IMPRENDITORIA TRENTINA
POCO CORAGGIOSA?
Oggi come 100 anni fa
di Maurizio Panizza
Giorni fa è apparsa sulla stampa locale la notizia che degli investitori di Bolzano hanno rilevato l’ex area Cattoi a Riva del Garda dopo che per mesi si era palleggiato fra Comune e Provincia l’impegno ad acquisire detta area al patrimonio pubblico per realizzare utili infrastrutture. Assieme alla notizia era pure evidenziata una esplicita critica anche all’imprenditoria locale per mancanza di “coraggio” nel progettare ed investire capitali d’impresa sul territorio trentino. Scorrendo quanto riportato dal quotidiano, non ho potuto stupirmi per le evidenti analogie di oggi con fatti avvenuti all’inizio del ‘900 sempre qui in Trentino e sempre nella zona del Basso Sarca.
Per meglio comprendere quanto voglio dire, mi piace utilizzare le parole del mio prozio don Giovanni Battista Panizza che agli inizi del secolo scorso era deputato a Vienna e a Innsbruck, ma soprattutto presidente della Federazione dei Consorzi Cooperativi del Sud Tirolo di lingua italiana (il Trentino per intenderci) dal 1898 al 1923. L’on. Panizza così affermava nel 1909 all’inaugurazione della ferrovia Dermulo-Mendola, in Valle di Non:
“L’opera è frutto della Cooperazione. La Banca cattolica che la finanziò non ha già essa coniato il denaro, ma è il denaro del popolo cooperativo trentino; quell’opera è frutto della Cooperazione, monumento glorioso delle piccole forze unite. Grave è l’apatia della borghesia liberale nostrana che tiene il pecunio inoperoso nei pubblici istituti di deposito e risparmio.”
Lo stesso Cesare Battisti, da altro versante politico nei medesimi anni aveva parlato di “fenomenale indolenza del capitale trentino”. Orbene, non è del movimento un’altra ferrovia, quella linea a scartamento ridotto chiamata M.A.R. che, inaugurata una decina di anni prima – precisamente nel 1891 – congiungeva Mori con Arco e Riva del Garda.
Mi sono occupato recentemente di quella “storia” e ho scoperto che anche in quel caso per finanziare l’opera fu necessario ricorrere a capitali reperiti a nord di Salorno. Riporto qui di seguito quanto scrivo nella mia ricostruzione: “Un progetto ambizioso di cui si parlava da più di dieci anni e che non aveva trovato fino ad allora alcun finanziatore locale, né tanto meno italiano. Un disinteresse così grave che a molti mesi dall’approvazione, il progetto riprese di nuovo a segnare il passo. (…) Tuttavia, grazie all’interessamento del Barone Melchiorre Giuseppe de Lindegg i capitali necessari furono finalmente trovati a Bolzano, presso il banchiere tedesco Sigismund Schwarz.”
E qui torno ancora all’on. don Panizza, che nel 1906 per conto del Movimento cooperativo aveva commissionato una relazione per chiamare a raccolta gli investitori italiani a difendere e sollevare economicamente la provincia più italica dell’Impero Austro-Ungarico. Così si legge, fra l’altro, in quello scritto: “I grandi istituti bancari dell’Impero videro nel Trentino la vacca dalle gonfie mammelle e, mentre attirano nelle loro casse il capitale esuberante delle Banche locali, lentamente ma con teutonica costanza si avviano ad impossessarsi di tutte le ricchezze del suolo e prima di tutto delle vie di comunicazione(…). Se il capitale italiano resterà sordo all’invito nostro, l’Italia avrà inesorabilmente abbandonato all’intodescamento 360.000 dei sui figli.”
E più avanti: “Già una piccola ferrovia, piccola per mole ma importante per la entità di lavoro, fu la loro (dei “tedeschi”, ndr) prima e felice esperienza nel prendere posizione in Trentino: è questa la ferrovia Mori-Arco-Riva, ferrovia che ai costruttori frutta oggi il 18% del capitale azionario.”
Alla fine, nulla da aggiungere da parte mia, se non che i corsi e i ricorsi della Storia pare ci abbiano insegnato ben poco.