LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI
IN TRENTINO
Parliamo oggi delle leggi razziali del 1938. Ovvero della discriminazione, della persecuzione razziale, soprattutto nei confronti degli appartenenti alla razza ebraica. i fatti negativi che hanno investito la storia d’Europa e d’Italia, che sono descritti ampiamente sui libri di storia, nei romanzi e i film, hanno interessato anche la comunità trentina. Noi oggi cercheremo in particolare di capire cosa è successo in particolare nell’Alto Garda, a Riva, ad Arco e in generale nel Trentino Alto Adige.
L’introduzione della legislazione razziale da parte del governo fascista non va attribuita alla profonda dipendenza di Mussolini nei confronti di Hitler che dell’antisemitismo aveva fatto una delle chiavi del suo successo.
Essa rientrava pienamente in quell’avversione per il “diverso”, in quella mentalità antidemocratica e antiegualitaria che era un carattere distintivo dell’ideologia fascista.
Sul “Giornale d’Italia” il 14 luglio 1938 appare il “Manifesto degli scienziati razzisti” in cui fra l’altro si afferma che «è tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti».
Il 15 agosto 1938 viene inviata dalla Prefettura di Trento una lettera “riservatissima, personale e raccomandata” ai podestà della provincia nella quale si annuncia che «è stato superiormente disposto che entro questo mese venga compiuta una esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle province del Paese.
In detta rilevazione devono essere compresi: non solo gli ebrei iscritti ai registri delle comunità israelitiche riconosciute, ma tutti coloro che risiedono in questa Provincia anche temporaneamente e che comunque risultino di razza ebrea anche se professanti altra o nessuna religione o che abbiano abiurato in qualsiasi epoca e anche se per matrimonio siano passati a far parte di famiglie cristiane».
Obbedendo a quanto “superiormente disposto”, il podestà di Arco dà ordine al Comando delle Guardie Civiche della città di eseguire il censimento degli ebrei.
Con lettera del 20 agosto dello stesso anno il prefetto di Trento chiarisce che gli ebrei che dovevano essere censiti erano quelli residenti nel comune e non quelli occasionalmente presenti. Opera subito però dei distinguo: se ad essere presente “occasionalmente” era un’intera famiglia, allora la schedatura doveva avvenire e se ne sarebbe data informazione anche alla città d’origine. Un’altra attenzione viene indicata dal prefetto di Trento: una famiglia doveva essere segnalata anche se un solo componente era di razza ebraica. Il termine ultimo per l’invio delle schede era il 23 agosto.
Il 26 agosto 1938 arriva dal Commissariato di Pubblica Sicurezza di Riva del Garda un sollecito con una lettera “Riservatissima raccomandata” invitando il podestà di Riva ed il Commissario prefettizio di Arco a presentare due elenchi: quello dei cittadini italiani residenti professanti religione ebraica e quello dei sudditi stranieri sempre professanti religione ebraica. Di tutti dovevano essere fornite generalità ed abitazione.
Il prefetto di Trento emana un ordine; il podestà di Arco, a sua volta, recepisce quest’ordine e lo “rimbalza” al Comando delle guardie civiche; e il comandante dà ordine alle Guardie di eseguirlo. Il contenuto di quest’ordine era stato deciso da autorità superiori ed il prefetto, il podestà, il comandante e le guardie civiche obbediscono ed eseguono.
Ma quest’ordine è l’inizio di una persecuzione razziale terribile; molti, a guerra conclusa, nei vari processi istruiti dai tribunali militari e civili, si difenderanno dicendo di aver obbedito a degli ordini.
Occorre allora far memoria delle parole, sempre attuali, di don Lorenzo Milani: «A dar retta ai teorici dell’obbedienza e a certi tribunali tedeschi, dell’assassinio di sei milioni di ebrei risponderà solo Hitler.
Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. C’è un modo solo per uscire da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto».
Un’altra osservazione: le lettere inviate dalla Prefettura o dalla Questura ai podestà e che hanno come oggetto il censimento degli ebrei, il loro controllo o il loro internamento sono siglate “urgente, riservatissima, raccomandata”. Alcune addirittura terminano con la raccomandazione che il contenuto della lettera stessa doveva rimanere segreto. Questo fatto si presta a diverse interpretazioni. La più benevola è che si volesse fare in fretta e di nascosto ad assolvere a quell’ordine per scaricare il più celermente possibile la propria coscienza; ma questa è un’interpretazione benevola…
Il 5 settembre 1938 Vittorio Emanuele III “per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia” e il governo fascista, per difendere la razza ariana e colpire quella ebraica, emanano un decreto legge che si occupa essenzialmente del mondo scolastico, stabilendo norme che andavano a discriminare fortemente insegnanti ed alunni di razza ebraica.
Ciò sta a significare che il fascismo aveva individuato nella scuola e nel mondo dell’educazione e della formazione più in generale un possibile luogo dove si sarebbero potute formare coscienze critiche Il 18 settembre 1938 il podestà di Arco invia una lista di 16 stranieri di razza ebraica, residenti in città, al Commissariato di Pubblica Sicurezza di Riva del Garda. Molti di loro sono ad Arco per motivi di cura e sono ospiti in ville che si erano trasformate in piccole case di cura.
Viene compiuta anche un’indagine approfondita in tutti i sanatori di Arco dove non è rilevato alcun degente di razza ebraica. Il 26 settembre 1938 arriva dal prefetto di Trento una nuova circolare in cui si comunica ai podestà che «è stato superiormente disposto che la rilevazione degli ebrei continui fino al completo censimento di quegli israeliti che per qualsiasi motivo siano sfuggiti alla rilevazione del 22 agosto».
E qualche giorno dopo il podestà di Arco trasmette questa richiesta al Comando delle guardie civiche della città. Ormai la prassi era consolidata! Il 26 ottobre arriva ai podestà della provincia di Trento e al prefetto un lettera “riservata – raccomandata – urgentissima” da parte dell’Intendenza di Finanza.
Si stava infatti pensando di colpire gli ebrei anche nella loro situazione economica ed allora l’Intendente chiede ai podestà di segnalare innanzitutto se vi sono ebrei dentro le Commissioni Comunali Censuarie. Chiarisce inoltre Il Gran Consiglio del Fascismo per quanto riguarda gli Ebrei:
- a) è di razza ebraica colui che nasce da genitori entrambi ebrei;
- b) è considerato di razza ebraica colui che nasce da padre ebreo e da madre di nazionalità straniera;
- c) è considerato di razza ebraica colui che, essendo nato da un matrimonio misto, professa la religione
ebraica;
- d) non è considerato di razza ebraica colui che è nato da una matrimonio misto, qualora professi
altra religione all’infuori della ebraica, alla data del 1° ottobre XVI.
La lettera dell’Intendente Mario Giannatasio chiarisce inoltre che nessuna discriminazione doveva
essere applicata – esclusi in ogni caso l’insegnamento nelle scuole di ordine e grado – nei confronti
di ebrei di cittadinanza italiana che avessero avuto caduti o insigniti di croce al merito nelle guerre
libica, mondiale, etiopica e spagnola o di chiara benemerenza e fede fascista.
Come ben si vede la scuola fascista non doveva assolutamente avere presenze ebraiche. L’11 novembre il prefetto di Trento comunica che il Regio Decreto Legge del 7 settembre 1938 aveva revocato la cittadinanza italiana a stranieri ebrei concessa con decreto prefettizio dopo il 1° gennaio 1919 . Interessante è la circolare datata 12 novembre 1938, anch’essa riservatissima e raccomandata, inviata dal prefetto di Trento Felice, riguardante gli stranieri di razza ebraica che si recavano in Trentino per soggiorni turistici.
Essi dovevano essere registrati, annotando scrupolosamente la durata del soggiorno. La lettera così si conclude: «E’ superfluo avvertire che gli accertamenti anzidetti
dovranno essere eseguiti con tatto e riservatezza al fine di non arrecare pregiudizi al movimento turistici; pertanto richiamo la vostra personale attenzione sul contenuto della presente che deve essere mantenuto segreto».
Gli interessi economici quindi dovevano essere tutelati, in considerazione che i turisti, di qualsiasi razza essi fossero, avrebbero portato beneficio all’economia nazionale.
Il 29 novembre 1938 arriva al podestà di Arco un’altra circolare del prefetto di Trento che, annunciando l’entrata in vigore del Regio Decreto Legge del 17 novembre 1938 recante ulteriori provvedimenti per la difesa della razza italiana, ricorda che era assolutamente da evitare la celebrazione di matrimoni fra persone di razza italiana e persone appartenenti ad altre razze.
Con tutta probabilità il matrimonio poteva apparire un escamotage per sfuggire all’individuazione di persone di razza ebraica, oppure si voleva evitare qualsiasi forma di “inquinamento” della pura razza italiana!
In base al Regio Decreto Legge del 17 novembre 1938 n. 1728, gli appartenenti alla razza ebraica vengono costretti ad autodenunciarsi. Il 16 aprile del 1940 arriva una nuova comunicazione dalla prefettura di Trento che modifica quanto era stato stabilito in materia di ingresso e soggiorno nel Regno d’Italia per turismo degli ebrei. Non doveva essere più consentito il soggiorno per turismo agli ebrei germanici, ungheresi, romeni e slovacchi ed anche di altre nazionalità se provenienti dalla Germania. Tali stranieri potevano entrare nel Regno soltanto in transito, per ritornare ai loro paesi di origine o per imbarcarsi nei porti italiani, trattenendosi per il tempo strettamente necessario per le pratiche di partenza e per l’imbarco.
La circolare del prefetto Foschi termina con la frase «Si raccomanda la rigorosa osservanza». Quindi anche gli interessi economici derivanti dal turismo passano in secondo piano, rispetto a quanto era stato “superiormente disposto”.
Nelle avvertenze si precisa peraltro che gli ebrei potevano essere denunciati “per delega” o da altre persone (e quindi da delatori).
Il 10 giugno 1940 Mussolini annuncia agli italiani La dichiarazione di guerra consegnata agli Ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. “Scendiamo in campo – tuona – contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente”.
Ovviamente il clima di guerra inasprisce gli animi e quindi il controllo degli ebrei si fa più severo.
Per la corrispondenza degli internati si stabiliscono norme ben precise: non possono inviare più di una lettera o cartolina alla settimana; e questa missiva non doveva superare le 24 righe. I comuni vengono obbligati ad aggiornare il censimento degli ebrei avviato per la prima volta nell’agosto del 1938.
Nel settembre del 1942 il podestà invia l’elenco degli ebrei presenti in Arco, elenco che però viene rispedito dalla Prefettura di Trento unitamente ad una richiesta che suona come un forte rimprovero: «Si richiama l’attenzione di codesto Ufficio sulla necessità che sia usata la maggiore diligenza e precisione nell’espletamento della pratica di cui trattasi.
Si osserva che il criterio da tenersi presente nella compilazione degli elenchi è quello della razza e non della religione, come viene indicato nell’elenco che si restituisce. Vi sono degli ebrei che professano la religione cattolica, ma poiché sono di razza ebraica anche ad essi si applicano le disposizioni sulla difesa della razza indipendentemente dalla religione professata».
Dalla Prefettura si chiedono inoltre altri chiarimenti e precisazioni. Si coglie insomma che l’indagine e la trasmissione dei dati in merito agli ebrei presenti in Arco era stata frettolosa e (volutamente?) incompleta. Ed allora il 5 ottobre 1942 dal Municipio parte un elenco aggiornato dei dieci ebrei residenti in Arco a quella data e in quell’elenco ci sono i cognomi e nomi delle quattro persone che saranno arrestate e deportate in campo di concentramento: Eva Haas Flatter, Gino Tedeschi, Arturo Cassin e Leo Zelikovski. Solo quest’ultimo sopravviverà all’internamento.
Il 12 maggio 1943 la Questura di Trento comunica al podestà di Molveno e per conoscenza a quello di Arco che Emerico Gut, ebreo ungherese, potrà trasferirsi ad Arco per motivi di salute. Il 27 maggio risponde il podestà di Arco alla Questura di Trento che Arco ospitava già da parecchio tempo internati, sorvegliati politici e ebrei e quindi pregava di «voler benevolmente desistere dall’invio di altri ebrei o internati e nel caso in esame dell’ebreo Gut Emerico di Isidoro.
Il 25 luglio del 1943 l’ordine del giorno Grandi, approvato dalla maggioranza del Gran Consiglio del Fascismo, affida al Re Vittorio Emanuele III i pieni poteri, esautorando così Mussolini. Capo del Governo è nominato il generale Pietro Badoglio.
Qualche settimana dopo arriva al comune di Arco una lettera, datata 18 agosto 1943, a firma dell’avvocato Lelio Vittorio Valobra con tre allegati. Questo documento, testimonia l’attività dell’organizzazione legale “DELASEM” (Delegazione per l’Assistenza agli Emigranti), fondata il primo di dicembre del 1939 su indicazione dell’Unione delle comunità israelitiche italiane; l’avvocato Lelio Vittorio Valobra ne era il principale responsabile.
Lo scopo dell’associazione era l’aiuto all’espatrio e alla sopravvivenza sia per i profughi ebrei internati o confinati che per quelli che si erano resi irreperibili per evitare internamenti.
In questo documento, che probabilmente è conservato in moltissimi archivi storici d’Italia, si invita il comune destinatario di individuare in seno agli ebrei internati in quel territorio un rappresentante cui poter inviare oggetti culto per celebrare le vicine solennità ebraiche di Rosh hashanà, Yom Kippur e Succoth.
Gli oggetti di culto indicati nel modulo allegato erano, ad esempio, lo Sefer Torah (il rotolo della legge) e lo Shofar (corno di montone trasformato in strumento musicale).
Il documento suggerisce alcune considerazioni. Innanzitutto vi era forse la speranza che l’esautorazione di Mussolini e l’avanzata degli Alleati potesse portare ad una situazione meno drammatica per gli ebrei residenti in Italia. Lo si intuisce soprattutto leggendo le ultime righe della Comunicazione d’Ufficio «Saremo in questi giorni solenni più che mai vicino ai nostri fratelli e auguriamo in anticipo a tutti per un prossimo anno il delinearsi di un avvenire sereno, sgombro dalle ansie, dalle angosce del recentissimo passato».
Il carteggio, soprattutto la commovente precisione con cui vengono elencati e descritti gli oggetti di culto, testimoniano inoltre come la religione sia stata per gli ebrei motivo di coesione, di forza interiore pur nelle avversità che la storia e la cattiveria degli uomini avevano loro riservato.
Il comune di Arco non risponde a quella lettera; avvia la ricerca del rappresentante degli ebrei internati, in margine è scritto un nome: Haas Eva, cancellato con dei segni di matita rossi. E quei segni rappresentano un triste presagio. Nel volume “Le storie ritrovate – Ebrei nella provincia di Trento 1938 – 1945” curato da Maria Luisa Crosina sono illustrate le tante, drammatiche storie personali degli ebrei presenti in Trentino al momento dell’emanazione delle leggi razziali. Nell’accurata ricerca troviamo Eva Haas in Flatter, Arturo Salomone Cassin, Gino Tedeschi e Leo – Lew Zelikowski.
Il 21 dicembre di quello stesso anno Eva Haas in Flatter è arrestata dai tedeschi mentre abitava a Chiarano di Arco e tradotta nel carcere di Trento. Di qui viene avviata il 16 febbraio del 1944 al campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena. Qualche giorno dopo parte per Auschwitz dove arriva il 26 febbraio del 1944; e qui probabilmente viene subito uccisa. Sempre il 21 dicembre 1943 viene arrestato in via Capitelli 31 Arturo Salomone Cassin, grande invalido di guerra. Trasferito nel carcere di Trento vi rimane fino all’internamento nel campo di concentramento di Fossoli. Il 22 febbraio sale sulla tradotta per Auschwitz; vi arriva dopo quattro giorni di viaggio e probabilmente viene ucciso subito.
Gino Tedeschi, dottore in legge, viene arrestato dal capo delle Guardie comunali per ordine delle autorità tedesche in via delle Garberie 31 ad Arco il 2 maggio 1944. Viene condotto in carcere a Trento e nel giugno del 1944 avviato al campo di concentramento di Fossoli. Il giorno 26 dello stesso mese parte per Auschwitz dove arriva il giorno 30; qui viene subito ucciso.
Il quarto di coloro che da Arco vengono tradotti ad Auschwitz è Leo – Lew Zelikowski. A lui, unico ad uscir vivo da quell’inferno, e nominato alcuni anni fa cittadino onorario di Arco, dedicheremo un approfondimento in un prossimo servizio.
C’è un Monumento dedicato agli ebrei arcensi deportati ad Auschwitz e mai più tornati; la stele si trova nel giardino di Via Bruno Galas, ad Arco, ed è stata inaugurata il 21 dicembre 1993.
E ora cerchiamo, in breve, di raccontare quale fu il destino degli ebrei in Trentino Alto Adige.
Per schedare gli ebrei presenti nel paese fu organizzato nell’agosto del 1938 un censimento, il quale portò all’individuazione di 989 ebrei nella Venezia Tridentina: 938 residenti in Alto Adige, 51 in Trentino.
Nella provincia sudtirolese la maggior parte degli ebrei faceva parte della comunità israelitica di Merano, cresciuta considerevolmente a cavallo tra Otto- e Novecento grazie alla significativa affermazione turistica della città di cura, meta privilegiata della borghesia ebraica mitteleuropea.
In Trentino la maggior concentrazione di ebrei si segnalava ad Arco, Levico, Trento, Riva del Garda, Moena; si trattava in buona parte di ebrei stranieri, mentre gli israeliti di nazionalità italiana risultavano poco numerosi.
La presenza ebraica nelle due province era cresciuta sensibilmente verso la metà degli anni Trenta a seguito della massiccia emigrazione degli ebrei tedeschi, oggetto delle crescenti persecuzioni da parte della politica nazista.
L’emanazione della legislazione razziale fascista rese però rischioso anche il soggiorno sul suolo italiano. Nel luglio 1939 gli ebrei stranieri residenti in Alto Adige furono costretti ad abbandonare la provincia in 48 ore. Delle 300 persone colpite dall’ordinanza, un centinaio riparò in Trentino.
Con l’entrata in guerra dell’Italia fu predisposto l’arresto e l’internamento degli ebrei stranieri in campi di concentramento sparsi in varie parti del paese. In seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, la situazione nelle zone controllate dai tedeschi precipitò. In Alto Adige 37 ebrei, residenti in gran parte a Merano, furono arrestati e deportati dapprima nel campo di transito di Reichenau, quindi ad Auschwitz.
Sopravvissero solo in due: Ferdinand Fechter, liberato a Buchenwald nell’aprile 1945 e Wally Hofmann, a cui fu risparmiata la deportazione per intercessione delle autorità consolari svizzere. In Trentino furono 14 gli ebrei arrestati e deportati. Sopravvissero in due: Mario Castelnuovo, fuggito rocambolescamente nei pressi di Trento dal treno che lo stava conducendo dal campo di transito di Fossoli ad Auschwitz, e Lew Zelikowski, sfuggito alla fucilazione mentre il campo di Auschwitz stava per essere liberato dall’esercito russo.
Il destino di altri ebrei riparati in Trentino fu meno fortunato. Beffardo fu quello di Richard Löwy: ingegnere di origini boeme, si fece apprezzare nel corso del primo conflitto mondiale per l’appoggio fornito alla comunità fassana, al punto da ottenere la cittadinanza onoraria di Moena; tornato in val di Fassa da Vienna per sfuggire alle persecuzioni naziste, fu internato in campi di concentramento dell’Italia meridionale insieme alla moglie Johanna; tornato a Moena, fu arrestato dai tedeschi nel gennaio 1944 e deportato con la moglie e altri due famigliari ad Auschwitz, dove tutti trovarono la morte.
Altrettanto significativo il caso dell’arcense Gino Tedeschi, che non assecondò i ripetuti inviti a mettersi in salvo perché, medaglia d’argento nella Prima guerra mondiale, si considerava ancora ufficiale dell’esercito italiano; arrestato nel maggio 1944, fu inviato ad Auschwitz nonostante le intercessioni del commissario Adolfo de Bertolini e del vescovo Carlo de Ferrari. Non fece più ritorno.
Altri ebrei riuscirono a salvarsi grazie all’appoggio coraggioso di qualche trentino. È il caso delle tre sorelle Hirsch e della madre Adele Coen, che trovarono rifugio nel convento delle suore francescane missionarie a Sacco di Rovereto, o della famiglia di Augusto Rovighi, rifugiatasi a Cloz da Bolzano e nascosta dal parroco don Guido Bortolameotti, con la complicità della perpetua, in una stanza della canonica per 18 mesi.