a cura di Cornelio Galas
Un’idea per fare quattro passi tra i boschi dell’Alto Adige e assaggiare prodotti che solo qui potete trovare? Maso Luggin di Lasa, in Val Venosta. Subito i contatti:
Unterwaalweg 10
I – 39023 Laas/Lasa – Vinschgau
Südtirol/Alto Adige
Italien/Italia
T / F +39 (0473) 62 66 27
mobil: +39 (335) 70 42 782
E-mail: info@luggin.net
E’ un luogo speciale per molti motivi. In primis, si trova sulle “Waalweg”, gli antichi sentieri che seguono i ruscelli usati per irrigare i campi della Val Venosta da tempi immemori.
In secondo luogo è un maso molto importante perché viene trasformata un sacco di frutta proveniente da coltivazioni assolutamente biologiche.
Terzo, ma non ultimo, solo qui potrete assaggiare e acquistare la mela Weirouge, un’antica qualità di mela rossa anche nella polpa.
Qui, un’impresa a conduzione familiare, essica non so quanta frutta con il solo utilizzo di aria calda. Conoscere questa famiglia e entrare a contatto con la loro attività è una bella cosa. Lottano tutti i giorni contro la diffusione di colture intensive con uso di pesticidi in questa valle.
Trentino-Alto Adige fa rima con mela, lo sanno tutti. Una cosa meno conosciuta è che non esistono solo le classiche varietà che troviamo dal fruttivendolo. In Val Venosta c’è una mela singolare e sorprendente: la Weirouge.
La prima parte del nome deriva da Weihenstephan, località vicino a Monaco di Baviera nella cui università Hermann Schimmelpfeng catalogò questa coltivazione. La seconda parte invece ha un significato più chiaro: rouge in francese vuol dire rosso. Perché questo pomo è letteralmente rosso, non solo nella buccia, ma anche nella polpa.
In Alto Adige, l’unico fornitore di Weirouge è il Maso Luggin di Lasa, azienda a conduzione familiare specializzata in prodotti agroalimentari biologici.
La sua tonalità deriva da un’altissima quantità di antociani, coloranti vegetali che causano pigmentazione blu, viola e (appunto) rossa. Gli antociani sono generati dalle piante come protezione dalle radiazioni ultaviolette, e sono di fatto antiossidanti che contrastano i radicali liberi.
La mela Weirouge, pur essendo commestibile, non è adatta come frutta fresca da tavola. Avendo un basso contenuto di zuccheri ed un’alta concentrazione di acido malico, il suo sapore è aspro ed astringente, ed in più ha un corto periodo di conservazione. D’altra parte, lo stesso acido impedisce l’usuale e veloce annerimento della polpa quando viene tagliata o frullata.
Queste caratteristiche sono però sfruttate nella produzione di derivati. Il succo, in particolare, ha una leggera acidità ed una limitata dolcezza che lo rendono altamente dissetante; gli antiossidanti ne fanno un prodotto salutare per l’organismo; il suo colore rosso brillante è molto attraente ma anche completamente naturale.
È privo di conservanti e additivi, ma viene pastorizzato e quindi può essere conservato fuori dal frigorifero. Infine, è confezionato sia in bottiglia che in moderne sacche-box, con dispenser a rubinetto.
Con la mela Weirouge si producono anche ottimo sidro e fette disseccate: uno spuntino, queste ultime, certamente più dietetico delle merendine confezionate
Da un articolo di Roberta Corradin:
«Scusi, sa dov’è il maso di Karl Luggin?» «Ah, andate da quel matto di Luggin?». È così: chi insegue il progresso, chi pensa al futuro, spesso si fa prendere per matto. È successo a Karl Luggin, quando nel 2000 ha detto basta. Basta a una vita di coltivatore che vuol dire sacrifici senza vederne se non fugacemente il frutto.
Basta alle cooperative che fanno loro il prezzo e tu non hai più potere di decidere a chi vendere. Basta. Karl va a casa ed espone la sua idea: «Ora cominciamo a fare tutto noi. Succo di mele, aceti di frutta, senape, e poi essicchiamo anche la frutta, tutta, non solo le mele. E la vendiamo».
La moglie Gertraud e i figli all’epoca adolescenti lo guardano perplessi. Cosa ha in mente papà? Ma lo sa dove viviamo? Non siamo mica a Milano o a Vienna, qui, siamo a Lasa, che come tutti i paesi dell’Alto Adige ha il doppio nome italiano e tedesco, Laas.
A Laas, o ci sei nato o non ci capiti per caso, a chi li venderemo i nostri succhi, aceti, senape e frutta essiccata? Chi lascia la strada vecchia per la nuova… Karl però ha già visto molto più in là. Sa che per vendere con un accordo che non sia la stretta di mano tra te e chi ha visto la tua frutta sugli alberi, non basta la qualità, ci vuole il packaging. Un’amica di famiglia, nativa di Lasa, ha un’agenzia di grafica pubblicitaria a Vienna. Si offre di progettare il logo e le confezioni.
Già, perché adesso che i Luggin non sono solo più coltivatori, ci vuole un logo. Karl ridacchia bonario mentre ricorda: Tutti ridevano, la famiglia, il paese… mi guardavano e ridevano.
E adesso, che la gente viene apposta a Lasa per fare provvista del vostro succo di mele Weirouge, tocca a lei ridere? Karl scuote la testa, è un uomo con troppa consapevolezza del futuro per ridere. «Adesso sono contento. È bello vedere che alla gente piace quello che fai».
Nel frattempo, i ragazzi si sono fatti adulti, e lavorano tutti nell’azienda di famiglia: Nadia aiuta la madre a fare le mostarde e gli aceti, Gregor e Joaquim curano il frutteto. Al primo essiccatoio per la frutta se ne è aggiunto un altro, più grande. Ed è una magia quando metti in bocca una fragola disidratata che ha conservato tutta l’energia del frutto fresco: non puoi fare a meno di domandarti come fanno. La risposta ce l’hai passando una giornata insieme a loro, dal frutteto alla conservazione: ognuno vuole fare il meglio possibile.
Gli aceti di frutta accarezzano le carni bianche alla cacciatora, il succo di mele Weirouge è ricco di antocianine, la senape di albicocche o di pere dà un’allegria leggera alle vinaigrettes per l’insalata; ed è un vero divertimento l’assaggio comparato dei succhi prodotti con le diverse varietà di mele, dalla più dolce alla più acidula, per stilare la propria classifica personale. Meno male che Karl Luggin è matto. Stringe il cuore pensare che le sue mele e la sua frutta avrebbero potuto continuare a restare anonime.
Scrive Nicolò Scaglione ne “Il Sapere dei Sapori”:
Lasa. Piena Val Venosta. Sentori di Tibet e di miniere. Nel nome e nel naso. Quello che rimane, al di là di una strada che porta verso le meraviglie, è un rinomato ensemble di marmo e albicocche. Quello che la rende appetibile da turismo e avidità. I cittadini si nascondono, il freddo li punge appena, i meleti, senza soluzione di continuità, appaiono e scompaiono al di qua e al di là della ferrovia.
Nella tranquillità della lontananza scenica e della giornata lavorativa fatta di ore consuete, una stradina sterrata e innevata s’inoltra in mezzo ai frutteti di proprietà di un bonario, quanto assolutamente privo di coperte, sovrasttrutture e cinismo, contadino venostano: Karl Luggin. Una persona definibile e definita dal suo sguardo, da quegli occhi assoluti che non possono fare a meno d’imbarazzare per i segreti più nascosti, per le parole non dette e per le diffidenze raggelate.
Un uomo che, a primo acchito, non puoi fare a meno di aver voglia di abbracciare. Come fosse quell’immagine lontana di saggezza che non raggiungerai mai, quella fuga ideale di un uomo che ha ancora la necessità del saluto e della cortesia…
La sua produzione è variegata e la condivide con la figlia Nadja, buon italiano e ottima comunicatrice d’istinti. La parte discorsiva, quella piena di tecnicismi e variegata di tedio, non è che un ammenicolo, la trasmissione, palesata attraverso le difficoltà del linguaggio e del codice, non può che essere diretta e terrena.
Le linee di prodotto sono quattro, così come le stanze. Acetaia, essiccatoio, stanza di degustazione/vendita e “succhificio”. Il tutto, di dimensioni artigianali, come fosse un nuovo modo di mettere a frutto il territorio, non convogliando ai consorzi e rifuggendo dai trattamenti tipici del’”isola felice”, sempre meno felice. Le famose mele della Val Venosta stanno lentamente trasformandosi in famigerate. Chimica, colore e fertilità: evviva la serietà teutonica.
Karl si è chiamato fuori già da molti anni. Solo biologico, piccole produzioni per il fresco, il resto convogliato nelle trasformazioni. Fragole, albicocche, pere, senape, pomodori, cavolo cappuccio rosso e mele. Seme e prodotto finito. Filiera corta e propositi di autarchia. Karl e Nadja mostrano il tutto da bravi divulgatori di semplicità.
L’aceto è ricavato da maturazione e pressatura. Rape rosse, albicocche, pere, lamponi, fragole e mele passano da succo a mosto fino ad aceto. Madre acetica, caldo, botti di legno, decantazione e invecchiamento. L’acidità è bilanciata dalla frutta o dagli aromi del bosco. Alcuni sono straordinari, su tutti quello alle erbe aromatiche, favoloso bouquet di sottobosco, abbinamento perfetto con selvaggine e dolci secchi…
I succhi hanno l’eccezionalità di dedicarsi totalmente alla mela. Champagne e Jonagold insieme. Succo torbido, non filtrato. Polpa, buccia, torsolo e dolcezza. Prodotto quotidiano, minerale e riposante.
Ma il reale motivo, che mi ha spinto a raggiungere il Kandlwaalhof, si è palesato in un attimo di stranito stupore:Weirouge. Karl prende un coltellino e taglia in due la mela. Rossa fuori e rossa dentro. Mi fa assaggiare (ma non ne sono più sicuro…) anche la Redlove (più dolce ma meno interessante) e poi mi conduce all’acidità della Weirouge. Una fusione tra il rosso francese e Weihenstephan, cittadina bavarese, terra d’origine, e una massiccia presenza di antociani, pigmenti idrosolubili antiossidanti e antiradicalici, causa del colore della polpa.
Il succo è rosso brillante, acido, impervio, similare al lampone, a tratti astringente, poco sicuro e meravigliosamente diverso. La mela essiccata ne mantiene le caratteristiche, aggiungendo una masticabilità complessa e un retrogusto estremamente lungo.
Per Karl essicazione vuol dire conservazione e passato. Quattro-cinque macchine dove la frutta, completa di buccia, viene lasciata evaporare ed asciugare all’aria (sui 40-45 gradi). Fuori l’acqua (che passa dall’85-88% di mele e albicocche al 94% delle fragole), dentro nutrienti, fruttosio, vitamine e aromi. I sapori rimangono invariati, quasi più essenziali.
La dolcezza si concentra, soprattutto nelle fragole, e ridà indietro un immagine più soleggiata e patinata della rusticità. I pomodori San Marzano rimangono, addirittura, senza definizione. Non hanno un relativismo comparabile.
Rape, carote, pere, kiwi (di un contadino emiliano…) e albicocche, ognuna con la propria ortodossia, ognuna per il proprio abbinamento. Nadja si aggira soddisfatta, apre e fa assaggiare, mentre Karl la asseconda, osservando le reazioni.
Come quelle con in bocca i diversi gradi della senape (due ettari coltivati nei pressi di Glorenza). Tradizionalmente diversa e meno conosciuta. Il ramoscello è una fatica solo a guardarlo.
Il raccolto è una miscellanea di precisione, volontà e oscurità cognitiva. La Francia è lontana, così come il gusto degli altri. Dirozzandomi il palato, mi sono trovato all’interno di erbe aromatiche d’insondabile piacere. Eccezionale.
Karl Luggin è un cesellatore di tradizioni. Una persona che non abbandona e che, reinventando, apre nuove strade e si espone a dileggio e critica. Il concittadino applaude gli occhi e beffeggia la schiena.
Le braccia scoperte, la voglia di abbracciarlo manco fosse un saggio o un nonno e gli occhi esposti con ironia molto oltre l’Ortles, tengono lontano scalogna e calamità. Karl è un essere umano molto al di là di qualunque prodotto…
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