LA RESISTENZA IN TRENTINO – 12

a cura di Cornelio Galas

Con la cattura a fine maggio ’44 di Angelo Peruzzo e Manlio Silvestri a Borgo Valsugana, e di Armando Bortolotti e compagni in seguito al feroce rastrellamento in Val Cadino, con l’eccidio del 28 giugno nel Basso Sarca e a Rovereto, e con l’arresto di Giannantonio Manci, la Resistenza in Trentino era stata, almeno temporaneamente, stroncata. “Bolzano e Trento: perduti di vista”, è la comunicazione intercorsa tra i Cln di Padova e di Milano. Quanti erano sfuggiti alle retate di quei giorni s’erano dati alla macchia: nessuno poteva sapere quanto fosse stato estorto sotto tortura ai compagni catturati.

MANLIO SILVESTRI "MONTEFORTE"

MANLIO SILVESTRI “MONTEFORTE”

Da maggio a settembre 1944, nel Trentino orientale aveva svolto una certa attività il distaccamento “Goffredo Mameli” (da giugno in poi presente soltanto come distaccamento di pochi uomini) dell’omonimo battaglione, proveniente dal Bellunese. Comandante era l’istriano Paolo Poduje “Paolo”.

PAOLO PODUJE

PAOLO PODUJE

Ulrico Giulio Boldo “Giovanni”, poi nel “Gherlenda” con il nome di “Tom”, ma allora in forza al “Mameli”, ricorderà di essere stato inviato a Borgo Valsugana a prendere contatti “con uno che aveva un’officina meccanica e abitava un po’ fuori Borgo verso Trento”. Era senz’altro Angelo Peruzzo.

Angelo Peruzzo in divisa da soldato dell’Esercito Italiano durante la guerra 1915-‘18

Angelo Peruzzo in divisa da soldato dell’Esercito Italiano durante la guerra 1915-‘18

Il “Mameli” si trovò subito in difficoltà per la scarsa conoscenza della zona e per la mancanza di basi precostituite. Il 28 agosto 1944 aveva tentato di attaccare il presidio del Cst di Castello Tesino con l’unico risultato di creare uno stato di allarme tra i tedeschi.

A questo accenna Isidoro Giacomin “Fumo”, comandante della compagnia “Giorgio Gherlenda”, nella sua prima relazione inviata da Costabrunella al comando in Pietena. Dal comando di appartenenza partì l’ordine per il “Mameli” di aggregarsi al “Gherlenda” o lasciare la zona.

ISIDORO GIACOMIN "FUMO"

ISIDORO GIACOMIN “FUMO”

Il distaccamento rimase fra Canal San Bovo e il Passo Brocon, e rientrò a metà settembre. In seguito il battaglione “scomparve non solo di nome ma anche organicamente”. Bisogna dar atto che il battaglione “Mameli” svolse un’intensa ed efficace attività nella zona del Primiero, pur in ambiente ostile e fra mille difficoltà.

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Nel Tesino, non avendo prestabilito un collegamento neppure minimale con la popolazione, il distaccamento si trovò ad agire in condizioni ancora più rischiose. Contemporaneamente, sulle Vette Feltrine, nella zona di Pietena, si era andato formando un primo raggruppamento che crebbe sempre più di numero, fino a diventare una brigata intitolata ad Antonio Gramsci.

Primo comandante fu il tenente di carriera Paride Brunetti “Bruno”, con l’accademia militare di Torino alle spalle, la specializzazione in artiglieria e la partecipazione alla guerra contro la Russia.

PARIDE BRUNETTI

Il tenente Paride Brunetti “Bruno”, comandante della brigata “Antonio Gramsci”, nato a Gubbio nel 1916

Alla “Gramsci”, che sarà poi alle dipendenze della divisione “Belluno”, si aggregò ben presto il gruppo di cattolici feltrini rimasto senza una guida dopo l’assassinio del comandante, il colonnello degli Alpini Angelo Zancanaro, nella “Notte di santa Marina”. Nell’autunno ’44 tutte le formazioni si riorganizzarono: quelle sulla sinistra del Piave con la “Nino Nannetti”, le altre con la divisione “Belluno”.

Il colonnello Angelo Zancanaro

Il colonnello Angelo Zancanaro

Presso la “Gramsci”, in Pietena, ci fu sempre grande accordo tra il gruppo marxista e quello cattolico.

Don Daniele Longhi

Don Daniele Longhi

“Allora c’era un grande spirito di collaborazione fra tutte le forze combattenti. La voglia di uscire vincitori da una guerra che aveva in palio o la libertà o la totale schiavitù di tutti i popoli europei, ridimensionò tutte le ideologie politiche. Si leggeva Marx, ma alla sera si recitava il rosario”: questo quanto raccontò “Bruno” al giornalista Giovanni Castiglioni che lo intervistava a Saronno.

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“La brigata “Gramsci” fu di fatto l’antesignana del Cristianesimo di sinistra: non ci fu spazio – dirà nel 2004 lo stesso “Bruno” – per il comunismo stalinista. Le due componenti, la cattolica e la comunista, agivano in così perfetto accordo che due responsabili dell’Azione Cattolica, “Momi”, Gigi Doriguzzi di Feltre e “Carducci”, Edoardo de Bortoli di Aune (Sovramonte), ricoprirono alti incarichi nella brigata: il primo fu vice commissario politico, mentre de Bortoli fu il Capo di stato maggiore”.

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La brigata “Gramsci” andò crescendo fino a dividersi in quattro battaglioni di oltre duecento militari ciascuno: il “de Min” dislocato in Pietena, lo “Zancanaro” in Busa delle Vette, il “Cesare Battisti” in Val Canzoi e il “Monte Grappa” sul Grappa. Nell’agosto ’44 si formò la compagnia “Gherlenda” e nell’ottobre, dopo i rastrellamenti del Grappa e delle Vette Feltrine, si andò organizzando una sesta formazione della “Gramsci” alla Lancia di Bolzano, inizialmente con partigiani sfuggiti ai vari rastrellamenti nel Bellunese e nel Vicentino. Fu denominata battaglione “Bolzano” e fu operativamente autonoma, anche per la quasi impossibilità di collegamenti.

La zona industriale di Bolzano negli anni Quaranta

La zona industriale di Bolzano negli anni Quaranta

Nel 1944 la zona industriale di Bolzano comprendeva le Acciaierie, la Ceda, la Magnesio, la Montecatini, la Lancia, che costruiva camion, e la Viberti, che forniva le carrozzerie. Annesso c’era il Villaggio Lancia per gli operai che vi lavoravano. Fu all’interno della Lancia che si organizzò un primo nucleo di partigiani: il battaglione “Bolzano”, come detto. Successivamente fu costituito il Comando di Piazza z.i. (zona industriale) con a capo Vittorio Giaccone “Piero” e commissario Francesco Verga “Baldo”, che si trasformò in seguito in Comando Piazza Zona di Bolzano.

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Nacque poi il raggruppamento Sap di dieci squadre, emanazione del Comando Piazza z.i., con a capo Oscar Cecchet “Remo”, intitolato ad Alvaro Bari “Cristallo”, fucilato assieme a Giorgio Gherlenda “Piuma” il 5 agosto 1944. Operava in Alto Adige, in Val Sarentina, anche il battaglione “Pasubio” della “Garemi”, proveniente dall’Altopiano di Asiago, il cui comandante era Gaetano Rappo “Ruggero”.

Alvaro Bari

Alvaro Bari

Fu Silvio Lancerini “Ricciolo”, classe 1927, di Rocca d’Arsié, a organizzare il battaglione “Bolzano” all’interno della Lancia, assieme a Francesco Verga. Lo stabilimento comprendeva circa tremila operai addetti alla costruzione dei camion “3 RO”. Lancerini aveva dovuto abbandonare gli studi all’Iti di Feltre con l’inizio dei bombardamenti del 1943. Ricorderà che a scuola il preside aveva distribuito distintivi con la scritta: “Dio stramaledisca (sic) gli inglesi” e che per averlo mostrato a casa si era preso una sberla dalla madre: “Dio non maledice nessuno”, gli disse.

Camion "3 RO" della Lancia di Bolzano

Camion “3 RO” della Lancia di Bolzano

E lui cominciò a riflettere. Trovò lavoro come disegnatore attrezzista alla Lancia di Cismon del Grappa. Era direttore generale Gaudenzio Verga e vi lavoravano anche alcuni operai specializzati, socialisti combattivi, che avevano aderito all’ondata di scioperi del marzo 1943 a Torino.

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Il figlio di Gaudenzio, Francesco, laureato in chimica, antifascista liberale, era direttore amministrativo nella stessa fabbrica e strinse ben presto amicizia con Lancerini, diventato nel frattempo socialista. Intanto gli avvenimenti precipitarono. Lancerini partecipò a varie azioni di sabotaggio, ed entrò a far parte del battaglione “Monte Grappa”. Sfuggì al massacro compiuto durante i cruenti rastrellamenti del settembre 1944 e, come tanti altri, fu braccato dai nazifascisti.

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Nella convinzione di non essere cercato proprio nella tana del lupo, partì per Bolzano alla ricerca di un lavoro presso l’amico Francesco Verga, che era stato trasferito nel frattempo alla Lancia del capoluogo atesino. Verga lo fece assumere e licenziare, due, tre volte per sviare eventuali ricerche.

Silvio Lancerini “Ricciolo” di Rocca d’Arsiè, durante la lotta di Liberazione

Silvio Lancerini “Ricciolo” di Rocca d’Arsiè, durante la lotta di Liberazione

A Bolzano Francesco Verga “Baldo” fu l’elemento che rese possibile, con l’arrivo di Lancerini, la nascita di tutto il futuro movimento alla Lancia. Tra i due c’era grande fiducia e nacque un’intesa che portò grandi contributi alla Resistenza in Alto Adige. In fabbrica “Ricciolo” riuscì a reclutare e organizzare una cinquantina di operai in un battaglione che intitolò alla città che lo ospitava. Fu eletto comandante, mentre Enrico Ferrazzi “Toti” ebbe l’incarico di commissario politico. Quando il numero di aderenti al battaglione crebbe furono costituite le squadre Sap, coinvolgendo circa centoventi operai e stabilendo collegamenti con le altre fabbriche della zona industriale.

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Scopi principali della formazione furono il sabotaggio all’interno e l’aiuti nella fuga di detenuti dal Lager di via Resia, spesso incolonnati e accompagnati a svolgere i lavori più pesanti nelle vicinanze dello stabilimento. Per prima cosa “Ricciolo” ottenne che venisse dato ai detenuti il pasto come a tutti i dipendenti, e qui trovò comprensione fra le guardie che li accompagnavano.

Il Lager di Bolzano

Il Lager di Bolzano

Di solito i prigionieri restavano digiuni tutto il giorno fino al rientro nel Lager. Si adoperò anche con successo a organizzare la fuga di alcuni disgraziati destinati prima o poi a Mauthausen. Tra le casse di materiale caricate sui “3 RO” che facevano collegamenti operativi con la Lancia di Torino, frequentemente c’erano uno o due detenuti che conquistavano la libertà.

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Furono stabiliti contatti con la Missione “Imperatif” (Sim collegata con il Soe), di cui era capo Mario Puecher e radiotelegrafista Angelo Tres. Si era trasferita da Belluno e a Bolzano trovò alloggio in un caseggiato della zona di Gris. Nella stessa zona, colmo dell’ironia, aveva il proprio quartier generale il Commissario Supremo. Il Comando partigiani della Lancia, tramite quella missione spionistica, riuscì a far accettare agli Alleati la sospensione dei bombardamenti sulle fabbriche della città in cambio di sabotaggi all’interno.

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L’accordo concluso sulle incursioni aeree fu fatto pervenire, tramite “Ricciolo”, alla missione alleata “Simia” (ne abbiamo già parlato), operante in quel periodo nella zona di Feltre. Il “chimico” Verga faceva aggiungere alla fusione del corpo motore una polvere degeneratrice che dopo qualche migliaio di chilometri provocava l’incrinatura del blocco motore.

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Un altro sabotaggio consisteva nell’introdurre una cospicua quantità di limature di ferro nella coppa dell’olio dei camion parcheggiati all’esterno delle varie fabbriche o in transito presso lo scalo ferroviario. Ai diversi sabotaggi provvedevano anche le Sap. Tutto questo fu possibile per il fatto che nel battaglione “Bolzano” era stata portata avanti con capacità e intelligenza un’attività resistenziale di alta qualità, tanto che la zona industriale non fu più investita dai bombardamenti.

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I tedeschi non scoprirono mai la causa della messa fuori uso dei nuovissimi camion. Nel gennaio 1944 localizzarono invece con il radiogoniometro la zona da dove partivano le trasmissioni per Monopoli o per Brindisi. Misero in stato d’assedio tutta l’area incriminata, iniziando un meticoloso rastrellamento.

Nino Nannetti

Nino Nannetti

Visto che tutte le vie di accesso stavano per essere bloccate, tre suore uscirono da un caseggiato con una valigia ciascuna, in una delle quali c’era la ricetrasmittente, e passarono, senza destare sospetti, attraverso i vari posti di blocco, raggiungendo lo stabilimento Lancia.

La Missione con la ricetrasmittente partì per il Sud, mentre le suore furono accompagnate da Lancerini e Verga con un furgone Lancia-Ardea fino a Venezia. Per la sparizione della ricetrasmittente fu sospettato, incarcerato, torturato e internato in via Resia don Daniele Longhi del Cln di Bolzano.

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Il 4 maggio 1945 sarà proprio Silvio Lancerini, con una squadra del battaglione “Bolzano”, a issare il Tricolore al Passo del Brennero. Tornato alla vita civile, Lancerini verrà in seguito eletto sindaco di Arsiè, e in questa veste riceverà la visita del “compagno” Sandro Pertini, allora Presidente della Camera dei Deputati.

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