a cura di Cornelio Galas
Abbiamo già riferito ampiamente, in precedenti puntate, dell’eccidio nazifascista del 28 giugno 1944 nel Basso Sarca. Ci siamo accorti però che – stando alle ricostruzioni storiche di Lorenzo Gardumi – abbiamo appena sfiorato i tragici fatti che, poco prima della Liberazione, si verificarono sempre nel Basso Sarca, ad Arco. Così come forse non è stato dato adeguato spazio alla cosiddetta “battaglia di Riva del Garda”, sempre di quel periodo.
Vediamo intanto cosa scrive Lorenzo Gardumi:
“Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945, la valle dell’Adige e le valli adiacenti videro il passaggio di colonne tedesche in ritirata verso Nord, in fuga dalle colonne alleate e dalle incursioni partigiane. I reparti nazifascisti in ritirata compirono saccheggi e rapine lungo la Vallagarina, la valle dei Laghi, la Valsugana e le valli Giudicarie.
L’aumento delle razzie, delle spoliazioni e delle uccisioni, rifletteva comportamenti già sperimentati in altri contesti bellici e, per questo motivo, abitudinari; quei soldati non solo erano abituati alla violenza, ma si trovavano in uno stato di estrema tensione provocato da giorni di combattimenti, di marce forzate sotto la continua minaccia partigiana, vera o presunta che fosse: colonne più o meno organizzate, appiedate o motorizzate, cercavano di sfuggire alla tenaglia alleata e alle «imboscate» dei patrioti nella speranza di poter raggiungere la Germania.
Nel loro movimento, i soldati tedeschi uccisero chiunque si frappose sul cammino: partigiani (o supposti tali), disertori tedeschi e trentini del Corpo di sicurezza trentino (CST), civili innocenti. Tra il 25 aprile e il 5 maggio 1945, si contarono oltre 120 caduti, vittime delle ultime giornate del conflitto.
Alla fine di aprile del 1945 si consumò la battaglia per liberare la zona del Basso Sarca, comprendente i territori dei Comuni di Riva del Garda, Arco, Torbole e Nago. Il 28 aprile la Brigata Garibaldi Eugenio Impera attaccò le posizioni allestite dai tedeschi a Riva, mentre la 10. Divisione americana da montagna raggiungeva Malcesine.
Per due giorni, i tedeschi riuscirono a contenere l’avanzata americana e costrinsero i partigiani dell’Impera a ritirarsi sulle montagne circostanti. A Riva, negli scontri con le forze nazifasciste in ritirata, morirono i partigiani Giulio Pederzolli, Alvaro Bellettati, Andrea Berlanda, Cesare Maffiodo e l’ex prigioniero di guerra sovietico Soltan Jelscharovich (28 aprile).
Ad Arco, le vittime fuorno Antonio Chiarani, Giuseppe Caproni ed Epifanio Gobbi (30 aprile). Il 30 aprile gli americani presero finalmente Nago e Torbole ricongiungendosi con le forze partigiane che avevano frattanto liberato Riva. I tedeschi ripiegarono verso Arco e Trento lungo la valle del Sarca. La conclusione positiva delle operazioni permise alla 10. Divisione americana di aggirare le opere fortificate occupate dai tedeschi sul monte Altissimo, prendendo la “Blaue linie” da tergo e rendendola pertanto indifendibile.
Fu in questo quadro caratterizzato dagli scontri con i soldati tedeschi, nell’intermezzo tra l’arrivo dei soldati americani e la ritirata delle forze naziste, che si consumò l’uccisione dei due civili (Lino Carmellini, Giuseppe Prandi) e la fucilazione del partigiano Vittorio Dusatti.
Carmellini stava pedalando verso Chiarano: forse impaurito dall’arrivo di un’automobile carica di tedeschi, il ragazzo fuggì ma fu colpito da una pallottola, morì nelle ore successive. La commissione patrioti di Trento concesse al ragazzo la qualifica di partigiano e un assegno di 20 mila lire alla famiglia. Giuseppe Prandi fu ucciso dai tedeschi in ritirata nei pressi dell’Ospedale civile di Arco.
Vittorio Dusatti fu catturato dai tedeschi durante gli scontri finali: mandato in perlustrazione dagli americani della 10. Divisione, fu catturato da un gruppo di militari SS e giustiziato con un colpo d’arma da fuoco al capo nei pressi di Loppio”.
E adesso parliamo di Valerio Tosi. Partendo da quello che succede il 16 dicembre 2014. Valerio è a Padova per il funerale del fratello Giorgio. Pronuncia poche parole: “Di mio fratello rammento su tutto un abbraccio, quello scambiato alla liberazione di Riva e di Giorgio, un abbraccio improvviso, inaspettato, col mitra ancora al collo, a intralciare l’affetto di due fratelli ritrovati, sopravvissuti alla guerra”.
Valerio Tosi nasce a Rimini il 5 ottobre del 1928, secondo di quattro fratelli: Giorgio (classe 1925), Gabriella e Franca.
Il padre, guardia forestale militarizzata durante la guerra, si sposta molto per lavoro, fino a giungere, con la moglie Carla Casalotti e i primi tre figli, a Riva del Garda nel 1938. Lì, pochi anni dopo, Valerio si iscrive – come suo fratello – al Maffei, dove – come scrive Giorgio Tosi nel suo Zum Tode – «i giovani del “Littorio” entrati balilla al ginnasio si trovarono presto al liceo, adolescenti e avanguardisti ma con la divisa che urticava, la mente arrovellata, l’animo turbato». Furono alcuni dei loro professori a «svegliare dal letargo» i ragazzi: Leonardi, Gori e Franchetti.
Al professor Gori, insegnante di lettere, «bastava una terzina di Dante ad accendere gli animi contro il tiranno, rivelando all’insegnante sgomento e felice che i suoi alunni si stavano trasformando anche per suo merito in apprendisti uomini, insofferenti al regime, pronti a ribellarsi».
Gastone Franchetti (leva 1920), invece «aveva un fisico atletico, perfetto, da statua greca. Era spavaldo e tenero, rude e generoso, incolto e irrequieto. Fascista, volontario in guerra, alpino e valoroso soldato, torna a Riva con un alone di leggenda per le sue imprese in battaglia», insegna educazione fisica.
Gli studenti sono affascinati da questi loro professori, così diversi e complementari, che si conoscono e simpatizzano in breve.
Da “Figli della Montagna” a “Fiamme Verdi”: la brigata “Cesare Battisti” – Molto prima dell’armistizio, Franchetti prende una posizione netta sul regime e – sicuro ormai di poter contare sulla loro fiducia – la palesa ai suoi ragazzi, inventandosi anche i “Figli della Montagna”, un’associazione che accompagnò la «delicata trasformazione dei giovani studenti da fascisti ciechi a fascisti critici, e infine ad antifascisti».
Alcuni dei compagni più stretti di Valerio e suo fratello, in quel periodo, erano Eugenio e Romana Impera, Enrico Meroni, Renato Ballardini, Giulio Poli e Luciano Baroni.
Nell’ottobre ‘43 i “Figli della Montagna” si trasformano nelle “Fiamme Verdi”-Brigata “Cesare Battisti”, vero e proprio movimento clandestino di Resistenza, Franchetti assume il nome di battaglia di “Ettore Fieramosca” e altri uomini entrano nell’organizzazione, tra cui il comunista Dante Dassatti (“Dario”) e il padre dei Tosi, Alessandro.
Si stabiliscono contatti coi gruppi partigiani lombardi e veneti, col CLN milanese; si stringono poi i nodi di una rete che – nei comuni limitrofi – collega i resistenti di Riva al movimento operaio, al PCI, al PSI, ai gruppi di GL.
E arriviamo all’eccidio del 28 giugno 1944. Purtroppo – come abbiamo ricordato più volte – nemmeno la presenza prudente e guardinga di Dassatti riuscì a scongiurare l’infiltrarsi, nella brigata, di una spia. Fiore Lutterotti, amico di Franchetti, gli si presenta nell’aprile del ’44, asserendo di essersi arruolato nelle SS per salvarsi la vita dopo l’8 settembre (che lo aveva colto in Germania) ma di essere un amico dei “ribelli”, capace – con la sua tessera delle “teste di morto” – di farli passare dappertutto, anche armati.
Franchetti gli crede, l’inganno riesce e porta – nel giugno del ‘44 – alla cattura e alla morte di decine di persone.
La politica del gauleiter Hofer per il Trentino era stata, dopo l’armistizio, particolarmente morbida e tollerante con i civili, la contropartita però era l’obbedienza assoluta e l’assenza totale di focolai di Resistenza in un Trentino strategico, per cui passava la linea del Brennero, vitale per la Wehrmacht.
Per questo era necessario stroncare sul nascere ogni organizzazione clandestina avversa al nazi-fascismo. All’alba del 28 giugno 1944 a Riva e nei comuni vicini, reparti della polizia di sicurezza e del battaglione Bozen, guidati dalle SS, trucidarono 11 partigiani e ne arrestarono a decine.
Vengono arrestati, tra gli altri, Gastone Franchetti e Giorgio Tosi. Viene freddato, sorpreso e assonnato nella stanza da letto, il diciannovenne Eugenio Impera; viene torturato e ucciso nella sede della Feldgendarmerie di Riva il coetaneo Enrico Meroni. A molti altri venne riservata la stessa sorte.
Franchetti verrà torturato e infine fucilato per rappresaglia il 29 agosto del 1944 a Bolzano. I fratelli Valerio e Giorgio Tosi sono sorpresi mentre dormono. Prelevano soltanto Giorgio (che finirà in carcere prima a Trento, poi Bolzano e Silandro), cosicché Valerio – allora sedicenne – può correre subito dopo ad avvisare le famiglie di altri due compagni, che così si mettono in salvo.
Restano pertanto, nella casa dei Tosi, soltanto le donne: la nonna Cecilia, la madre Carla e le due sorelline Franca e Gabriella; il padre era già stato incarcerato per la soffiata di un suo milite che lo accusava di reperire materiale per i partigiani.
Ed eccoci alla “Battaglia di Riva”. Tra l’autunno 1943 e il giugno 1944 le gallerie della Gardesana Occidentale erano state trasformate in un impianto di produzione bellica.
La brigata “Cesare Battisti”, distrutta con l’eccidio del giugno ’44, rinacque nel nome di uno dei suoi caduti: “Eugenio Impera”, ora brigata garibaldina guidata dal comunista “Dario”. Valerio ne è membro ed è inviato al tornio dell’officina X della Fiat, in una delle gallerie della Gardesana. Si tratta di un’officina “particolare”, gestita in pratica da operai partigiani: le macchine si inceppavano, pochissimi pezzi uscivano di lì e il boicottaggio era ben camuffato.
Riva, nei giorni convulsi dell’aprile 1945, fu liberata, occupata, nuovamente liberata. Il 25 aprile comincia la ritirata di massa delle truppe tedesche dall’Italia, ma i nazisti difendono Riva ad oltranza; il Comando partigiano decide di sferrare l’azione decisiva nelle primo pomeriggio del 28 aprile.
I tedeschi, però, ricattano i garibaldini minacciando di scaricare le loro batterie sulla città: Dario decide che è una posta troppo alta e si ritira coi suoi alle periferie di Riva. Da Salò giungono, di rinforzo ai tedeschi, i repubblichini.
Durante la battaglia per la liberazione di Riva, Valerio Tosi si trovava in piazzetta Marocco (nel centro storico del paese) e lì vide transitare, marziali, i partigiani-operai dell’officina X Fiat, anch’essi ora agli ordini di Dario. Poco dopo, in uno scontro in via Montanara, cadeva uno di loro, Cesare Maffiodo operaio di 22 anni. Poco distante, vicino a via Fiume, cadono Alvaro Bellettati, un altro operaio di 25 anni, e Andrea Berlanda.
Le forze partigiane arretrano verso Deva, Pranzo e Tenno, da dove si può comunque sbarrare la ritirata ai tedeschi. Intanto dalle pendici del monte Baldo avanzano gli alleati; la mattina del 30 aprile il battaglione partigiano libererà, da solo, definitivamente Riva. Un’ora dopo circa arrivano le prime pattuglie canadesi.
Valerio, assieme a Ervino Betta (il cui padre era stato ucciso dalle SS il 28 giugno ’44), deve andare a prendere il gauleiter di Riva, Kuhne, scortato incolume fino al Comando partigiano.
Ai partigiani viene concesso di restare armati in città per circa un mese, è per questo che il mitra di Valerio si mette di traverso nell’abbracciare il fratello Giorgio, che il 3 maggio aveva ottenuto il lasciapassare per uscire dal carcere di Silandro e tornare finalmente a casa.
Dopo, Valerio si laurea in fisica a Roma, si specializza in fisica nucleare e diviene assistente di Amaldi, ma guadagna troppo poco, così tenta di lavorare nell’industria.
Si presenta alla Bombrini Parodi Delfini, il colloquio va bene, le proposte sono per ruoli dirigenziali, ma alla fine gli chiedono di avere le carte militari. Al secondo colloquio Valerio si sente dire che, data la sua qualifica di partigiano combattente nella brigata Garibaldi “Eugenio Impera”, non potrà avere il posto. Erano gli anni di Scelba.
Fortunatamente, grazie all’Euratom, Valerio può partire per la Norvegia, un po’ amareggiato – però – dato che la Patria per la cui libertà aveva combattuto non lo accettava proprio per il suo passato partigiano. Dopo sette anni rientrerà in Italia, dove lavorerà per il CNEN (poi ENEA) per mettere in piedi il CIRENE, il reattore di concezione italiana.
Riceve la croce di guerra al valor militare. Nell’84 si riapre la possibilità di tornare in Norvegia, sempre con un contratto ENEA, così Valerio arriva ad Halden, a occuparsi di “acqua pesante”, che in Norvegia si produceva anche durante la guerra, quando i tedeschi tentarono di appropriarsene, fermati dai partigiani norvegesi grazie ad una mirabolante azione.
Nel frattempo incontra e sposa Unni. Torneranno spesso, però, in Italia, a Riva del Garda.