IL FUNIVIALE

La funivia del funerale era stata attivata. Doveva trasportare una salma, dalla cappella mortuaria dell’ ospedale alla chiesa. E di lì, dopo la Messa, al cimitero. Per la tumulazione.

Un carico normale. Sessanta chili scarsi, più il peso del feretro.

Si arrangiarono in due. Uno spingeva la cassa verso il carrello. Non scivolava bene. Fu necessario farla andare avanti, a zig zag, per acquistare maggior potenza nella spinta. “Occhio ai piedini…”. -Lo so, lo so…

“Entra pure con la macchina fino alla porta, adesso”.

Il cavalletto teneva la bara in bilico. Pronta per ” il trasloco” “Ancora un po’…ancora, vieni avanti…così… Si, avanti…ancora… stop” -Ci fermiamo per un caffè ?  “No, siamo in ritardo”. -Cristo, la ghirlanda. Abbiamo lasciato nel garage la ghirlanda. “Non potevi dirlo prima?”

-Dai, voltati. Si fa in un attimo. L ‘hanno già pagata… Nella brusca inversione di marcia la testa di  Katia si muove, sfregando i capelli. Lunghi e biondi. Poi torna al suo posto. Gli occhi chiusi, senza Rimmel. Nel buio di una scatola di legno, lavorata. Foderata con panno bianco e qualche pizzo. Di quelli industriali, che si vendono al metro.

La ghirlanda era stata prenotata, nel pomeriggio, dalla Stufler srl, società specializzata in forniture alberghiere. Lì, Katia, era stata assunta tre anni prima. Un anno dopo il conseguimento del diploma di ragioneria. Avrebbe dovuto curare la contabilità dell ‘ azienda. Finì per far di tutto. Le pulizie nel magazzino. La centralinista. Persino l ‘albero di Natale, gli addobbi per le feste aziendali. I telegrammi per matrimoni, compleanni, onomastici, funerali…

“E allora, ti vuoi sbrigare? Siamo in ritardo, Cristo”.

-Vengo, vengo. Pesa un accidente….  Katia avrebbe voluto andarsene dalla Stufler, fin dal primo giorno di lavoro. Bruno, il titolare, si era trasformato nel giro di 24 ore. Cortese, generoso (“Di solito non assumiamo personale con scarsa esperienza nel settore, ma nel suo caso faremo un eccezione”). Disponibile, (“La paga sarebbe di un milione e mezzo, vorrà dire che concederemo qualcosa di più sugli straordinari. E contributi a posto, s’intende”). Tutto questo durante il colloquio. Faccia da culo, già il giorno dopo. Disgustoso al telefono. Volgare al bar. Fiscale, davanti all’ orologio. E sempre più evasivo nei giorni seguenti, quando si cominciò a parlare di straordinari, mansioni, ferie, giorni di riposo.

Ma Katia era rimasta lì. Nonostante tutto.

“Dai, dai, andiamo…”.

-Tranquillo. Ci aspettano. Senza morto non si fa il funerale.

“Stasera io e Lucia andiamo a mangiare il pesce dal Fornenti. Vent’anni, proprio oggi. Ci pensi? Vent’anni che siamo insieme. Vieni anche tu?

-E che ci faccio io? E’ la vostra festa no? “Ma dai, viene anche Bruno. Quello della Stufler. Lo conosci? E’ un tipo incredibile. Pensa, alla festa dei coscritti ha offerto champagne a tutta la compagnia. Oh, un assegno da ottocento carte. Mica uno scherzo. A proposito, questa qui dietro… non lavorava da lui?”

-Si, mi pare d’ averla vista ancora alla Stufler. Non vorrei confondermi…no, no, l’ altra è mora. Ma secondo te gliel’ha data al Bruno? “Se gliel’ha data ha fatto bene. Non avrebbe avuto tanto tempo per tenersela no?”

-Aveva però il culo basso… “Si, ma il balcone c’era. Due tette della madonna. E poi che ne sai di cosa faceva a letto?”

La curva a esse prima del viale alberato era stata affrontata senza scalare la marcia.

Il corpo di Katia si sposta verso destra. Poi torna a sinistra. Tutto a sinistra.

Katia dormiva sempre su un fianco: il destro. Accavallava i piedi. Li sentiva sempre freddi. E allora li strofinava. Un modo per scaricare le tensioni. Per non sentire il gonfiore di tante ore affidate a piccoli passi, tra 1’ufficio ed il magazzino. Proprio in quella specie di corridoio, tra la porta a vetri dell’ ufficio e il capannone pieno di posate e piatti imballati, aveva incrociato lo sguardo di Denis. Un ciuffo biondo, che pendeva da una parte. Gli occhi che arrivavano sicuramente sul seno.

“Sei nuova? Come ti chiami?” -Katia. ..mi chiamo Katia. “Come? Non sento…” – Katiaaa…Denis, con la mano, fece cenno di aver capito. Non poteva fare a meno di voltar subito le spalle. Ormai il muletto era stato spedito verso il camion, con tutti i pacchi.

Quel pomeriggio Katia era uscita prima dalla Stufler. Aveva chiesto il permesso per andare dal dentista. Il solito molare. Sempre quello. Non le dava pace da un paio di settimane. Si era decisa a far qualcosa. Non ne poteva più. “Ti hanno già licenziata?”

Denis, appoggiato al camion, la stava osservando da almeno un quarto d’ ora. Lei cercava disperatamente la chiave del lucchetto del motorino. Continuava a mescolare tutto quello che teneva nella borsa, prestando attenzione ai rumori. Prima o poi avrebbe dovuto sentire anche

quello, inequivocabile, delle chiavi.

“Ehi, ci sono problemi? Perso qualcosa?” -Ciao…

“Denis, mi chiamo Denis…Denis”. -Si, lo so.

“Come fai a saperlo?”

-L’ho visto sugli elenchi in amministrazione. “Tutti schedati…siamo tutti schedati”.

-20 marzo…no, 20 maggio 1967, vero? “E che altro hai saputo di me?

-Che te la filavi con quella che c’ era prima, al posto mio. Che hai una sorella stronza. E che giochi nella…Bastese. No, nella Bistese. “In quale ruolo?” -Di calcio non me ne intendo. Ma devono avermelo detto… Ah, eccole. Ciao, ci vediamo… Denis non riuscì a fissarla negli occhi. Restò appoggiato al camion. Con la stupidità di chi non sa a cosa sta pensando. Pur pensandoci. Katia, cento metri dopo, si voltò. Riuscì a mascherare la curiosità con un gesto meccanico: da un passo carraio stava uscendo una vettura. “Fermati qui. Vado a vedere se bisogna portarla subito in chiesa ” . -Le altre ghirlande le attacchiamo adesso? “No, aspetta. Non lo so…”. Katia è immobile. La testa non dondola più. I piedi sono freddi. Ma non accavallati. Su un lembo del panno bianco c’ è ancora l’etichetta della ditta fornitrice: “Morstic”. Nessuno ci farà più caso. Un’etichetta di plastica. Di quelle che danno fastidio quando le senti tra i capelli. Nel piazzale della chiesa tanta gente. Anche la vecchia maestra delle elementari. La maestra Laura. Gli occhi buoni. Ed il resto, tutto il resto, assurdo. Lo zio Roberto. Con la pipa spenta e la mente accesa dall’alcool. Non stringeva le mani. Le sue erano troppo sudate. Lo sentiva. Se ne vergognava. Mamma Olga era ancora seduta nella “Tipo” di zio Ernesto. Vicino a lei c’ era Antonio. Quella sera dell’ ‘incidente stavano facendo l’ amore, quando telefonò la Polizia Stradale per dire che Katia…

Antonio si sentiva addosso ancora lo sperma di quella notte. Cristallizzato. Freddo. Sul basso ventre. Si erano rivestiti in tutta fretta. Una corsa all’ ospedale. Tante ore su una scomoda sedia di plastica grigia.

Ed il silenzio del dott. Rente. Olga, da quel sabato, continua a parlare come prima. Come non fosse successo niente. Antonio si fa tre docce al giorno: “Se ci fosse stato ancora suo padre, Katia non avrebbe potuto star fuori fino a quell’ora…”.

“La portiamo in chiesa adesso. Dopo la Messa la portano fuori quei quattro ragazzi. Dì loro che non vadano in fretta, passi lenti, misurati, almeno in chiesa. Le altre corone le lasciamo qui. Falle appoggiare contro il muro”.

Ci sono circa venti centimetri tra i piedi e l’ asse di legno che chiude la bara. Il panno bianco è stato arricciato con cura, pur nel breve spazio.

La portano in chiesa. La testa sempre rivolta verso la porta. Sui cavalletti è deposta con estrema attenzione. Non basta la cautela per evitare l’ ennesimo sussulto.

Denis era ancora ricoverato all’ospedale. Non gli avevano detto niente. Lui non poteva nemmeno chiedere. Solo ascoltare, ed annuire, o meno, con gli occhi.

“Domani ti portano al maxillo-facciale. Ti rifanno la faccia…come la vuoi?”

Denis non poteva nemmeno sorridere. Lo spigolo della cabina del camion gli aveva sollevato

tutte le ossa della mascella. “Ciao Katia, com’ è andata dal dentista?” -Bene, via il dente, via il dolore no? “Te 1 ‘ha tolto?”

-Si, sono ancora gonfia…ma va meglio. ‘ “Che fai stasera? -Appena finito qui vado a dormire. Sono distrutta.

“E domani?” -Non lo so.

“Posso telefonarti uno di questi giorni ?” -Vorresti il mio numero… “Katia Foresi…C’è in amministrazione 546798…” -Stasera no…domani domani…boh! Don Lino, Katia, l’ aveva battezzata. Pochi anni dopo, Sergio, il padre, se n’ era andato di casa. Aveva conosciuto Karin, all’Ula Op. Una danese che gli aveva fatto perdere la testa.

Non aveva mai accettato Katia. Tante scenate: “E chi mi assicura che sia proprio mia figlia? Quando l’abbiamo fatto l’ultima volta? E se fosse di quel tipo che ti gira sempre attorno ?”

Luigino ha acceso le candele. L’ odore d’ incenso si mescola alle essenze forti, quasi ripugnanti, di alcune vecchie amiche di Sergio. Si sono messe in disparte. Verso il secondo tabernacolo. Nella navata di sinistra. Proprio lì dove fanno sempre il presepe. In quel momento Sergio stava facendo colazione, in un motel. Karin lo aveva mollato da un paio di anni. E lui si arrangiava. Raccoglieva gli ordini della Kraft. Girava parecchio. Non vedeva Katia da almeno sei anni. Olga era riuscita a rintracciarlo solo grazie ad un fonogramma dei carabinieri.

Don Lino ricorda che Katia aveva cantato nel coro parrocchiale. E che alla festa rionale ha sempre portato qualcosa. Oltre a dar una mano, alla fine, a pulire.

Tutti si alzano. Olga e Antonio sono distanti. Non sta bene in chiesa. Il papà di Denis, Giustino, è seminascosto dal confessionale. L’ assicuratore gli ha già detto che è tutta colpa di quella Panda, che ha saltato lo stop. Non ci dovrebbero essere problemi. Suo figlio sarà presto dimesso dall’ ospedale. ..

Nella vagina di Katia c’ è ancora qualche traccia di Intima di Karinzia o questo odore di bara ha già coperto tutto come il coro parrocchiale che canta ?

“Vado fuori attimo…”. -Stai male? “No, no…solo un momento”

Il camion veniva dalla Stufler. Era diretto verso corso Europa. Da via Trieste è uscita la Panda. Ha in pratica messo fuori solo il muso. Si è fermata. Ma chi guidava il camion ha sterzato bruscamente. E’ finito contro il muro…

“Che faccia…e dai che stasera si sballa”. -Dove si va?

“Fidati, fidati”.

Arrivarono alla pizzeria in pochi minuti. Senza i fumare.

Aspetta, aspetta. ..devo parlarne con lei…Potrebbe venire anche lei no?

“Olga, stasera no. Stasera si folleggia noi due soli. Mi dispiace ma…”.

-Prima parlo con Katia e poi. ..

“Vabbeh! , ti telefono tra un’ ora.

Ma ricordati che questa è una sera speciale…”. -Ciao, ci sentiamo più tardi.

“Ciao…ah, non lavarti. Stasera ci si annusa al naturale…”. -Eh?

“Hai capito…ciao ti amo”.

-Ciao mamma, sono io. Senti, se stasera andassi a mangiare una pizza con le amiche ? ” A che ora torneresti ?”

-Mezzanotte…l ‘una va bene? “Non più tardi…”.

-Se arrivo all’una e mezzo non ne farai un dramma…mamma, non sono più una ragazzina…

“Lo sai che dopo mi agito…”.

-Va bene…ciao ma… “E allora?”

-Allora va bene. Ma dovrei cambiarmi…e il motorino ?

“Ma che te ne frega…dai, salta sul camion che si va “.

-E se me lo fregano? Ho dimenticato la catena a casa oggi…

“Te lo ricompro io. Giuro, te lo ricompro”. Olga non riesce a resistere in ginocchio.. Si siede. E’ ancora una bella donna. Lo sa. Quando Antonio le lecca i capezzoli perde il controllo. Con Sergio era diverso. Le maratone sessuali dei fidanzati. Camere d’ albergo, sedili della macchina. Una volta anche nel cucinino di Luca. Ed era proprio il giorno del suo compleanno.

Natia non suda più. Le hanno messo un lungo vestito bianco. Senza reggiseno, senza slip, niente sotto.

“Tanto non serve…”.

Katia non ha più il suo odore. Non l’avrà più. Nessuno potrà più prenderla in giro sulla scelta del profumo. Katia non sente e non parla. Anche Don Lino non parla adesso. Ascolta, come tutti, il coro parrocchiale che canta. E pensa a qualcosa, che non sa. “Vado fuori attimo…” -Stai male? ” –No, no, torno subito…

Il camion veniva dalla Stufler. Era diretto verso corso Europa. Da via Trieste è uscita la Panda. Ha in pratica messo fuori solo il muso. Si è fermata. Ma chi guidava il camion ha sterzato bruscamente. E’ finito contro il muro…

“Che faccia…e dai che stasera si sballa”. -Dove si va?

“Fidati, fidati ” .

Arrivarono alla pizzeria in pochi minuti. Senza fumare.

“E se ce la portassimo via ? Ce la mangiamo su qualche prato”. . -Ma fa freddo…

“Con tutta quella roba che ti sei messa addosso?”

-Che ne sai ?

“Si vede, si vede”.

Maria doveva dare il cambio a Graziella, in ospedale. Il nonno era peggiorato.

“Beh, io vado. Mi raccomando i denti. E lavarsi anche dietro le orecchie, vero Thomas?” -Guarda che la Panda ha i freni che non funzionano molto bene. Bisognerebbe farle guardare. Ci pensi tu ?

“Sì, sì. Adesso però devo andare. Sono in ritardo. Katia non sente quello che dicono Laura e Rossella, nel terzo banco a sinistra. Vicino al confessionale.

Laura se n’ era andata dalla Stufler qualche mese prima. Dopo aver mangiato una pizza sul prato.. Vicino al fienile dei nonni di Denis.

“Sa guidare i muletti. Ma in macchina con lui c’è da aver paura”.

-Ho freddo. Cerchiamo un posto al caldo. “Bella idea. Entriamo in un ‘altra pizzeria con questa pizza in mano?”

-Non voglio alzarmi col mal di gola domani. Il freddo mi becca subito a me…

“Senti, i miei nonni hanno un fienile da queste parti. Si potrebbe andar lì”.

-Sarà chiuso… “Ma no, basta spostare le assi che coprono la finestra sul retro. Ogni tanto mi rifugio lì, ad ascoltar musica, a tutto volume…”.

-D’ accordo, ma guarda che non posso far tardi. Quattro ragazzi della quinta ragioneria, alzano il feretro. Uno di loro, Gianni, sta pensando ancora alla festa della maturità. Aveva ballato con Katia. Sentiva ancora quel seno contro il suo petto. E l’ eco di una risata, quando le aveva detto che, con quelle tette, teneva tutti alla giusta distanza.

Davide, il più alto dei quattro, è costretto ad abbassarsi. Fa più fatica degli altri, in quella

posizione innaturale.

A Katia il sangue non può arrivare alla testa, anche se i piedi puntano verso il rosone della chiesa. Gianni sta sporcando il depliant di una boutique, con la suola delle scarpe, nuove, inquinata dal ghiaino melmoso del sagrato. “Con chi l’hai fatto la prima volta?” -Fatto che?

“Non vorrai dirmi che sei vergine…”. -Dovrei dirlo a te?

“Lo sai che hai delle tette da sballo?” -Ma tu non riesci a parlare d’ altro ? “Me le fai toccare?”

-Stai attento alla strada…attento…E giù quelle mani…Cristo, la pizza…mi hai sporcato con la pizza, accidenti. “Fa un po’ vedere…viene via, non preoccupar- ti. Ci penso io…Non è mica sangue. E’ solo pomodoro…”

Brigadiere…brigadiere. C’è questo signore che

dice di aver visto la Panda uscire dallo stop. “Non ho visto molto bene, per la verità. Stavo uscendo dal bar, qui di fronte. Poi quella Panda che è venuta fuori, dalla laterale. Per inerzia. ..Era quasi riuscita a fermarsi, ma ormai il muso sporgeva di mezza macchina dallo stop…”. Sono arrivati i necrofori. Facciamo portar via i morti?

“Si, il pretore ha già dato il nulla osta per la rimozione”.

Ma è sfigurata…Una così bella ragazza…

“Ma no, quello è pomodoro. Non lo vedi il cartone della pizza ?”

Il carro funebre è passato sul selciato in porfido. Dovevano finirlo ieri mattina gli operai della Lagesti. Ma pioveva. Una ruota, quella posteriore sinistra, è finita nella depressione. Là, dove mancano alcuni cubetti, Katia ha avuto un sussulto. Due volte, su e giù, con la testa. Che è ricaduta sui capelli.

Tra pochi minuti si arriverà al cimitero. C’è un piazzale abbastanza grande, dove è facile far manovra. Basta prestare attenzione a chi vende fiori, nell’ angolo, davanti al cancello d’ entrata. “Questi sono per te…”.

-Non capisco. Prima vuoi saltarmi addosso e poi ci provi con i fiori…

“Ma quale violenza. ..Preferisci un uomo che ti chieda, per favore, se ci stai? Non sono uno sconosciuto…Sai anche quando sono nato…”.

-Ma adesso non mi va. Dove li hai presi ?

“Ti fa schifo sapere che li ho rubati al cimitero?” -Si, mi fa schifo. Torniamo indietro. Mi fai schifo.

“Però se non te 1 ‘avessi detto…”.

-Prima o poi la verità sarebbe saltata fuori. “Che ne sai ?”

-Basta, portami a casa…hai degli occhi strani…non mi piace come mi guardi.

Hanno appoggiato Katia su un carrello. Le ruote gommate attenuano solo in parte gli scossoni provocati dal fondo, irregolare, del vialetto interno del cimitero.

-E’ quella là, in fondo.

“L ‘ho vista, quella dove ci sono le ghirlande no?”

…Sai, ho visto Enza 1 ‘altro giorno. Non sta più con Luigi. Lo sapevi ? -Ah si?

…Ma dai, non dirmi che non lo sapevi. Lo sanno tutti. E poi, voglio dire, non è mica una cosa di ieri. ..

“Occhio alle dita…la mettiamo giù…sposta quella ghirlanda per favore”.

“Ma guarda questi…una bicicletta nel cassonetto. Maiali…

-Tirala fuori, spacca tutto… “S’è incastrata cazzo…”.

La bici grattava, con la ghiera del campanello, il fondo del cassonetto dei rifiuti. Quando l’alzarono troppo da una parte scivolò, lasciando tracce di vernice rossa sul metallo maleodorante.

Sull’ altro lato della strada una Panda, rimessa a nuovo, procedeva lentamente. Era appena uscita dalla carrozzeria.

 

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