GLORENZA, IL PROCESSO CONTRO I TOPI

a cura di Cornelio Galas

Proprio così, a Glorenza, in Val Venosta (Alto Adige) fu celebrato un processo contro i roditori. Fiaba, leggenda o fatto realmente successo? Sull’argomento propongo due versioni. Quella che si trova anche nelle guide turistiche e annota la vicenda tra le curiosità locali. E quella, diciamo così, più ragionata, di un docente di sociologia.

Cominciamo con la prima (Fonte: Deutsche Alpensagen. Gesammelt und herausgegeben von Johann Nepomuk Ritter von Alpenburg, Vienna 1861, n. 247; traduzione Paolo Florio):

Ci fu un periodo in cui le campagne di Glorenza, in Val Venosta, erano infestate da quantità impressionanti di topi e non ci fu verso di sterminarli perché non sarebbero bastati tutti i gatti dell’intero Tirolo, anzi della Germania intera, e il fosforo non era stato ancora inventato.

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I saggi del Consiglio cittadino si consultarono a lungo per capire come venire a capo di quell’esercito di devastanti roditori, e alla fine non rimase altra soluzione che fare causa ai topi campagnoli e sottoporli ad un processo con tutti i crismi. Ma poiché i ratti non erano in grado di difendersi da soli, il tribunale nominò un avvocato d’ufficio e il processo poté così iniziare.

Le accuse andavano dall’occupazione illegale di campi e orti alla drastica riduzione delle provviste alimentari passando per la sottrazione indebita (in quanto i roditori si portavano via i cereali nelle loro tane), fino ad arrivare al concubinaggio, all’eccessivo rovistare, alla sollevazione (del terreno) ecc.

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L’avvocato difensore replicò che il controllo sull’occupazione dei campi e degli orti spetta alla polizia di campagna, che dovrebbe sorvegliare di più e bere qualche bicchierino di vino in meno.

Per quanto riguarda poi il calo degli alimenti, a prima vista questa accusa sembra fondata, ma nel caso in cui ai topi fosse vietato cibarsi di grano, ecco che potrebbero essere loro a denunciare gli uomini per mancanza di nutrimento, perché in fin dei conti anche i roditori, in quanto creature di Dio, hanno diritto alla vita.

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Riguardo al concubinaggio, l’avvocato difensore fece notare che i topi si limitano a seguire degli esempi che egli non osa in questa sede descrivere nel dettaglio, nel momento in cui e in quantoché exempla essent odiosa (questi esempi sono disgustosi).

Anche rovistare non è un peccato mortale, tutti gli esseri frugano: chi nel borsellino, chi nei libri o nelle pergamene, chi nei mucchi di grano o nel letame, chi nel fascino femminile e avanti così.

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Anche il topolino deve frugare, fa parte del suo istinto naturale. Malgrado questa brillante difesa però, l’avvocato non la spuntò e la sola cosa che gli riuscì fu di convertire la condanna a morte pendente sui topi in espulsione, con l’obbligo per i roditori di non fare mai più ritorno nella loro terra madre.

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In un impeto di generosità furono loro concessi 14 giorni di tempo per fare le valigie; ma poiché il difensore addusse che in quel momento nella Repubblica dei ratti c’erano parecchi neonati non ancora in grado di camminare nonché tante mamme che avrebbero volentieri trascorso il puerperio nelle amate campagne di Glorenza, il saggio e comprensivo collegio concesse loro un ulteriore periodo di 14 giorni.

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Dopodiché iniziò l’esodo, poi però i topolini si comportarono come altri esiliati in tempi più recenti, ovvero man mano tornarono tutti a Glorenza a rovistare se possibile ancora più freneticamente di prima.

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E veniamo adesso all’altra versione. Quella di Franziscus, già docente di sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma:

Cosa è Glorenza, innanzi tutto? Oggi è una importante attrazione turistica della Val Venosta, vicino all’imbocco della strada che sale allo Stelvio dalla Val Venosta, appunto, perché rappresenta in modo perfettamente conservato un esempio di borgo medievale più unico che raro.

Non è dell’interessante storia di Glorenza però che voglio parlare in questo post, salvo ricordare che il suo sviluppo si dovette in buona misura al trasferimento (a metà circa del 1400) entro le sue mura del tribunale civile, che prima era a Malles.

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E’ proprio di un processo che  voglio parlare, che non è affidato solo alla leggenda ma è proprio consegnato ad atti e scritture che possono essere consultati (purtroppo io non lo ho potuto fare personalmente quindi mi baso sulle informazioni che circolano a godimento dei turisti e dei curiosi).

Il 21 ottobre 1519 certo Simone Fliess di Stelvio, in rappresentanza dei suoi compaesani, sporse querela presso tribunale di Glorenza contro i topi che in gran numero “arrecavano evidenti danni ingenti alla campagna” e contro i quali non si sapeva più cosa fare.

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Già c’era poco da mangiare ed ora si aggiungevano anche queste bestie che distruggevano il raccolto “non permettendo nemmeno di poter versare i tributi per Glorenza”. Il giudice era Wijhelm Hasslinger. L’oggetto della controversia sembra essere la responsabilità dei topi per il mancato pagamento dei tributi, non potendo la povertà  dei contadini essere addotta a ragione sufficiente, dati i tempi.

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Il giudice avvia allora un processo vero e proprio contro i roditori sia per stabilire la loro colpevolezza che per sanzionare il loro comportamento e prendere le decisioni del caso. Mi sembra che  l’oggetto dell’accusa ai topi fosse quella di rubare non tanto ai contadini, quanto al signore feudale, un’accusa molto grave quindi in cui si chiedeva che i topi venissero condannati al posto dei contadini.

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Il processo si svolge regolarmente: il giudice nomina oltre a un avvocato dell’accusa (in rappresentanza della città, tale Minig Schwarz)  un avvocato difensore dei topi, nella persona di Hans Grienenber di Glorenza, cui quindi si riconosce personalità giuridica e conseguentemente il diritto a stare in giudizio.

In tal modo si dà soddisfazione ai contadini che appunto indicavano nei topi i responsabili del furto dei beni che avrebbero essere consegnati come tassa feudale e minacciavano, in caso che non fosse riconosciuta tale responsabilità, di abbandonare in massa il paese rompendo il patto feudale, cosa allora non di piccolo conto.

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La causa, la cui prima udienza si tenne il 26 ottobre 1519 durò sei mesi e mezzo e andò a sentenza il 2 maggio 1520, con numerose udienze in cui si sviscerarono tutti gli aspetti della intricata questione sia dal lato dell’accusa che della difesa.

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Venne infatti da un lato riconosciuto il danno arrecato dai topi, descritti come animaletti fastidiosi che cronicamente infestavano il paesino di Stelvio danneggiandone gli abitanti soprattutto per quanto riguarda i cereali con cui veniva pagato il tributo (misurato in covoni); fu condannato quindi il loro comportamento e si riconobbe che essi erano meritevoli di una condanna esemplare da parte della città.

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Nello stesso tempo la difesa riuscì a dimostrare che, d’altra parte, i topi avevano svolto una funzione positiva nell’ecologia del paese, mangiando larve di insetti e concimando la terra. Per cui, se i loro furti ai danni dei contadini (e del feudatario) rimanevano tali, almeno andavano concesse loro delle attenuanti.

La sentenza fu salomonica. I topi furono condannati non a morte ma  ad abbandonare il paese, all’esilio quindi, e per consentire l’esecuzione della sentenza fu costruito un ponte sull’Adige.

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Inoltre il giudice, in riconoscimento dei meriti ecologici dei roditori, ma anche in osservanza delle regole della guerra cavalleresca, immagino, concesse loro il diritto a non subire danni durante l’esodo, e quindi un salvacondotto e una moratoria di 14 giorni perché potessero portare con sé i figli piccoli, oltre ai topi ammalati e le femmine gravide, evitando che fossero assaliti da cani e gatti (che dovevano dunque essere rinchiusi per la durata di tutti i 14 giorni di moratoria).

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Alla popolazione dei roditori vennero cioè concessi i diritti delle armi, come una guarnigione assediata dopo la resa. In tal modo i topi venivano condannati, i loro diritti riconosciuti e preservati, e anche gli interessi del feudatario erano salvati:…. i contadini non avrebbero potuto più incolpare i topi del mancato pagamento delle imposte perché essi erano stati giuridicamente esiliati… con sentenza passata in giudicato.

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Questa mia interpretazione del famoso processo dei topi non corrisponde esattamente a quella dei libretti per turisti che invece sottolinea la mitezza della sentenza nei confronti dei topi. Tengo però conto che solo sei anni dopo questa sentenza  una rivolta degli stessi contadini (sempre per la questione dei tributi) venne  soffocata nel sangue, con condanne molto meno miti di quelle comminate ai topi.

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Ma anche se la mia interpretazione  in termini politici della sentenza e dello stesso andamento del processo (degna del Mistero Buffo di Dario Fo) potrebbe apparire “di parte”, rimane l’interesse giuridico per quel considerare i topi – nemici tradizionali dei contadini, e quindi oggetto di una pessima stampa – che schifo!- che ancora li distingue, in peggio, da criceti e furetti – quel considerare i topi, dicevo, soggetti giuridici, titolari di diritti e parte integrante del sistema ecologico.

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Il problema che mi pongo è quello della personalità giuridica di entità non umane e quindi della loro possibilità di difendersi in giudizio. Come è bel noto, a certe condizioni, la personalità giuridica non è limitata alla soggettività umana. Qualsiasi società o impresa ha una personalità giuridica, è soggetto di diritto e di doveri, di responsabilità contrattuali, ecc.

D’altra parte a molti umani fu negata nel passato una personalità giuridica, come gli indiani d’America o le persone soggette alla schiavitù: derubricati da umani a cose, oggetti, o animali privi dunque di anima.

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Oggi si pone il problema (l’esigenza) del riconoscimento della personalità giuridica a entità nuove: non solo gli “utenti” e i “consumatori”, i malati, che hanno un loro “tribunale”, o dove non ce l’hanno hanno studi di avvocati aggressivi o di compagnie assicurative, ma anche gli animali: si pensi alla vivisezione e agli esperimenti di laboratorio su animali, tra cui naturalmente i topi; ma anche alle balene foche e alle specie animali in estinzione, agli alberi e alle foreste più o meno pluviali alle diverse componenti dell’ecosistema, al paesaggio, fino a umani non ancora nati, come le “generazioni future”.

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Quale avvocato d’ufficio avrà l’abilità di Hans Grienber nel tutelare i loro interessi? E i giudici terranno in effettivo riguardo questi diritti e sulla base di quale diritto?  Oppure ricorreranno a giudizi salomonici “pelosi” anche se raffinati, come quello sentenziato da Wijhlem Hasslinger?

Ma ancora, il rispetto dei diritti di queste entità è avvertito sempre di più come una nuova frontiera dell’etica e anche dell’economia: i lavoratori diventano stakeholder, alla pari degli azionisti, dei fornitori, dei clienti, alla pari delle generazioni future e del territorio. Penso che si ponga un enorme problema di rappresentanza che riguarda tutta la società civile, non solo  la democrazia politica.

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La frontiera dell’etica, oltre che del diritto, vacilla di fronte ad una serie di ipocrisie, quali quelle nei confronti delle sofferenze inflitte agli esseri viventi per quelli che potremmo definire facilmente futili motivi (si consideri il bellissimo reportage/saggio di David Foster Wallace “Considera l’aragosta” che ragiona sulle argomentazioni etiche che ci permettono di non considerare il dolore dell’aragosta vero dolore e quindi ci legittimano ad ucciderle immergendole ancor vive nell’acqua bollente: lo scenario è quello della fiera dell’aragosta in una città del Main, dominata da enormi pentoloni fumanti, l’inferno dell’aragosta potremmo dire: arriveremo a parlare delle aragoste come gli stakeholder dei buongustai così come i lavoratori possono essere considerati stakeholder dei capitalisti?)

Insomma, cosa ci insegnano i topi di Glorenza?

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