a cura di Cornelio Galas
Un battaglione tedesco fra eccidi, vendette e sospetti. Cinque capifamiglia fucilati in una contrada semisconosciuta. Un eccidio che si perde nella memoria, ma l’indagine su uno dei tanti drammi dimenticati nell’Italia occupata dai nazisti svela anche la storia di un misterioso battaglione delle SS, impiegato sulle montagne venete e trentine negli ultimi mesi del secondo conflitto mondiale.
È l’intricata quanto affascinante la ricostruzione che si snoda ne “I geologi di Himmler – L’SS-Wehrgeologen-Bataillon 500 tra Veneto e Trentino: dalla rappresaglia della Laita (Tretto di Schio, 30 novembre 1944) all’ipotesi Pedescala”, libro dello storico e giornalista Luca Valente.
(da un’intervista all’autore di Elisa Morici)
Non era il classico corpo di polizia – apparteneva infatti alle Waffen-SS, le SS combattenti – ma un gruppo di specialisti; geologi, ingegneri e un comandante archeologo, che negli anni ‘30, alle dipendenze dello stesso capo delle SS, aveva condotto gli scavi nel castello di Quedlinburg alla ricerca del sepolcro di re Enrico I.
Uomini con un ruolo chiave nella costruzione della Blau Linie, la linea fortificata che doveva fermare l’avanzata delle armate alleate sulle Prealpi, e forse coinvolti nell’eccidio che si consumò a Pedescala nella primavera del ‘45.
Ma tutto comincia in contrada Laita, sull’altopiano del Tretto.
«Doveva essere una ricerca circoscritta – spiega Valente -, su richiesta dell’associazione “La Cornolea”, per ricostruire le sequenze di un eccidio pressoché dimenticato: cinque persone uccise il 30 novembre del 1944 per motivi tutt’altro che chiari. Com’era successo e per mano di chi? Con i dettagli di quella giornata di sangue sono riemerse le tracce di un battaglione tedesco misconosciuto e dei tanti italiani che ne fecero parte».
– Come si svolsero realmente i fatti?
«La rappresaglia fu originata dall’uccisione di Wainer Novellini, un milanese conosciuto come “l’interprete” e arruolato tra le fila del battaglione. Il giorno prima dell’eccidio aveva catturato un partigiano, Ermenegildo De Rizzo detto “Polenta”, che si era però ribellato e l’aveva ammazzato, scatenando la vendetta tedesca.
Il 30 novembre, quindi, il plotone di S. Ulderico di Tretto si recò alla Laita, radunò gli abitanti della contrada nelle stalle e fucilò i cinque capifamiglia, Antonio Calgaro, Antonio Frizzo, Albino Frizzo, Cesare Frizzo e Luigi Frizzo, quattro sul posto e il quinto mentre cercava di scappare.
Uno strascico ci fu qualche mese dopo, il 13 maggio del ‘45, quando a Valli i partigiani presero e giustiziarono Cesare Lombardini, senese e sembra grande amico dell’”interprete”, a sua volta arruolato tra i tedeschi e accusato di aver partecipato all’eccidio».
– Ma la rappresaglia non fu opera di un comune plotone delle SS?
«I dati d’archivio portano effettivamente ad un’altra conclusione. Tra i documenti conservati nel vecchio Comune del Tretto compare un numero di posta militare, il Feldpostnummer che in tempo di guerra era l’unico elemento distintivo di un reparto.
Lo stesso numero che si ritrova anche negli archivi di altri Comuni, dal comando di Folgaria a Brentonico, da Ala a Torbole sul Garda, dove il Wehrgeologen-Bataillon 500 aveva distaccato le sue compagnie; e quel numero permette ora di risalire al reparto corrispondente, confermando che si trattava proprio del misterioso battaglione di specialisti del genio».
– Chi erano davvero questi uomini?
«Fondato nel ‘42, il battaglione annoverava tra le sue file numerosi laureati in materie tecniche. Uomini specializzati nella costruzione di opere difensive e di sabotaggi delle vie di comunicazione che furono inizialmente inviati sulle coste della Normandia e poi ai confini tra Francia e Olanda, sul Pas-de-Calais, per effettuare indagini sismiche in vista della collocazione delle rampe di lancio delle V1.
Nel settembre del ‘44 arrivarono in Italia per la costruzione della Blau Linie: una delle quattro compagnie fu dislocata appunto a Valli del Pasubio e un plotone destinato a S. Ulderico, ai confini con contrada Laita, per minare le strade prima che arrivassero gli alleati».
– Professionisti, dunque, ma perchè i “Geologi di Himmler”?
«A parte l’appartenenza del reparto alle SS da lui fondate, diversi ufficiali erano stati alle sue dirette dipendenze. Ad esempio il comandante del battaglione era il tenente colonnello Rolf Höhne, un archeologo che aveva guidato gli scavi nel castello di Quedlinburg ritrovando il teschio di Enrico I l’Uccellatore, il mitico re sassone che aveva sconfitto i magiari a Riade nel 933, di cui il capo delle SS credeva di essere la reincarnazione e sui cui resti voleva rifondare l’antico paganesimo germanico».
– Fin qui le certezze, ma tra le pagine del libro avanza anche un’affascinante quanto enigmatica ipotesi che, storicamente, può dirsi senz’altro nuova: i “geologi” ebbero forse un ruolo anche nell’eccidio di Pedescala?
«Nessuna prova concreta ma molti indizi. Le testimonianze raccolte tra la gente del posto, innanzitutto, ma anche i documenti partigiani e, soprattutto, quelli della missione inglese che collaborò con la Resistenza: si ritrovano spesso i termini “guastatori” e “SS”, una dicitura troppo specifica che, a mio avviso, farebbe riferimento proprio ad un reparto specializzato che non sarebbe uno di quelli indicato da più parti quale responsabile dell’eccidio».
– Come potrebbero essersi svolti i fatti?
«Finora sono sempre stati chiamati in causa i paracadutisti tedeschi, da sempre in cima alla lista degli indiziati, e i reparti di collaborazionisti russi che, col passare degli anni, sono stati invece più o meno scagionati.
Fermo restando che ritengo inopportuno mettere da parte i russi con tanta leggerezza, perchè in quei giorni c’erano numerose loro compagnie in zona oltre a quella che lasciò Pedescala poche ore prima della strage, ho ipotizzato che anche il battaglione di geologi sia rimasto coinvolto nei fatti del 30 aprile 1945.
La compagnia di stanza a Valli, partita il giorno precedente, avrebbe deviato per Passo Xomo, Posina e la Valdastico dove, di lì a poche ore, si consumò la carneficina».
Un’indagine tra storia e mistero, quella narrata da Valente, che attraversa mezza Europa e si snoda tra imboscate partigiane, spietate ritorsioni e scoppi di mine.
Il libro di Valente (Cierre-Istrevi, pagg. 285) -nasce dalla decisione di indagare una delle meno conosciute stragi commesse per ritorsione dai tedeschi nel Vicentino, che dettero alle fiamme case e stalle della contrada della Laita, uccisero cinque capifamiglia ed arrestarono diversi altri abitanti.
Nella ricerca di quale reparto tedesco commise la rappresaglia, sono arrivate, scrive nella presentazione Valente, risposte sorprendenti “come la presenza sulle montagne tra la provincia di Vicenza e quella di Trento di un battaglione delle Waffen-SS, il ramo militare delle Schutzstaffel create da Himmler, unità del genio specializzata nella costruzione di opere difensive e nei sabotaggi alle vie di comunicazione, trasferita dalla Francia per contribuire all’approntamento dell’ultima linea difensiva della Wehrmacht in Italia, la Blau Linie.
“Nelle sue file, tra gli ufficiali, militavano diversi studiosi ed accademici che avevano indossato la divisa e i cui destini furono condizionati dallo scoppio della guerra. (…)”.
Furono dunque i geologi – e gli archeologi – di Himmler i responsabili della rappresaglia di contrada Laita, analizzata nella parte centrale del volume contestualmente alla storia del Wehrgeologen-Bataillon 500 e alla sua dislocazione e attività tra Veneto e Trentino nell’autunno-inverno del 1944-1945.
E forse furono ancora loro i protagonisti in negativo di un massacro enormemente più feroce, nelle modalità come nelle dimensioni: la strage di Pedescala e Settecà in Val d’Astico, che vide barbaramente uccisi 82 civili tra il 30 aprile e il 2 maggio 1945 ad opera delle colonne in ritirata verso il Trentino.
Lo fanno supporre diversi indizi – per la prima volta analizzati nel loro complesso nella terza parte del volume – che contribuiscono a dare corpo ad una ipotesi nuova e storicamente suggestiva – se tale termine si può usare per una carneficina – sulla quale si dovrà comunque lavorare per verificarne la piena attendibilità e per trovare le necessarie conferme”.
Il libro di Valente è scandito in tre parti. La prima tratta il contesto il cui maturarono i tragici fatti della Laita dopo l’occupazione tedesca avvenuta all’indomani dell’8 settembre ’43 (la zona del Tretto di Schio, della quale fa parte la contrada Laita, fu teatro, nell’estate del ’44, di numerose azioni partigiane e di rappresaglie e rastrellamenti tedeschi).
La seconda parte analizza, con l’apporto di materiale documentario e di testimonianze, la dinamica della strage commessa dai nazisti e contemporaneamente ricostruisce quale fu la complessiva azione in Trentino ed in Veneto del Wehrgeologen-Bataillon.
La terza esamina gli indizi che portano l’autore a ritenere possibile la presenza del Bataillon nella strage di Pedescala. Infine, in appendice le fonti dell’opera: fonti a stampa; fonti non pubblicate; fonti internet; testimonianze orali; fonti d’archivio.
IL LIBRO
“I geologi di Himmler – L’SS-Wehrgeologen-Bataillon 500 tra Veneto e Trentino: dalla rappresaglia della Laita (Tretto di Schio, 30 novembre 1944) all’ipotesi Pedescala”
Autore: Luca Valente
Editore: Cierre – Istrevi
Collana: Nord Est
Prima edizione: aprile 2007
Formato: 15,5 x 23 cm
ISBN: 8883144104
Pagine: 288
Fotografie: 95
Cartine: 3