LEGGENDE TRENTINE
Il Trentino, si sa, è pieno di leggende. Non solo metropolitane come quella che gira ultimamente in internet, secondo la quale presto per andare in Sardagna al posto della funivia si potrà prendere comodamente uno Shuttle da piazzale Zuffo. In realtà il progetto per questo tipo di collegamento spaziale c’è. Hanno solo problemi di orario: ci sarebbe un lancio all’anno, quindi problemi con le prenotazioni. Le leggende sono diverse dalle legende. Chi ha studiato latino lo sa, legenda vuol dire da leggere. La leggenda con due “G” per essere capita va invece letta appunto due o anche più volte. Come quella di San Romedio. Sapete perché il santo portava in giro l’orso col guinzaglio? Perché pare che già allora ci fosse Life Ursus che agli orsi metteva il collare. E la storia di San Vigilio che al Bus de Vela, dove c’è la vecchia galleria del Forte, avrebbe impresso le mani nella roccia lasciandogli il segno? Tutta colpa del cemento a presa rapida. “Signor Virgilio, per favore, gliel’avevo detto che avevamo appena gettato…”, lo aveva sgridato un muratore di Campotrentino dopo una serie di frasi irripetibili. E il lago rosso di Tovel? Qui entra in campo la tradizione vera e propria. Cioè una cosa detta a tizio che la ripeta a caio in un’altra maniera che poi sempronio la ridice a tizio. Insomma, un giro di parole. Tutto è partito, come Renzo Francescotti ha già appurato nei suoi studi sul dialetto trentino, da un’esclamazione: “Toh, el lac l’è ros”. Perché il lago era rosso? Semplice: si era rotta una grosso botte di vino di un’antica osteria vicino alla riva. All’allarme qualcuno ha risposto: “Ma ‘n do èl che l’è ros?” Risposta: “Come ‘n do èl? Non ‘l vedit?”. e l’altro: “En do èl, en do èl?”. Che poi con l’evoluzione della lingua è diventato “‘n Tovelo?”, quindi ToVEL, senza punta di domanda perché nessuno per un pezzo ha pulito quel laghetto a forza di cercare il posto più rosso.
Altra leggenda, quella di S, Sebastiano, sì, quello raffigurato piene di frecce. Considerando che è il patrono dei vigili urbani non è il caso di dilungarsi molto in spiegazioni su come mai, dove, perché, quando e quanto di multa.
Poi ci sono i detti popolari, quelli saggi dei vecchi contadini. Tipo: “El temp, el cul e i siori i fa quel che i vol lori”. Qui è concentrata praticamente tutta la scienza popolare. Dal meteo alla condizione sociale, ai sistemi per combattere dissenterie o costipazioni. E infine la storia dei trentatrè trentini che marciavano trotterellando eccetera. Lo usano come scioglilingua quelli che hanno inavvertitamente messo in bocca una mela Melinda quando ha appena preso il colore verde pisello. In realtà si tratta di un epocale equivoco. Una volta, dal medico, tale Trentini di Salorno, è stato invitato a dire il famoso numero per farsi ascoltare i polmoni. Dica trentatrè trentini. Dica trentatrè trentini. E l’altro ha ripetuto. GIà che c’era ha fatto anche un controllo della dizione. E, dicono, ha pagato 33 mila lire. Anche perché di più, quella visita così superficiale non ne meritava.
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