di Cornelio Galas
E’ scomparso ai primi di novembre del 2013. Ma la sua barba incolta, i suoi occhi pieni di curiosità per il mondo, il suo cappello da scapestrato pittore francese sono ancora in giro per Riva del Garda sotto mentite spoglie. E cioè in quello che un personaggio come Nerino Versini ha lasciato. La sua indòmita, quasi donchisciottesca a volte, forza di combattere per la verità, per la comunità e non solo nel campo dell’arte. I suoi dribbling da fantasista brasiliano sui campi di calcetto. Il suo impegno sociale che unito alla conoscenza, fin dei più stretti vicoli del centro storico gardesano, era a volte dirompente. Ma mai distruttivo. Così come la sua satira.
Ecco, oggi riporto l’ultimo saluto di Nerino da parte della figlia Elisa, la più giovane. Poi un perfetto ritratto fatto dal collega Sergio Molinari, allora giornalista per il “Trentino” a Riva. Infine la copia integrale dello “Spaventapasseri n. 8”. Sì, una pubblicazione satirica che Nerino ha curato e distribuito per oltre dieci anni. Erano gli anni Ottanta-Novanta. Lui non aveva peli sulla lingua, né sulla penna. Li aveva ovviamente sul pennello che usava – insieme alla moglie Jacqueline – per realizzare i quadri in vendita nel “Petit Montmartre” l’atelier di via Fiume meta obbligata per tutti i turisti ma anche per chi apprezzava, in zona, quelle creazioni così diverse da altre produzioni artistiche dell’Alto Garda.
Avevo conosciuto Nerino nel 1976. Sì proprio l’anno del terremoto a Riva del Garda. Lui, con la famiglia, era stato evacuato dal centro storico rivano e alloggiato al “Residence Monika”. Lì aveva subito creato un gruppo di “sfollati” per chiedere adeguati interventi agli enti pubblici. Alla sua maniera. Anche con clamorose provocazioni. Come quella volta che portò in giro per riva il suo cane Milù con la fascia tricolore da sindaco di Riva. Ne nacque un’amicizia che adesso mi manca. Moltissimo. Era lui che in redazione, al giornale l’Adige, a Riva, portava tante notizie non solo di colore: “Savè gnent de quel che è sucèss?”.
E con lui cominciò, sistematicamente alla fine dell’estate, l’appuntamento con “Lo Spaventapasseri”. Una pubblicazione – lo potrete constatare da voi – che prendeva per i fondelli tutta la città, tutti i personaggi, tutti i politici, i commercianti, i giornalisti (me compreso, si sa) insomma tutti, senza preferenze nella scelta di battute più o meno avvelenate.
L’appuntamento, con lui consisteva nel consegnargli alcune foto di cronaca (quante ne ho ristampate apposta) dalle quali poi lui ritagliava (con la forbice, non con Photoshop) teste e busti da attaccare a situazioni a volte surreali, a volte forse poco azzeccate, ma a volte decisamente esilaranti.
Poi portava tutto quel materiale in tipografia (alla Iris in via Restel de Fer mi pare, la stessa che stampava anche il mitico “Benacense Alè”) e via con la distribuzione, a mano, in tutte le edicole della zona. Arco compresa. C’era sempre un tema per lo Spaventapasseri. Ogni anno diverso. Per dire: quando scoppiò la tangentopoli trentina vestì tutti da carcerati.
Era anche finito nei guai, Nerino, una volta per una vignetta che ritraeva l’allora sindaco di Tenno, Anna Bonora Betta, al posto della Maya Nesduda. Fu assolto. E anche quei pochi che non gradirono la sua satira col tempo gli riconobbero un merito: aver reso popolari anche personaggi sconosciuti, E aver messo il dito nei problemi “veri” dei rivani.
Non la tiro lunga. Capirete di cosa si tratta. Una sola precisazione, doverosa. Nello “Spaventapasseri” che propongo ci sono – dato che si parla almeno di trent’anni fa – tante persone nel frattempo scomparse. Le ho lasciate perché va detto che, nonostante fossero quasi tutti messi alla berlina, l’apparire su quella rivista satirica era allora segno di “importanza”. Tanto che qualcuno protestò a suo tempo per essere stato … dimenticato dal Nerino. Spero che parenti e amici di chi non c’è più intendano cosa voglio dire e soprattutto la mia assoluta buona fede quando dico che anche questo è un modo per ricordare persone che tanto hanno fatto per il bene della comunità rivana.
Ho lasciato anche gli annunci pubblicitari dell’epoca (con i quali Nerino cercava di coprire le spese di stampa) perché danno l’idea di come è cambiata l’economia, nei suoi vari settori. Con tanti negozi nel frattempo chiusi. Con tanti che hanno cambiato tabella merceologica. Con la nostalgia per quei locali pubblici che ormai sono solo un lontano ricordo. E mi resta una curiosità: chissà come avrebbe commentato Nerino i tragici fatti di Parigi, la strage di quei vignettisti satirici, lui, che proprio in Francia era cresciuto artisticamente. Più vicino al “Canard Enchaine” che al Louvre.
L’ULTIMO SALUTO DI ELISA
AL PADRE NERINO
Elisa, la figlia più giovane, ha dedicato a padre Nerino queste toccanti parole durante le esequie nella chiesa di S. Maria Assunta a Riva del Garda, per un ultimo saluto a Nerino Versini, il poliedrico artista morto a 71 anni, accerchiato dall’affetto della moglie Jacqueline, e dai figli Diego, Letizia ed Elisa.
«“L’arte è sempre stata un pretesto per inseguire quella libertà che nell’infanzia mi era stata negata”. Mio papà lo diceva sempre – scrive Elisa – e chi meglio di sua figlia può dire che Nerino Versini é stato un uomo libero e ha realizzato davvero tutti gli obbiettivi che voleva, rimanendo sempre se stesso. L’arte lo ha portato dappertutto: in alto, in basso dal nord Europa a Roma, dall’accademia alle strade all’atelier dove con sacrificio si sono realizzati tutti i suoi sogni».
«Nerino -continua – ha avuto la fortuna di incontrare il vero amore, Jacqueline, una donna con cui ha condiviso veramente tutto, se posso definire il loro amore lo paragonerei agli uccellini inseparabili e ha avuto tre figli Letizia, Diego ed io, e quattro nipoti Stefania, Desirée, Michelle e Martino. Uomo senza tanti fronzoli, spirito anarchico, rivoluzionario e anticonformista, bohémien dolce generoso, amante della musica francese, del Blues dei Pink Floyd, del cinema del calcio e degli animali. Parte ancora giovanissimo da Riva dopo aver lasciato un posto sicuro in fabbrica con questa frase rivolta al direttore:”…da oggi smetto di essere una macchina e torno ad essere un’uomo”, diretto in Germania in cerca di fortuna nel 1967 è a Bruxelles, dove alterna esperienze in Teatro e nella pittura,lì incontra Jacqueline studentessa all’Accademia di Belle arti, che ritrova due anni dopo a Parigi, e sposa a Roma in Campidoglio nel 1970. Lì nasce la primogenita e poco dopo il secondo figlio, vive con la famiglia dei quadretti che vende per strada tra Piazza di Spagna e Piazza Navona.
Poi la decisione di tornare a Riva ed aprire l’atelier “Le Petit Montmartre”,dapprima di fronte al Municipio e poi in via Fiume e la nascita della terza figlia».
«Ammiratore e critico della sua città, pubblica annualmente alcune riviste prima “Lo spaventapasseri”,”Il gufo”, in cui fa della satira sui politici e le vicende locali, ma si impegna anche con successo in progetti di ecosostenibilità vincendo nel 2005 il Premio ambiente Trentino proponendo la realizzazione di un parco eolico nel Basso Sarca. Però è la pittura a riempire la sua vita, il suo cuore:scorci Rivani, paesaggi, marine in bianco e nero fino ad arrivare a l’essenzialità delle sue ultime creazione dai lui chiamate Antistress. Il berretto, la sua barba i suoi sorrisi, la sua delicatezza e la sua umiltà. Chi ha conosciuto mio padre se lo ricorderà per sempre e chi pensa che dopo i problemi di salute avuti qualche tempo lui non fosse più se stesso e non si fosse più ripreso si sbaglia, io non l’ho mai visto cosi felice e soddisfatto della sua vita come nei suoi ultimi anni. Da lui ho appreso l’anticonformismo, lo spirito ribelle e la creatività e in ogni mia creazione racconterò di lui,lui diventerà quelle storie e vivrà per sempre».
IL RICORDO SUL GIORNALE
di Sergio Molinari (8 novembre 2013 – giornale Il Trentino – cronaca di Riva del Garda