MA MUSSOLINI ERA PAZZO? – 2

a cura di Cornelio Galas

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Seconda e conclusiva puntata sull’indagine patobiografica condota da Beppino Disertori e Marcella Piazza su Benito Mussolini. In particolare oggi vedremo la cosiddetta caratteropatia. Cos’è la caratteropatia? In psichiatria e nell’antropologia criminale significa anomalia patologica del carattere: è in genere sinonimo di psicopatia. Facendo sempre riferimento ai due medici citati parleremo quindi dei disturbi distimici di Mussolini. II disturbo distimico è un disturbo cronico caratterizzato non da episodi di malattia, ma piuttosto dalla costante presenza dei sintomi.

Italian dictator benito Mussolini celebrated the anniversary of the founding of the Fascist Militia by pinning medals for valor on to the standards of the battalions which took part in the Italo-Ethiopian war, at Rome. He also decorated the widows of men who fell in the war, and attended a special mass for them. Mussolini wearing an aggressive expression as he stands on the rostrum to watch Fascist Militia parade past during the anniversary celebrations, in Rome, on Feb. 3, 1937. (AP Photo) Only Italy--Prezzo speciale contattare: massimo.zanotti@lapresse.it--

Tuttavia, il paziente con disturbo distimico può presentare alcune variazioni temporali nella gravità dei sintomi. Gli stessi sintomi sono simili a quelli del disturbo depressivo maggiore e la presenza di umore depresso – cioè il sentirsi triste, giù di corda, il vedere tutto nero e la mancanza di interesse nelle abituali attività – è un aspetto centrale del disturbo.

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I pazienti con disturbo distimico possono spesso essere sarcastici, nichilisti, meditabondi, esigenti e reclamanti; possono essere tesi e rigidi e resistenti nei confronti degli interventi terapeutici.

Infine affronteremo le ripercussioni di questi disturbi mentali nell’attività politica di Mussolini, e parleremo di quell’episodio, poco conosciuto, che riguarda sempre Mussolini durante la guerra in Grecia.

LA CARATTEROPATIA

Le note submorbose della personalità del duce – dicono Disertori e Piazza – sono molteplici e combinate in una miscela assai peculiare, che difficilmente può trovare un’adeguata spiegazione in soli fattori psicogeni, vale a dire soltanto nelle esperienze di vita vissuta aventi significato psicologico nocivo: nel caso particolare nelle frustrazioni  connesse  alla  condizione sociale della famiglia e alle ripercussioni  extrafamiliari di tale  condizione.

BEPPINO DISERTORI

BEPPINO DISERTORI

È presumibile, piuttosto, che sia avvenuta un’interferenza etiologica (Il termine eziologia deriva dalla lingua greca ed è utilizzato in medicina, diritto, filosofia, fisica, teologia, biologia e psicologia in riferimento alle cause che provocano i fenomeni. In linea generale, si tratta dello studio e dell’approfondimento sul motivo per cui alcuni eventi o processi si verificano, o persino sulle ragioni che si nascondono dietro determinati avvenimenti ndr) dei fattori psicogeni sociali con i fattori fìsiogeni dell’eredità, ossia genetici, connessi con il patrimonio individuale in Dna (acido desossiribonucleico, sostanza che trasmette l’informazione genetica, presente nei cromosomi del nucleo di tutte le cellule).

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Il riscontro anamnestico familiare- proseguono Disertori e Piazza –  ci rivela soltanto fra padre  e figlio un’analogia nel carattere ribelle, che portò entrambi ad affrontare la prigione per le idee professate. Ma quest’analogia di ribellismo non rappresenta per se stessa un minus;  un  difetto caratteropatico.  Al contrario può  in molti casi significare un plus, quando implica sacrifici affrontati per ragioni  ideali  d’ordine  superiore.

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La componente submorbosa del  ribellismo di Benito stette invece nell’aggressività violenta e nella povertà dei fini, per  cui il ragazzo si  fece ripetutamente espellere dalle scuole; come pure n ella rissosità, nell’intolleranza  alla  disciplina, nella  misantropia che  accompagnava la ribellione; e anche, nel giovanotto, nelle dogmatiche esibizioni, implicitamente aggressive nei confronti dei sentimenti del prossimo: come quando invitò pubblicamente Dio a dar dimostrazione, se ne era capace, della propria esistenza,  fulminandolo   all’istante.

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Chiaramente  psicopatiche,   rivelate   lungo   l’intero   arco   della   vita di Mussolini, erano la tendenza a  nascondere  la  personalità  dietro  maschere, ossia a valersi della risposta psico-biologica della simulazione-dissimulazione (nota  caratterologica  dominante  anche in  Stalin, come già  detto), e la libidine di un potere da  raggiungere  a  qualunque  prezzo, prescindendo da remore etiche, sino a rasentare la criminalità, come aveva notato il fratello Arnaldo   ( vedi  Denis  Mack Smith).

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Altro importante elemento di autentica caratteropatia submorbosa, benché alquanto innocuo nonostante fosse molto spiccato, consisteva nel sistematico ricorso alla risposta  d’autoingrossamento,  la  quale  si  faceva palese agl’italiani  e  al  mondo  quando  il  duce  si  presentava in  pubblico  nel tipico atteggiamento a testa ipertesa,  mento  in  avanti, volto  corruc­ciato,  occhi   di  sfida,   mani   sui fianchi.

E qui, per inciso, conviene far notare come le  risposte  psico-biolo­giche primitive di simulazione-dissimulazionee d’autoingrossamento soddi­sfecero nella filogenesi dell’uomo a livello zoologico, e soddisfino  a tutt’oggi in   taluni   animali   i   fini   di   conservazione  dell’individuo   e  della  specie.

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Esempi: nella savana l’erbivoro aggredito dal  predatore  carnivoro può salvarsi simulando la morte. Ma anche l’uomo, se caricato dal bufalo cafro (o bufalo nero), può trovare scampo fingendosi morto. Così il babbuino, mediante l’autoingrossamento può alle volte incutere paura al leopardo, suo mortale nemico, e  metterlo  in fuga.

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Giova pure segnalare che il ricorso a risposte psico-biologiche fina­listiche da parte dell’essere umano può  rientrare,  in determinate circostanze, nei comportamenti normali. Sono l’impulso, l’intensità, la inopportunità, l’anacronismo del fenomeno a costituire anormalità submorbosa o morbosa. Rilevante nel duce fu anche la risposta psico-biologica di mimesi inconscia nei suoi aspetti attivi e passivi, che  sta  alla  base  della  suggestione e dell’assunzione , imitazione e imposizione  automatica  di  determi­nati   comportamenti, e   sta  pure  alla  radice  dei   fenomeni   di ipnotismo e d’isterismo.

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Mussolini disponeva di un potere  suggestivo  eccezionale, che raggiungeva i gradi di un ipnotizzatore. Ma si rivelò a sua volta anche recettivo alla suggestione altrui nei  confronti  di  un  personaggio  ancor  più   dotato  quale  fu  Hitler. A  proposito  della  capacità  del  duce  di  svolgere un’azione sugge­stiva sino quasi a ipnotizzare, c’è un ricordo personale dello stesso Disertori:

“Ho veduto Mussolini e l’ho direttamente ascoltato, cioè non per radio, ma dalla viva voce, una sola volta: a Trento,  in  occasione  di  grandi manovre militari, dopo la conquista dell’Etiopia. Mi  recai  in  un  caffè  anti­stante la piazza del Duomo, nella quale era stata allestita una tribuna, donde egli arringò la folla. Ero con il mio fraterno amico Giannantonio Manci, poi eroe e martire della Resistenza al nazismo.

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GIANNANTONIO MANCI

Dal nostro osservatorio potevamo vedere e ascoltare senza farci vedere, e perciò senza implicare adesioni. Ebbene quella voce calda, suadente, esplicò su di me un effetto indiscutibilmente suggestivo, a prescindere dai contenuti esposti. Dovetti cacciare le mani nelle tasche per evitare il rischio di  mettermi ad applau­dire all’infuori della mia razionalità e volontà. Eppure, quando egli s’era affacciato alla tribuna nel suo stereotipo e truculento  autoingrossamento,  avevo avvertito uno spontaneo impulso all’ilarità. Ma nel frattempo s’era svincolata in me, inavvertitamente, l’arcaica mimesi inconscia , propria della suggestione e dell’ipnotismo”.

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Veniamo  alla  risposta  psico-biologica di  alterazione  oniroide e ag­glutinante della realtà, la quale risposta domina la psicopatologia degli schizofrenici e di altri pazienti psicotici. Essa introduce  nella  veglia  fenomeni propri  del  sogno  e  agglutinazioni  di  pensiero.  E  può  esprimersi  anche in forme abbozzate,  all’infuori  di  una  malattia  mentale  conclamata.

Ha afflitto Mussolini nella misura in cui ha potuto alterargli la valutazione realistica, obiettiva degli avvenimenti, specie nelle fasi depressive che analizzeremo in seguito, e la ha  seriamente  ottenebrata ·nel  periodo  termi­nale della vita, a mano a mano che le capacità  critiche  andavano  attenuandosi sotto le suggestioni di  Hitler,  allievo  che  andò  superando  il maestro nei  successi  e  negl’insuccessi  defìnitivi .

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Consideriamo ora la sfera psichica degl’istinti e affetti  nella  sua globalità ossia l’intera sfera fìnalistica, a proposito del  caso  clinico  Mus­solini.  Mi  avvalgo  a  questo  scopo – scrive Disertori – dei   parametri   introdotti  in   scienza negli anni  Venti  dal neurobiologo Constantin  von  Monakow.  Mi  riferisco a ormeteri e noormeteri. I termini sono ricavati dalle parole greche horme­ terion, eguale «impulso», e  noos  eguale «mente».  Gli  ormeteri  sono gl’istinti  elementari,  i  noormeteri  sono  gl’istinti  integrati   e  modulati   dall’intelligenza. Vanno distinti ormeteri e noormeteri conservativi, sessuali, parentali, sociali.

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Constantin von Monakow

Ebbene non possiamo non registrare spiccate disarmonie della sfera finalistica  in  Benito  Mussolini: un eccesso,  come  si è  visto,  d’aggressività e di volontà  di  potenza,  che  sono  componenti  dell’istinto  di  conservazione individuale e che si manifestano a livello ormeterico e noormeterico, mentre il noormetere sociale, inteso come impulso a giovare al prossimo operativamente e perciò come noormetere dell’antiegoismo, sembra o è sopraffatto  dalle  esigenze  egoistiche.

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Nel campo  dell’istinto  sessuale  l’ormetere  era  iperattivo,  se  sono vere le notizie circa la frequenza delle visite di donne diverse che il duce riceveva  a  Palazzo  Venezia   con  ritmo  quasi  quotidiano.  Ma  d’altra  parte a onor del vero, non si possono misconoscere in lui le capacità noormeteriche di autentico amore. Non mi sembra che possano sussistere dubbi sui suoi genuini sentimenti per Claretta Petacci, sebbene nella coppia fosse lei a superarlo per  potenza  di un  amore che  si elevò sino al sacrificio  della vita.

Claretta Petacci

Claretta Petacci

Quanto  all’istinto  parentale  Mussolini  fu  un   padre   affettuoso  ·verso i  suoi cinque  figli, sebbene il suo stato di dipendenza  psicologica  da Hitler e dai  neofascisti  più  fanatici  l’abbia  indotto  a  macchiarsi  di   complicità, per mancato  intervento  salvatore,  nell ‘esecuzione  di  Galeazzo,  il  marito della  figlia  più  amata .

EDDA MUSSOLINI E GALEAZZO CIANO

EDDA MUSSOLINI E GALEAZZO CIANO

Ma torniamo al  noormetere  sociale, sopraffatto come si è  detto,  dalle esigenze egoistiche dell’aggressività e della libidine di potere e di successo. Qui s’apre un problema a proposito di quell’istinto sociale noormeterico che si manifesta nell’operosità costruttiva  a  favore  degli  esseri umani,  intesi   come  collettività.

Ecco: era soltanto libidine di potenza e brama di affermazione individuale, ambizione egoistica insomma, quella che agitava il politico Mussolini? O anche una più o meno inconscia  aspirazione  verso  valori  sociali, concepiti nell’accezione più ampia, verso una migliore sorte per gl’italiani  e,  diciamolo pure,  verso  una   migliore  condizione  umana?Il  quesito  è arduo.

Benito Mussolini (1883 - 1945) the Italian dictator in 1934. (Photo by Topical Press Agency/Getty Images)

Rimane accertato che nell’uso  della  violenza  troppe  volte  il  dittatore si mostrò asociale e amorale, sordo  ai  valori  supremi  della  società  umana e dell’etica: ai tempi del delitto Matteotti, come nell’uso  dei  gas  venefici durante la guerra d’Etiopia, o nella persecuzione degli ebrei, ri­chiesta da Hitler,  o  lasciando  fucilare  Galeazzo  Ciano,  o  nell’aver separato la popolazione italiana in cittadini di primo ordine e in italiani non tesserati, privi di tutta una serie di diritti. Senza dire delle  persecuzioni  durante   la  repubblica   di  Salò.

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E  non   ispirò   certamente   la   sua  politica estera del ventennio a considerazioni  morali,  quando ad esempio inter venne in guerra  pugnalando  alla  schiena  la  Francia,  prostrata  dalle  armate di   Hitler. Nonostante  questi fatti, non  possiamo escludere che, su  piano   sub­conscio con emersioni  nel  conscio,  abbiano  operato  in  lui,  nell’insieme delle sue prestazioni di uomo politico e di Stato, anche la speranza e il convincimento di poter recare servizi  all’Italia  e  alla  civiltà  quale «uomo  del  destino».

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Nel saggio di  psicologia teoretica De anima (Ed.  di Comunità, Milano, 1959) Disertori aveva peraltro proposto ed elaborato la distinzione  fra  intrinseco  finalismo meramente biologico ossia tendenza a effettuare gli scopi vitali dell’organismo, e un finalismo spirituale, cioè ideale e religioso, che nell’uomo  s’aggiunge  e si combina  con il precedente.

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Infatti, secondo Disertori,  l’essere  umano  è capace di mirare a fini che vanno oltre il  bersaglio  dei  fenomeni  biologici, sa  aspirare  ai  valori  ideali  assoluti  del  Bene,  del  Bello,  del  Vero,  e a Ciò  che  ci  trascende.  Sotto  questo  profilo  il  quesito  che  si pose,  nei riguardi della psicologia  di  Mussolini,  era  il  seguente:  c’era  nel  dittatore  atrofia  o  almeno  ipotrofia  costituzionale   delle   tendenze   connesse  con il finalismo spirituale, specifico dell’essere umano? Di quelle tendenze che possono creare un  freno,  immanente  o  trascendente,  più  o  meno conscio o inconscio, rispetto a determinati  comportamenti,  o  anche  una  forza  motrice  per   altri  comportamenti  legati  a   valori   spirituali?

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È questo – scrive Disertori  – un  quesito  assai  difficile  che  si  presta  indubbiamente  a  risposte ambivalenti. C’è  un   dettaglio  nella   vita   di   Mussolini,  solitamente   trascurato o insufficientemente considerato: che con  tutta  probabilità  la  maggior  parte del denaro che guadagnava, e a momenti era ingente, finiva  in  opere  di  carità,  praticate   in  modo   molto  riservato.

Si  può riscontrare   in   questo   comportamento  una   reazione  com­pensativa  rispetto ai  comportamenti   amorali  e  grossolanamente   asociali, o se vogliamo riferirci alle teorie monakowiane sulla sfera istintiva, un intervento della syneidesi, concepita come inconscia  coscienza biologica, come istintiva profonda esigenza di restaurare equilibrio nella squilibrata  sfera degli istinti, nella quale il  Monakov  usava  comprendere  anche  un istinto religioso-metafisico.

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A mia volta – prosegue Disertori – in questa sfera finalistica  comprendo,  limitatamente all ‘ànthropos, non solo gl’istinti biologici (ormeteri e noormeteri), ma anche le  tendenze spirituali . Poiché  ho  fatto  riferimento  ai  problemi   dell’inconscio  psichico, non posso non inserire nella  discussione  il quesito  se fosse  operante  nel duce quel complesso subconscio d’inferiorità a cui s’è  fatto  cenno:  ipercompensato  sino  a  capovolgersi  in  tracotante  esibizione  di    superiorità.

Mussolini giovane

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Le premesse etiologiche c’erano sicuramente: frustrazioni subite nell’infanzia e adolescenza ed eventi  avvertiti  come  frustrazioni,  in  rap­porto alla condizione sociale. In altre parole si sarebbe verificato un com­plesso d’inferiorità per effetto di avvenimenti di vita  vissuta  aventi  signi­ficato psicologico  mortificante.

Alfred Adler, il fondatore della teoria psicoanalitica  delle  nevrosi dovute a complesso d’inferiorità, si dichiarò convinto che la prima infanzia aveva  lasciato  nel  futuro  duce  profondi sentimenti d’inadeguatezza. Importante la testimonianza di Dino Grandi nell’opera Il mio paese. Ricordi autobiografici a cura di Renzo De Felice ( società ed. «Il Mulino», 1985).

Dino Grandi

Dino Grandi

Il  Grandi  è  l’uomo  che  dovendo  scegliere  tra  la  fedeltà   al   suo capo  e  la  fedeltà  al  paese  scelse  senza  esitazione  il  paese.  A  proposito del comportamento di  Mussolini  giunto  a  Locarno  per  la  firma  del  Trattato,  1925,  Dino  Grandi  parla  di  «arroganza  commista a timidezza» da cui deriva il  complesso d’inferiorità   di  Mussolini  nel  negoziato  vero   e  proprio.

Ma già in occasione della conferenza di Losanna, 1922, il Presidente del Consiglio francese, Poincaré a una domanda di Lord Curzon aveva espresso sul Presidente del Consiglio italiano il seguente giudizio: «Il s’annonce comme  le  tonnere  mais  il finit  comme  la pluie». (Si annuncia come un tuono , ma finisce come la pioggia). Anni di poi l’autonomina di Mussolini a Maresciallo dell’Impero avrebbe confermato la persistenza del complesso d’inferiorità nel simbolo visibile di  una  uniforme  militare.

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Non meno importante e dimostrativa la diagnosi caratterologica proposta dallo stesso Grandi, che ebbe per anni l’occasione di avvicinare quotidianamente il dittatore. “Venni a conoscenza – egli scrive – di Mussolini, o meglio dei mille Mussolini che erano in lui, inafferrabile, contraddittorio , enigmatico, in cui l’ostinazione cieca e la volubilità quasi .femminea si sovrapponevano continuamente; generoso,  piccolo e grande, temerario  ed esitante a un tempo, straordinario ed inaspettato sempre; la sua puerile gelosia , in così stridente contrasto con la sua personalità …”

La validità del giudizio di Grandi è implicitamente confortata da questa uscita di Mussolini nel  momento  del  licenziamento  del  collaboratore: «Grandi mi conosce troppo perché io possa più a lungo sopportare il fastidio  di averlo vicino». In altro passo del libro Grandi dà per ovvio «il carattere vendicativo di Mussolini».

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Voglio anche sottolineare – aggiunge Disertori – una nota caratteriale della personalità  del  duce da  Grandi  colta  e  riportata  in  parentesi  casualmente, ma  essenziale: la diffidenza  esasperata; «Egli diffidava di tutti e  di tutto, meno che della fortuna». La quale diffidenza non è sul piano evolutivo dell’ànthropos che una risposta psico-biologica arcaica di tipo fobico risalente all’uomo primitivo, esposto ai mille pericoli diurni e notturni della  savana;  come risale  pure  all’uomo  primitivo  la   risposta   di  affidarsi   alla   fortuna   ossia  a  forze  psichiche   misteriose,   che   sfuggono  alla  razionalità.

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Altra caratteristica della personalità di Mussolini segnalata nello stesso libro è il «fascino dello stregone che indubbiamente egli possedeva», fascino che Grandi dichiara dì non aver mai subito. Disertori deve invece confessare, come abbiamo visto, di  averlo  sperimentato in  notevole intensità,  l’unica  volta  che  vide  Mussolini  alquanto  da  vicino

GLI EPISODI DISTIMICI

Ma ben maggiore considerazione ai fini analitici della condotta politica  meritano gli episodi  psicopatologici  distimico-depressivi,   sui  quali – ch’io sappia, dice Disertori – non venne rivolta attenzione diagnostica adeguata. Essi sfuggono dalla cornice della caratteropatia per costituire autentiche fasi di malattia psichica ricorrente.

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L’episodio accaduto nel febbraio 1925, che s’accompagnò alla riacutizzazione dell’ulcera gastro-duodenale,  può lasciare  dubbi   diagnostici, se preso a sé stante. Ma se teniamo conto anche delle caratteristiche psicopatologiche e degli episodi che seguirono, dobbiamo concludere  che esso  non può ridursi  agli effetti dell’ulcera; questa potrà, al   massimo, aver facilitato, anche con l’apporto nocivo della dieta carenzata, lo  svin­colo della depressione.

Il  fatto  stesso  che  si  sospettò, a torto,  una  manifestazione  neuro­psichica di  sifilide  (a torto, perché la  reazione di  Wassermann  fu  negativa, e perché la ciclicità, poi emersa, mal si conciliava con tale diagnosi), conferma che ci fu un autentico quadro distimico  psicopatologico.  La  dieta lattea squilibrata e  il  monofagismo  di  frutta  non  poterono  certo  giovare  al   turbato   equilibrio   neuro-psichico   del paziente.

MUSSOLINI CON IL MEDICO PERSONALE ZACHARIAE

MUSSOLINI CON IL MEDICO PERSONALE ZACHARIAE

Ma   determinante  ai   fini  diagnostici   è  la  notizia   circa  l’incapacità a concentrarsi che è tipica del quadro ipotimico proprio di taluni stati distimico-depressivi. Possiamo dunque concludere che  l’infermità, da cui fu colpito Mussolini nel febbraio 1925, comportò  un’emersione patologica della risposta psico-biologica di disforia-depressione, prescindendo dalla natura del  processo morboso  soggiacente  all’evocata  risposta.

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Che poi nella dissoluzione della funzione correlata allo stato depressivo, potessero svincolarsi  risposte  psico-biologiche  finalistiche  oniroido-agglutinantì,  comportanti la  comparsa  di  idee  subdeliranti,  come  quella  di  voler  modificare il carattere degli  italiani  sino  a  farli  sfilare  dinanzi  a  un  berretto  piantato su di un palo, sino a creare l’italiano di Mussolini, ciò rientrava pure nel decorso della  dissoluzione della funzione, determinata dalla caduta di livello psichico. Si collegava a questa alterazione psichica  il sospetto emesso da un diplomatico giapponese circa uno squilibrio mentale dovuto a forma paranoide   incipiente.

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Chiaramente distimico-depressivi sono gli  episodi  che  vanno  dalla fine del 1939 a tutto  il  gennaio  1940,  quando  Ciano  e  il  capo  della  polizia pensarono a loro  volta  alla  sifilide, e quello della  primavera del  1945. Si  spiega  pure  nel  quadro  della  depressione  psicopatologica  lo  stato dell’animo di Mussolini nel periodo delle  sconfitte  militari  e delle umiliazioni inferte da Hitler, che precedettero la  caduta  dal potere e l’arresto  da  parte del  re  il 25  luglio 1943.

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Particolare attenzione, agli scopi diagnostici della forma  distimica, spetta a  quello  stato di  superficialità euforica  che  seguì  alla  depressione  nel febbraio 40 . S’è forse trattato di una fase distimica d’eccitamento ipomaniacale? In tal caso le fasi depressive a cui Mussolini andò  soggetto  sarebbero rientra te nell’ambito di una distimia ricorrente non  solo e non sempre unipolare, vale a  dire  rivolta al  polo  disforico,  cioè  alla  malinco­nia e alla depressione, ma almeno una volta al polo euforico: nell’ambito pertanto di una distimia  bipolare,  sebbene  solitamente  unipolare.

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Di questa malattia distimica, attribuibile alla cerchia delle psicosi affettive, e della psicosi maniaco-depressiva in particolare,  quale  fu la  causa ? Non possono sussistere dubbi in proposito,secondo Disertori. La  causa stette nella costellazione genetica propria di tale cerchia patologica, e perciò nella materialità dell’Acido desossiribonucleico (DNA); sebbene  non si possa escludere che grandi avvenimenti emotivi come la crisi del fascismo all’epoca del delitto Matteotti, o  la decisione se far  entrare in guerra l’Italia, o le sconfitte ingravescenti che determinarono la seduta del Gran Consiglio e il conseguente arresto del dittatore da parte del  Re  il 25 luglio 1943, o l’incombente catastrofe della Repubblica di Salò nel ’45,  possano aver pesantemente contribuito, volta per  volta,   allo   scatenarsi dei  singoli  episodi  morbosi.

LA  RIPERCUSSIONE  SULLA POLITICA

È questo  l’aspetto più  interessante  del  caso clinico. Disertori esamina separatamente, nei limiti del possibile, gli  effetti della  caratteropatia  e  quelli  degli  episodi  morbosi distimici.

La caratteropatia – dice Disertori – si palesa in tutti  gli  atteggiamenti estremisti  e violenti  del  giovane  Mussolini  socialista,   del  quale  la  libidine   di  potere e  l’esigenza  di  apparire  condizionarono  indubbiamente  i  comportamenti. La  sua  propensione   a  simulare e  dissimulare gli permise di  assu­mere  posizioni   diametralmente   antitetiche,   anche contemporaneamente, in  rapporto  con  l’opportunità  di  accattivarsi  determinate  persone  o  gruppi e  di  crearsi  una   base   nelle  masse.

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Anche nel  passaggio  dal  partito  socialista e da una  posizione neu­tralista a una posizione patriottica, irredentista, interventista, la caratteropatia fu certamente una componente facilitante, sebbene, come già accen­nato, una  certa  sincerità  non  mi  sento  di rifiutarla.

Nel periodo di fondazione del fascismo sono proprio  queste  due  qualità caratteropatiche, dell’aggressività e  della  simulazione-dissimula­  zione, a concorrere in modo determinante all’ascesa al potere e alla conservazione  del  potere  conquistato.

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E sono le medesime due componenti che  informano  la  politica estera mussoliniana lungo l’intero arco dell’Italia fascista: una  politica scevra di scrupoli, pronta ai mutamenti d’alleanza, indifferente alla coerenza della  parola data:  una  politica  che  comportò  apparenti  successi  di prestigio, e alcuni  successi  reali,  come  il Trattato e il  Concordato con la Santa Sede o la conquista dell’Etiopia; ma soprattutto grossolani insuccessi, come I’Anschluss dell’Austria da parte di Hitler, nonostante le di­hiarazioni ai tempi di Engelbert Dolfuss che l’Austria non si sarebbe toccata, o come la guerra  di  Spagna, ove  i  fascisti  subirono  la  sconfitta di Guadalajara inflitta loro da Randolfo Pacciardi.

Randolfo Pacciardi (sulla dx) con Pietro Nenni

Randolfo Pacciardi (sulla dx) con Pietro Nenni

Il massimo degl’insuccessi furono il patto  d’acciaio,  che  legò  mortalmente Mussolini  a Hitler,  e l’entrata in guerra contro la Francia e la Gran Bretagna,  che  fu com­plicità nella congiura hitleriana contro l’umanità e che si concluse in catastrofe immane. Questa, oltre al resto, portò il totalitarismo comunista sovietico all’egemonia sull’Europa orientale, cioè su mezza Europa, e permise al comunismo asiatico d’impadronirsi dell’intera Cina  continentale. Oggi a quarant’anni dalla fine di Mussolini e di Hitler solo i paesi della Comunità e pochi altri, come la Svizzera, la Norvegia, la Svezia, la Finlandia  godono  in  Europa  della Libertà.

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Forse proprio al complesso d’inferiorità possiamo attribuire l’errore politico-militare della guerra contro  la  Grecia  nell’ottobre  1940.  Il  duce aveva appena appreso che i  tedeschi  stavano   occupando la  Romania. «Hitler mi mette sempre di fronte al fatto  compiuto  – disse a Ciano – questa volta lo pago  con  la  stessa  moneta. Saprà  dai  giornali che  ho  occupato  la  Grecia.  Così  l’equilibrio  verrà ristabilito».

In effetti furono ristabiliti un equilibrio e una compensazione di  fronte a quel complesso d’inf eriorità di Mussolini,  che trovava  alimento  nel comportamento provocatorio del Fi.ihrer. Questi  recepì  il colpo, ma per  prendere  atto che  era  «vera  pazzia»  quella  del  suo alleato.

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Non c’erano ragioni strategiche valide. Hitler al feldmaresciallo Keitel profetizzò che  il  risultato  sarebbe  stato  una  catastrofe  militare. Lo storiografo Collier precisa, sia pure con il senno di poi, che il gesto avventato di Mussolini  «decretava  la condanna  a morte  del Terzo Reich e del regime fascista». Anche il maresciallo Badoglio, capo di Stato Maggiore, aveva protestato sia pure solo verbalmente la sua opposizione, convinto che  si  trattasse  di  una  criminale follia.

D’altronde il duce, sempre roso dal complesso d’inferiorità  si  chie­deva: «Hanno  forse  fatto  alcuna  comunicazione a noi  per  la  campagna della Norvegia ? Ci hanno avvertiti  quando  intendevano  scatenare  l’offensiva  verso  Ovest?  Essi  ci  hanno  considerati  come  non  esistenti,  e  ora  io li  ripago  con   la   stessa  moneta».

Settembre 1937. Hitler e Mussolini a colloquio nella Cancelleria di Berlino

Settembre 1937. Hitler e Mussolini a colloquio nella Cancelleria di Berlino

A conferma della futilità delle motivazioni, il duce scelse per l’inizio delle ostilità  il  giorno che Hitler  gli  aveva  indicato  per  il loro incontro a Firenze.

DISTIMIA  DURANTE  LA  GUERRA  DI   GRECIA

A proposito di una correlazione psicopatologica con la guerra di Grecia Disertori venne casualmente a conoscenza di fatti importanti e dimo­strativi, del tutto inediti, conversando con la  signora  Francesca Leo  Pin­cherle   consorte   dell’illustre   archeologo  e   scrittore   prof.  Mario.

Mario Pincherle

Mario Pincherle

La signora – scrive Disertori – mi  ha  raccontato  il  seguente  episodio e  usato  la  cortesia di  riassumerlo   per  iscritto:.

«Durante la guerra di Grecia, quando le cose per l’Italia volgevano al peggio,  Mussolini,  per  essere  più  vicino  al  fronte,  si  era  trasferito m  Puglia,  in  una  villetta  vicino  a  Bisceglie e di lì seguiva  le operazioni. Mio   padre,   ingegnere  Ugo   Leo,  era   capo  dei  Vigili   del  fuoco  di Bari.

Ebbe allora dal Ministero degli Interni l’incarico  di provvedere  a rendere più comoda   possibile   la   residenza   dell’illustre   ospite.   Dislocò un  maresciallo dei Vigili,  di nome  Antonicelli,  presso  la  villa  di   Bisceglie.

Durante le grandi manovre del 1935: Mussolini e gerarchi fascisti a Cles

Durante le grandi manovre del 1935: Mussolini e gerarchi fascisti a Cles

Mussolini fu visto, da  persone che  gli erano  vicine, stare  fermo sotto  la  pioggia ,  in  giardino,  a  piangere. Una volta venne  da  noi  l’Antonicelli  e ci  disse:  «Il  Duce  sta delle ore a piangere. È sempre molto pensieroso. Non mangia quasi più. Rimane  immobile  ore e ore seduto  a  pensare,  con  la  testa tra  le  mani   e i  gomiti  sulle  ginocchia.  È estremamente  preoccupato». Mussolini  restò  in  quella  villa   una  ventina  di   giorni». In fede, Francesca  Pincherle

EFFETTI  DEGLI  EPISODI DEPRESSIVI

L’incidenza di tali episodi sulle prestazioni di Mussolini uomo di Stato  non  può  e  non  deve  venir sottovalutata. Gli  episodi  degli   anni   ’24,   ’25,   ’29   s’accompagnarono,   come s’è detto, a riacutizzazioni del fatto ulceroso e all’instaurazione di una dieta sempre più rigorosa.

C’è da chiedersi se quelli del ’24-25, che corrispondono al delitto Matteotti e alle sue conseguenze, siano stati alquanto responsabili di comportamenti abnormi, in connessione con le tensioni emo­tive del momento politico. Difficilmente – dice Disertori – possiamo ritenere che i fatti patologici, compresi i danni carenziali delle diete errate, non abbiano nociuto alla serenità necessaria  per  governare  la nave  dello Stato.

Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti

Soprattutto i fenomeni  distimico-ipodinamici  del  periodo  dalla  fine del ’39 all’inizio  del  ’40,  che  comportarono  incapacità  alle  rapide  deci­sioni e tutta una serie di disturbi psichici al  punto  d’insospettire  Galeazzo Ciano e il capo della polizia, non possono non  aver  pesato  sul  determinismo di una politica di dubbi,  d’incertezze  e  di  contraddizioni  e soprat­tutto di volubilità in una fase delicatissima di non belligeranza, quando dovevano  maturare   scelte   inevitabili   di  portata   decisiva:   se   intervenire e quando nel conflitto  o restarne  fuori  definitivamente:  in  un  periodo  in  cui  il  capo  del  governo  abbisognava   della   maggior   rapidità   di   giudizio e di lucidità mentale, di  controllo  sull’emotività  e  sull’impulsività  nel prendere   decisioni  coerenti.

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L’episodio antipolare di superficialità ipomaniacale, che seguì al depressivo nel  febbraio  ’40,  non  giovò  certo  a  migliorare  le  prestazioni  del duce e a compensare i  danni  politici  derivati  dalla  fase  depressiva,  se mai  li  aggravò. Particolare attenzione  merita   pure lo   stato  depressivo   che caratte­rizza il momento storico delle sconfitte militari, che precedettero e accom­pagnarono  lo sbarco degli  alleati in Sicilia e determinarono la   seduta del Gran  Consiglio  del  fascismo e  l’arresto  di  Mussolini  per  ordine  del  re, il 25 luglio 1943.

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Desidero soffermarmi – dice al riguardo Disertori – sul  comportamento del duce  in  questa  fase. Mi giova allo scopo ricorrere alla narrazione di un altro biografo inglese, Richard Collier, The Rise and Fall  of  Benito  Mussolini,  1971 ( trad.  it.  Duce!   Duce!,  Mursia   ed.,  Milano).

Scrisse il Collier che l’impulso di Mussolini dinanzi  a problemi  che lo spaventavano era di andare a nascondersi. Così il 13 maggio del ’43, quando le forze dell’Asse si erano arrese in  Africa,  egli  si era  rintanato alla Rocca delle  Caminate a spulciare  articoli  di   giornali.

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Nel giugno presiedette una riunione del comitato della Confedera­zione degli Industriali. Il Ministro dell’Agricoltura dichiarò che il raccolto era stato inferiore alla norma. Il duce scattò: «Sapete  cosa fanno  gli uccelli? Si posano sullo stelo, facendo piegare con il loro peso le spighe restano nascosti e mangiano i chicchi. Uccidete gli uccelli! Uccideteli tutti!». Il  presidente   della  Confederazione, Giovanni, Balella,   chiosò   poi: «Ma   sta  diventando  pazzo,   completamente pazzo».

Visita ufficiale di Hitler a Roma nel 1938; sul palco in prima fila da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler, Vittorio Emanuele III, Elena del Montenegro; in seconda fila, da sinistra: Joachim von Ribbentrop, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Heinrich Himmler

Visita ufficiale di Hitler a Roma nel 1938; sul palco in prima fila da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler, Vittorio Emanuele III, Elena del Montenegro; in seconda fila, da sinistra: Joachim von Ribbentrop, Joseph Goebbels, Rudolf Hess, Heinrich Himmler

Il 19 luglio a una ventina di chilometri da Feltre, Hitler in un arrogante monologo impartisce al duce lezioni su come condurre la guerra. Ma il sottosegretario agli Esteri Bastianiani si chiede  se Mussolini colga  una   sola  delle  parole  del Führer. Da nove giorni lo sbarco alleato è avvenuto in Sicilia. A Mussolini non restano che due possibilità: richiedere  al  camerata  tedesco  i  mezzi per respingere l’invasione o dichiarare che l’Italia non è più in grado di continuare  la guerra.

Hitler e Mussolini a Villa Gaggia di Feltre

Hitler e Mussolini a Villa Gaggia di Feltre

Ma egli non  apre  bocca, mentre il Führer  sta per  avocare  a  sé il controllo  delle  forze  armate italiane. Subentra la notizia che è in corso un bombardamento su Roma. Mussolini finalmente apre bocca per dire in tedesco: «Führer … Si­gnori … In questo momento il nemico sta bombardando violentemente Roma».

Ma neppure durante la colazione a Feltre osa accennare alla questione dell’uscita dell’Italia dalla guerra, mentre il generale Ambrosio, Capo di Stato Maggiore, rimane costernato. Come spiegare   siff atti   atteggiamenti   remissivi   del   duce  di  fronte a  Hitler, se  non   con   le   sue  condizioni   psicopatologiche? S’avvicina   la   seduta   del   Gran   Consiglio  del fascismo.

Vittorio Ambrosio

Vittorio Ambrosio

Il giorno 22 luglio  Dino Grandi ha un colloquio  con  Mussolini.  Spera di convincerlo a recarsi dal re per  cedere il  potere. Il duce  gli risponde: «Tu  avresti   ragione   se  la  guerra   fosse  perduta,  ma   non   lo   è. Fra pochissimo tempo i tedeschi usciranno con un’arma segreta che capo volgerà  le  sorti  della   guerra ».

Dino Grandi

Dino Grandi

L’attesa  dell’arma  segreta  germanica  era  ingenuamente  molto diffusa in quel torno  di tempo,  come continuerà  ad  esserlo  anche  successivamente , e rientrava nei motivi propagandistici dell’Asse, ma anche  in  una  certa  realtà di sforzi  in  corso.  Ma  poteva  il  duce,  l’uomo  al  vertice  del  potere in Italia, fornito delle informazioni dei servizi segreti e non segreti , abbandonarsi  acriticamente a  questa   speranza  e  puntare  tutto  su  di  essa?

O era divenuta in lui un’idea quasi delirante che prosperava sul  terreno morboso della depressione , idea quasi finalisticamente rivolta a negare sul piano soggettivo la catastrofe oggettiva? Quasi un procedimento inconscio diretto a salvare un minimo d’equilibrio psichico dallo  sfacelo mentale  imposto   dalla   responsabilità   delle   rovine  provocate?

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Ciò non toglie che la possibilità di trovare l ‘arma segreta imbattibile e decisiva fosse una possibilità concreta, della quale le V 2 che tanti lutti e danni recarono all’Inghilterra furono una specie di anticipo: ma era una possibilità  che si .fece sempre più evanescente a mano a mano che i bombardamenti degli Alleati colpirono sistematicamente installazioni di ricerca e di attuazione mentre in America gli scienziati e i tecnici potevano operare indisturbati  alla realizzazione  della  bomba   atomica .

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Resta il fatto che durante la Repubblica di Salò nell’autunno  ’44  Mussolini potrà inviare con lasciapassare  di Hitler, un  corrispondente  di  guerra, Luigi Romersa, a Peenemünde nello Harz, ove vedrà  un  arsenale  di  terribili  armi  in  costruzione.  Potè costui anche assistere sull’isola di Rügen nel Mar Baltico all’esplosione sperimen­tale  di  una  «bomba disintegratrice».

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Conosciuta la relazione del Romersa il capo o meglio pseudocapo della Repubblica di Salò dichiarò in un discorso al Teatro Lirico di  Milano, dicembre  ’44, di essere non solo sicuro della vittoria finale dell’Asse, ma anche di poter ritornare fra  poche settimane a Palazzo Venezia  in Roma.

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Il 24 luglio, seduta del Gran Consiglio. Il discorso di Mussolini è sconnesso e pietoso. Scrive  Richard  Collier: «Tutti  lo  guardavano con uno stupore incredulo. Avevano la subitanea impressione di essere al letto di un ammalato inconsapevole della gravità del suo stato; un suo improvviso sussulto li avvertiva che la malattia era mortale. Annio Bignardi, l’amico di Grandi, guardò gli altri quando udì il futile commento di  Mussolini sulla caduta di Pantelleria: «Avrebbe potuto essere la Stalingrado del Mediterraneo.  Ma  solo  Stalin  e  il  Mikado  possono  ordinare di  resistere  fino all’ultimo  uomo» .

ADN-ZB/Repro/23.1.85/Bez. Erfurt: Gedenken an Antifaschisten/ In unterirdischen Stollen des faschistischen Konzentrationslagers "Mittelbau Dora" bei Nordhausen hatte das Rüstungsunternehmen Mittelwerk GmbH einen Rüstungskomplex errichtet. Unter Ausbeutung von KZ-Häftlingen wurden hier Raketen gebaut (V 1 und V 2). Durch gezielte Sabotage der Widerstandsorganisation, zu der auch der am 23.1.45 im KZ ermordete Antifaschist Albert Kuntz gehörte, war etwa ein Drittel der Raketen, die den Krieg für Hitler entscheiden sollten, unbrauchbar. Das Foto zeigt einen der Montagestollen für V-Waffen (Reproduktion einer Aufnahme von 1945).

Dopo la requisitoria di Dino Grandi e altri interventi, ecco Mussolini si difende e contrattacca con un certo vigore:  «Non me ne  andrò.  Sia il re che il popolo sono con me». E minaccia:  «Io  mi  domando  che cosa sarà di coloro che si sono opposti  a me  stanotte».  Ma  non  sa  rinunciare  a insinuare una frase oscura: « Potrei comunicarvi una grande notizia rela­tiva  a un  importantissimo fatto che capovolgerà la situazione  della guerra  a  favore  dell’Asse. Ma  preferisco  non  darvela  per ora».

Non poteva essere che un richiamo alla consueta idea dell’arma segreta tedesca. Continuava egli dunque a fidare deliberatamente nell’idea di questa invenzione che d’altronde conteneva – come s’è detto – un  nucleo di verosimiglianza e in verità l’arma segreta gli americani la trovarono  davvero:  la  bomba  atomica.

O si trattava un’altra volta ancora di un ricorso alla primitiva risposta psicobiologica di simulazione? Doveva pur essere convinto che la guerra per l’Italia  era perduta, poiché la  mattina di poi,  precedente la visita al re Vittorio Emanuele III, convocherà il barone Hidaka, am­basciatore del Giappone per chiedergli di prendere contatti con il primo ministro Hideki Tojo, al fine che costui inducesse Hitler a cessare la guerra contro la Russia e avviare negoziati di pace.

MUSSOLINI A GARDONE CON L'AMBASCIATORE NIPPONICO HIDAKA

MUSSOLINI A GARDONE CON L’AMBASCIATORE NIPPONICO HIDAKA

Più che  evidenti  gli  effetti  deleteri  della  distimia  ipodinamica  dopo la liberazione dalla prigionia sul Gran Sasso in Abruzzo, la quale distimia contribuì a fare dell’ex duce  un  succube  impotente  e  invidioso  del  dit­tatore   germanico.

LA LIBERAZIONE DI MUSSOLINI

LA LIBERAZIONE DI MUSSOLINI

Quanto all’ultimo episodio depressivo, quello della  primavera  1945,  esso è  certamente  corresponsabile  del  comportamento  di  Mussolini  nei giorni  che  precedettero   cattura   e  fucilazione. L’aver egli accettato di trasferirsi  su  di un  autocarro  tedesco,  quando la colonna diretta  a  nord  fu  fermata  dai  partigiani  di  Pedro,  il conte Bellini delle Stelle, e di  mascherarsi  da  sergente  della  Luftwaffe,  è  un  fatto  difficilmente  comprensibile  sul  piano  psicologico  mussoliniano   se non  in  luce   di  psicopatologia.

PROPOSIZIONI   CONCLUSIVE

Sotto il  profilo  psicologico  e  psicopatologico  Benito  Mussolini  fu una personalità caratteropatica disturbata da eccesso di aggressività anche violenta , da risposte psicobiologiche finalistiche di simulazione-dissimulazione e di autoingrossamento, e da smodata volontà  di  affermazione  e potenza,  forse  compensatrice  di  un  complesso  d’inferiorità;  personalità dotata di eccezionale potere suggestivo,  quasi  da  ipnotizzare,  ma  che  finì  col  soggiacere   al  maggior  potere  ipnotico  di  Hitler.

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Andò inoltre soggetto ad autentici episodi psicopatologici depres­sivo-ipodinamici, rientranti   nella  cerchia   delle  distimie. Sia la  psicopatia   caratteriale,  sia   la   malattia   distimica ad episodi ricorrenti influirono in senso negativo e talvolta catastrofico  sull’azione politica   del   dittatore.

 

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