GLI UOMINI DI MUSSOLINI – 6 – GIUSEPPE BOTTAI

https://www.youtube.com/watch?v=DYUNn8YcGxYa cura di Cornelio Galas

  • documenti raccolti da Enzo Antonio Cicchino

Giuseppe Bottai

GIUSEPPE BOTTAI

di Enzo Antonio Cicchino

Giuseppe Bottai, l’apostolo del fascismo, il grande adescatore, dalle forti visioni e sottili incanti. Padre putativo del corporativismo. Tessitore delle idee e delle filosofie in un regime che non ha una propria filosofia. Ama Mussolini, detesta il mussolinismo.

E’ illuminato, energico, lungimirante. Flauto magico del Regime; per lui il fascismo è una marea di giovani e di eroi, di cui accende il fuoco dell’intelligenza ma anche l’antico vizio del combattere il potere dal di dentro: la passione di coltivare il difficile terreno della fronda.

Giuseppe Bottai

Questo è Bottai uomo che affascina, ma è anche Bottai il gerarca! …che sorprende con quella sua terribile adesione alle leggi razziali, di cui ci si chiede ancor oggi come sia stato possibile!

Combattente valoroso nella Grande Guerra. Ardito e poi squadrista. A ventisette anni, nel ’22, è al comando dei fascisti che da Tivoli marciano verso Roma.

Giuseppe Bottai in divisa da allievo ufficiale

Sensibilissimo, scrittore. Si rende conto del come le riviste siano diventate lo strumento più efficace della pubblicistica del suo tempo. Già famose sono quelle di orientamento anarchico. Altrettanto famose diverranno quelle di ispirazione fascista, Bottai stesso ne creerà molte.

Nel giugno del ’23 fonda “Critica Fascista” un quindicinale ambizioso con il quale si rivolge alla nuova classe dirigente per pungolarne gli errori e le esasperazioni conservatrici.

Nel 1924 un secondo periodico: “Lo spettatore Italiano”; dura solo alcuni mesi, ma vi chiama a collaborare nomi come Umberto Saba, Luigi Pirandello, Tommaso Marinetti. Indaga sulla cultura tedesca, inglese, russa, americana. Il tentativo è quello di portare nel fascismo le nuove correnti dell’arte e della conoscenza in modo da crearvi un inedito cantiere per le idee.

Ma il cammino è irto. Revisionista, Bottai entra subito in polemica con Farinacci e gli esaltati del Regime, i fautori della rivoluzione permanente. Il 13 maggio del ’24 viene espulso dal partito.

Ma lui… “Voglio stare nel fascismo non solo con i piedi, ma anche con la testa” afferma orgoglioso “Dobbiamo liberarci di questa zavorra che complica balordamente l’opera del Governo! E se la libertà di stampa in qualche modo va limitata è opportuno che si cominci dai nostri giornali, dove qualche imbecille vomita fuoco e veleno dal suo calamaio inquisitorio”.

Giuseppe Bottai – Viaggio in Libia – Visita all’antica città di Leptis Magna

Solo l’intervento di Mussolini lo salva, lo reintegra nel partito, contribuendo a quella sua discussa fortuna che lo segnerà tutta la vita. Sia chiaro, questo suo essere uomo di fronda, non nasce da un istinto di ribellione, o di insofferenza, piuttosto dal disagio che gli crea la povertà di idee del Fascismo, del cui vuoto è consapevole lo stesso Mussolini ed al quale, imputa la propria fragilità di Governo.

Se Gentile vede nel Duce l’uomo che, interpretando la filosofia dell’attualismo, realizza in Italia lo stato etico, l’idealismo gentiliano – per il fascismo – rimane solo un apporto indiretto che si concretizza con la partecipazione del filosofo al Governo.

Giuseppe Bottai in divisa di alpino

Nello squadrismo persiste un coacervo di troppe opinioni, spesso incompatibili, che vanno dal sindacalismo rivoluzionario di Sorel alle idee liberali, monarchiche, socialiste, repubblicane, anticattoliche e futuriste.

Non sappiamo se l’idea di dare un consolidamento organico a questo discusso arcipelago di pensiero sia venuta a Bottai da Mussolini, oppure semplicemente dalla sua istintiva insoddisfazione. Fatto sta che da un certo momento in poi tutta la sua opera politica pare tesa a questo.

Benito Mussolini con Attilio Teruzzi, Italo Balbo, Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi e Giuseppe Bottai

L’intuizione geniale che rende Bottai unico è quel suo immaginare di poter costruire i valori del fascismo non solo recuperando la trascurata idea dello stato corporativo ma facendola reagire in modo brillante con un strumento di espressione quanto mai controverso: l’arte! Bottai condivide, con Mussolini, il forte bisogno che – anche in Italia – si strutturi un’arte ufficiale con la quale il potere totalitario possa identificarsi e vendersi all’estero, allo stesso modo delle imprese aviatorie di Balbo, o quelle marine del Rex.

Ma se da un punto di vista politico la produzione artistica non crea complicazioni è invece quella degli intellettuali che fa insorgere polemiche. Facilmente sconfinano verso idee che irritano i gerarchi più retrivi.

Hitler discorre con Mussolini, Bottai discorre con Bianchi Bandinelli; alle pareti sono affissi mosaici di epoca romana

Vengono censurati intellettuali famosi di chiara fede fascista, per esempio Curzio Malaparte. O addirittura estremisti come quelli di Strapaese, che hanno come obiettivo l’antiurbanizzazione ed il ritorno ad una Italia provinciale più rude e genuina.

Certo Bottai non è d’accordo con questa loro visione ruspante dell’arte; porre in relazione il fascismo con il rurale e l’antimoderno significherebbe condannarlo fin dall’inizio. Ma si rende conto che l’intolleranza minaccia di impedire ogni evoluzione.

Giuseppe Bottai

E’ anche merito tuttavia proprio della scarsa chiarezza ideologica del fascismo se le eresie prodotte vengono più o meno tollerate. L’imbarazzo talvolta è tale che, Bottai stesso, si chiede come mai l’Italia – se stato forte crede di essere – non ha il coraggio di accettarle come SUE quelle idee invece che perseguitarle!

Stessa diffidenza, per il contatto degli intellettuali con le fonti non fasciste della cultura europea e d’oltreoceano. Per Bottai sono pregiudizi senza senso, sarebbe stata la morte della cultura senza l’osmosi straniera. E più volte è costretto ad intervenire.

Nel 1926 Bottai diventa sottosegretario al Ministero delle Corporazioni. Tra il gennaio e l’aprile del ’27 s’impegna nella stesura del primo statuto dei lavoratori nella storia italiana: la “Carta del Lavoro”. Per divulgarne i contenuti fonda una terza rivista DIRITTO DEL LAVORO; istituisce cattedre universitarie per l’approfondimento delle Scienze Corporative.

Nel ’29 entra nel Gran Consiglio. Contemporaneamente da Sottosegretario diventa Ministro delle Corporazioni, dicastero che terrà fino al ’32.

Mussolini e Bottai

Lo stato corporativo, idea nata dalla dottrina sociale della Chiesa di Leone XIII, ripresa da D’Annunzio e maturata in Mussolini fin dal 1919, è un sistema con il quale si ritiene di poter cancellare la lotta di classe mediante una concertazione degli interessi tramite ragionevoli accordi fra le diverse categorie dei produttori e dei consumatori, organizzate in corporazioni. Fatto interessante: della categoria dei produttori farebbero parte sia gli operai che gli imprenditori.

Mussolini e Bottai

In linea con il suo pensiero, per Bottai, anche gli intellettuali dovrebbero organizzarsi corporativamente nel Sindacato dei Professionisti e degli Artisti. Il primo novembre del 1930 è nominato per chiara fama professore di Politica ed Economia Corporativa all’Università di Pisa.

Intanto, fra il ’27 ed il 1931, è accaduto che la rivalutazione della lira voluta da Mussolini, se da un lato ha offerto all’Italia un certo prestigio internazionale, dall’altra, comporta una compressione salariale di oltre il 30% sullo stipendio. Il risultato è la riduzione dei consumi e la ristagnazione.

Giuseppe Bottai – Soggiorno a Salsomaggiore

Libro e moschetto

E’ il 1932! Mussolini parla di libro e moschetto, ma a parte il vecchio fucile, quanto al libro rimane ancora tutto da scrivere. Il progetto ideologico di Bottai ancora non approda a risultati tangibili. Nei discorsi di Mussolini non ve ne è traccia, con l’aggravante però che si glori ancora di un suo fascismo dalle origini irrazionali ed istintive.

Inaugurazione del Museo di Nemi: Mussolini e Bottai

Sul XIV volume della Enciclopedia Italiana diretta da Giovanni Gentile pubblicata proprio in quell’anno infatti scrive: “Il fascismo è un movimento rivoluzionario a moto ondoso con alcuni postulati fondamentali destinati anch’essi a mutare a seconda delle circostanze. Il partito non è stato tenuto a balia da nessuna dottrina, esso nasce da un bisogno di azione ed è azione.

Lotta sincera contro tutti i liberalismi democratico-massonici, di cui disprezziamo l’egalitarismo che nasce dal suffragio universale”. Quanto a se stesso, Mussolini aggiunge una precisazione che fa riflettere “L’unica dottrina che ho vissuto è stata per dieci anni quella socialista, fra il 1903 ed il 1914”.

Giuseppe Bottai (a destra)

Altro aspetto emblematico, sempre sulla stessa Enciclopedia lo storico Gioacchino Volpe aggiunge che, nel 1920, Lenin ha rimproverato il dirigente comunista Nicola Bombacci del fatto che le sinistre si siano lasciate sfuggire l’unico uomo capace di fare la rivoluzione in Italia: Benito Mussolini.

Tra il ’29 ed il ’33 la crisi economica comincia a colpire duramente, la disoccupazione ufficiale passa da circa 300.000 a un milione e centomila unità di cui 700.000 solo nell’industria. Per fronteggiare la crisi il Regime si attiva per la riorganizzazione nazionale delle imprese e delle banche.

Giuseppe Bottai seduto su un masso lungo la riva sabbiosa di un corso d’acqua – Reparto A.O.I. (Africa Orientale Italiana)

Nasce l’IMI e l’IRI

Bottai non è entusiasta dei provvedimenti che adotta Mussolini, lui considera l’uscita dal collasso economico non tanto come un assestamento tecnico, quanto un problema morale che esige soluzioni in profondità e che si possono ottenere solo applicando in pieno il pensiero corporativo.
Gli industriali non hanno alcun entusiasmo di vedere Bottai immischiarsi nel loro lavoro, tuttavia abbozzano; la soluzione corporativa offrirebbe protezioni doganali e minor costo degli operai.

Molti deputati liberalfascisti sono in contrasto con Bottai; ribadiscono che l’azione del Governo non deve insistere solo sul metodo corporativo ma deve integrarsi anche con soluzioni capitalistiche tradizionali, lasciando praticamente intatte le vecchie leggi della economia.

Il problema è che la svolta che vorrebbe Bottai non solo vede gli industriali impreparati ma anche i lavoratori! che vengono a trovarsi all’improvviso non più di fronte al vecchio conflitto salariale che porta allo sciopero, ma dinanzi allo scontro dialettico: un modo nuovo che avrebbe richiesto una forte abilità di mediazione …e capacità che lo stesso sindacato fascista non possiede.

Peraltro il sindacato, è ormai talmente burocratizzato dalle nomine di partito che per dargli entusiasmo si sarebbe dovuto tornare alle libere elezioni dei delegati.

Mussolini non ritiene opportuno procedere nello scontro con la Confindustria, come invece avrebbe voluto Bottai. Nel 1933 viene varato l’Istituto per la Riconversione Industriale: l’IRI, con il quale si rileva la maggioranza del pacchetto azionario delle aziende in crisi e se ne continua la gestione con il tradizionale sistema capitalistico, mentre gli industriali che ne posseggono la proprietà ne diventano i manager per conto dello stato.

Anche l’IRI viene formalmente inserita nel progetto dello stato corporativo, ma è una soluzione blanda che Bottai non ama trovandola ben lontana dalla sua idea. Cerchiamo tuttavia di leggere in profondità le ragioni del fallimento del corporativismo di Bottai.

Il filosofo Ugo Spirito mette in evidenza che il nocciolo critico del corporativismo è il concetto di proprietà. La Carta del Lavoro – di cui Bottai e’ uno dei maggiori artefici – ha già affermato il carattere sociale della proprietà privata e della produzione, questo principio imposta il lavoro dell’imprenditore non più sul diritto del possedere bensì sulla funzione manageriale.

Quello che necessita all’impresa dunque non è l’aggressività economica ma la totale fusione tra capitale e lavoro, e questo può avvenire solo corporativizzando ogni impresa fra i lavoratori.

Per evoluzione dunque, il controllo societario si sposterebbe di mano, passando dal Capitale ai lavoratori produttori, i quali diventano proprietari delle corporazioni in proporzione al loro stipendio e grado gerarchico.

Lo stato corporativo diverrebbe così uno stato fortemente sociale che, a ragione, sconcerta il capitalismo della vecchia aristocrazia terriera e finanziaria che ha sostenuto il primo fascismo.

Tuttavia, nonostante l’incoerenza economica del regime, è da rilevare che nel 1940 l’IRI controlla circa il 40% delle aziende ed in questa politica di acquisizione pubblica, l’Italia, nel mondo è al secondo posto dopo l’Unione Sovietica.

Dal 1933 al 1934 Bottai è presidente dell’INPS. Fondamentali sono i suoi provvedimenti per l’assistenza e le assicurazioni. Con entusiasmo si adopra per la lotta contro la tubercolosi il cui morbo – proprio in quegli anni – viene finalmente debellato.

A gennaio del ’35 è Governatore di Roma. Ironico, appena insediatosi, scherza “Bisogna che trovi subito il modo per fare una bella multa a mio padre!” Nonostante il successo del figlio infatti, il padre Luigi, vecchio repubblicano, lavora ancora come vinaio in Piazza Indipendenza.

E’ un periodo fortunato. Nella Capitale fervono grandi lavori. Bottai stesso promuove personalmente la progettazione di quello che poi sarebbe diventato il manifesto della architettura razionale in Italia: l’EUR 42.

Nell’autunno del ’35 partecipa alla campagna d’Etiopia, si arruola volontario, orgoglioso del fatto che si tratta della prima guerra del corporativismo fascista. Per un breve periodo è al comando di truppe che marciano verso Addis Abeba.

Roma – R. Convitto Nazionale – Il Ministro Bottai inaugura il primo Corso nazionale per Direttori Didattici

Il 22 novembre 1936, per sette anni, fino al febbraio 1943 Bottai è alla guida del Ministero della Educazione Nazionale. Vi serpeggia il malcontento, la fascistissima Riforma Gentile ha impostato il cuore dell’educazione sull’asse ginnasio-liceo-università, in forma rigorosamente selettiva.

Con gli anni però ci si è resi conto che essa è così elitaria che in pratica impedisce lo sviluppo di una istruzione di massa, favorendo esclusivamente l’aristocrazia, a discapito dei piccolo borghesi e dei meno abbienti.

Agli studenti che non superano le prove di ammissione non resta che accontentarsi della licenza elementare, o iscriversi agli Istituti di tipo tecnico, e professionale.

Paradossalmente è accaduto che proprio per l’efficacia dello stato totalitario la Riforma è stata applicata a fondo. Si è venuta a creare una situazione dalla quale è difficile tornare indietro. I fascisti non la vogliono ma tutti sono incerti sul modo di correggere quanto vi è di sbagliato.

Ispirandosi al pragmatismo americano, il primo intervento di Bottai, è quello di dare ampio spazio proprio agli istituti tecnici ed al liceo scientifico, aprendo loro le porte dell’Università. Eppoi migliora le scuole professionali che acquistano dignità, diventano alternative interessanti.

Quanto ai criteri selettivi fa sì che la scuola promuova gli studenti non più solo in base alle nozioni ma anche al valore profondo delle attitudini. E ancora. Nella didattica introduce il contestatissimo lavoro manuale, ritenendolo un momento di stimolo che mette in relazione la teoria con la realtà.

Non dimentica di valorizzare la società contadina, ponendo l’attenzione sulle scuole rurali, ai cui giovani offre strumenti non inferiori a quelli della città e tali da convincerli a rimanere nel loro mondo non per ripiego ma per la consapevolezza di essere il nerbo della nuova economia autarchica.

Eppoi, in ultimo, Bottai completa la sua riforma introducendo un mezzo didattico favoloso: il cinema, radicando quel fervore creativo che nel dopoguerra produrrà il grande fenomeno del Neorealismo.

Alla direzione del Ministero dell’Educazione Nazionale è coadiuvato da Cesare Brandi, Giulio Carlo Argan, Roberto Longhi. Si adopera per la riforma della Sovraintendenza alle Belle Arti, l’Istituto Centrale del Restauro.

E’ da porre ben in chiaro che la crisi culturale del fascismo non nasce da un prevalere di idee ad esso esterne ma è una agonia autoindotta per colpa della preponderante forza di castrazione del Regime, che tende a spegnere ogni scintilla di originalità che nasca da quel gruppo della cosiddetta “covata Bottai” come la definisce Mussolini.

A dire il vero, Bottai non è l’unico mecenate del Ventennio, in realtà ogni gerarca dirige e fa nascere intorno a sé mostre d’arte, riviste, giornali ed ha un gruppo di intellettuali al suo servizio, fra questi si distinguono Ciano, Pavolini, Balbo, Farinacci. Se si vuole, Bottai in questo senso potrebbe essere uno dei tanti, ma è l’ampiezza delle idee e la qualità che lo distingue dagli altri.

Si badi bene: il lavoro filosofico che porta avanti Bottai non ha come scopo la realizzazione di un libro da stampare che racchiuda l’ideologia fascista; il suo è un volume organico totalizzante nel quale sono gli uomini ed il loro pensiero a costituire l’insieme delle pagine. Il libro di Bottai in realtà è un popolo! Che vede l’ideologia come l’insieme delle idee nuove che rivoluzionano il paese.

Il ’38 è l’anno orribile delle leggi razziali. In agosto Bottai procede alla epurazione sistematica degli ebrei dalle scuole pubbliche, sia insegnanti che studenti. Una svolta estremamente grave e senza attenuanti; a nulla serve che si permetta alle comunità israelitiche di organizzare istituti scolastici privati. Fatto sta che la pace sociale è scomparsa, l’Italia è umanamente un paese in crisi.

Anche Bottai, come Mussolini, ha accolto l’idea di Julius Evola secondo cui il razzismo è un concetto spirituale e non materialistico, deducendo che la personalità degli ebrei è troppo diversa da quella dell’Italia fascista, che è romana e cattolica. Ecco perché non possono più avere né funzioni direttive, né educative.

Nei confronti degli ebrei italiani, il Governo fascista adotta la discriminazione, non la persecuzione, come invece accade in Germania. Però ciò non solleva il Regime né dalla colpa né dalla vergogna di aver attuato, in Italia, nel ventesimo secolo, una pratica del tutto esclusa alla nostra cultura ed estranea perfino agli antichi romani, a cui, Mussolini stesso, si ispira.

L’antisemitismo di Giuseppe Bottai è inaccettabile, soprattutto perche’ espresso da una mente così fine; è un razzismo inatteso, non previsto e stupisce molti.

Bisogna dargli atto comunque d’essere stato tra i pochi a difendere gli artisti ebrei contro la persecuzione dei più fanatici. Ma anche questa difesa ha dell’ambiguo. Pare più una salvaguardia del suo progetto culturale che una ribellione all’antisemitismo. Si rende conto che sotto l’accusa di ebraismo si nascondono i rigurgiti di un gusto artistico profondamente reazionario che rischia di mandare in rovina tutto il suo lavoro.

A tanti anni di distanza ci si chiede ancora se debba pur esistere un fatto, una chiave, qualcosa che faccia comprendere questa sua scelta così inaccettabile! Viene il sospetto, indagando, che da un certo punto in poi nella vita, la sua personalità abbia subito poco a poco una così profonda scissione emotiva che il Bottai cittadino, il Bottai uomo sia stato sopraffatto e fagocitato dagli impegni del Bottai intellettuale!

Gli si è spezzato il cuore dalla mente. Ormai è schiavo della coerenza, forse ha compreso che non può tessere l’arcipelago ideologico del fascismo senza inserirvi per forza anche le leggi razziali, pur ripugnanti ma a suo avviso necessarie! Ormai è un uomo accecato dal suo stesso scopo, ipnotizzato dal suo stesso metodo! Perciò perdendo la consapevolezza di quanto il razzismo sia un aspetto umano terribile!

Nel 1938 anche Farinacci entra nell’agone artistico e gli si contrappone istituendo per la pittura il “Premio Cremona”, cui, due anni dopo Giuseppe Bottai risponde con il Premio Bergamo. Nessuno dei premiati a Cremona segnerà la storia dell’arte del novecento, i premiati a Bergamo invece ne sono tutti protagonisti a cominciare da Renato Guttuso premiato nel ’42.

Ma se da un lato Bottai ha fatto un increscioso passo indietro con il sostegno alle leggi razziali, dall’altro, solo due anni dopo, compie il gesto culturale più rivoluzionario di tutto il Ventennio e per cui rimane famoso ancor oggi.

Fonda la rivista PRIMATO, che esce quindicinale fra il marzo del ’40 ed il luglio del ’43, durante la guerra. Tra l’altro la ragione immediata della sua nascita è la necessita’ di arginare la cultura germanica che si fa strada in Europa con l’irrompere delle truppe corazzate.

Dinanzi al totalitarismo nazista Bottai mobilita tutta l’intelligenza italiana accantonando ogni pregiudizio ideologico inserendo nel gruppo di redazione anche quegli intellettuali ormai lontani dal fascismo. L’eccezionalità dei tempi legittima questa scelta davvero controcorrente.

Tramite Bottai Mussolini si è appellato agli uomini di prestigio della cultura italiana per dare senso ad un conflitto che forse non ha voluto ma in cui si trova fatalmente impelagato e di cui comunque deve dare spiegazione al paese.

Bottai nella Legione Straniera

Anche se in pratica Bottai non riesce a creare solidarietà intorno al Regime morente, possiamo dire, tuttavia, che il fascismo della fine offre di sé una immagine quanto mai anomala ed estremamente tollerante. Una tolleranza che nasce certo dalla disperazione della sconfitta ma anche e sempre da quella deficienza ideologica delle origini che nonostante tutto non si è riusciti a colmare.

Elementi di antifascismo, pur sfumato, compaiono spesso su PRIMATO, alcuni a firma di Carlo Morandi. Altri per mano di Cesare Pavese, Renato Guttuso, Mario Alicata, Giaime Pintor ed altri uomini, che poi sarebbero diventati partigiani e nel dopoguerra leader della cultura liberale, o comunista.

E’ un inquieto liberalismo questo del tempo di guerra, il cui merito va ascritto alla fiducia ed al potere personale che Mussolini ha voluto dare a Giuseppe Bottai. Perché sia chiaro, mentre il potere di molti Gerarchi proviene dal rassismo ed è in un certo senso concreto, quello di Bottai sussiste esclusivamente per l’intima confidenza che lui ha con Mussolini.

Senza il consenso di Mussolini, Bottai non avrebbe potuto realizzare nulla. Questa è la sua immensa forza, ma anche la sua grande debolezza.

Unico vero complice di Grandi, in Gran Consiglio, il 25 luglio vota contro il Duce. Sa di aver perso tutto. Ma è anche consapevole che la sua sconfitta non è esente da colpe morali che sente di dover assolutamente espiare. Dopo alcune peripezie, ad Algeri, con il nome di Andrea Battaglia si arruola nella legione Straniera, combatte eroicamente, nella Francia meridionale, contro i tedeschi.

Ed è una lotta reale, mettendo in gioco la vita. Un modo per ritrovare il coraggio della ribellione cruda. Cancellare di sè quelle scelte, quei pensieri, che lo specchio dell’anima non può più soffrire! E rabbia… che per un oscuro amore non ha avuto la forza, un tempo, di urlare in volto all’amico Mussolini.

https://www.youtube.com/watch?v=Jr8aQJBG6P8

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