IL BUIO – 4

di Cornelio Galas

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Te la sentiresti, sul serio, di dare tu lo stop alla tua vita? L’hai mai pensato? E riusciresti a farlo? A preparare, prepararti, quel momento finale? Non parlo di eutanasia, di morte dolce, di meno peggio. Parlo proprio di suicidio. Cioè proprio dell’attimo in cui un essere vivente decide di non vivere. E allestisce il proprio patibolo. Incredibile no? Ci sono tante possibilità di morire. Di immolarsi. Mors tua vita mea. Dedicare il proprio respiro al respiro di altri. Non solo con una donazione d’organi.

Eppure non ci si pensa, in quegli istanti. Prevale – fino ad un certo punto – l’istinto … come la chiamano, di conservazione. Ha buon gioco l’ultimo pensiero razionale. Poi però ci si lascia andare, nel vuoto, nel buio che diventa sempre più buio.

Non avrei mai pensato – nonostante il conforto, le coccole, le carezze e anche le botte contro gli spigoli di tante letture – di arrivare al punto di non sapere perché sto decidendo di amare la morte. Eppure ho scelto il modo, il tempo, la base del cappio. Eppure ho visto la luce diafana sopra di me. Sempre più tenue, lontana, tra riverberi grigi tendenti al nero. Eppure ricordo quel momento … tra lo stare qui e l’andare dove non si sa.

Lo vivo, adesso, quell’attimo, come una morte apparente, fors’anche provocatoria. Una vita, un respiro che va avanti nonostante quello. Tra bugie dozzinali su cos’è successo. E verità false nel di dentro. Un approccio dilettantistico all’età che potrei non avere più. A lacrime amare, poco salate, di chi butta sulla bara un fiore.

Bisogna sopravvivere a queste cose per capirle. Evitare frasi fatte. Miscele fuorvianti. E il giudizio di un sorriso compassionevole. Come quello che si fa al diversamente abile. Al diversamente normale. Resta, in ogni caso, l’eccitazione di un incontro: con quello che non si sa, con quello che dovrebbe esserci dopo.

Resta, in ogni caso, un dramma a metà. Un necrologio non scritto. E il ricordo di chi nonostante tutto è ancora vivo. E scrive, e parla, e pensa.

Non avrei mai pensato di pensare queste cose. Di doverle elaborare per renderle meno dure. Capita, capita, anche a chi non ha più capi e guide spirituali. Succede, ed è una fortuna che possa essere letto, al posto di un’epigrafe.

Lasciai perdere, quella mattina, al risveglio, in ospedale, i pensieri della sera prima. Non erano più veri, non erano più affascinanti, mi lasciavano indifferente. Come tutto quello che mi aveva fatto arrivare lì …

 

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