a cura di Cornelio Galas
Nel battaglione “Gherlenda” c’era anche un medico, Luciano Dell’Antonio (nato nel 1920), nome di battaglia “Matius”, laureando in medicina. Durante l’estate aveva fatto pratica all’ospedale di Borgo Valsugana con i dottori Alessio Pezoller, Mario Reich (pronto soccorso e chirurgia), Giovanni Toller e Giuseppe Lorenzi (medicina).
“Matius” aveva studiato al Collegio arcivescovile di Trento. Dal 1937 al 1940 aveva praticato l’atletica leggera (corsa veloce e salto in alto) nell’Associazione Trentina Atletica Cesare Battisti e nuoto con la “Rari Nantes”. L’”Ata Battisti” era nata dopo che il fascismo aveva soppresso la non allineata “Tridentum”.
Durante il ventennio tutto era stato fascistizzato, tanto più lo sport, attraverso il quale si doveva far crescere una gioventù sana e pronta in ogni momento a vestire la divisa militare. A Costabrunella, e nei vari spostamenti della sede di comando del battaglione, “Maius” curò malattie e ferite anche gravi. Aveva per infermiere Natale Campigotto “Portafortuna”, nato a Lamon nel 1930, che con i suoi tredici anni fu probabilmente il più giovane combattente della Resistenza italiana.
“Portafortuna” era orfano di madre e aveva altri sette fratelli. Quando decise di partire per la montagna in famiglia fecero festa: uno in meno da sfamare. Era soprannominato “betume” perché sempre con i piedi scalzi. Al pari di tutti i “proletari” del tempo, anche per lui le scarpe erano solo per la festa, se c’erano, e all’inverno si usavano le “dalbare” o damie” (dipende se si era di qua o di là del rio Senaiga). Finita la guerra “Portafortuna” lavorerà un po’ dappertutto. In Piemonte scoprirà la Legione Straniera e combatterà in Indocina, rimanendovi anche dopo la battaglia di Dien Bien Phu. Rientrerà ferito in Francia dove morirà di leucemia nel 1990.
Racconterà “Matius”, poi stimato radiologo a Padova, che a Costabrunella faceva ambulatorio dalle 10 alle 12 e certi giorni aveva il suo bel da fare. Curò un empiema altamente febbrile a Romolo Bellotto “Tormenta”. Un giorno “Menefrego” si presentò con una ferita transaddominale da colpo di pistola accidentale, che era passato da parte a parte. “Matius” mandò a Pieve Tesino un partigiano e si fece portare una lamina sottilissima di alluminio.
Lentamente, con quello strumento “artigianale”, seguì il percorso del proiettile finché arrivò all’altro estremo e si accorse, con sollievo suo e dei presenti, che l’intestino non era stato perforato. Non c’erano ancora gli antibiotici, ma aveva a disposizione i sulfamidici. Le sorelle Gina e Giuseppina Dalla Laita, farmaciste a Pieve, gli procuravano tutto il possibile.
A malga Tolvà molti partigiani furono colpiti da enterite da casermaggio con febbre alta. Il medico li curò con sulfamidici e laudano, ma invece di dieci gocce ne somministrò loro ben cinquanta a testa, con conseguente paralisi intestinale e riposo sul fieno per una decina di giorni.
A “Nazzari”, che aveva costole rotte per le percosse subite dai nazisti nell’agosto precedente, curò la pleurite. “Renata” aveva l’ulcera, “Gemma” la gastrite. Si occupò di molte ferite da guerra e slogature. Uno dei tre inglesi in forza al “Gherlenda” soffriva di una grave forma di nevrosi.
Gli uomini del “Gherlenda” erano partiti da Pietena con poche armi, quelle individuali, ma ne occorrevano altre per il continuo aumento del contingente. A Castello Tesino c’era una casa in piazza Molizza, requisita e usata quale caserma del Cst. Diventerà il presidio n. 30, con oltre cinquanta poliziotti comandati da un maresciallo tedesco e naturalmente provvisti di un’armeria ben fornita: c’era solo da attendere il momento propizio per impossessarsene.
Il comandante “Fumo”, come abbiamo già visto, aveva dovuto rimandare l’assalto perché preceduto dal fallito tentativo di alcuni giorni prima da parte di elementi Gap di Lamon e partigiani del “Mameli”. Dopo aver atteso che si calmassero le acque tutto era pronto per l’azione, preparata nei minimi particolari. Erano stati presi accordi con il Cln locale composto da “Lina”, “Caligaris”, “Lilli” e “Veglia”, che erano riusciti ad accattivarsi la fiducia di alcuni militari trentini del presidio, convincendoli a non opporre troppa resistenza durante l’attacco e a mettere di guardia nei posti chiave elementi fidati.
I due ex ufficiali degli Alpini “Leda” e “Lina” prepararono uno schizzo della zona con la dislocazione delle squadre pronte per l’assalto. “Lina” era proprietario dell’albergo “Italia”, situato vicino alla caserma, e le sue informazioni su orari e numero dei poliziotti risultarono preziose.
Partirono da Costabrunella alla spicciolata in 39, la sera del 13 settembre, divisi in quattro squadre al comando di “Fumo”. Presso la sede del distaccamento rimasero in forza minima il segretario “Katiuscia”, l’intendente “Valasco”, il vice comandante “Nazzari” e qualche altro. “Nazzari” avrebbe voluto partecipare, ma fu bloccato da “Matius” perché aveva una ferita al piede, procuratasi qualche giorno prima, e non si era ristabilito dalle percosse subite in carcere.
Era stata predisposta la requisizione di una corriera della ditta “Ballerin”, che all’ora stabilita avrebbe dovuto giungere in piazza Molizza per trasportare, se tutto fosse andato bene, i militari catturati. La denuncia del “furto” doveva essere fatta qualche ora dopo la partenza con il carico di prigionieri.
“Leo” e “Rico” ebbero l’incarico di disattivare tutte le comunicazioni telefoniche di Castello e Pieve Tesino. Tre uomini dovevano sorvegliare le vie di accesso al paese. Dalla squadra comando, dislocata sulla collina di San Polo, “Fumo” distaccò “Maius” e “Portafortuna”: dovevano stare al riparo nelle vicinanze e intervenire in soccorso degli eventuali feriti.
Tutto doveva svolgersi poco dopo il cambio notturno della guardia. Durante la notte le sentinelle venivano raddoppiate sia all’ingresso dell’edificio che nei due fortini situati all’inizio della strada per il Passo del Brocon e in piazza Molizza vicino al lavatoio, dove poi sorgerà l’albergo Bellavista.
Verso le cinque le varie squadre erano appostate come stabilito: quella comandata da “Tormenta” nei pressi di piazza Crosara (o piazza San Giorgio). Con lui c’erano “Orso”, “Tomori”, “Menefrego”, “Ditta”, “Trieste”, “Tuono” e “Giovanni”. La squadra di “Archivio”, con “Brasiliano”, “Alba”, “Turillo”, “Wilma”, “Vento”, “Rita”, “Nina” e “Rina”, erano nella zona sopra l’Ospedale e quella di “Renata”, con “Papavero”, “Gemma”, “Vittoria”, “Franco” e “Trentin”, nei pressi dell’albergo “Italia”, vicinissima quindi alla caserma del Cst.
La squadra comando con “Fumo”, “Silla”, “Marco”, “Ila”, “Rino”, “Lupo”, “Lampo”, “Lena” e “Zoe” (quest’ultimo probabilmente aggregatosi dopo, perché non c’era alla partenza da Costabrunella), si mosse per prima, alle cinque e trenta, dalla collina di San Polo.
Alle sei e cinque “Marco” e “Ila”, vestiti da contadini, passarono accanto alla caserma e si diressero verso il fortino sulla strada del Brocon con l’incarico di disarmare i quattro soldati di guardia. Contemporaneamente, “Fumo” con i suoi si portò all’ingresso della caserma. Dal fortino di piazza Molizza iniziarono a sparare. Immediatamente le squadre si disposero per l’assalto finale. Dalle finestre della caserma iniziò una fitta sparatoria con armi automatiche e bombe a mano.
“Silla”, “Orso” e “Menefrego” girarono dietro lo stabile e posero alcune mine agli angoli della costruzione allo scopo di farla saltare. I garibaldini all’ingresso principale intimarono la resa, che dopo alcuni minuti venne accettata. I poliziotti furono fatti uscire disarmati uno ad uno. Il comandante tedesco e il sergente Nazario Sordo furono scovati poco dopo nascosti nello scantinato di una casa vicina.
Il bottino fu rilevante, specialmente per le armi recuperate: una mitraglia pesante, tre fucili mitragliatori con circa mille colpi, quattro Maschinenpistole, seicento bombe a mano e molte altre armi individuali. Tutti esultarono per la riuscita dell’azione e ad essi si aggiunse anche “Portafortuna”, allontanatosi precipitosamente da “Maius”. Puntualmente giunse la corriera guidata da Ilario Boso, autista della ditta Ballerin e fratello di “Ola”. Con i 52 catturati salirono alcuni partigiani armati, che cantando fecero dirigere l’automezzo verso il Passo del Brocon.
Venne costretto a partire anche il medico condotto di Castello Tesino, il dottor Mario Tommasini, che nel maggio 2002 rilascerà questa testimonianza:
“Il 14 settembre 1944, verso le sei e trenta, udìì un parapiglia e degli spari provenienti dalla piazza sottostante. Dalla finestra della mia stanza da letto vidi dei partigiani correre verso piazza Molizza. Venni chiamato d’urgenza per un ferito. Presi la borsa, indossai un pastrano sopra il pigiama e, in pantofole, corsi verso la piazza. C’era già una corriera della Ditta Ballerin piena di militi del Cst con il comandante, un maresciallo tedesco, e quattro o cinque partigiani: uno aveva una lieve ferita al braccio, colpito da una pallottola di rimbalzo. Un partigiano, lo chiamavano “Silla”, mi sembra fosse il comandante del gruppo. Io cercavo di tranquillizzare i prigionieri, preoccupati per la loro sorte.
Alle Marande, presso il passo del Brocon, ci fecero scendere. Ai militari del Cst fu proposto di entrare nella Resistenza o tornarsene a Castello Tesino. Solo due o tre accettarono di rimanere. Dopo qualche ora “Silla” mi istruì su cosa dire al Commissario prefettizio per la prolungata assenza e mi rimandò a casa in corriera con il solo autista. Si tennero prigioniero il maresciallo tedesco, mentre gli altri cinquanta furono rilasciati nel pomeriggio e se ne tornarono a Castello Tesino a piedi”.
Tra quelli del Cst che accettarono di passare nelle fila dei partigiani in quell’occasione c’era anche Corrado Pontalti di Povo (Trento), che assunse poi il nome di battaglia “Prua”; già in precedenza, quando era nel Cst, fu “una delle persone più valide nei rapporti con i partigiani. Era in contatto con “Fumo” ancora prima dell’assalto alla caserma di piazza Molizza”, dichiarò Remo Marighetto “Rita”. Anche Albino Sordo “Nina” ricorderà che nel dopoguerra dopo la sua nomina a commissario al Comune di Pergine, fu aiutato in tutti i modi da “Prua”.
Oltre al sottufficiale tedesco, a Costabrunella i partigiani portarono anche Nazario Sordo, sergente del Cst, che la sera stessa sparirà senza lasciare traccia. L’assalto fu un’azione memorabile, portata a termine senza spargimento di sangue. Ne diede notizia anche Radio Londra. La compagnia fu elevata a battaglione dal Comando di Brigata anche se il numero dei partigiani era inferiore a quello richiesto. La relazione inviata al comando di brigata il 20 settembre 1944 venne firmata dal vicecomandante “Nazzari”, in quanto nel frattempo “Fumo” era stato ucciso dai tedeschi, e controfirmata dal commissario politico “Silla”.