I CONTI D’ARCO

di Alessandro Cont

Biblioteca comunale di Trento. Collezione Segala (Archivio della famiglia dei conti d’Arco). Schedatura del fondo, a cura di Alessandro Cont, Trento, Provincia autonoma di Trento. Soprintendenza per i Beni librari archivistici e archeologici, 2010.

Famiglia Arco (d’), conti

L’identità della famiglia è legata indissolubilmente alla terra e al castello di Arco, sui quali il casato esercitò il suo dominio, completo o parziale, per quasi un millennio, dal XII al XIX secolo. A questo spiccato senso di appartenenza ai luoghi delle origini e del potere feudale si conciliò l’impiego della lingua italiana da parte dei singoli conti. Personaggi della stirpe che trascorsero molti anni in area tedesca per motivi di studio oppure per servizio militare o cortigiano, da Scipione a Ferdinando, da Filippo a Giorgio, nei loro rapporti tra fratelli continuarono a usare con disinvoltura l’idioma dei loro antenati.

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Nel secolo XX tale tradizione plurisecolare era mantenuta ancora dal ramo della linea “andreana” della famiglia che, raccogliendo l’eredità pervenuta in via femminile dagli estinti conti Chieppio, si era trasferita a Mantova nel 1740, con Francesco Eugenio (1707-1776). Fu proprio la contessa Giovanna d’Arco Chieppio Ardizzoni (1880-1973), maritata marchesa Guidi di Bagno, a riacquistare nel 1927 il pieno possesso della fortezza di Arco, la quale, passata poi in eredità alla Fondazione d’Arco di Mantova, fu da questa venduta al comune di Arco (1982).

Per contro la linea “odoriciana” si trasformò a poco a poco in un casato bavarese: gli ultimi conti di questa discendenza che risedettero stabilmente ad Arco e vi morirono furono Pirro (1647-1722) e il fratello Giovanni Vincenzo Claudio (1678-1742).

Sino all’età moderna, gli Arco si erano orientati in prevalenza verso il mondo italiano. Lo attestano, tra l’altro, i matrimoni contratti con diverse casate dell’area padana quali, nel Cinquecento, i Miniscalchi, Torelli, Avogadro, Schinchinelli, Castiglioni, Martinengo, Gonzaga e Guerrieri. In particolare nell’area mantovana, a Cavriana, gli Arco della linea odoriciana avevano acquisito nel secolo XVI alcune importanti proprietà terriere.

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Tuttavia a partire dal XVII secolo, non tanto Innsbruck o Vienna, sedi degli ostili Asburgo d’Austria, bensì la relativamente vicina Baviera richiamò in misura crescente l’attenzione degli Arco. A fronte delle difficoltà finanziarie della famiglia e insieme delle opportunità d’impiego nelle corti tedesche, i fratelli Pietro Antonio (1685-1751) e Cristiano (m. 1733), al pari del loro cugino Emanuele (1702-1767), tutti della linea odoriciana, dimorarono prevalentemente lontano da Arco.

Tuttavia anche i principati ecclesiastici governati da arcivescovi e vescovi di provenienza trentina fornirono agli Arco importanti occasioni di prestigio e di utile materiale, tra la seconda metà del Seicento e l’età napoleonica. Infatti è possibile riscontrare a cavaliere del Sei e Settecento alcuni canonici di casa d’Arco della linea andreana nei capitoli cattedrali di Augusta (Sigismondo), Salisburgo (Giovanni Battista Antonio e il fratello Sigismondo e i loro nipoti Giuseppe Francesco Valeriano e Giorgio), Trento (Giovanni Battista Antonio) e Passavia (Giuseppe Adamo). Tra costoro, Giuseppe Francesco Valeriano (1686-1746) e il nipote Giuseppe Adamo (1733-1802) diventarono rispettivamente vescovo di Chiemsee e vescovo di Seckau. Anzi, un ramo della stessa linea “andreana” trapiantò a Salisburgo e a Passavia, grazie alla protezione dei sovrani ecclesiastici della famiglia Firmian, con cui i d’Arco erano imparentati attraverso i Thun.

Questa discendenza ebbe inizio con Giorgio (1705-1792) e si estinse per successione maschile nel suo nipote Leopoldo Ferdinando (1764-1832). Ad Arco rimase invece il ramo della linea andreana originato da Leopoldo Felice Fortunato (1682-1758), fratello maggiore di Giorgio, ramo che ebbe termine con la morte della contessa Eleonora il 4 maggio 1866.

Storia

La pretesa dei conti d’Arco di discendere dai conti di Bogen, affermata dalla prima età moderna, è priva di plausibile fondamento. Gli antenati degli Arco furono verosimilmente coloni di origine germanica (Arimanni) impiegati dal re in mansioni militari. Il primo ad essere menzionato nei documenti è Federico di Arco (1124). I membri della famiglia appartenevano al ceto sociale dei nobili liberi e godevano già di una posizione signorile nei territori delle Giudicarie.

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Nel 1210 e 1233 gli Arco perdettero l’alta giurisdizione nel territorio della pieve di Arco, a causa dell’ostilità del vescovo principe di Trento. Postisi in contrasto con Ezzelino da Romano, nel 1243 vennero privati dei loro feudi. Questi, con metà del castello di Arco e gli annessi diritti giurisdizionali, furono investiti nel 1252 dal podestà imperiale di Trento a Riprando d’Arco, che vi aggiunse le vicine signorie dei da Seiano. Tra il 1245 e il 1253 il castello di Arco fu venduto a Ezzelino da Romano, mentre Drena e le giurisdizioni già appartenute ai Seiano pervennero in eredità al vescovo di Trento (1266). Del castello di Arco, della gastaldia e dell’alta giurisdizione nelle pievi di Arco, Riva, Ledro, Tenno, Bono, Tignale, Condino, Lomaso, Bleggio e Nago, gli Arco ebbero di nuovo il possesso nel 1255, ma entro la fine del secolo dovettero restituire la gastaldia al vescovo di Trento.

Tra il 1315 e il 1317 la loro giurisdizione, con mero e misto impero, fu limitata al territorio della pieve di Arco. I castelli di Arco e Drena sono menzionati nell’investitura concessa agli Arco nel 1338 dal vescovo di Trento. Negli anni immediatamente successivi, gli Arco imposero il loro dominio sul castello e la giurisdizione di Penede, che, da loro conquistati già nel 1279, erano stati poi ceduti ai Castelbarco.

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Con vicende alterne, in seguito alla vendita di Arco fatta dal vescovo di Trento a Martino della Scala nel 1349, gli Arco svolsero un ruolo di capitani degli Scaligeri e successivamente dei Visconti. Ritornarono nel 1405 sotto il dominio del vescovo di Trento, dal quale ottennero nel 1425 l’infeudazione dei castelli di Arco, Drena, Penede (che, occupata dai Veneziani nel 1438, fu riconquistata dagli Arco solamente nel 1509), Spine, Restoro, Villa (presso Tione) e Castellino (presso Gardumo), nonché il mero e misto impero nelle pievi di Arco e di Nago-Torbole.

Presenti nella matricola nobiliare tirolese fin dal 1361, gli Arco furono innalzati al grado di conti del Sacro Romano Impero nel 1413, e ricevettero nel 1433 l’investitura dei loro feudi dall’imperatore. Permase tuttavia uno stato di incertezza in merito alla loro dipendenza diretta dall’imperatore piuttosto che dai conti del Tirolo, cui gli Arco si erano assoggettati nel 1359. Allo stesso modo la superiorità feudale del vescovo di Trento sui castelli giudicariesi di Restoro e Spine rimase controversa: nel 1521 le due signorie furono infatti comprese nell’investitura data agli Arco dall’imperatore, il che sollevò le proteste del presule trentino.

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Il rifiuto da parte dei conti di riconoscere la sovranità tirolese sulla contea di Arco e la signoria di Penede, con le relative implicazioni fiscali, fu all’origine di tre confische dei castelli e giurisdizioni arcensi tra il XVI e il XVII secolo. La contea di Arco e la giurisdizione di Penede vennero confiscate nel 1579 e restituite nel 1614, previa la stipulazione di un accordo tra gli Arco e il reggente del Tirolo, l’arciduca Massimiliano, e risultano di nuovo sotto sequestro tra il 1634 e il 1642 e tra il 1672 e il 1680.

La giurisdizione dei conti d’Arco si era ormai accentrata sui castelli di Arco, Penede e Drena. Ad Arco vi era un commissario per il conte governatore, e così pure a Drena saltuariamente operava un commissario, invece a Penede risedevano un giudice per le cause civili a scadenza annuale eletto dalla comunità di Nago e Torbole nonché un commissario di nomina comitale competente per le cause criminali e per quelle civili in seconda istanza. In realtà il sistema di governo delle signorie fu sempre particolarmente complesso e farraginoso, segnato non solo dai difficili rapporti dei conti con i principi territoriali del Tirolo (ancora all’inizio del XVIII secolo, durante la guerra di successione spagnola, gli Arco si mostrarono assai poco filoasburgici) ma anche dai loro ricorrenti conflitti con le comunità della contea per diritti diversi e dalle divisioni interne alla stessa famiglia comitale.

A proposito delle ostilità in seno alla stirpe arcense, va notato che a partire dal primo Cinquecento l’albero di casa d’Arco raggiunse proporzioni considerevoli. I fratelli conti Andrea (1454-1507) e Odorico (1470-1528) furono capostipiti di due grandi linee dinastiche che, dai rispettivi fondatori, assunsero il nome di “andreana” e “odoriciana”. A loro volta, questi rami si divisero contribuendo a indebolire la famiglia dal punto di vista economico e giurisdizionale: l’arbitrato del cardinale Adriano Castellesi da Corneto (1512), i numerosi interventi dell’imperatore e delle autorità tirolesi e i matrimoni tra cugini in sostanza non risolsero mai l’antagonismo maturato tra le due linee della casata. Il ramo andreano si è estinto nel 1973 con la morte della contessa Giovanna d’Arco Chieppio Ardizzoni, marchesa di Bagno, a cui si deve la prestigiosa Fondazione d’Arco di Mantova. Invece la linea odoriciana, dalla quale nacque il celebre poeta cinquecentesco Nicolò, fiorisce dal XVIII secolo in Baviera, e oggi è divisa nei due rami Arco auf Valley e Arco-Zinneberg.

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Un altro ramo, tuttora in vita, nacque dalla linea andreana grazie al conte Giorgio (m. 1709) il quale però, in cattive relazioni con i consanguinei e per di più convertito al luteranesimo, non ricevette l’investitura dei feudi arcensi. Già scossi dalle rivalità familiari e dalle misure cinque-secentesche adottate dai sovrani tirolesi, i poteri giurisdizionali dei conti d’Arco furono ulteriormente minati dalle riforme in materia fiscale, daziaria, amministrativa, religiosa e militare introdotte da Maria Teresa d’Austria e dal figlio l’imperatore Giuseppe II. Un’importante funzione di collegamento tra i feudi arcensi e i dicasteri austriaci venne allora a essere svolta dal circolo ai confini d’Italia, istituito da Maria Teresa nel 1754. Un ufficio commissariale venne quindi incaricato di attuare i provvedimenti governativi nell’ambito della contea arcense: ad esso si indirizzavano i vice capitani e i capitani di circolo pro tempore.

Intorno al 1810 il governo italico abolì l’ufficio commissariale incorporandolo alla giudicatura di pace di Riva. Sei anni dopo esso venne ripristinato dal governo austriaco con il nome di giudizio patrimoniale dei conti d’Arco, al quale però gli stessi conti rinunciarono. Con decreto aulico n. 645 del 30 settembre 1842 l’ufficio venne trasformato in giudizio distrettuale governativo dal quale si staccarono però Nago e Torbole che vennero assoggettati al giudizio distrettuale di Riva.

A metà Ottocento, decaduti dagli antichi splendori, gli Arco erano ormai privati cittadini, cui gli interessi e l’attività in campo culturale, naturalistico, artistico e storico, come attestano le vicende personali del conte Luigi (1795-1892), del fratello Carlo (1799-1872) e della nipote Giovanna del ramo mantovano, potevano tuttavia conferire ancora lustro e considerazione.

Funzioni, occupazioni e attività

Il personaggio più illustre di casa d’Arco, ossia Nicolò della linea odoriciana (1492/93-1546/47), deve la fama alla sua attività poetica. Pur riconoscendo l’eccezionalità della figura di Nicolò, bisogna osservare che non mancarono nella dinastia altri soggetti provvisti di una più approfondita educazione e propensione letteraria, quali Emilia d’Arco Thiene e Livia d’Arco Martinengo, figlie dello stesso poeta, e il loro nipote Giovanni Vincenzo (m. 1621). Inoltre i due vescovi settecenteschi della casata, Giuseppe Francesco Valeriano e Giuseppe Adamo della linea andreana, acquisirono una formazione giuridico-teologica istituzionalizzata e in particolare il secondo si segnalò quale convinto sostenitore delle riforme giuseppine nella sua diocesi di Seckau.

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Però la maggior parte dei rampolli arcensi non si distinse in ambito culturale e spirituale. Il mestiere prediletto degli Arco, sintonizzati con l’ideologia e la mentalità nobiliari, fu quello militare. La famiglia fu concretamente rappresentata con suoi esponenti in alcuni dei principali conflitti bellici dell’età moderna: dalle guerre d’Italia alla guerra di Fiandra, dalla guerra dei trent’anni alla guerra d’Olanda, dalla guerra di successione spagnola alla guerra di successione polacca, dalla guerra dei sette anni alla campagna napoleonica di Russia. A seconda delle alchimie politiche e religiose del momento, singoli membri di casa d’Austria militarono al servizio della Spagna, dell’Impero, della Toscana, di Urbino, della Baviera, di Colonia, della Russia e di Napoleone.

Tra coloro che si distinsero nella professione delle armi, Gerardo (1468-1538), della linea andreana, fu governatore di Modena e vicario imperiale in Italia; Prospero (1627-1688), della linea odoriciana, venne creato maresciallo di campo dell’elettore di Baviera e il suo figlio Giovanni Battista (1650 ca-1715) ebbe il grado di generale delle truppe bavaresi. Diversi Arco, tra Cinque e Seicento, si ritirarono in patria al termine di una brillante carriera percorsa negli eserciti asburgici: così, nella linea andreana, Oliviero (m. 1584), Sigismondo (m. 1568), Gerardo (m. 1573), e nella linea odoriciana, Claudio (m. 1558), Prospero (m. ca 1610) e Massimiliano (1617-1683). Molti altri morirono in battaglia o prigionieri. Una menzione a parte spetta ai fratelli Ferdinando e Filippo: l’uno morì nel 1703 ucciso da un contadino tirolese che lo credette l’elettore di Baviera; l’altro fu giustiziato nel 1704 per avere reso ai Francesi troppo sollecitamente la fortezza di Freisach, di cui era governatore.

Spesso intermediari tra mondo italiano e mondo tedesco, gli Arco rivestirono ruoli importanti pure in campo diplomatico e cerimoniale. Furono ben quattro gli esponenti del casato che l’imperatore inviò a suo nome presso la Santa Sede negli anni del Concilio di Trento e della prima riforma cattolica. Tre di loro, ossia Scipione (1519 ca- 1573/74), Prospero (1522-1572) e Giovanni Battista (m. 1588) appartennero alla figliolanza del poeta Nicolò, mentre Antonio (m. 1609) discese dalla linea andreana. Parimenti gli arcivescovi principi di Salisburgo valorizzarono, tra Seicento e Settecento, le doti diplomatiche di singoli membri della schiatta arcense. Il canonico Giovanni Battista Antonio seguì trattative a Roma per conto di Johann Ernst von Thun. Invece il nipote Giuseppe Francesco Valeriano negoziò con la corte di Baviera, considerati anche gli eccellenti rapporti degli Arco con l’elettore monacense. Poiché tuttavia quest’ultimo era strettamente imparentato con l’arcivescovo di Colonia, le opportunità di carriera riservate ai conti trentini erano ulteriormente dilatate. Non a caso i fratelli Andrea e Giovanni Battista Antonio e il loro nipote Giuseppe Francesco Valeriano della linea andreana furono stimati e beneficati da Giuseppe Clemente di Baviera, elettore di Colonia dal 1688 al 1723. Tale apertura sei-settecentesca degli Arco all’Impero di nazione germanica determinò anche un salto di qualità nei percorsi ecclesiastici in seno alla famiglia arcense. Fino all’età barocca, i religiosi secolari della prosapia avevano raggiunto al massimo un canonicato nella cattedrale di Trento, un’importante chiesa nella diocesi nativa (Arco, Villa Lagarina, Isera) oppure un chiericato nella corte papale. Successivamente, grazie anche alle relazioni matrimoniali instaurate o rinnovate con altri casati della nobiltà feudale trentino-tirolese (Thun, Firmian, Castelbarco), la linea andreana riuscì a conquistare una posizione inedita in rilevanti capitoli cattedrali tedeschi come Salisburgo e Passavia.

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Fu l’anticamera per la provvisione a Giuseppe Francesco Valeriano e a Giuseppe Adamo delle sedi episcopali di Chiemsee e Seckau, comprese nell’ampia provincia metropolitana di Salisburgo. Con il progressivo spostamento degli interessi dei vari rami della dinastia verso l’area tedesca o quella mantovana, le uniche occasioni d’impiego onorevole in patria furono costituite dalle cariche di governo affidate a singoli conti in base agli accordi con gli arciduchi tirolesi. Nei posti di governatore di Arco, di comandante del castello di Arco e di governatore di Penede si avvicendarono nei secoli XVII e XVIII molti rampolli della casata, quali Gerardo e il figlio Francesco Alberto, Francesco Leopoldo e i figli Vinciguerra e Giovanni Battista Antonio, Pirro e il fratello Giovanni Vincenzo Claudio, Leopoldo Felice Fortunato e il figlio Giovanni Battista. Si trattava di responsabilità gravose, non a caso assunte per lo più da membri dei rami della famiglia che ancora dimoravano con stabilità ad Arco.

Fonti archivistiche

Biblioteca comunale di Trento

Archivio della Fondazione d’Arco di Mantova, Archivio d’Arco Chieppio.

Archivio di Stato di Mantova, Documenti patrii raccolti da Carlo d’Arco

Archivio Diocesano Tridentino

Archivio della Parrocchia di Santa Maria Assunta in Arco e Capitolo della Collegiata di Arco

Bibliografia

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Leycam, 1886

CASETTI A., Guida storico-archivistica del Trentino, Trento, TEMI, 1961, p. 22

RILL G., I Signori e i Conti d’Arco, IN: La chiesa di Santa Maria Assunta ad Arco, Riva del Garda, Museo

Civico, 1993, p. 21

RILL G., Storia dei conti d’Arco 1487-1614, traduzione dal tedesco di Carla Vinci-Orlando, Roma, Il Veltro

Editrice, 1982

SIGNORINI R., La dimora dei conti d’Arco in Mantova. Stanze di un museo di famiglia, Castel Goffredo,

Banca di credito cooperativo di Castel Goffredo, Mantova, Sometti, 2000

VOLTELINI H. VON, Le circoscrizioni giudiziarie del Trentino fino al 1803, a cura di E. Curzel, Trento,

Provincia autonoma di Trento, Servizio beni librari e archivistici, 1999, pp. 189-200

WALDSTEIN-WARTENBERG B., Storia dei conti d’Arco nel Medioevo, traduzione di Carla VinciOrlando,

Roma, Il Veltro Editrice, 1979

Collezione Segala (Biblioteca Trento)

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