a cura di Cornelio Galas
Piccolo riassunto. Passano pochi giorni dall’8 settembre 1943, data della firma dell’armistizio, e l’Italia si ritrova divisa in due campi, l’uno occupato dagli anglo-americani, l’altro dai tedeschi. Il confine si stabilizza lungo la cosiddetta linea Gustav, che unisce l’Adriatico al Tirreno passando per Cassino. Formalmente sono due Stati. Non solo. Si tratta di due governi, di due regimi d’occupazione. Al Sud il re Vittorio Emanuele III e il capo di governo Badoglio cercano di perpetuare il governo precedente alla caduta del fascismo del 25 luglio.
Al Nord, invece, Mussolini, liberato il 12 settembre dalla prigionia del Gran Sasso per mano dei tedeschi, insedia un nuovo Stato, la Repubblica sociale italiana (Rsi).Una collocazione strategica sebbene la prima riunione del nuovo governo si tenga il 29 settembre 1943 alla Rocca delle Caminate, vicino a Predappio, paese natale di Mussolini, di fatto è il Lago di Garda la sede prescelta per il nuovo stato fascista. Molteplici i motivi. La vicinanza ai confini del Reich. La presenza di una limitata attività partigiana. La consolidata famigliarità dei gardesani con i tedeschi, abituali turisti della Riviera. La disponibilità di numerosi alberghi, case di cura, ville private, sistemazioni ideali per approntarvi ministeri, comandi militari, mense, residenze di gerarchi e ufficiali, sia italiani che tedeschi. Insomma, tutto l’apparato burocratico che uno Stato comporta, appesantito in più dalle contingenze legate ad una guerra.
Mancava una mappa dei presidi della Rsi sul Garda. Ci ha pensato Bruno Festa a colmare la lacuna, ricostruendo la Gargnano della Rsi con il libro «Gargnano. Luoghi della Repubblica sociale italiana» (Acherdo, 2010). Nel volume, Festa, di Gargnano, insegnante di storia e giornalista, ha raccolto circa ventimila documenti in formato digitale, che l’hanno aiutato a capire che cosa sia successo in quei giorni nelle case, nelle ville e perfino nei negozi.
Mussolini giunge a Gargnano l’8 ottobre 1943 e dal 29 seguente arrivano anche la moglie Rachele e i figli Annamaria e Romano. Prendono casa a Villa Feltrinelli, una residenza signorile e defilata, non molto distante da Villa delle Orsoline, dove il duce impianta il suo studio, vale a dire il Quartier Generale della Rsi, e dove di fatto operano anche la Segreteria politica e la Segreteria particolare. Nello stesso edificio si insedia anche il Comando di collegamento delle truppe germaniche.
È un continuo via vai di ministri, capi delle province, comandanti dell’esercito, di militari e di semplici civili. A esser messo sottosopra è l’intero paese. Gargnano è divisa in due zone, la «Zona A» e la «Zona B», con un posto di blocco all’ingresso del paese che sbarra l’ingresso nella «A».
Un secondo posto di blocco si trova a pochi metri da Villa delle Orsoline. Per circolare nel paesino lacustre occorrono altri due lasciapassare: il «C» (per la residenza del duce) e il «D» per gli operai addetti a Villa Feltrinelli. Numerosi gli edifici requisiti. Alcuni esempi: a Palazzo Bettoni trova sede la presidenza del Consiglio dei ministri. Villa Negroni e Villa Binetti ospitano i reparti delle SS. Villa Curti, Villa Loda, Villa Oddo Gianbartolomei e le stalle e il brolo dei Feltrinelli sono occupati da truppe germaniche, che vanno in questo modo a costituire una vera e propria fascia di sicurezza intorno alla residenza del duce.
La villa dell’avvocato Avanzini diventa la sede del Comando di Pubblica Sicurezza, la cui cucina viene installata nella vicina casa Massari. L’edificio a fianco è messo a disposizione per la guarnigione dei vigili del fuoco. Le stanze dell’Albergo Gargnano, di fronte al porticciolo, sono occupate dai tedeschi, mentre la sala da pranzo e le cucine a pian terreno funzionano da mensa sia per gli ufficiali tedeschi, sia per gli italiani.
Mussolini rimarrà a Gargnano fino al 18 aprile 1945, quando – abbandonato da tutti – imbocca la via della fuga in Svizzera, non prima di aver fatto tappa a Milano. Cade nelle mani dei partigiani. Con la sua morte cala anche simbolicamente il sipario sul Ventennio e sulla Repubblica sociale italiana.
Mussolini, da Salò, proclama la “socializzazione delle aziende”, per creare una spaccatura politica tra il CLN e gli operai delle grandi città industriali del nord. Il bollettino del Clnai “Liberazione” pubblica un ordine del giorno nel quale è scritto: “Del governo di domani il Comitato di liberazione nazionale è oggi una prefigurazione. Nel governo di domani – anche questo è ben certo – operai, contadini, artigiani, tutte le classi popolari avranno un peso determinante. E un posto adeguato a questo peso vi avranno i partiti che le rappresentano. Tra essi il Partito comunista che fa parte del Comitato di liberazione nazionale su un piano di perfetta parità con gli altri partiti, con pari pienezza di autorità oggi e di potere domani, quando il patto di liberazione nazionale sarà realizzato. Questa realtà va nettamente riaffermata oggi di fronte all’affiorare di propositi anticomunisti, al delinearsi di posizioni anticomuniste ed antioperaie fuori di noi, attorno a noi, ed anche in seno ad ambienti che pretenderebbero di operare sul piano d’azione del Comitato di liberazione nazionale. Sopra le posizioni ed i propositi partigiani dobbiamo riaffermare l’unità del patto di riscossa e di rinnovamento democratico che lega i cinque partiti. Chi opera contro uno di essi, opera contro il patto”.
In quei giorni, il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima MAS, arrestato per ordine personale di Benito Mussolini, è rimesso in libertà e reintegrato nelle sue funzioni, anche per la ribellione dei reparti della Decima che avevano minacciato di marciare su Gargnano.
Torniamo un attimo indietro. Quando Mussolini propose Bolzano capitale della RSI L ‘8 settembre 1943 fu salutato con gioia dagli altoatesini. In quei giorni sembra che lo stesso Hitler abbia dichiarato che «il tradimento degli italiani sarebbe servito a fargli riprendere tutte le belle province venete». Dopo essere stato liberato dalla prigionia sul Gran Sasso, Mussolini, allorché si rese conto che i tedeschi gli avrebbero negato di rientrare a Roma, tentò di eleggere Bolzano (o Merano) a capitale provvisoria della sorgente RSI.
Il duce con questa iniziativa sperava in due cose: sul piano politico di poter riaffermare la sovranità italiana sull’Alto Adige, sul piano personale di evitare l’annunciata deprimente villeggiatura su un lago, anche se di Garda, il cui ambiente invernale gli infondeva infinita tristezza. Non venne accontentato, e mentre raggiungeva di malavoglia Salò, il Gauleiter di Innsbruck Franz Hofer otteneva dal Fuhrer di essere nominato commissario unico e incontrastato di tutto il TiroIo e di tutti i tirolesi.
A Bolzano veniva nominato prefetto un suo cugino, Peter Hofer (sostituito alla sua morte, avvenuta nel dicembre 1943, durante un bombardamento, dall’on. Karl Tinzl). Intanto le truppe naziste venivano festeggiate dalla popolazione locale. Analoga accoglienza ricevettero gli optanti, rientrati in fretta in Alto Adige. Venivano accolti se non come martiri, almeno come eroi, al contrario degli ex «restanti», cioè di coloro che a suo tempo avevano rifiutato di abbandonare il focolare, i quali dovettero difendersi da calunnie e minacce.
L’amministrazione speciale tedesca di Bolzano, Trento e Belluno si chiamò, come abbiamo già visto nel “Rebalton in Trentino”, «operazione Alpenvorland». Dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia del Sud contro la Germania (ottobre 1943), l’amministrazione nazista si trasformò di fatto in occupazione militare. Vennero sospese tutte le attività politiche, comprese quelle fasciste. Furono soppressi i giornali italiani. Ci fu un richiamo alle armi, per tutti. Scattarono gli arresti per tutte le personalità che nel 1939 si erano opposte alla violenza nazista.
Il senatore Tolomei fu spedito a Dachau. Il canonico di Bolzano, Camper, si salvò con la fuga. Su questo periodo storico convulso e tragico, segnato da una cruenta e feroce guerra civile che vide contrapposti gli Italiani, alcuni schierati con la Repubblica Sociale, altri, dopo l’otto settembre del 1943, con gli Anglo-americani e il governo legittimo del Sud Italia, Marco Innocenti ha scritto un romanzo notevole e molto profondo. Giornalista del Sole 24 ore e scrittore, che ha pubblicato innumerevoli volumi sul ventennio fascista, è riuscito nel suo libro, edito dalla casa editrice Mursia con il titolo “Una pallottola per Mussolini”, a mescolare gli eventi storici con la finzione narrativa in modo mirabile e sorprendente.
I personaggi del libro, figure che appartengono alla storia d’Italia, sono reali, i dialoghi e le situazioni rappresentate nel romanzo inventati nel rispetto della verità storica. Nella prima scena Benito Mussolini, chiuso nel suo ufficio di Villa Orsoline, sede del governo della repubblica di Salò, conversa con il federale di Milano, Vittorio Costa. Mussolini è consapevole che il suo governo è nato sotto il dominio dei tedeschi e che non è libero di assumere alcuna decisione politica, poiché la sorte della repubblica sociale dipende dalle deliberazioni di due autorevoli gerarchi nazisti: il generale Karl Wolff e l’ambasciatore Rudolf Rahn.
Infatti di fronte a Costa con amarezza Mussolini confessa di sentirsi simile ai personaggi descritti nel libro di Gogol, un’anima morta. Nel libro colpiscono le parti della narrazione nelle quali viene evocata con immagini poetiche di rara perfezione letteraria il clima di tensione e di imminente catastrofe che incombe su Mussolini e la sua repubblica. Mussolini, nelle serate in cui avverte il peso insostenibile e doloroso della solitudine, mentre pensa con rimpianto e nostalgia ai momenti del suo trionfo politico, quando il regime fascista fu circondato da un consenso di massa dopo la nascita dell’Impero nel 1936, si abbandona all’amarezza per il modo in cui è stato defenestrato dal potere.
In particolare, al crepuscolo, dialogando con Nicola Bombacci, con cui in gioventù aveva condiviso la militanza nelle file del Partito socialista romagnolo, contemplando il lago di Garda, confessa al suo amico i suoi sentimenti di odio verso il Re e Badoglio, entrambi definiti due massoni.
Sul piano storico nel libro viene spiegato e chiarito come con la nascita della Repubblica di Salò vi fosse un tentativo, prima della sconfitta definitiva, di ricondurre l’ideologia fascista alla sua originaria ispirazione rivoluzionaria.
Infatti Alessandro Pavolini, di cui nel libro ‘è un ritratto memorabile e straordinario, ultimo segretario del fascismo, nel tentativo di ricostruire il partito, durante la Repubblica di Salò, dichiarò che bisognava promuovere la socializzazione e modificare i rapporti di produzione.
Pavolini è una figura tragica di letterato e politico idealista, il quale non esitò a mettere a repentaglio la sua vita in nome degli ideali fascisti a cui aveva aderito in gioventù.
Il momento fondamentale del libro, che racconta la caduta dell’idolo che aveva con la sua enfasi retorica incantato e sedotto milioni di Italiani per venti anni, instaurando un regime autoritario e promulgando le vergognose e deplorevoli leggi razziali nel 1938, è dato dall’ultimo discorso che Mussolini tenne al Teatro Lirico di Milano il 16 dicembre del 1944. Quando informa Pavolini della sua decisione di parlare a Milano, inizialmente Mussolini suscita nei suoi uomini infiniti sospetti, preoccupazioni e molte perplessità.
Si teme che alcuni esponenti dei Gap, gruppi armati patriottici guidati dai partigiani, possano nelle città di Milano compiere attentati contro la sua persona. Per potere parlare a Milano Mussolini è così costretto a superare le diffidenze e i dubbi opposti dai gerarchi nazisti Wolff e Rahn. Nel libro, contemporaneamente ai fatti e agli eventi politici, vi è un’ampia rappresentazione della vita quotidiana di quel tempo. Le città italiane, soggette ai reiterati bombardamenti alleati, erano luoghi spettrali e desolati, costellati da rovine e macerie, in cui le abitazioni civili erano sberciate e completamente devastate.
Sullo sfondo della catastrofe provocata dalla guerra, i racconti sulla vita di alcuni artisti del regime, come quello della passione d’amore che vide uniti in un sodalizio sentimentale Osvaldo Valenti e Luisa Ferida, protagonisti della stagione cinematografica designata con l’espressione dei Telefoni Bianchi. Entrambi questi attori, dopo la fine della guerra, saranno giustiziati, poiché erano considerati compromessi con il regime di Salò.
Nel teatro lirico di Milano, gremito di una folla infreddolita e angosciata per il proprio futuro, nella mattina del giorno 16 dicembre del 1944, Mussolini, ritrovando la capacità di persuadere le masse con il suo linguaggio immaginifico e intriso di una retorica enfatica, tiene un discorso con cui dichiara di volere garantire la difesa della Valle del Po oltre i confini della linea gotica.
Nel suo discorso annuncia che stanno per essere utilizzate le armi segrete dai Tedeschi e che è necessario avviare un dialogo con tutti i partiti politici d’Italia. Nel libro, con grande sapienza narrativa, per mostrare quali effetti il discorso di Mussolini aveva avuto negli ambienti politici milanesi, Marco Innocenti immagina di assistere ad un incontro tra i principali giornalisti del tempo all’interno di un locale frequentato da intellettuali. In particolare affida a Concetto Pettinato, uno dei maggiori giornalisti del tempo, un giudizio politico con il quale il discorso di Mussolini al teatro lirico viene liquidato come il canto di un Cigno, l’ultimo atto di un dittatore votato alla sconfitta.
Mussolini, che abitò a Villa Feltrinelli con la sua famiglia a Gargnano, durante i due anni della repubblica di Salò, più volte incontrò Claretta Petacci, la donna che lo aveva amato fin da giovanissima. Nel libro è poeticamente indimenticabile la descrizione dell’incontro che Mussolini ha con Claretta Petacci a Villa Fiordaliso, dove la donna abitava, nella torre maggiore del Vittoriano. Tra i cimeli e le stoffe pregiate, appartenute a Gabriele DíAnnunzio, Mussolini, sopraffatto dalla angoscia e dalla incertezza del futuro, legato all’esito incerto della guerra, di fronte allo sguardo innamorato di Claretta confessa che l’amore è il sentimento profondo che determina chi siamo.
Fuori i due amanti, guardando oltre le finestre della Torre, contemplano con un sentimento di rimpianto la casa di Catullo e la luce che delicatamente si riflette sulla superficie delle acque del Garda. Anche il racconto della storia d’amore fra Pavolini e l’attrice Doris Duranti è descritto nel libro in modo struggente e commovente.
Nei suoi ultimi giorni di vita, prima che il suo tragico destino arrivasse all’epilogo, Mussolini lesse il libro di Platone Il Fedone, in cui vi è questa memorabile frase: “Noi uomini viviamo in una specie di prigione e non possiamo liberarcene, tanto meno fuggire”. Mussolini, il dittatore che aveva voluto l’alleanza con il regime genocida nazista e l’ingresso in guerra nel 1940 dell’Italia, venne giustiziato a Dongo insieme alla sua amante Claretta Petacci, donna per altro incolpevole.
Nel libro è storicamente accurata infine la ricostruzione degli ultimi momenti della vita dell’uomo che fu il Duce d’Italia, che gli alleati avrebbero voluto processare.