LA RESISTENZA IN TRENTINO – 25

a cura di Cornelio Galas

Michael Seifert

Michael Seifert

Nella precedente puntata abbiamo sintetizzato la vicenda giudiziaria di Michael Seifert, detto “Misha”, l’aguzzino del Lager di Bolzano. Come detto il “torturatore”, l’assassino del campo altoatesino fu condannato all’ergastolo. E morì in carcere, a Caserta. Abbiamo anche riportato (ma li riproponiamo comunque) i quindici capi d’imputazione nei suoi confronti: per nove fu ritenuto colpevole.

Oggi crediamo opportuno pubblicare ampi stralci della motivazione di quella sentenza emessa il 24 novembre del 2000 dal tribunale militare di Verona, composto dai signori Dott. Giovanni Pagliarulo – Presidente Dott. Sandro Celletti – Giudice S. Ten. E.I. Settimio Nini -Giudice militare con l’intervento del Pubblico Ministero in persona del Dott. Bartolomeo Costantini e con l’assistenza dell’assistente giudiziario S. Ten. E.I. S. Cucchiara.

Bartolomeo Costantini

Bartolomeo Costantini

E’ interessante, nel documento che “spiega” la sentenza, la negazione, da parte del tribunale militare, di qualsiasi attenuante. Si tratta insomma di una sentenza che per certi versi ha fatto giurisprudenza a proposito dei crimini compiuti dai nazisti in Italia.

E poi un altro aspetto interessante, storico – come lo definisce Lionello Bertoldi dell’Anpi di Bolzano che ce l’ha cortesemente segnalato – ovvero l’accettazione della costituzione di parte civile dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani del capoluogo altoatesino, alla quale – come al Comune di Bolzano e all’Associazione Ebraica – fu riconosciuto anche un risarcimento morale, sia pure simbolico.

Lionello Bertoldi

Lionello Bertoldi

Riepiloghiamo la condanna. Si tratta del procedimento “a carico di Seifert Michael, nato a Landau (Ucraina) il 16-03-1924, residente (all’epoca del processo) a Vancouver (Canada), 5471 Commercial Street, domicilio per le notifiche presso il difensore di ufficio Avv. Giulio Oppi, del foro di Verona. Libero. Assente”.

Il tribunale di Verona “dichiara Seifert Michael, contumace, colpevole del reato continuato ed aggravato ascrittogli, limitatamente ai fatti di cui ai numeri 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 14 e 15 del capo d’imputazione, e lo condanna  alla pena dell’ergastolo. Spese e conseguenze di legge. Visti gli artt. 538 e segg. cpp, 261 cpmp, condanna Seifert Michael, contumace, al risarcimento del danno a favore delle costituite parti civili, rimettendo le stesse davanti al competente giudice civile per la liquidazione del danno.

La lettura della sentenza

La lettura della sentenza

Condanna altresì, l’imputato, come richiesto dalla parte civile ANED-ANPI, al pagamento di una provvisionale a favore della stessa, nella misura di lire 100.000.000 (cento milioni). Condanna l’imputato al pagamento delle spese processuali in favore delle parti civili, nella sottoindicata misura: – Comune di Bolzano lire 30.000.000 (trenta milioni); – Associazione Nazionale ed Deportati Politici nonché Associazione Nazionale Partigiani d’Italia lire 30.000.000 (trenta milioni); – Unione delle comunità ebraiche italiane lire 25.000.000 venticinque milioni). Visti gli artt. 530 cpp, 261 cpmp, assolve “Misha”, l’aguzzino del campo di Bolzano Seifert Michael, contumace, dai fatti di cui ai numeri 1, 2, 3, 4, 10 e 13 del capo d’imputazione, per non averli commessi.

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Le imputazioni: «Concorso in violenza con omicidio contro privati nemici, aggravata e continuata» (articoli 81 co. 2, 110, 575 n. 3 e 4, codice penale; 13 e 185 codice penale militare di guerra); perché, durante lo stato di guerra tra l’Italia e la Germania, prestando servizio nelle forze armate tedesche, nemiche dello Stato italiano, con il grado di Gefreiter (o Rottenführer) delle SS, equivalente a quello di caporale, e svolgendo in particolare le funzioni di addetto alla vigilanza del campo di concentramento di transito (Polizeiliches Durchgangslager) istituito dalle autorità militari tedesche in Bolzano, in un periodo compreso tra il dicembre 1944 e il mese di aprile del 1945, agendo da solo e talvolta in concorso con altri militari appartenenti alle SS, in particolare con il concorso materiale di un altro ucraino russo rimasto identificato solo con le generalità di Otto Sein ovvero su prescrizione o con l’acquiescenza del soprintendente alle celle Albino Cologna, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, senza necessità e senza giustificato motivo, per cause non estranee alla guerra, cagionava la morte di numerose persone (almeno diciotto) che non prendevano parte alle operazioni militari e si trovavano prigioniere nel menzionato campo di concentramento, adoperando sevizie nei loro confronti ed agendo con crudeltà e premeditazione.

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I CAPI D’IMPUTAZIONE

1 – La sera di un giorno imprecisato del febbraio 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Cologna, con il Sein e con un italiano rimasto ignoto, portava un prigioniero non identificato nel gabinetto e lo torturava lungamente anche con il fuoco per indurlo a rivelare notizie, cagionandone la morte che sopravveniva la mattina del giorno successivo.

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2 – In un giorno imprecisato ma comunque compreso fra l’8 gennaio e la fine di aprile 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein uccideva una giovane prigioniera ebrea non identificata infierendo sul suo corpo con colli di bottiglie spezzati.

3 – In un giorno imprecisato verso la fine del mese di gennaio 1945, nella cella d’isolamento posta di fronte a quella contraddistinta dal numero 29, su ordine del Cologna e in concorso con il Sein uccideva una prigioniera di 17 anni, dopo averla torturata per cinque giorni con continue bastonature e versandole addosso secchi d’acqua gelida.

4 – In un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio ed il 25 marzo 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein e il Cologna, uccideva un prigioniero non identificato che, scoperto a sottrarre generi alimentari e di conforto da un magazzino, era stato ristretto in cella, lasciandolo senza cibo per tre giorni e bastonandolo fino a cagionarne la morte.

Le celle del Lager di Bolzano

Le celle del Lager di Bolzano

5 – In un giorno imprecisato ma comunque compreso fra il 20 gennaio ed il 25 marzo 1945, nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein , uccideva un prigioniero ebreo di circa 15 anni rimasto non identificato, lasciandolo morire di fame.

6 – Fra la fine di febbraio e l’inizio di marzo 1945, in concorso con il Sein , nelle celle di isolamento del lager, da prima usava violenza carnale nei confronti di una giovane donna incinta non meglio identificata, indi le lanciava addosso secchi di acqua gelata per convincerla a rivelare notizie ed infine la uccideva.

7 – Nella notte tra il 31 marzo (sabato santo) e il primo aprile (Pasqua) 1945, in concorso con il Sein , nelle celle di isolamento del lager, dopo aver inflitto violente bastonature al giovane prigioniero Pezzutti Bartolo, lo uccideva squarciandogli il ventre con un oggetto tagliente.

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8 – Nel marzo 1945, in concorso con Sein , Cologna ed altri militari tedeschi non identificati, sul piazzale del lager uccideva con pugni e calci un prigioniero che aveva tentato la fuga.

9 – Fra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1945, sul piazzale del lager, in concorso con Sein e Cologna, colpiva con calci due internati non identificati e poi li finiva con colpi di arma da fuoco.

10 – Fra la fine di marzo e l’inizio di aprile 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein , uccideva un giovane prigioniero non identificato massacrandolo e poi ne introduceva il cadavere nella cella completamente buia nella quale era ristretta una internata la quale decedeva di lì a poco.

"Misha" Seifert

“Misha” Seifert

11 – Fra la fine di gennaio e il mese di febbraio 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein , torturava lungamente un giovane prigioniero non identificato anche con l’infilargli le dita negli occhi, cagionandone la morte.

12 – Fra il 1° e il 15 febbraio 1945, nelle celle di isolamento del lager, in concorso con il Sein , uccideva la prigioniera Leoni Giulia in Voghera, ebrea e la figlia di costei Voghera Augusta in Menasse, torturandole per circa due ore, versando loro addosso acqua gelida e infine strangolandole.

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13 – Il 1° aprile 1945 (giorno di Pasqua), nelle celle d’isolamento del lager, in concorso con il Sein, uccideva un giovane prigioniero non identificato dopo averlo torturato per circa 4 ore.

14 – In un giorno imprecisato dei mesi di febbraio o marzo 1945, nei locali dell’infermeria del lager, in concorso con il Sein , picchiava con un manganello un giovane italiano rimasto non identificato fino a fargli perdere coscienza e lo lasciava nell’infermeria dove il giovane decedeva per le ferite riportate.

15 -In un giorno imprecisato del dicembre 1944, e comunque poco prima del giorno 25, su ordine del responsabile della disciplina maresciallo Hans Haage e agendo in concorso materiale con il Sein , sul piazzale del lager, dopo aver legato alla recinzione del campo un prigioniero che aveva tentato la fuga, alla presenza di tutti gli altri prigionieri fatti appositamente schierare a titolo di ammonizione, lo colpiva selvaggiamente e lo lasciava legato alla recinzione, cagionandone la morte che sopraggiungeva entro la mattina del giorno successivo.

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E passiamo alla motivazione della sentenza depositata presso la Cancelleria del tribunale militare di Verona il 22 febbraio 2001. Intanto il Tribunale ritiene che i reati attribuiti al Seifert debbano rientrare nella disciplina stabilita dal comma 2 dell’art. 81 cp. In effetti, se è vero che i richiamati elementi della omogeneità tipologica e della vicinanza temporale delle condotte criminose possono non bastare, da soli, a fondare il riconoscimento dell’unicità del disegno, è pur vero che essi valgono come «indizi» di questo.

Nel caso che qui occupa, gli indizi in parola ricorrono senz’altro, giacché:  tutte le violenze ascritte in concorso all’imputato consistono in omicidi; tutte le violenze risultano commesse nell’arco temporale di poco più di quattro mesi, e precisamente da dicembre 1944 ad aprile 1945.

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È alla luce dei dati suddetti che il giudicante deve domandarsi se sia o no corretto affermare che il Seifert, fin da quando commise il primo dei fatti di violenza a lui attribuiti (che risulta poi essere l’ultimo della lista, vale a dire il fatto descritto nel capo 15 dell’imputazione, risalente al periodo di Natale dell’anno 1944), avesse già l’intenzione di commettere gli altri, proponendosi di uccidere o, comunque, accettando sin da allora il rischio che dalle sue azioni potesse seguire la morte dei prigionieri.

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La risposta al quesito non può che risultare positiva: ciò in quanto gli omicidi efferati compiuti dall’imputato, agendo in concorso con altri, successivamente al mese di dicembre 1944 e fino a tutto aprile 1945, non furono manifestazioni estemporanee, di violenza e neppure epifanie di un generico programma di attività delinquenziale.

Sono, invece momenti diversi di un unico progetto criminale, basato sul più assoluto disprezzo per la vita e la dignità umane, connaturale alla realtà stessa dell’istituzione «Lager», accettato e fatto proprio dal Seifert con la sua sciagurata prestazione d’opera.

Per concludere sul punto, i fatti addebitati all’imputato, e per i quali è stata raggiunta processualmente la prova della loro sussistenza e della loro ascrivibilità all’imputato medesimo, si ritengono uniti dal vincolo della continuazione siccome «frammenti» esecutivi di uno stesso disegno criminoso.

Riassumendo i risultati dell’esposizione, il processo ha dimostrato la fondatezza, a carico di Seifert Michael, delle seguenti accuse: – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 5) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 6) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 7) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 8) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 9) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 11) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 12) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 14) dell’imputazione; – fatto di violenza con omicidio di cui al capo n. 15) dell’imputazione. In ordine a tutti i fatti suddetti è stata dimostrata la sussistenza delle contestata aggravante dell’avere adoperato sevizie e agito con crudeltà (artt. 577, n. 4, e 61, n. 4, cp). In ordine ai fatti di cui ai capi di imputazione n, 5, 7, 9, 11 e 12 è stata, altresì dimostrata la sussistenza dell’aggravante della premeditazione (art. 577, n. 3, cp).

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Risulta provata, infine, la sussumibilità dei singoli episodi sotto il vincolo giuridico della continuazione. Per detti fatti l’imputato deve essere dichiarato penalmente responsabile e condannato. […] Prima di pervenire alla determinazione della pena da infliggere in concreto all’imputato, occorre affrontare e risolvere alcuni problemi per così dire «preliminari», costituiti: A) dalla possibilità o no di concedere al Seifert le cosiddette circostanze attenuanti generiche, B) dalla possibilità o no di applicare al Seifert alcuno dei provvedimenti generali di clemenza intervenuti nel dopoguerra, con specifico riguardo all’indulto concesso con D.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922 (art. 2).

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Per mero tuziorismo, si osserva che, in ipotesi di risposta favorevole al quesito sub A), e soltanto in tal caso, si porrebbe anche la questione della possibilità o no di operare il giudizio di comparazione fra le circostanze attenuanti generiche e le contestate e sussistenti circostanze aggravanti, e alla luce del disposto dell’art.23 cpmg in materia di ultrattività della legge penale militare di guerra (problema, quest’ultimo, specificatamente affrontato in altro ambito processuale, inerente anch’esso a fatti commessi durante il secondo conflitto mondiale.

In ipotesi di risposta negativa, ovviamente, nulla quaestio. A) A giudizio del Tribunale, le circostanze attenuanti generiche debbono essere negate all’imputato. Questa conclusione si impone avendo riguardo non alla gravità astratta della fattispecie, giacché nel vigente sistema non esistono ipotesi criminose aprioristicamente incompatibili, di per se stesse, con il beneficio in parola, bensì con riferimento ai criteri indicati dall’art. 133 cp, che disciplina l’esercizio del potere discrezionale del giudice nell’applicazione della pena.

La norma dell’art. 62-bis,estranea al codice «Rocco» del 1930, è stata introdotta nell’ordinamento giuridico penale proprio per superare la rigidità del previgente sistema, dando al giudicante la possibilità di valorizzare circostanze non specificamente previste come attenuanti e adeguare, in tal modo, la pena da irrogare in concreto alla entità del fatto-reato e alla capacità a delinquere del reo.

In pratica, allorquando dopo essere ricorso ai suoi ordinari poteri in materia di calcolo della sanzione (determinazione della pena nel minimo edittale, applicazione di eventuali circostanze attenuanti comuni e speciali), il giudice ritenga di dovere scendere al di sotto del minimo, essendo questo ancora sproporzionato – siccome troppo elevato – rispetto alla effettiva gravità del fatto e alla personalità del colpevole, allora egli ha il potere/dovere di prendere in considerazione le circostanze generiche di cui all’art. 62-bis cp.

In sostanza, i parametri che l’organo giudicante deve tenere presenti sono sempre quelli del fondamentale art. 133 cp. Il fatto che, di regola, nei processi si abbia riguardo in materia di concessione/diniego delle attenuanti generiche, a requisiti quali l’età e l’incensuratezza penale del colpevole risponde a un orientamento possibilista della giurisprudenza, che porta, talvolta, a «largheggiare» nel riconoscimento.

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Se la stessa linea dovesse seguirsi nella fattispecie, posto che quando commise i reati contestatigli il Seifert aveva poco più di venti anni di età ed era, probabilmente, incensurato (quanto meno in senso proprio), l’applicazione nei suoi confronti delle attenuanti generiche diverrebbe pressoché automatica.

Il che introdurrebbe poi il discorso della possibilità di effettuare, o meno, il giudizio di comparazione tra dette attenuanti e le riconosciute aggravanti. Tale linea va, naturalmente, rifiutata. E non per rigorismo (un atteggiamento, questo, da cui il giudice deve rifuggire, essendo suo esclusivo dovere quello di rendere giustizia nel senso più pieno del termine), bensì perché non rispondente a esatti canoni giuridici, i quali obbligano chi giudica a fare riferimento in primo luogo ai criteri enunciati nell’art. 133 cp e poi, eventualmente, a elementi ulteriori e significativi ai fini dell’adeguamento della pena alla gravità del fatto e alla personalità dell’agente.

Posto, quindi, che in tema di circostanze attenuanti generiche la norma-base a cui rapportarsi è quella dell’art. 133 cp, si osserva, anzitutto, che ai fini della concessione o del diniego di quelle non v’è alcun obbligo per il giudicante di prendere in considerazione tutti i parametri indicati nella disposizione citata, «essendo sufficiente che faccia riferimento anche a uno solo di essi, così mostrando la prevalenza di quello prescelto rispetto a tutti gli altri».

Tra gli elementi sintomatici, che possono essere valorizzati dal giudice, figurano certamente: a) la gravità concreta del fatto considerato, con riguardo alle modalità dell’azione e alla gravità del danno cagionato alle persone offese; b) l’intensità del dolo; c) la personalità del giudicabile; d) il comportamento processuale dell’imputato in quanto condotta susseguente al reato.

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Tenendo presenti gli elementi sopra menzionati, il diniego delle attenuanti generiche a Seifert Michael si impone in maniera per così dire naturale. Infatti: le modalità delle azioni violente ascrittegli denotano mancanza assoluta di rispetto non soltanto nei confronti dei soggetti passivi, ma della vita e dell’umanità in sé considerate, come valori collocati alla base della civiltà «moderna» in contrapposizione alla più cupa barbarie dei tempi antichi.

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Le condotte in contestazione risultano aggravate in parte dalla forma più intensa di dolo (quello di premeditazione) e, tutte, dall’uso di atroci sevizie. La capacità a delinquere dimostrata dal reo, nonostante la giovane età all’epoca dei fatti, può essere definita soltanto con l’aggettivo impressionante.

Dopo i fatti, malgrado il lungo tempo trascorso, mai l’accusato ha manifestato il benché minimo interesse per le vittime delle sue scellerate azioni. Lo stesso, ignorando letteralmente il processo (e, dunque, andando ben oltre la legittima scelta, riconducibile all’esercizio del diritto di difesa, di non comparire e di tacere), ha dimostrato mancanza di qualsivoglia resipiscenza, e dunque una personalità del tutto negativa.

Per le suesposte considerazioni, nessun significativo rilievo può essere riconosciuto, nel presente procedimento, a elementi quali la giovane età dell’imputato all’epoca dei fatti, la sua attuale età avanzata, la sua presunta incensuratezza penale e il lungo tempo trascorso dai fatti medesimi.

B) I reati attribuiti al Seifert non possono essere fatti rientrare in alcuno dei provvedimenti generali di clemenza elargiti durante il dopoguerra nel quadro della cosiddetta «riconciliazione» nazionale.

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Con riguardo al mero dato temporale, l’unico provvedimento che potrebbe interessare questo processo è quello dato con D.P.R. 19 dicembre 1953, n. 922, relativo alla concessione dell’indulto per i reati inerenti a fatti bellici commessi dall’8 settembre 1943 al 18 giugno 1946. Sennonché, soggettivamente, il beneficio suddetto risulta limitato a «coloro che abbiano appartenuto a formazioni armate».

L’esclusione, dall’area di applicazione della norma citata, dei militari delle Forze armate dello Stato e delle Forze armate nemiche è già stata sottoposta per iniziativa della Corte militare di appello (chiamata a decidere su un’istanza presentata dalla difesa dell’imputato Priebke Erich), al vaglio della Corte costituzionale.

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Ciò è stato fatto in relazione al parametro rappresentato dal principio costituzionale di eguaglianza (art. 3 Cost.) e sul fondamento di una duplice valutazione: 1) la riferibilità dell’espressione «formazioni armate» ai soli gruppi armati di cittadini costituitisi all’indomani dell’8 settembre 1943 (forze della resistenza antifascista, da una parte, e fascisti collaborazionisti con l’invasore germanico, dall’altra), con esclusione – pertanto – degli appartenenti alle Forze armate regolari, italiane o straniere, alleate o nemiche; 2) la consequenziale, ingiustificata disparità di trattamento tra autori di crimini identici, discriminati unicamente in ragione della loro diversa condizione soggettiva.

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Il giudice delle leggi, a sua volta, ha dichiarato non fondata la questione, osservando – tra l’altro – come risulti «chiara e non arbitraria la ragione ispiratrice del provvedimento del 1953 con la scelta di distinguere tra appartenenti a formazioni armate e appartenenti a Forze armate». «Il riferimento alle formazioni armate», prosegue la Corte, […] risponde infatti alle ragioni politico-istituzionali che sottostanno al procedimento di clemenza e che sono emerse nel corso dell’esame parlamentare. […] Ratio che, se può essere oggetto di discussione in sede politica e storiografica, non è però censurabile sul piano della legittimità costituzionale».

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Considerata la non equivoca interpretazione da dare alla tipologia dei destinatari del decreto n. 922/1953 (appartenenti a formazioni armate non regolari), e considerata altresì la conformità a Costituzione di questo, se ne deve inferire che se il Seifert, per la sua posizione militare di graduato delle SS, e dunque di appartenente a un organismo compreso, a tutti gli effetti, nelle regolari Forze armate tedesche, si pone senz’altro al di fuori dell’ambito di applicazione del decreto stesso.

C) Quanto alla sanzione da infliggere in concreto all’imputato, il Collegio rileva anzitutto che l’art. 185, comma 2, cpmg rinvia, quoad poenam, alla normativa del codice penale «comune» in materia di omicidio volontario, e questa stabilisce la pena dell’ergastolo se ricorrono determinate circostanze aggravanti.

Due delle aggravanti in parola (avere commesso il fatto con dolo di premeditazione e avere adoperato sevizie o agito con crudeltà verso le persone) sono state contestate all’imputato e riconosciute sussistenti dal Tribunale, rispettivamente in relazione alla maggior parte degli episodi enunciati nell’accusa (premeditazione) e in relazione a tutti gli episodi medesimi (sevizie e crudeltà).

Non è stata riconosciuta alcuna attenuante. È stato invece riconosciuto il vincolo della continuazione, già contestato in sede di esercizio dell’azione penale. In sintesi, pertanto, la fattispecie ascritta al Seifert, e per la quale egli va dichiarato colpevole e condannato, è qualificabile come concorso nel reato continuato e aggravato di violenza con omicidio contro privati nemici.

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Peraltro, la ritenuta continuazione tra tutti i singoli fatti addebitati al predetto obbliga in ogni caso il giudice a procedere, nel determinare la pena, il che comporta la necessità di individuare quale sia la violazione più grave. A tale ultimo riguardo, si ricorda che, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, non v’è unità di vedute circa il criterio di detta individuazione. Nella giurisprudenza, sembra invero prevalere il criterio della pena in astratto, ma non mancano pronunce a sostegno della opposta tesi della pena in concreto, sicché le diverse posizioni praticamente si equivalgono.

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Nella letteratura penalistica, per contro, pare vincente la tesi della pena in concreto, motivata con riferimento alla innegabile tendenza del sistema ad adeguare la sanzione alla colpevolezza e anche – per similitudine – con richiamo alla disciplina dettata ex art. 187 disp. att. cpp per l’applicazione della continuazione da parte del giudice dell’esecuzione.

Questo giudicante, ritenendo di dovere aderire alla tesi esposta per ultima, in presenza di più reati, puniti tutti con l’ergastolo, individua la violazione più grave nel fatto di cui al capo n. 12 dell’imputazione, relativo alla uccisione, a mezzo di strangolamento preceduto da torture, delle due donne di religione ebraica Leoni Giulia in Voghera e Voghera Augusta in Menasse.

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Per detto reato-base, la pena da infliggere è quella dell’ergastolo. La sanzione, sostanziandosi nella detenzione perpetua, non è suscettibile di aumento. Il Tribunale non ignora, ovviamente, che l’ergastolo non è la pena più grave in assoluto, giacché esiste anche – e ha natura di vera e propria sanzione penale a sé  – l’ergastolo con isolamento diurno da sei mesi a tre anni, che si applica al colpevole di più delitti puniti, ciascuno, con l’ergastolo.

Tale forma di cumulo, però, è riferita al concorso materiale di reati e non al reato continuato, che è la fattispecie contestata e applicata al Seifert. A prescindere, infatti, da novità normative dell’ultima ora in materia di giudizio abbreviato (novità volte a parificare il concorso di reati e la continuazione), allo stato attuale della legislazione il reato continuato e il concorso materiale di reati seguono regole diverse; e solo per il secondo è stabilita, ove si tratti di più reati puniti tutti con l’ergastolo, la sanzione dell’ergastolo con isolamento diurno.

Estendere all’istituto ex art. 81, comma 2, cp, la disciplina dettata dall’art. 2 stesso codice per il concorso di reati, sulla base della considerazione che, diversamente opinando, si viene a svuotare di contenuto la previsione dell’aumento «fino al triplo» che caratterizza la continuazione medesima, comporterebbe un’interpretazione analogica, inammissibile in ambito penale-sanzionatorio..

Oltre a ciò, si può osservare, in conformità a una perspicua pronuncia della Corte militare di appello, «che la disposizione dell’art. 72 cp è comunque inapplicabile per i reati militari, in quanto derogata da quella contenuta nell’art. 54 cpmp. In detta disposizione» scrive la Corte di merito «si prevedeva che al colpevole di più reati puniti con l’ergastolo si applicasse la pena di morte.

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Caduto il riferimento alla pena di morte, in relazione ai reati militari previsti nel codice penale militare di pace, esso è oggi pure in relazione ai reati militari previsti dal codice penale militare di guerra.

Resta, tuttavia, la deroga alla norma comune, che oggi è quindi in senso favorevole al reo, dovendosi intendere operata la sostituzione della pena di morte con l’ergastolo. A nessun’altra conclusione potrebbe, infatti, giungersi, non avendo il legislatore provveduto né ad un esplicito richiamo dell’art. 72 cp, né ad una esplicita abrogazione della norma speciale, né all’introduzione di un diverso “regime autonomo”.

Il reato continuato e aggravato ascritto a Seifert Michael, siccome punito con la pena perpetua dell’ergastolo si sottrae alla prescrizione. Questa ultima, infatti, nel sistema del codice, è prevista come causa di estinzione in relazione ai soli reati puniti con sanzione temporanea. Del tutto inconferente appare la circostanza dell’essere il reato di omicidio, se non circostanziato (art. 575 cp), punito con la pena detentiva non perpetua e, dunque, soggetto a prescrizione.

La disposizione dell’art. 157, comma 2, elimina qualsiasi dubbio in proposito, dettando che «per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo al massimo della pena stabilita per il reato, consumato o tentato, tenuto conto dell’aumento massimo della pena stabilito per le circostanze aggravanti e della diminuzione minima stabilita per le circostanze attenuanti»; sicché, stante la presenza delle menzionate aggravanti e l’assenza di qualsivoglia attenuante, la non prescrittibilità del reato per cui è causa ne discende ipso iure..

Nella fattispecie, nessuna conseguenza deriva dall’essere il reato ascritto al Seifert continuato. Invero, se è pacifico che, in tema di continuazione, il tempo necessario a prescrivere è quello previsto per i singoli reati unificati sotto il vincolo continuativo è un fatto che tutti gli episodi attribuiti all’imputato risultano puniti, ciascuno, con la pena dell’ergastolo; sicché in relazione a nessuno di essi può operare la causa estintiva.

La condanna comporta, per l’imputato, l’obbligo di pagare le spese processuali e l’obbligo di subire ogni altra conseguenza legale. Il tenore della condanna esclude, in radice, la concessione di qualsiasi beneficio.

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Nel presente procedimento penale, si sono tempestivamente costituiti parti civili il Comune di Bolzano, la Comunità ebraica di Merano, l’Unione delle comunità ebraiche italiane, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e l’Associazione Nazionale Ex Deportati (le ultime due congiuntamente). Nel richiamare la propria ordinanza di ammissione, il Collegio osserva quanto segue:

1) Il Comune di Bolzano, nella sua veste di ente territoriale rappresentativo degli interessi della comunità locale, è stato sicuramente danneggiato dai reati ascritti al Seifert, commessi da costui all’interno del Lager istituito dalle Autorità militari tedesche alla periferia dell’abitato.

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Ciò in quanto la presenza sul posto di detta struttura concentrazionaria e del tutto illegale ha, senz’altro, arrecato nocumento all’immagine della città come comunità laboriosa e pacifica stanziata sul territorio, accreditando l’idea – destituita di ogni fondamento e per ciò stesso dannosa – di una qualche connessione o connivenza con l’infausto regime degli occupanti nazionalsocialisti.

2) Danneggiate sono state, altresì, le Comunità ebraiche (presenti nel procedimento a livello nazionale e locale), giacché è stato accertato che, tra le vittime dei più efferati episodi di violenza omicidiaria riferibili al Seifert, vi furono certamente persone di cultura e religione ebraica.

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Le associazioni suddette perseguono, tra l’altro, encomiabili finalità di conservazione della memoria dello sterminio compiuto dal regime nazionalsocialista ai danni degli ebrei; e tale sterminio, pur tra gli infiniti orrori conosciuti dal secolo «breve» che si va chiudendo, rimane un unicum irripetibile per la mostruosità dei fini mirati e la perversa «scientificità» dei mezzi impiegati: in siffatto contesto si collocano gli omicidi delle signore Voghera (fatto-reato n. 12) e del giovane sconosciuto lasciato morire di inedia (fatto-reato n. 5), e il danno subito da queste povere vittime viene fatto proprio, nella misura in cui ciò è umanamente possibile, dalle associazioni anzidette.

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3) Infine, sono state danneggiate le Associazioni che riuniscono coloro che presero parte alla guerra di liberazione contro il tedesco invasore e gli ex deportati nei campi di concentramento e di sterminio nazisti. Tale danno, nello specifico, può essere posto in relazione alla presenza, tra le vittime del Seifert, del giovane Pezzutti Bortolo (fatto-reato n. 7), la cui cattura a Lovere (Bergamo), il trasferimento a Bolzano e le raccapriccianti circostanze della morte non sono altrimenti spiegabili che in termini di spietata repressione contro un elemento ritenuto appartenente alle forze della resistenza antifascista.

Del Lager conserviamo solo le foto dopo la Liberazone, fatte da Enrico Pedrotti "Marco" uscito dalle celle il 30 aprile 1945. Sotto sono i superstiti partigiani di Bolzano 03.05.2013 Ricordiamoli :da sin. Renato Dal Piaz, Sandro Bonvicini,Bruno Zito,Odino Bisinellla, Giacinto Passoni,Bruno Bertoldi,Orazio Leonardi,Lidia Brisca -Bruna- tutti gli altri li ho persi per strada. di un IMI accanto a me non ricordo il nome , ma lo tengo nel cuore

I superstiti partigiani di Bolzano (3 maggio  2013):
da sinistra: Renato Dal Piaz, Sandro Bonvicini, Bruno Zito, Odino Bisinellla, Giacinto Passoni, Bruno Bertoldi, Orazio Leonardi,Lidia Brisca -Bruna insieme a Lionello Bertoldi dell’Anpi di Bolzano

Per i fatti-reato da lui commessi, e per i quali è stato condannato alla pena dell’ergastolo, Seifert Michael deve dunque essere condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. Peraltro, in tema di monetizzazione del danno (morale) da risarcire, il giudicante deve prendere atto che – tranne il Comune di Bolzano – le parti hanno chiesto di essere rinviate avanti il competente giudice civile, ovvero hanno quantificato il danno in misura puramente simbolica.

Ciò premesso, si stima soluzione più equa quella di pronunciare, in questa sede, condanna generica, rimettendo le parti davanti al giudice civile. Va accolta, comunque, la richiesta delle parti civili ANPI-ANED di condanna dell’imputato al pagamento di una provvisionale, determinata, nei limiti del danno già comprovato, in lire 100.000.000 (cento milioni).

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Il Seifert deve essere, infine, condannato al pagamento delle spese relative all’esercizio dell’azione civile, nelle misure sottoindicate (basate sulle parcelle prodotte dai difensori): – lire 30.000.000 (trenta milioni) a favore del Comune di Bolzano; – lire 30.000.000 (trenta milioni) a favore delle Associazioni dei partigiani e degli ex deportati; – lire 25.000.000 (venticinque milioni) a favore dell’Unione delle comunità ebraiche italiane; – lire 25.000.000 (venticinque milioni) a favore della Comunità ebraica di Merano.

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Tra i testimoni delle torture di Seifer ci fu anche Mike Bongio. Arrestato a Milano con l’accusa di aver fatto parte della Resistenza, il presentatore fu trasferito a Bolzano dove trascorse settimane in una cella di isolamento nel campo comandato dal feroce Misha. Per Mike la situazione cambiò con l’arrivo a Bolzano di un colonnello della Gestapo che lo fece trasferire a Innsbruck, in Austria, e poi nel campo di concentramento di Spittal, dove poi venne scambiato, assieme ad uno sparuto gruppo di compagni di prigionia, con otto tedeschi che erano finiti nella mani degli Alleati.

Mike Bongiorno

Mike Bongiorno

Dopo un lunghissimo viaggio in treno fino a Marsiglia, Bongiorno prese una nave per New York, dove gli chiesero di raccontare la sua terribile esperienza ai microfoni della radio italiana, per far sapere che cosa stava succedendo in Europa. Ed é proprio da qui che cominciò la sua carriera, che lo condusse nel tempo alla popolarità, prima soltanto radiofonica e poi anche televisiva.

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Nel 2004 Mike, tornato a Bolzano per inaugurare un ‘percorso della memoria’ raccontò con “un groppo in gola” la sua esperienza. “Venni rinchiuso proprio qui, dopo sei mesi trascorsi in cella a San Vittore, con 64 giorni di isolamento”. “Al mio arrivo – disse – vidi una serie di baracche in legno e, in mezzo al campo, una cella in muratura. Senza spiegarmi perché, ‘Misha’ ordinò che fossi racchiuso proprio là dentro, in isolamento”. “Non seppi mai – racconta – il motivo di questa decisione.

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Ma Seifert lo aspettiamo qui in Italia e, quando arriverà per scontare la sua condanna, spero di avere l’occasione di chiedergli: perché ?”. Poi, aggiunse Bongiorno “é avvenuto il miracolo perché posso dire con certezza che sono un miracolato. Venni infatti scambiato, assieme ad uno sparuto gruppo di compagni di prigionia, con otto tedeschi che erano finiti nella mani degli Alleati”. “Oggi ricordo tutti quei compagni che mi guardavano da dietro la rete mentre io me ne andavo, nessuno di loro è tornato”.

“Me lo ricordo grande, robusto, biondo. Misha, lo chiamavano. Ero stato arrestato dai nazisti il 20 aprile del ’44, mentre stavo preparandomi ad attraversare il confine svizzero”, ricordava il presentatore. “Il passaporto americano, che avevo buttato un po’ incoscientemente dalla finestra mentre l’alberghetto veniva circondato, era stato trovato da uno della Gestapo.

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E così mi portarono a San Vittore, dove mi faccio sessantaquattro giorni di isolamento completo, poi mi mettono in cella con un altro detenuto e alla fine mi danno anche qualche permesso per svolgere i lavoretti all’interno del carcere. Quando passo dall’infermeria, c’è Montanelli, che mi dà un bigliettino per sua moglie. Se ci penso, al rischio che ho corso. Me lo sono messo in bocca e l’ho consegnato”.

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All’improvviso, Mike viene caricato su un pullman ed esce da San Vittore. Ha una paura blu: “Quando ad agosto chiamarono i detenuti che poi uccisero in piazzale Loreto, ci allinearono al sesto raggio e fecero l’appello. Il 26 settembre rifanno l’appello e sento il mio nome … Aiuto … Invece non ci sparano, viaggiamo su un bus, che ogni tanto si ferma, quando ci arrivano sopra la testa gli aerei alleati, ma in una giornata arriviamo a Gries, al campo di smistamento dei tedeschi.

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Quello che chiamavano Misha viene personalmente a prendermi. Un pazzoide. Uno che girava tutto il giorno urlando in tedesco, prendeva tutti a staffilate con un frustino. Mi porta in una costruzione con alcune celle e mi appioppa un calcione nel sedere: “Americano bastardo”, dice, mi butta in una cella, isolato da tutti e tutto, poi arriva una minestraccia e il pane nero. Avevo vent’anni”.

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L’orrore è tutto intorno. Mike, però, ha il passaporto americano. E questa circostanza lo aiuta: “Un giorno arriva Misha, mi prende per un braccio e mi porta all’aperto, mi mette in una gabbia, non lo so perché mi mette lì. Ci sono gli altri prigionieri nel campo, alcuni sono stati a San Vittore, mi vedono e si ricordano: “Miki”, perché mi chiamavano così, “Miki l’americanino”. Vengono in due, Hauss, un capitano, americano, presidente della Max Meyer Italia, e Lou Biagioni, italoamericano, paracadutato, figlio di toscani, beccato non mi ricordo più se a Varese o a Como. “Se vai in America, ricordati di consegnare a mio figlio questo orologio”, mi dice il primo. Il secondo invece non mi dà nulla, ma dice di andare a trovare i parenti nel Bronx e riferire al Comando americano un messaggio che non ho mai capito, di dire che avevo visto Corvo 3″.

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Nella gabbia Mike ci resta poco, viene uno della Gestapo, lo prende in consegna e lo porta al campo austriaco di Innsbruck e poi a Spital, “il campo di punizione per i civili vicino al famoso Stalag 17, dei prigionieri americani. Mi ricordo che è ottobre, ha nevicato, c’è un metro di neve e io ho addosso solo il camicione con cui sono uscito da San Vittore, con una bandiera blu cucita addosso. Anche se siamo trattati malissimo e ho freddo, abbiamo una brandina singola e una coperta.

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Ci portano anche a fare la doccia, e mi ricordo di due polacchi che non volevano mai farla. Ero stupito; ma insomma dopo un po’ mi dissero che c’erano posti dove mettevano i prigionieri nelle docce e invece dell’acqua arrivava il gas. Io non ci credevo, non lo sapevo, e invece era tutto vero e loro lo sapevano già, ha capito che storia?”, dice Mike Bongiorno.

Michael Seifert

Michael Seifert

Il complice che stava con “il boia di Bolzano”, Otto Sein, non è mai stato identificato: “Giravano sempre insieme”, conferma il presentatore. “Chissà che fine ha fatto … Io ho perdonato, ma sono vivo, avevo compiuto i miei vent’anni in carcere, le ferite si sono rimarginate. Quando parlo con dei miei amici ebrei, persone che hanno perso familiari e hanno subito atrocità inenarrabili, vedo odio, nei loro occhi. E capisco che possono avere ragione”.

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