a cura di Cornelio Galas
Seconda e conclusiva puntata sull’indagine patobiografica condota da Beppino Disertori e Marcella Piazza su Benito Mussolini. In particolare oggi vedremo la cosiddetta caratteropatia. Cos’è la caratteropatia? In psichiatria e nell’antropologia criminale significa anomalia patologica del carattere: è in genere sinonimo di psicopatia. Facendo sempre riferimento ai due medici citati parleremo quindi dei disturbi distimici di Mussolini. II disturbo distimico è un disturbo cronico caratterizzato non da episodi di malattia, ma piuttosto dalla costante presenza dei sintomi.
Tuttavia, il paziente con disturbo distimico può presentare alcune variazioni temporali nella gravità dei sintomi. Gli stessi sintomi sono simili a quelli del disturbo depressivo maggiore e la presenza di umore depresso – cioè il sentirsi triste, giù di corda, il vedere tutto nero e la mancanza di interesse nelle abituali attività – è un aspetto centrale del disturbo.
I pazienti con disturbo distimico possono spesso essere sarcastici, nichilisti, meditabondi, esigenti e reclamanti; possono essere tesi e rigidi e resistenti nei confronti degli interventi terapeutici.
Infine affronteremo le ripercussioni di questi disturbi mentali nell’attività politica di Mussolini, e parleremo di quell’episodio, poco conosciuto, che riguarda sempre Mussolini durante la guerra in Grecia.
LA CARATTEROPATIA
Le note submorbose della personalità del duce – dicono Disertori e Piazza – sono molteplici e combinate in una miscela assai peculiare, che difficilmente può trovare un’adeguata spiegazione in soli fattori psicogeni, vale a dire soltanto nelle esperienze di vita vissuta aventi significato psicologico nocivo: nel caso particolare nelle frustrazioni connesse alla condizione sociale della famiglia e alle ripercussioni extrafamiliari di tale condizione.
È presumibile, piuttosto, che sia avvenuta un’interferenza etiologica (Il termine eziologia deriva dalla lingua greca ed è utilizzato in medicina, diritto, filosofia, fisica, teologia, biologia e psicologia in riferimento alle cause che provocano i fenomeni. In linea generale, si tratta dello studio e dell’approfondimento sul motivo per cui alcuni eventi o processi si verificano, o persino sulle ragioni che si nascondono dietro determinati avvenimenti ndr) dei fattori psicogeni sociali con i fattori fìsiogeni dell’eredità, ossia genetici, connessi con il patrimonio individuale in Dna (acido desossiribonucleico, sostanza che trasmette l’informazione genetica, presente nei cromosomi del nucleo di tutte le cellule).
Il riscontro anamnestico familiare- proseguono Disertori e Piazza – ci rivela soltanto fra padre e figlio un’analogia nel carattere ribelle, che portò entrambi ad affrontare la prigione per le idee professate. Ma quest’analogia di ribellismo non rappresenta per se stessa un minus; un difetto caratteropatico. Al contrario può in molti casi significare un plus, quando implica sacrifici affrontati per ragioni ideali d’ordine superiore.
La componente submorbosa del ribellismo di Benito stette invece nell’aggressività violenta e nella povertà dei fini, per cui il ragazzo si fece ripetutamente espellere dalle scuole; come pure n ella rissosità, nell’intolleranza alla disciplina, nella misantropia che accompagnava la ribellione; e anche, nel giovanotto, nelle dogmatiche esibizioni, implicitamente aggressive nei confronti dei sentimenti del prossimo: come quando invitò pubblicamente Dio a dar dimostrazione, se ne era capace, della propria esistenza, fulminandolo all’istante.
Chiaramente psicopatiche, rivelate lungo l’intero arco della vita di Mussolini, erano la tendenza a nascondere la personalità dietro maschere, ossia a valersi della risposta psico-biologica della simulazione-dissimulazione (nota caratterologica dominante anche in Stalin, come già detto), e la libidine di un potere da raggiungere a qualunque prezzo, prescindendo da remore etiche, sino a rasentare la criminalità, come aveva notato il fratello Arnaldo ( vedi Denis Mack Smith).
Altro importante elemento di autentica caratteropatia submorbosa, benché alquanto innocuo nonostante fosse molto spiccato, consisteva nel sistematico ricorso alla risposta d’autoingrossamento, la quale si faceva palese agl’italiani e al mondo quando il duce si presentava in pubblico nel tipico atteggiamento a testa ipertesa, mento in avanti, volto corrucciato, occhi di sfida, mani sui fianchi.
E qui, per inciso, conviene far notare come le risposte psico-biologiche primitive di simulazione-dissimulazionee d’autoingrossamento soddisfecero nella filogenesi dell’uomo a livello zoologico, e soddisfino a tutt’oggi in taluni animali i fini di conservazione dell’individuo e della specie.
Esempi: nella savana l’erbivoro aggredito dal predatore carnivoro può salvarsi simulando la morte. Ma anche l’uomo, se caricato dal bufalo cafro (o bufalo nero), può trovare scampo fingendosi morto. Così il babbuino, mediante l’autoingrossamento può alle volte incutere paura al leopardo, suo mortale nemico, e metterlo in fuga.
Giova pure segnalare che il ricorso a risposte psico-biologiche finalistiche da parte dell’essere umano può rientrare, in determinate circostanze, nei comportamenti normali. Sono l’impulso, l’intensità, la inopportunità, l’anacronismo del fenomeno a costituire anormalità submorbosa o morbosa. Rilevante nel duce fu anche la risposta psico-biologica di mimesi inconscia nei suoi aspetti attivi e passivi, che sta alla base della suggestione e dell’assunzione , imitazione e imposizione automatica di determinati comportamenti, e sta pure alla radice dei fenomeni di ipnotismo e d’isterismo.
Mussolini disponeva di un potere suggestivo eccezionale, che raggiungeva i gradi di un ipnotizzatore. Ma si rivelò a sua volta anche recettivo alla suggestione altrui nei confronti di un personaggio ancor più dotato quale fu Hitler. A proposito della capacità del duce di svolgere un’azione suggestiva sino quasi a ipnotizzare, c’è un ricordo personale dello stesso Disertori:
“Ho veduto Mussolini e l’ho direttamente ascoltato, cioè non per radio, ma dalla viva voce, una sola volta: a Trento, in occasione di grandi manovre militari, dopo la conquista dell’Etiopia. Mi recai in un caffè antistante la piazza del Duomo, nella quale era stata allestita una tribuna, donde egli arringò la folla. Ero con il mio fraterno amico Giannantonio Manci, poi eroe e martire della Resistenza al nazismo.
Dal nostro osservatorio potevamo vedere e ascoltare senza farci vedere, e perciò senza implicare adesioni. Ebbene quella voce calda, suadente, esplicò su di me un effetto indiscutibilmente suggestivo, a prescindere dai contenuti esposti. Dovetti cacciare le mani nelle tasche per evitare il rischio di mettermi ad applaudire all’infuori della mia razionalità e volontà. Eppure, quando egli s’era affacciato alla tribuna nel suo stereotipo e truculento autoingrossamento, avevo avvertito uno spontaneo impulso all’ilarità. Ma nel frattempo s’era svincolata in me, inavvertitamente, l’arcaica mimesi inconscia , propria della suggestione e dell’ipnotismo”.
Veniamo alla risposta psico-biologica di alterazione oniroide e agglutinante della realtà, la quale risposta domina la psicopatologia degli schizofrenici e di altri pazienti psicotici. Essa introduce nella veglia fenomeni propri del sogno e agglutinazioni di pensiero. E può esprimersi anche in forme abbozzate, all’infuori di una malattia mentale conclamata.
Ha afflitto Mussolini nella misura in cui ha potuto alterargli la valutazione realistica, obiettiva degli avvenimenti, specie nelle fasi depressive che analizzeremo in seguito, e la ha seriamente ottenebrata ·nel periodo terminale della vita, a mano a mano che le capacità critiche andavano attenuandosi sotto le suggestioni di Hitler, allievo che andò superando il maestro nei successi e negl’insuccessi defìnitivi .
Consideriamo ora la sfera psichica degl’istinti e affetti nella sua globalità ossia l’intera sfera fìnalistica, a proposito del caso clinico Mussolini. Mi avvalgo a questo scopo – scrive Disertori – dei parametri introdotti in scienza negli anni Venti dal neurobiologo Constantin von Monakow. Mi riferisco a ormeteri e noormeteri. I termini sono ricavati dalle parole greche horme terion, eguale «impulso», e noos eguale «mente». Gli ormeteri sono gl’istinti elementari, i noormeteri sono gl’istinti integrati e modulati dall’intelligenza. Vanno distinti ormeteri e noormeteri conservativi, sessuali, parentali, sociali.
Ebbene non possiamo non registrare spiccate disarmonie della sfera finalistica in Benito Mussolini: un eccesso, come si è visto, d’aggressività e di volontà di potenza, che sono componenti dell’istinto di conservazione individuale e che si manifestano a livello ormeterico e noormeterico, mentre il noormetere sociale, inteso come impulso a giovare al prossimo operativamente e perciò come noormetere dell’antiegoismo, sembra o è sopraffatto dalle esigenze egoistiche.
Nel campo dell’istinto sessuale l’ormetere era iperattivo, se sono vere le notizie circa la frequenza delle visite di donne diverse che il duce riceveva a Palazzo Venezia con ritmo quasi quotidiano. Ma d’altra parte a onor del vero, non si possono misconoscere in lui le capacità noormeteriche di autentico amore. Non mi sembra che possano sussistere dubbi sui suoi genuini sentimenti per Claretta Petacci, sebbene nella coppia fosse lei a superarlo per potenza di un amore che si elevò sino al sacrificio della vita.
Quanto all’istinto parentale Mussolini fu un padre affettuoso ·verso i suoi cinque figli, sebbene il suo stato di dipendenza psicologica da Hitler e dai neofascisti più fanatici l’abbia indotto a macchiarsi di complicità, per mancato intervento salvatore, nell ‘esecuzione di Galeazzo, il marito della figlia più amata .
Ma torniamo al noormetere sociale, sopraffatto come si è detto, dalle esigenze egoistiche dell’aggressività e della libidine di potere e di successo. Qui s’apre un problema a proposito di quell’istinto sociale noormeterico che si manifesta nell’operosità costruttiva a favore degli esseri umani, intesi come collettività.
Ecco: era soltanto libidine di potenza e brama di affermazione individuale, ambizione egoistica insomma, quella che agitava il politico Mussolini? O anche una più o meno inconscia aspirazione verso valori sociali, concepiti nell’accezione più ampia, verso una migliore sorte per gl’italiani e, diciamolo pure, verso una migliore condizione umana?Il quesito è arduo.
Rimane accertato che nell’uso della violenza troppe volte il dittatore si mostrò asociale e amorale, sordo ai valori supremi della società umana e dell’etica: ai tempi del delitto Matteotti, come nell’uso dei gas venefici durante la guerra d’Etiopia, o nella persecuzione degli ebrei, richiesta da Hitler, o lasciando fucilare Galeazzo Ciano, o nell’aver separato la popolazione italiana in cittadini di primo ordine e in italiani non tesserati, privi di tutta una serie di diritti. Senza dire delle persecuzioni durante la repubblica di Salò.
E non ispirò certamente la sua politica estera del ventennio a considerazioni morali, quando ad esempio inter venne in guerra pugnalando alla schiena la Francia, prostrata dalle armate di Hitler. Nonostante questi fatti, non possiamo escludere che, su piano subconscio con emersioni nel conscio, abbiano operato in lui, nell’insieme delle sue prestazioni di uomo politico e di Stato, anche la speranza e il convincimento di poter recare servizi all’Italia e alla civiltà quale «uomo del destino».
Nel saggio di psicologia teoretica De anima (Ed. di Comunità, Milano, 1959) Disertori aveva peraltro proposto ed elaborato la distinzione fra intrinseco finalismo meramente biologico ossia tendenza a effettuare gli scopi vitali dell’organismo, e un finalismo spirituale, cioè ideale e religioso, che nell’uomo s’aggiunge e si combina con il precedente.
Infatti, secondo Disertori, l’essere umano è capace di mirare a fini che vanno oltre il bersaglio dei fenomeni biologici, sa aspirare ai valori ideali assoluti del Bene, del Bello, del Vero, e a Ciò che ci trascende. Sotto questo profilo il quesito che si pose, nei riguardi della psicologia di Mussolini, era il seguente: c’era nel dittatore atrofia o almeno ipotrofia costituzionale delle tendenze connesse con il finalismo spirituale, specifico dell’essere umano? Di quelle tendenze che possono creare un freno, immanente o trascendente, più o meno conscio o inconscio, rispetto a determinati comportamenti, o anche una forza motrice per altri comportamenti legati a valori spirituali?
È questo – scrive Disertori – un quesito assai difficile che si presta indubbiamente a risposte ambivalenti. C’è un dettaglio nella vita di Mussolini, solitamente trascurato o insufficientemente considerato: che con tutta probabilità la maggior parte del denaro che guadagnava, e a momenti era ingente, finiva in opere di carità, praticate in modo molto riservato.
Si può riscontrare in questo comportamento una reazione compensativa rispetto ai comportamenti amorali e grossolanamente asociali, o se vogliamo riferirci alle teorie monakowiane sulla sfera istintiva, un intervento della syneidesi, concepita come inconscia coscienza biologica, come istintiva profonda esigenza di restaurare equilibrio nella squilibrata sfera degli istinti, nella quale il Monakov usava comprendere anche un istinto religioso-metafisico.
A mia volta – prosegue Disertori – in questa sfera finalistica comprendo, limitatamente all ‘ànthropos, non solo gl’istinti biologici (ormeteri e noormeteri), ma anche le tendenze spirituali . Poiché ho fatto riferimento ai problemi dell’inconscio psichico, non posso non inserire nella discussione il quesito se fosse operante nel duce quel complesso subconscio d’inferiorità a cui s’è fatto cenno: ipercompensato sino a capovolgersi in tracotante esibizione di superiorità.
Le premesse etiologiche c’erano sicuramente: frustrazioni subite nell’infanzia e adolescenza ed eventi avvertiti come frustrazioni, in rapporto alla condizione sociale. In altre parole si sarebbe verificato un complesso d’inferiorità per effetto di avvenimenti di vita vissuta aventi significato psicologico mortificante.
Alfred Adler, il fondatore della teoria psicoanalitica delle nevrosi dovute a complesso d’inferiorità, si dichiarò convinto che la prima infanzia aveva lasciato nel futuro duce profondi sentimenti d’inadeguatezza. Importante la testimonianza di Dino Grandi nell’opera Il mio paese. Ricordi autobiografici a cura di Renzo De Felice ( società ed. «Il Mulino», 1985).
Il Grandi è l’uomo che dovendo scegliere tra la fedeltà al suo capo e la fedeltà al paese scelse senza esitazione il paese. A proposito del comportamento di Mussolini giunto a Locarno per la firma del Trattato, 1925, Dino Grandi parla di «arroganza commista a timidezza» da cui deriva il complesso d’inferiorità di Mussolini nel negoziato vero e proprio.
Ma già in occasione della conferenza di Losanna, 1922, il Presidente del Consiglio francese, Poincaré a una domanda di Lord Curzon aveva espresso sul Presidente del Consiglio italiano il seguente giudizio: «Il s’annonce comme le tonnere mais il finit comme la pluie». (Si annuncia come un tuono , ma finisce come la pioggia). Anni di poi l’autonomina di Mussolini a Maresciallo dell’Impero avrebbe confermato la persistenza del complesso d’inferiorità nel simbolo visibile di una uniforme militare.
Non meno importante e dimostrativa la diagnosi caratterologica proposta dallo stesso Grandi, che ebbe per anni l’occasione di avvicinare quotidianamente il dittatore. “Venni a conoscenza – egli scrive – di Mussolini, o meglio dei mille Mussolini che erano in lui, inafferrabile, contraddittorio , enigmatico, in cui l’ostinazione cieca e la volubilità quasi .femminea si sovrapponevano continuamente; generoso, piccolo e grande, temerario ed esitante a un tempo, straordinario ed inaspettato sempre; la sua puerile gelosia , in così stridente contrasto con la sua personalità …”
La validità del giudizio di Grandi è implicitamente confortata da questa uscita di Mussolini nel momento del licenziamento del collaboratore: «Grandi mi conosce troppo perché io possa più a lungo sopportare il fastidio di averlo vicino». In altro passo del libro Grandi dà per ovvio «il carattere vendicativo di Mussolini».
Voglio anche sottolineare – aggiunge Disertori – una nota caratteriale della personalità del duce da Grandi colta e riportata in parentesi casualmente, ma essenziale: la diffidenza esasperata; «Egli diffidava di tutti e di tutto, meno che della fortuna». La quale diffidenza non è sul piano evolutivo dell’ànthropos che una risposta psico-biologica arcaica di tipo fobico risalente all’uomo primitivo, esposto ai mille pericoli diurni e notturni della savana; come risale pure all’uomo primitivo la risposta di affidarsi alla fortuna ossia a forze psichiche misteriose, che sfuggono alla razionalità.
Altra caratteristica della personalità di Mussolini segnalata nello stesso libro è il «fascino dello stregone che indubbiamente egli possedeva», fascino che Grandi dichiara dì non aver mai subito. Disertori deve invece confessare, come abbiamo visto, di averlo sperimentato in notevole intensità, l’unica volta che vide Mussolini alquanto da vicino
GLI EPISODI DISTIMICI
Ma ben maggiore considerazione ai fini analitici della condotta politica meritano gli episodi psicopatologici distimico-depressivi, sui quali – ch’io sappia, dice Disertori – non venne rivolta attenzione diagnostica adeguata. Essi sfuggono dalla cornice della caratteropatia per costituire autentiche fasi di malattia psichica ricorrente.
L’episodio accaduto nel febbraio 1925, che s’accompagnò alla riacutizzazione dell’ulcera gastro-duodenale, può lasciare dubbi diagnostici, se preso a sé stante. Ma se teniamo conto anche delle caratteristiche psicopatologiche e degli episodi che seguirono, dobbiamo concludere che esso non può ridursi agli effetti dell’ulcera; questa potrà, al massimo, aver facilitato, anche con l’apporto nocivo della dieta carenzata, lo svincolo della depressione.
Il fatto stesso che si sospettò, a torto, una manifestazione neuropsichica di sifilide (a torto, perché la reazione di Wassermann fu negativa, e perché la ciclicità, poi emersa, mal si conciliava con tale diagnosi), conferma che ci fu un autentico quadro distimico psicopatologico. La dieta lattea squilibrata e il monofagismo di frutta non poterono certo giovare al turbato equilibrio neuro-psichico del paziente.
Ma determinante ai fini diagnostici è la notizia circa l’incapacità a concentrarsi che è tipica del quadro ipotimico proprio di taluni stati distimico-depressivi. Possiamo dunque concludere che l’infermità, da cui fu colpito Mussolini nel febbraio 1925, comportò un’emersione patologica della risposta psico-biologica di disforia-depressione, prescindendo dalla natura del processo morboso soggiacente all’evocata risposta.
Che poi nella dissoluzione della funzione correlata allo stato depressivo, potessero svincolarsi risposte psico-biologiche finalistiche oniroido-agglutinantì, comportanti la comparsa di idee subdeliranti, come quella di voler modificare il carattere degli italiani sino a farli sfilare dinanzi a un berretto piantato su di un palo, sino a creare l’italiano di Mussolini, ciò rientrava pure nel decorso della dissoluzione della funzione, determinata dalla caduta di livello psichico. Si collegava a questa alterazione psichica il sospetto emesso da un diplomatico giapponese circa uno squilibrio mentale dovuto a forma paranoide incipiente.
Chiaramente distimico-depressivi sono gli episodi che vanno dalla fine del 1939 a tutto il gennaio 1940, quando Ciano e il capo della polizia pensarono a loro volta alla sifilide, e quello della primavera del 1945. Si spiega pure nel quadro della depressione psicopatologica lo stato dell’animo di Mussolini nel periodo delle sconfitte militari e delle umiliazioni inferte da Hitler, che precedettero la caduta dal potere e l’arresto da parte del re il 25 luglio 1943.
Particolare attenzione, agli scopi diagnostici della forma distimica, spetta a quello stato di superficialità euforica che seguì alla depressione nel febbraio 40 . S’è forse trattato di una fase distimica d’eccitamento ipomaniacale? In tal caso le fasi depressive a cui Mussolini andò soggetto sarebbero rientra te nell’ambito di una distimia ricorrente non solo e non sempre unipolare, vale a dire rivolta al polo disforico, cioè alla malinconia e alla depressione, ma almeno una volta al polo euforico: nell’ambito pertanto di una distimia bipolare, sebbene solitamente unipolare.
Di questa malattia distimica, attribuibile alla cerchia delle psicosi affettive, e della psicosi maniaco-depressiva in particolare, quale fu la causa ? Non possono sussistere dubbi in proposito,secondo Disertori. La causa stette nella costellazione genetica propria di tale cerchia patologica, e perciò nella materialità dell’Acido desossiribonucleico (DNA); sebbene non si possa escludere che grandi avvenimenti emotivi come la crisi del fascismo all’epoca del delitto Matteotti, o la decisione se far entrare in guerra l’Italia, o le sconfitte ingravescenti che determinarono la seduta del Gran Consiglio e il conseguente arresto del dittatore da parte del Re il 25 luglio 1943, o l’incombente catastrofe della Repubblica di Salò nel ’45, possano aver pesantemente contribuito, volta per volta, allo scatenarsi dei singoli episodi morbosi.
LA RIPERCUSSIONE SULLA POLITICA
È questo l’aspetto più interessante del caso clinico. Disertori esamina separatamente, nei limiti del possibile, gli effetti della caratteropatia e quelli degli episodi morbosi distimici.
La caratteropatia – dice Disertori – si palesa in tutti gli atteggiamenti estremisti e violenti del giovane Mussolini socialista, del quale la libidine di potere e l’esigenza di apparire condizionarono indubbiamente i comportamenti. La sua propensione a simulare e dissimulare gli permise di assumere posizioni diametralmente antitetiche, anche contemporaneamente, in rapporto con l’opportunità di accattivarsi determinate persone o gruppi e di crearsi una base nelle masse.
Anche nel passaggio dal partito socialista e da una posizione neutralista a una posizione patriottica, irredentista, interventista, la caratteropatia fu certamente una componente facilitante, sebbene, come già accennato, una certa sincerità non mi sento di rifiutarla.
Nel periodo di fondazione del fascismo sono proprio queste due qualità caratteropatiche, dell’aggressività e della simulazione-dissimula zione, a concorrere in modo determinante all’ascesa al potere e alla conservazione del potere conquistato.
E sono le medesime due componenti che informano la politica estera mussoliniana lungo l’intero arco dell’Italia fascista: una politica scevra di scrupoli, pronta ai mutamenti d’alleanza, indifferente alla coerenza della parola data: una politica che comportò apparenti successi di prestigio, e alcuni successi reali, come il Trattato e il Concordato con la Santa Sede o la conquista dell’Etiopia; ma soprattutto grossolani insuccessi, come I’Anschluss dell’Austria da parte di Hitler, nonostante le dihiarazioni ai tempi di Engelbert Dolfuss che l’Austria non si sarebbe toccata, o come la guerra di Spagna, ove i fascisti subirono la sconfitta di Guadalajara inflitta loro da Randolfo Pacciardi.
Il massimo degl’insuccessi furono il patto d’acciaio, che legò mortalmente Mussolini a Hitler, e l’entrata in guerra contro la Francia e la Gran Bretagna, che fu complicità nella congiura hitleriana contro l’umanità e che si concluse in catastrofe immane. Questa, oltre al resto, portò il totalitarismo comunista sovietico all’egemonia sull’Europa orientale, cioè su mezza Europa, e permise al comunismo asiatico d’impadronirsi dell’intera Cina continentale. Oggi a quarant’anni dalla fine di Mussolini e di Hitler solo i paesi della Comunità e pochi altri, come la Svizzera, la Norvegia, la Svezia, la Finlandia godono in Europa della Libertà.
Forse proprio al complesso d’inferiorità possiamo attribuire l’errore politico-militare della guerra contro la Grecia nell’ottobre 1940. Il duce aveva appena appreso che i tedeschi stavano occupando la Romania. «Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto – disse a Ciano – questa volta lo pago con la stessa moneta. Saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l’equilibrio verrà ristabilito».
In effetti furono ristabiliti un equilibrio e una compensazione di fronte a quel complesso d’inf eriorità di Mussolini, che trovava alimento nel comportamento provocatorio del Fi.ihrer. Questi recepì il colpo, ma per prendere atto che era «vera pazzia» quella del suo alleato.
Non c’erano ragioni strategiche valide. Hitler al feldmaresciallo Keitel profetizzò che il risultato sarebbe stato una catastrofe militare. Lo storiografo Collier precisa, sia pure con il senno di poi, che il gesto avventato di Mussolini «decretava la condanna a morte del Terzo Reich e del regime fascista». Anche il maresciallo Badoglio, capo di Stato Maggiore, aveva protestato sia pure solo verbalmente la sua opposizione, convinto che si trattasse di una criminale follia.
D’altronde il duce, sempre roso dal complesso d’inferiorità si chiedeva: «Hanno forse fatto alcuna comunicazione a noi per la campagna della Norvegia ? Ci hanno avvertiti quando intendevano scatenare l’offensiva verso Ovest? Essi ci hanno considerati come non esistenti, e ora io li ripago con la stessa moneta».
A conferma della futilità delle motivazioni, il duce scelse per l’inizio delle ostilità il giorno che Hitler gli aveva indicato per il loro incontro a Firenze.
DISTIMIA DURANTE LA GUERRA DI GRECIA
A proposito di una correlazione psicopatologica con la guerra di Grecia Disertori venne casualmente a conoscenza di fatti importanti e dimostrativi, del tutto inediti, conversando con la signora Francesca Leo Pincherle consorte dell’illustre archeologo e scrittore prof. Mario.
La signora – scrive Disertori – mi ha raccontato il seguente episodio e usato la cortesia di riassumerlo per iscritto:.
«Durante la guerra di Grecia, quando le cose per l’Italia volgevano al peggio, Mussolini, per essere più vicino al fronte, si era trasferito m Puglia, in una villetta vicino a Bisceglie e di lì seguiva le operazioni. Mio padre, ingegnere Ugo Leo, era capo dei Vigili del fuoco di Bari.
Ebbe allora dal Ministero degli Interni l’incarico di provvedere a rendere più comoda possibile la residenza dell’illustre ospite. Dislocò un maresciallo dei Vigili, di nome Antonicelli, presso la villa di Bisceglie.
Mussolini fu visto, da persone che gli erano vicine, stare fermo sotto la pioggia , in giardino, a piangere. Una volta venne da noi l’Antonicelli e ci disse: «Il Duce sta delle ore a piangere. È sempre molto pensieroso. Non mangia quasi più. Rimane immobile ore e ore seduto a pensare, con la testa tra le mani e i gomiti sulle ginocchia. È estremamente preoccupato». Mussolini restò in quella villa una ventina di giorni». In fede, Francesca Pincherle
EFFETTI DEGLI EPISODI DEPRESSIVI
L’incidenza di tali episodi sulle prestazioni di Mussolini uomo di Stato non può e non deve venir sottovalutata. Gli episodi degli anni ’24, ’25, ’29 s’accompagnarono, come s’è detto, a riacutizzazioni del fatto ulceroso e all’instaurazione di una dieta sempre più rigorosa.
C’è da chiedersi se quelli del ’24-25, che corrispondono al delitto Matteotti e alle sue conseguenze, siano stati alquanto responsabili di comportamenti abnormi, in connessione con le tensioni emotive del momento politico. Difficilmente – dice Disertori – possiamo ritenere che i fatti patologici, compresi i danni carenziali delle diete errate, non abbiano nociuto alla serenità necessaria per governare la nave dello Stato.
Soprattutto i fenomeni distimico-ipodinamici del periodo dalla fine del ’39 all’inizio del ’40, che comportarono incapacità alle rapide decisioni e tutta una serie di disturbi psichici al punto d’insospettire Galeazzo Ciano e il capo della polizia, non possono non aver pesato sul determinismo di una politica di dubbi, d’incertezze e di contraddizioni e soprattutto di volubilità in una fase delicatissima di non belligeranza, quando dovevano maturare scelte inevitabili di portata decisiva: se intervenire e quando nel conflitto o restarne fuori definitivamente: in un periodo in cui il capo del governo abbisognava della maggior rapidità di giudizio e di lucidità mentale, di controllo sull’emotività e sull’impulsività nel prendere decisioni coerenti.
L’episodio antipolare di superficialità ipomaniacale, che seguì al depressivo nel febbraio ’40, non giovò certo a migliorare le prestazioni del duce e a compensare i danni politici derivati dalla fase depressiva, se mai li aggravò. Particolare attenzione merita pure lo stato depressivo che caratterizza il momento storico delle sconfitte militari, che precedettero e accompagnarono lo sbarco degli alleati in Sicilia e determinarono la seduta del Gran Consiglio del fascismo e l’arresto di Mussolini per ordine del re, il 25 luglio 1943.
Desidero soffermarmi – dice al riguardo Disertori – sul comportamento del duce in questa fase. Mi giova allo scopo ricorrere alla narrazione di un altro biografo inglese, Richard Collier, The Rise and Fall of Benito Mussolini, 1971 ( trad. it. Duce! Duce!, Mursia ed., Milano).
Scrisse il Collier che l’impulso di Mussolini dinanzi a problemi che lo spaventavano era di andare a nascondersi. Così il 13 maggio del ’43, quando le forze dell’Asse si erano arrese in Africa, egli si era rintanato alla Rocca delle Caminate a spulciare articoli di giornali.
Nel giugno presiedette una riunione del comitato della Confederazione degli Industriali. Il Ministro dell’Agricoltura dichiarò che il raccolto era stato inferiore alla norma. Il duce scattò: «Sapete cosa fanno gli uccelli? Si posano sullo stelo, facendo piegare con il loro peso le spighe restano nascosti e mangiano i chicchi. Uccidete gli uccelli! Uccideteli tutti!». Il presidente della Confederazione, Giovanni, Balella, chiosò poi: «Ma sta diventando pazzo, completamente pazzo».
Il 19 luglio a una ventina di chilometri da Feltre, Hitler in un arrogante monologo impartisce al duce lezioni su come condurre la guerra. Ma il sottosegretario agli Esteri Bastianiani si chiede se Mussolini colga una sola delle parole del Führer. Da nove giorni lo sbarco alleato è avvenuto in Sicilia. A Mussolini non restano che due possibilità: richiedere al camerata tedesco i mezzi per respingere l’invasione o dichiarare che l’Italia non è più in grado di continuare la guerra.
Ma egli non apre bocca, mentre il Führer sta per avocare a sé il controllo delle forze armate italiane. Subentra la notizia che è in corso un bombardamento su Roma. Mussolini finalmente apre bocca per dire in tedesco: «Führer … Signori … In questo momento il nemico sta bombardando violentemente Roma».
Ma neppure durante la colazione a Feltre osa accennare alla questione dell’uscita dell’Italia dalla guerra, mentre il generale Ambrosio, Capo di Stato Maggiore, rimane costernato. Come spiegare siff atti atteggiamenti remissivi del duce di fronte a Hitler, se non con le sue condizioni psicopatologiche? S’avvicina la seduta del Gran Consiglio del fascismo.
Il giorno 22 luglio Dino Grandi ha un colloquio con Mussolini. Spera di convincerlo a recarsi dal re per cedere il potere. Il duce gli risponde: «Tu avresti ragione se la guerra fosse perduta, ma non lo è. Fra pochissimo tempo i tedeschi usciranno con un’arma segreta che capo volgerà le sorti della guerra ».
L’attesa dell’arma segreta germanica era ingenuamente molto diffusa in quel torno di tempo, come continuerà ad esserlo anche successivamente , e rientrava nei motivi propagandistici dell’Asse, ma anche in una certa realtà di sforzi in corso. Ma poteva il duce, l’uomo al vertice del potere in Italia, fornito delle informazioni dei servizi segreti e non segreti , abbandonarsi acriticamente a questa speranza e puntare tutto su di essa?
O era divenuta in lui un’idea quasi delirante che prosperava sul terreno morboso della depressione , idea quasi finalisticamente rivolta a negare sul piano soggettivo la catastrofe oggettiva? Quasi un procedimento inconscio diretto a salvare un minimo d’equilibrio psichico dallo sfacelo mentale imposto dalla responsabilità delle rovine provocate?
Ciò non toglie che la possibilità di trovare l ‘arma segreta imbattibile e decisiva fosse una possibilità concreta, della quale le V 2 che tanti lutti e danni recarono all’Inghilterra furono una specie di anticipo: ma era una possibilità che si .fece sempre più evanescente a mano a mano che i bombardamenti degli Alleati colpirono sistematicamente installazioni di ricerca e di attuazione mentre in America gli scienziati e i tecnici potevano operare indisturbati alla realizzazione della bomba atomica .
Resta il fatto che durante la Repubblica di Salò nell’autunno ’44 Mussolini potrà inviare con lasciapassare di Hitler, un corrispondente di guerra, Luigi Romersa, a Peenemünde nello Harz, ove vedrà un arsenale di terribili armi in costruzione. Potè costui anche assistere sull’isola di Rügen nel Mar Baltico all’esplosione sperimentale di una «bomba disintegratrice».
Conosciuta la relazione del Romersa il capo o meglio pseudocapo della Repubblica di Salò dichiarò in un discorso al Teatro Lirico di Milano, dicembre ’44, di essere non solo sicuro della vittoria finale dell’Asse, ma anche di poter ritornare fra poche settimane a Palazzo Venezia in Roma.
Il 24 luglio, seduta del Gran Consiglio. Il discorso di Mussolini è sconnesso e pietoso. Scrive Richard Collier: «Tutti lo guardavano con uno stupore incredulo. Avevano la subitanea impressione di essere al letto di un ammalato inconsapevole della gravità del suo stato; un suo improvviso sussulto li avvertiva che la malattia era mortale. Annio Bignardi, l’amico di Grandi, guardò gli altri quando udì il futile commento di Mussolini sulla caduta di Pantelleria: «Avrebbe potuto essere la Stalingrado del Mediterraneo. Ma solo Stalin e il Mikado possono ordinare di resistere fino all’ultimo uomo» .
Dopo la requisitoria di Dino Grandi e altri interventi, ecco Mussolini si difende e contrattacca con un certo vigore: «Non me ne andrò. Sia il re che il popolo sono con me». E minaccia: «Io mi domando che cosa sarà di coloro che si sono opposti a me stanotte». Ma non sa rinunciare a insinuare una frase oscura: « Potrei comunicarvi una grande notizia relativa a un importantissimo fatto che capovolgerà la situazione della guerra a favore dell’Asse. Ma preferisco non darvela per ora».
Non poteva essere che un richiamo alla consueta idea dell’arma segreta tedesca. Continuava egli dunque a fidare deliberatamente nell’idea di questa invenzione che d’altronde conteneva – come s’è detto – un nucleo di verosimiglianza e in verità l’arma segreta gli americani la trovarono davvero: la bomba atomica.
O si trattava un’altra volta ancora di un ricorso alla primitiva risposta psicobiologica di simulazione? Doveva pur essere convinto che la guerra per l’Italia era perduta, poiché la mattina di poi, precedente la visita al re Vittorio Emanuele III, convocherà il barone Hidaka, ambasciatore del Giappone per chiedergli di prendere contatti con il primo ministro Hideki Tojo, al fine che costui inducesse Hitler a cessare la guerra contro la Russia e avviare negoziati di pace.
Più che evidenti gli effetti deleteri della distimia ipodinamica dopo la liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso in Abruzzo, la quale distimia contribuì a fare dell’ex duce un succube impotente e invidioso del dittatore germanico.
Quanto all’ultimo episodio depressivo, quello della primavera 1945, esso è certamente corresponsabile del comportamento di Mussolini nei giorni che precedettero cattura e fucilazione. L’aver egli accettato di trasferirsi su di un autocarro tedesco, quando la colonna diretta a nord fu fermata dai partigiani di Pedro, il conte Bellini delle Stelle, e di mascherarsi da sergente della Luftwaffe, è un fatto difficilmente comprensibile sul piano psicologico mussoliniano se non in luce di psicopatologia.
PROPOSIZIONI CONCLUSIVE
Sotto il profilo psicologico e psicopatologico Benito Mussolini fu una personalità caratteropatica disturbata da eccesso di aggressività anche violenta , da risposte psicobiologiche finalistiche di simulazione-dissimulazione e di autoingrossamento, e da smodata volontà di affermazione e potenza, forse compensatrice di un complesso d’inferiorità; personalità dotata di eccezionale potere suggestivo, quasi da ipnotizzare, ma che finì col soggiacere al maggior potere ipnotico di Hitler.
Andò inoltre soggetto ad autentici episodi psicopatologici depressivo-ipodinamici, rientranti nella cerchia delle distimie. Sia la psicopatia caratteriale, sia la malattia distimica ad episodi ricorrenti influirono in senso negativo e talvolta catastrofico sull’azione politica del dittatore.