a cura di Cornelio Galas
Le ho trovate su alcuni vecchi numeri di “Patria Indipendente”. In una rubrica – curata da Wladimiro Settimelli – che non avrebbe bisogno di presentazioni e forse nemmeno di didascalie: parlano (eccome se parlano) le immagini. Comincio con alcune fotografie di “inviati” russi al fronte della seconda guerra mondiale. Ecco cosa dice al riguardo Settimelli:

Wladimiro Settimelli
Il mito dei fotografi di guerra americani, della loro capacità di essere sempre sul posto al momento giusto, il mito della grande agenzia “Magnum” e dei suoi “inviati”, il mito del fotoreporter di guerra che muore sul campo scattando l’ultima immagine, fanno ormai parte della storia della fotografia e non solo. Ne sono state pubblicate a migliaia sull’americano “Life”, sul francese “Paris Macht” e sulle grandi riviste tedesche, italiane e giapponesi del dopoguerra.
Sotto il nazismo, invece, era la notissima “Signal” che pubblicava immagini di guerra edulcorate. Una guerra sempre vittoriosa e dilagante in tutta Europa. Le fucilazioni, gli strazi e i campi di sterminio, non comparvero mai sulla rivista tedesca. Su “Life”, invece, vennero pubblicate immagini straordinarie della guerra di Spagna, dell’aggressione giapponese alla Cina, dell’invasione nazista della Francia e dell’Urss, dell’invasione del Belgio e poi di altre grandi battaglie della Seconda guerra mondiale.

Robert Capa
Nomi come quelli di Robert Capa, di Cartier Bresson, di Burrows, di Duncan, di Mac Cullin e di tanti altri, sono conosciutissimi e fanno, appunto, parte del mito della “verità“ raccontata con le immagini. Per colpa della guerra fredda, invece, il lavoro dei fotografi di guerra dell’Unione Sovietica è sempre stato tenuto nell’angolo e mai valorizzato a dovere. Fu invece un lavoro straordinario fatto, come sempre per i fotografi di guerra, con coraggio e abnegazione.
Nell’allora Unione Sovietica, il rapporto con l’immagine realista, con la fotografia, con il cinema non retorico e di regime, era solido e autentico: cementato dai grandi film di Eisenstein, dal lavoro di Dovzenko, da quello di Vertov, da quello dei futuristi e di tanti altri straordinari sperimentatori usciti e “prodotti” della rivoluzione del 1917.
Da noi, fu negli anni ’70 che cadde il silenzio su alcune straordinarie fotografie pubblicate in tanti libri e riviste. Cadde con una prima grande mostra dei fotografi di guerra sovietici che si tenne alla Galleria il “Diaframma-Canon” di Milano, diretta da Lanfranco Colombo. Altra mostra, poco dopo, a Roma, alla celeberrima “Bottega dell’Immagine”. Nel frattempo, era uscito a Praga il libro “Fotografovali Valku”, appunto sui fotografi di guerra russi.
In più erano state allestite un paio di mostre anche negli Stati Uniti. Fu subito un gran parlare di tante straordinarie fotografie scattate dagli operatori e dagli inviati al fronte, da un Paese che aveva avuto, nella Seconda guerra mondiale (“la grande guerra patriottica”, come viene chiamata ancora oggi) oltre venti milioni di morti. Insomma, il libro, le mostre e il grande successo di quelle fotografie rappresentarono, negli anni ’70, una specie di grande “risarcimento” morale ai fotografi sovietici che, in guerra, al seguito dell’Armata Rossa, avevano fatto, soldati tra i soldati, un gran lavoro.
È sempre negli anni ’70 che conosco a Roma e stringo amicizia con uno di quei grandi fotografi dell’Urss, forse il più grande: Dmitrij Baltermans con il quale parlai per giorni e giorni e che, alla fine, mi regalò alcune foto straordinarie. Una in particolare: quella di una strage, considerata tra le dieci migliori fotografie scattate in tutto il mondo, durante la Seconda guerra mondiale.
Quasi tutti i grandi fotografi sovietici furono insigniti di decorazioni importanti. Qualcuno morì in guerra, altri riportarono ferite gravissime. Vennero, comunque, sempre considerati “Eroi dell’Unione Sovietica”. Avevano lavorato tutti per la “Komsomolskaja Pravda”, per la “Pravda” e per decine di altri giornali più piccoli e riviste poco conosciute fuori dall’Urss.
Ecco qualche nome di quei grandi fotografi in divisa: Jewgeni Chaldej, Max Alpert, Robert Diament, Mark Markov-Grinbert, Olga Lander, Gheorghi Lipskerov, Marco Redkin, Galina Sanko, Michail Savin, Ivan Scianghin, Gheorghi Selma, Serghei Strunnikov e Alexandr Ustinov.
Strunnikov, che veniva dal cinema, scattò quella terribile fotografia della partigiana Tania torturata e poi impiccata. Sulla “Pravda”, in guerra, erano apparse ben 130 sue immagini. Cadde con la macchina fotografica in mano (come Robert Capa, in Vietnam) nel corso della liberazione di Poltav.
Molti dei fotografi sovietici arrivarono fin nel cuore di Berlino. Altri rimasero sparsi sui vari fronti, nell’immenso territorio dell’allora Unione Sovietica. Le loro foto sono quasi sempre straordinarie: cariche di umanità, di dolore, di gioia, di angoscia e di voglia di battersi per cacciare l’invasore. Immagini esemplari e bellissime, se così si può dire: al pari di tutte quelle scattate dagli altri grandi e famosi fotografi dell’Occidente. C’è come un sottile filo rosso che, comunque, lega le une alle altre. Forse è il comune dolore per un così tanto ingiusto massacro.

Un ufficiale, sul fronte del Don, ordina di andare all’assalto. La foto è di Gheorghi Selma.

Distruzioni e devastazioni naziste nei dintorni di Mosca. La foto è stata scattata da M. Redkin.

Il titolo di questa fotografia di M. Alpert è “Profughi”. Somiglia ad altre terribili fotografie di profughi della Seconda guerra mondiale, scattate per le strade di tutta Europa. E somiglia anche a quelle dei profughi della guerra di Spagna, del Vietnam e a quelle sulle strade della ex Jugoslavia.

Questa fotografia della sfilata del 7 novembre del 1941 sulla Piazza Rossa, a Mosca, scattata da A. Ustinov, non dice tutto. I soldati, infatti, sfilavano sulla neve armati di tutto punto e, appena girato l’angolo, andavano direttamente al fronte a qualche chilometro di distanza. Mosca pareva, ormai, sul punto di cadere, ma le truppe tedesche non riuscirono mai ad entrare nella città.

La celeberrima e terribile fotografia di S. Strunnikov, scattata alla partigiana “Tania” nel 1942. “Tania” Eroe dell’Urss, come dice la didascalia originale, venne “torturata e impiccata dai fascisti”.

Questa, invece, è stata ripresa da G. Sanko, nel 1941, ad un gruppo di soldati trovati morti nella neve.

Sono arrivati i rinforzi dalle lontane zone asiatiche dell’Urss. Un soldato appena reclutato giura, come si usava nell’Armata Rossa, sul fucile che gli è stato appena consegnato. La foto è di M.M. Grinbert.

Stalingrado, assediata dai nazisti, come appare da una spettrale foto aerea scattata da G. Selma.

Ancora una fotografia di G. Selma che seguì tutti i combattimenti per le strade di Stalingrado assediata. Le foto di Selma di quei mesi terribili, fecero il giro del mondo e suscitarono grande ammirazione e commozione.

Questa foto è stata scattata da I. Scianghin in una zona imprecisata del fronte. È intitolata: “Commissario politico ferito”. Il commissario pare indicare o ordinare ai soldati di andare comunque all’attacco anche se lui, forse, non è in grado di muoversi.

M.M. Grinbert è nella trincea con i soldati mentre riprende questa fotografia. Siamo nel 1943, nella zona di Kursk. Un carro armato passa sulle teste di quelli che sono al riparo.

II titoli dati dai fotografi sovietici alle loro immagini sono sempre semplici e lapidari. M. Savin, titola questo scatto semplicemente: “Azione di fanteria”.

Il 31 gennaio del 1943, a Stalingrado, il feldmaresciallo von Paulus viene fatto prigioniero. La foto è stata scattata da G. Lipskerov, proprio nel momento in cui il comandante nazista arriva nel bunker dello Stato Maggiore sovietico per un primo interrogatorio.

Due (con quella sotto) straordinarie immagini di M. Redkin. Siamo nel 1943 e un villaggio è stato appena liberato dalle truppe nemiche. Le contadine, accompagnate dai soldati, rientrano nelle case. La più anziana ha in braccio una immagine sacra.

In una zona imprecisata del fronte, Dmitrij Baltermans ha ripreso questa fotografia di un gruppo di artiglieri che stanno spostando un cannone anticarro. I soldati, nell’acqua e nella nebbia, paiono usciti dall’inferno.

Nei dintorni di Mosca, nel 1942, un gruppo di fanti scatta all’attacco. È ancora una fotografia di Dmitrij Baltermans.

Questa è una delle più terribili e famose fotografie di D. Baltermans. È stata giudicata una delle dieci più importanti immagini della Seconda guerra mondiale. Venne scattata, nel 1942, nella penisola di Kerch. Il fotografo ha sempre raccontato di essere sbarcato da un peschereccio e di essersi trovato all’improvviso di fronte a quello strazio. Scattò e scattò non molte fotografie – spiegava ogni volta – continuando per tutto il tempo a piangere.

Ed ecco i fotografi sovietici finalmente a Berlino. Siamo nel 1945 e M. Redkin ha fatto questa fotografia ad un soldato tedesco davanti al Reichstag. L’immagine non ha bisogno di alcun commento: è davvero la fine.

Con l’Armata Rossa, anche Jewgeni Chaldej, uno dei grandi della fotografia di guerra sovietica, è arrivato a Berlino. Ecco alcune delle sue notissime fotografie realizzate tra maggio e aprile, mentre i soldati innalzano la bandiera rossa sui più importanti centri di potere nazisti: all’aeroporto di Tempelhof, alla Porta di Brandeburgo e sul Reichstag. Le foto, a Mosca, finirono direttamente sul tavolo di Stalin.

Anche questa, è una fotografia pubblicata, ancora oggi, su giornali, riviste e libri in tutto il mondo. Venne scattata il 24 giugno del 1945 sulla Piazza Rossa, a Mosca, al termine della “Sfilata della vittoria”. Fu ripresa dal solito Jewgeni Chaldej.