedeschi e per essi a Rahn al quale porrà il dilemma: o il Governo sarà posto in condizione di funzionare o il Governo si dimetterà. Il Duce ha parlato per oltre due ore ed ha avuto accenti di amarezza profonda.
18 settembre 1944 – Importante riunione del Consiglio dei Ministri. Il Duce fa una dettagliata relazione sulla situazione militare, politica ed interna. Documenta come egli si sia opposto e si opponga alle stolte rappresaglie volute dai militari germanici. Io sono buon testimonio di quanto il Duce asserisce. Proprio ieri ho consegnato a Rahn una documentata e forte lettera del Duce in materia.
8 ottobre 1944 – Trovo il Duce molto depresso: Kesserling non vuole che le nostre truppe si battano, in Germania minacciano di sciogliere le due divisioni che sono lassù in attesa d’impiego. Le interferenze nell’interno continuano, la pressione nemica si accentua. Il Duce pronunzia frasi accorate ed amare sul destino riservato al popolo italiano.
31 ottobre 1944 – Presento al Duce una nota di reclamo per l’ambasciata sulle spoliazioni che vengono fatte dai germanici in Emilia. Il Duce l’approva ed ha ancora una volta accorati accenti sull’incomprensione tedesca che scava solchi sempre più profondi tra i due popoli.
4 novembre 1944 – Il Duce riceve Anfuso in mia presenza. Il Duce lamenta come sempre le incomprensioni dei tedeschi nei nostri confronti ed Anfuso gli fa un quadro realistico della situazione come egli la vede da Berlino. Esprime il suo giudizio sull’attività di Rahn a suo avviso estensore delle volontà del Fürher il quale non desidererebbe affatto una affermazione del prestigio del governo repubblicano. Hitler vede soltanto l’interesse della Germania e non si accorge che non fa neppure quelli tenendo come tiene l’Italia in stato di semivassallaggio, permettendo come permette la sistematica opera di spoliazione che minaccia di ridurci al lumicino.
15 novembre 1944 – Il Duce mi consegna copia della lettera pel Fürher che ha consegnato pel recapito a suo figlio Vittorio. Nella lettera il Duce esprime il suo pensiero sulla situazione ed esorta il Fürher a riprendere l’iniziativa sul fronte italiano che presenta possibilità di rapido successo specie nel periodo invernale.
19 novembre 1944 – Il Duce è oggi tranquillo e disteso. Mi riparla della lettera al Fürher e mi dice che farà studiare da Graziani il piano di un’eventuale offensiva.
6 dicembre 1944 – Il Duce è assai nervoso oggi. Ha parole amare per la sorte che è riservata all’Italia. Si lamenta del contegno degli alleati e della sistematica opera di spoliazione che viene compiuta dovunque.
15 dicembre 1944 – Il Duce oggi è di pessimo umore. Mi mostra rapporti del Prefetto di Bologna su violenze compiute dalle truppe tedesche – avrebbero persino bruciato manoscritti di Carducci – ed uno di Zerbino sull’attività propagandistica di Radio Baita controllata dai tedeschi. Radio Baita dice insolenze a tutti. Alle 18.30 vedrò Rahn. Alle 17.30 il Duce mi telefona di andare da lui. Ha altri documenti da darmi. E sono due rapporti del federale di Udine sul sequestro d’un numero del Gazzettino per un trafiletto intitolato “Il cuore del Duce pel Friuli” e sulle pubblicazioni fatte da una rivista tedesca che tenta documentare come i friulani discendano dai tedeschi. Parlo a lungo con Rahn che promette di intervenire prontamente in ognuno degli argomenti segnalati. Ed alle 21 riferisco al Duce che mi chiama al telefono.
18 dicembre 1944 – Il Duce è visibilmente soddisfatto delle giornate milanesi. Mi dice le sue impressioni sulla città che non aveva più rivisto dopo i bombardamenti e sullo spirito della gente. Ha percorso in piedi su auto scoperta le principali vie della città gremita di folla plaudente. È ansioso di conoscere le reazioni tedesche al suo discorso. Quando torno al ministero riesco a mettermi in contatto telefonico con Anfuso. Ed Anfuso mi dice che la stampa tedesca ha dato grande rilievo al discorso e che i primi commenti sono più che favorevoli. L’offensiva tedesca – mi comunica Anfuso – ha sviluppi impressionanti sul fronte occidentale. I germanici sono di nuovo in territorio belga. Comunico telefonicamente al Duce le buone notizie. Ed il Duce se ne compiace assai.
1 gennaio 1945 – Accompagno Hidaka dal Duce che lo intrattiene per circa un’ora in cordialissima conversazione. Il Duce è assai rammaricato del fatto che la divisione Italia composta da uomini di solidissima tempra sia stata fatta rientrare in Italia scarsamente armata. Parla ad Hidaka delle consuete incomprensioni tedesche che pongono lui e il suo governo in posizione di disagio.
7 gennaio 1945 – Il Duce prende visione di alcuni rapporti di Anfuso sulle ripercussioni del discorso di Milano sulla stampa tedesca, che lo mettono di pessimo umore. Mussolini vuol scagionare il popolo italiano dall’accusa di tradimento e proprio quella parte del discorso è stata omessa nei riassunti germanici. Il Duce pronunzia parole assai amare a questo proposito.
27 gennaio 1945 – Il Duce è tornato ieri sera dalla sua ispezione alla divisione “Italia”. Non è soddisfatto. I soldati sono male equipaggiati e peggio armati. Mi parla a lungo delle sue impressioni accoratissime per le continue prove di incomprensione e di diffidenza da parte germanica. Vedo nel pomeriggio Rahn e gli faccio cenno dello stato di animo del Duce. Rahn si affretta a dirmi che le impressioni del Duce non sono giustificate.
10 febbraio 1945 – Accompagno Parenti dal Duce. Parenti fa una chiara esposizione di quest’ora in Germania, su quella particolare di Danzica e di Berlino, sulle nuove armi, sulla possibilità che ha ancora la Germania. Il Duce ripete il suo ottimismo.
***
Ottimismo, depressione. Come si è detto sono sentimenti che, in Mussolini, variano da un giorno all’altro. Il 14 febbraio 1945 Mazzolini fa la sua ultima annotazione sull’agenda. Il clima è ormai di disfatta. Rahn è malato. Kesserling va a trovarlo. Il governo di Salò cerca di dare risposte all’emergenza che incalza: “In due riunioni successive trattiamo vari problemi: con Graziani e Buffarini quello delle fortificazioni nell’Italia occidentale, con Tarchi, Liverani, Moroni e Buffarini quelli dell’alimentazione e dei trasporti”.
Il giorno dopo il sottosegretario entra in coma diabetico. Provano a salvarlo. Cercano medicine a Milano. Tutto è inutile. Al diplomatico la sorte risparmia di assistere al tracollo. Mussolini lo piange come “un collaboratore onesto, intelligente, buono e devoto, quale raramente ho avuto”. La radio repubblicana rende onore al monarchico che aveva scelto la “via dell’onore”.
bibliografia
A. TAMARO, Due anni di storia 1943-1945, Rivelazioni di Mazzolini, Roma 30 marzo 1949, n. 65, Tosi editore
A. MELLINI PONCE DE LEON, Guerra diplomatica
R. DE FELICE, Mussolini l’alleato. II. La guerra civile
BAISTROCCHI, Frugando
F. GERMINARIO, L’altra memoria. L’Estrema destra, Salò e la Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1999