a cura di Cornelio Galas
Parliamo oggi della strage di Stramentizzo e Molina di Fiemme (maggio 1945). E cominciamo subito con un documento dell’Archivio Parrocchiale di Molina di Fiemme, il “Registro dei morti”, ricostruzione degli avvenimenti fatta dal parroco don Celestino Vinante, su due fogli dattiloscritti ed inseriti alla pagina 192.
“Il 28 aprile 1945, alcuni “partigiani” si presentarono in Caserma dei Carabinieri e richiesero armi e poi si avvicinarono alla casa detta “Alto Avisio” ove aveva sede un distaccamento di tedeschi in gran parte attendati a Piazzol. Là credendo che tutti dovessero ubbidire a loro spararono, ma dovettero fuggire.
Quel comando tedesco prese come ostaggi il Commissario prefettizio di Castello ed il rispettivo segretario e li tratenne (sic) a Piazzol unendovi a sera altri 7 (sette) uomini di Molina presi a caso e un forestiero da Schio res. a Bolzano e sfollato colla moglie e una bambina a Ziano certo Luigi Dal Bianco.
Alle 6 del 29 aprile rilasciarono tutti in libertà tranne il Dal Bianco che uccisero poco dopo e seppellirono là e fu trovato poi il 1-5 e trasportato nella camera mortuaria a Molina. Quei Tedeschi partirono il 29 sera e sospettando partigiani in ogni posto spararono a mitraglia tra Castello e Molina senza ferire alcuno.
Il 2-5 alcuni “partigiani” si portarono a Castello per intimare la resa a quei tedeschi che si trovavano là da tempo colla polizia trentina ed altri della Tod e si fecero consegnare armi e macchine e tornarono a Molina.
Vennero poco dopo a Castello da Cavalese Soldati della Speer ed uccisero tre uomini civili di là. Furono pregati i partigiani di starsene fermi per impedire mali maggiori, ma il 3-5 a Miravalle presso Capriana arrestarono alcuni Tedeschi compresa una Croce Rossa uccidendo 2 tedeschi e ferendo gravemente un tenente medico e facendo prigionieri diversi Soldati.
Questi furono trasportati un una località vicina a Stramentizzo mentre i morti e il ferito assieme a 2 feriti dei partigiani, furuno portati a Molina allo Albergo Ancora.
I due ultimi certo Braito di Daiano ed un ex soldato tedesco, detto Franco (prob. Franz Colman ricercato da tempo dal Comando tedesco) morirono nella notte mentre il madico morì al mattino quando molti altri molti tedeschi venendo da Cembra attaccavano Stramentizzo a colpi di mitraglie e di “panzerfaust” e entrando nelle case, appicando il fuoco, terrorizzando le donne e uccidendo pacifici cittadini.
Attilio Bazzanella paralizzato da 5 anni fu ucciso con un colpo d’arma da fuoco al petto e fu appiccato il fuoco al letto; fu presto spento dalla sua moglie e figlia rimasta ferita da pallottola al braccio sin. Amadio Rossi si vide appiccato il fuoco in camera al vestiario, fu tratto sulla strada e colpito da bomba a mano alla testa che gli asportò la scatola cranica.
Rachele Bortolotti in Chinetti sfollata da Ora si vide appiccato il fuoco ai letti e ai vestiti dell’armadio aperto. Il coperto della Chiesa fu spezzato da una bomba. Il fienile di proprietà di Ernesto Rossi e Egidio March andò bruciato.
Le case di Ida ved. March, del Barone Longo abitata dal manente Enrico Zorzi e dal guardiaboschi Oralndo Bazzanella, di Angelo Rossi, di Vittoria ved. Pergher, di Ersilia Rossi, di Ignazio Betta, di Cirillo Aussermueller, di Alberto Aussermueller, di Felice March e di Rossi Erminia furono abbruciate al completo mentre della abitazione di Egidio March andò abbruciato il coperto.
Distrutta la segheria del baron Longo e gran quantità di legname in assi e borre. Vi trovarono la morte, oltre i detti, Angelo Rossi ed Alberto Ausermueller e fra i partigiani: Silvio Larger di Molina (Brombo), Tonini Luigi di Valfloriana, Achille Rella di Cavalese, Uno di Valcava, uno di Sover, Pollo Giacinto di Stramentizzo, Martini Elio e Vanzo X di Cavalese, Rizzoli Lino di Cavalese, un Russo, un Croato. Fu pure ucciso Francesco Marchetti di Tesero arrivato il 3-5 soldato delle ferrovie germaniche, che scapava nel bosco.
Proseguendo a Molina fu abbruciata la casa di Lino Ventura, di Simone Rizzi, di Tomasini Giuseppina Ved, di Giovanni Corradini (Chechele), Di Berenice Daprà, una segheria, la casa di Giov. Daprà, di Francesco Holneider, di Betta Giuseppe (Conte), di Albino Cavada, di Bortolotti Silvio, di Onorio Cavada, di Anna ved Weber, di Giov. Zorzi, di Egidio Zorzi, di Ausermueller Giov. di Arturo March, di Giov. Cavada, di lucia ved. Tomasi, di Luigi Delfavero.
Uccisi: Angelo Marazzato Brigadiere, Spina Rosario appuntato, Bancher Pietro, Bortolotti Andrea, Iginio Weber, Carlo Corradini e un Alpino da Verona (Giulietti Alfonso di Luigi n. Badia Calavena, Verona, 1920) che tornava dalla Russia e passava per i boschi. Seviziati Tutti i morti, tranne il penultimo.
NB. A Stramentizzo furon gettate in una casa in fiamme e perirono abbruciate: Orsola Varesco ved. Cia di anni 80, Assunta Pergher di anni 23 e Ida Cavada in Aussermueller di anni 52″.
Il testo è stato trascritto come si trova nel documento originale comprese le imperfezioni ortografiche.
Ma vediamo gli antefatti di quell’eccidio. Così come li rievoca lo storico Lorenzo Gardumi. Alla fine della guerra, la valle dell’Adige e le valli adiacenti, videro il passaggio di colonne tedesche in fuga dagli alleati e dalle incursioni partigiane: durante il ripiegamento, i reparti nazifascisti compirono saccheggi e rapine lungo la Vallagarina, la valle dei Laghi, la Valsugana e le valli Giudicarie.
L’aumento delle razzie, delle spoliazioni e delle uccisioni, rifletteva comportamenti già sperimentati in altri contesti bellici e, per questo motivo, abitudinari; quei soldati non solo erano abituati alla violenza, ma si trovavano in uno stato di estrema tensione provocato da giorni di combattimenti, di marce forzate sotto la continua minaccia partigiana, vera o presunta che fosse: colonne più o meno organizzate, appiedate o motorizzate, cercavano di sfuggire alla tenaglia alleata e alle «imboscate» dei patrioti nella speranza di poter raggiungere la Germania.
Nel loro movimento, i soldati tedeschi uccisero chiunque si frappose sul loro cammino: partigiani (o supposti tali), disertori tedeschi e trentini del Corpo di sicurezza trentino (CST), civili innocenti. Tra il 25 aprile e il 5 maggio 1945, si contarono oltre 120 caduti: in certi casi, il ripiegamento tedesco e l’ormai imminente conclusione del conflitto spinsero partigiani, ex militi del CST e civili a intervenire, come nel caso di Stramentizzo e Molina di Fiemme.
Nel primo pomeriggio del 3 maggio 1945, una pattuglia partigiana composta dal disertore tedesco Franz Kollmann e dal partigiano Carlo Tonini incrociò in località Miravalle, presso Capriana, una Kubelwagen tedesca con in simboli della Croce rossa che trasportava due militari e un ufficiale medico: all’intimazione di cedere le armi, i tedeschi risposero aprendo il fuoco. Durante lo scontro, rimasero uccisi mortalmente Kollmann e due militari tedeschi, mentre l’ufficiale fu ferito.
L’automezzo tedesco faceva parte di una colonna d’avanguardia (tre camion) della Kampfgruppe Schintlholzer che ritornava dalla zona operativa del monte Altissimo, dove aveva presidiato un settore della linea Blu: questo reparto avanzato si arrese ai partigiani a Stramentizzo, dopo una prima sparatoria che provocò la morte del partigiano Raimondo Braito; il gruppo di partigiani guidato da Achille Rella catturò così 60-70 militari, non troppo dispiaciuti di essere stati fatti prigionieri.
All’alba del 4 maggio, gli esploratori SS della Kampfgruppe Schintlholzer avanzarono verso Stramentizzo protetti da una bandiera bianca che ingannò i partigiani presenti nel paese sulle reali intenzioni dei soldati. Appena giunti a distanza di tiro, i militari cominciarono a sparare falciando i partigiani allo scoperto, mentre alcuni cercavano di rispondere trovando riparo all’interno della segheria situata nei pressi dell’abitato.
Dopo aver avuto ragione della resistenza dei patrioti, i soldati tedeschi penetrarono nel paese uccidendo, saccheggiando e bruciando. Il grosso del reparto giunse poi a Molina, distante da Stramentizzo un km circa, e anche qui si registrarono furti, incendi e cinque vittime. Nei giorni successivi, una commissione mista italo-tedesca compì un sopralluogo: alle indagini prese parte il tenente colonnello Herbert Kappler.
Per i crimini commessi a Stramentizzo e Molina di Fiemme, solo Schintlholzer e Steiner furono ricercati dalle autorità militari italiane. Schintlholzer fu condannato in contumacia nel 1979 dalla Corte d’assise di Bologna ma sono in relazione agli eccidi compiuti nel Bellunese nell’agosto 1944.
Steiner, già perseguito dalla giustizia tedesca per i crimini compiuti in Unione sovietica, fu ricercato per l’omicidio dei due carabinieri di Molina: sebbene identificato, la Procura generale militare della Repubblica di Roma ordinò la provvisoria archiviazione del caso. Nei primi anni novanta, la scoperta della documentazione giudiziaria sui tragici fatti accaduti in val di Fiemme portò la magistratura militare a riaprire le indagini, ma, ormai, sia Schintlholzer sia Steiner erano deceduti.
Già all’indomani della strage, emerse una memoria divisa che opponeva il vissuto dei civili a quello dei partigiani, dove i primi accusavano i secondi di aver provocato la strage con lo scontro a fuoco di Miravalle (3 maggio): la rielaborazione dei fatti accaduti in val di Fiemme dopo la fine della guerra (in Italia) è simile, in linea generale, a quelle emerse in altri contesti colpiti dalla violenza tedesca.
C’è anche una vicenda personale, drammatica quanto forse poco conosciuta nel contesto di quella strage. Si tratta di Giorgio Marincola, tra le vittime di Stramentizzo e insignito della Medaglia d’oro al valor militare.
Ma chi era Giorgio Marincola morto giovanissimo il 4 maggio 1945? Era nato il 22 settembre 1923, a Mahaddei Uen, nella Somalia italiana, , figlio di Giuseppe, maresciallo maggiore di fanteria e di Askhiro Hassan, somala della cabila Abgal. Contrariamente alle usanze dell’epoca, il padre riconobbe entrambi i figli meticci (oltre a Giorgio, Isabella, nata nel 1925) e li portò in Italia.
Giorgio, emigrato per primo, crebbe a Pizzo Calabro con gli zii, che non avevano figli. Isabella, invece, andò a vivere a Roma, col padre e la moglie italiana, Elvira Floris, sposata nel giugno 1926.
Giorgio si trasferì a Roma, in casa del padre, nel 1933. Qui frequentò il regio liceo Umberto I e per due anni scolastici ebbe come professore di Storia e Filosofia il militante azionista Pilo Albertelli, morto nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Nel 1941 si iscrisse alla facoltà di Medicina, con l’intenzione di specializzarsi nelle malattie tropicali, per poi tornare a lavorare nel suo paese d’origine.
Nell’autunno 1943 entrò a far parte di un gruppo di partigiani legato al Partito d’Azione e operò a Roma nella terza zona del Pd’A, settore Salario. In seguito all’arresto di un compagno decise di trasferirsi a Corchiano, in provincia di Viterbo, dove partecipò ad azioni di sabotaggio e scontri armati.
Dopo la liberazione di Roma, nel giugno 1944 si arruolò nello Special Operations Executive e partì per la provincia di Brindisi, dove ricevette l’addestramento militare in diverse basi alleate. Come nome di battaglia scelse Mercurio e gli venne conferito il grado di tenente.
All’aeroporto di San Vito dei Normanni, venne aggregato alla missione Bamon e paracadutato nei pressi di Zimone in provincia di Biella. Sul suo stesso aereo militare viaggiava anche Edgardo Sogno. Il 15 settembre, durante l’attacco a una colonna di automezzi tedeschi, venne ferito ad una gamba e dovette restare fermo per qualche tempo.
Il 17 gennaio 1945 fu imprigionato da un reparto di SS nel carcere di Biella e di lì trasferito a Villa Schneider, presso il comando della polizia militare tedesca. Qui lo costrinsero a parlare durante una trasmissione di Radio Baita. Come già successo ad altri partigiani catturati, Giorgio avrebbe dovuto denigrare la Resistenza. Scelse invece di esaltarla, scagliandosi contro il regime fascista.
« Sento la patria come una cultura e un sentimento di libertà, non come un colore qualsiasi sulla carta geografica… La patria non è identificabile con dittature simili a quella fascista. Patria significa libertà e giustizia per i Popoli del Mondo. Per questo combatto gli oppressori … » (Giorgio Marincola a Radio Baita, gennaio 1945)
La trasmissione venne interrotta, “con atroce rumore di percosse”. In seguito a questo episodio, i nazisti lo trasferirono nel carcere “Le Nuove”, a Torino, e poco dopo, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, nel Lager di Bolzano.
Quando gli alleati liberarono il lager, il 30 aprile 1945, Marincola si rifiutò di riparare in Svizzera su un mezzo della Croce Rossa. Decise invece di raggiungere la Val di Fiemme, dove i partigiani e la popolazione temevano ancora rappresaglie da parte dell’esercito nazista in ritirata.
Proprio i tedeschi lo uccisero a un posto di blocco, nei pressi dell’abitato di Stramentizzo, il 4 maggio 1945. Morì insieme ad altri 20, tra partigiani e civili, nell’ultima strage nazista sul territorio italiano.
La motivazione per il conferimento della Medaglia d’oro al valor militare – nastrino per uniforme ordinaria:
«Giovane studente universitario, subito dopo l’armistizio partecipava alla lotta di liberazione, molto distinguendosi nelle formazioni clandestine romane, per decisione e per capacità. Desideroso di continuare la lotta entrava a far parte di una missione militare e nell’agosto 1944 veniva paracadutato nel Biellese.
Rendeva preziosi servizi nel campo organizzativo ed in quello informativo ed in numerosi scontri a fuoco dimostrava ferma decisione e leggendario coraggio, riportando ferite. Caduto in mani nemiche e costretto a parlare per propaganda alla radio, per quanto dovesse aspettarsi rappresaglie estreme, con fermo cuore coglieva occasione per esaltare la fedeltà al legittimo governo.
Dopo dura prigionia, liberato da una missione alleata, rifiutava porsi in salvo attraverso la Svizzera e preferiva impugnare le armi insieme ai partigiani trentini. Cadeva da prode in uno scontro con le SS germaniche quando la lotta per la libertà era ormai vittoriosamente conclusa.»