FOTO E STORIE DI GUERRA – 6

a cura di Cornelio Galas

Nella foto di copertina: Un ufficiale italiano accanto ad un povero “prigioniero” libico appena arrestato

di Wladimiro Settimelli (2005)

Ogni tanto tornano le polemiche con la Libia di Gheddafi a proposito dei danni di guerra italiani. Danni che ci furono, eccome. Noi occupanti, dal 1911, riempimmo di mine intere zone e, dopo, con il fascismo, trasferimmo popolazioni dalle zone coltivabili del gebel nel deserto dove erano stati preparati appositi campi di prigionia nei quali migliaia di libici morirono per il caldo e la fame.

Molti altri furono, invece, trasferiti a Ustica, Lipari e Tremiti, come confinati politici pericolosi. In quei luoghi, i “politici” libici si ritrovarono a contatto con i confinati politici italiani, “mandati in vacanza” dal fascismo, per anni e anni. La storia dell’occupazione della Libia risale al 1911, quando il governo Giolitti decise che gli italiani volevano la “quarta sponda” per trasferirvi i più poveri tra i contadini italiani.

Fu, come al solito, una beffa e la Libia si rivelò subito per quel che era: un povero paese e uno “scatolone di sabbia” che non avrebbe potuto, in alcun modo, dare una mano agli emigranti italiani. In Patria, vi furono grandi manifestazioni socialiste per bloccare i treni che portavano i nostri soldati all’imbarco per la Libia, ma ci fu anche una parte del Paese che credette davvero ad un angolo di mondo che poteva diventare “nostro” a scapito degli abitanti locali.

L’Italia giolittiana arrivava buon’ultima alla conquista di una colonia, dopo le altre grandi nazioni europee. In particolare Francia, Inghilterra, Germania, Belgio, Portogallo e Spagna. I nostri sbarcarono in Libia, allora sotto il dominio dei Turchi, pensando ad una facile conquista. Ma non fu così. Dopo una serie di iniziali successi, le nostre truppe furono spesso battute da libici e turchi che combattevano uniti.

Ci fu subito una paurosa ribellione a Tripoli e nelle oasi dei dintorni. In particolare l’11° Reggimento bersaglieri, nel corso di un durissimo attacco, venne sterminato quasi al completo. I bersaglieri già morti furono, secondo l’uso locale, evirati, cucite le bocche e gli occhi. Gli italiani, dal canto loro, non usarono mezze misure: incendiarono, uccisero a baionettate i ribelli, sventrarono e violentarono le donne, massacrarono i vecchi. Insomma, fecero quello che tutti gli occupanti fanno, di solito, in un paese appena conquistato.

Un giorno, nella piazza principale di Tripoli, furono anche impiccati, per dare un esempio, quattordici capotribù. Con il fascismo al potere, Mussolini decise che la Libia doveva essere “riconquistata” anche nell’interno. Ebbe così inizio il trasferimento delle popolazioni e l’apertura dei grandi campi di prigionia (in quello famoso di el Agheila morirono migliaia di libici).

Poi ebbero inizio i grandi bombardamenti e l’uso “sperimentale” dei gas asfissianti. Certo, avevamo costruito alcune strade, alcuni palazzi e messo in piedi aziende modello, ma i libici, “stranamente”, volevano la libertà. Il grande capo partigiano Omar el Muktar, che non aveva mai smesso di lottare, venne fatto prigioniero e impiccato. Oggi, in Libia, viene considerato l’eroe nazionale della resistenza agli italiani.

Le nostre foto, questa volta, vengono dalla mia personale collezione e sono state scattate dal capitano Armando Mola, un bravo dilettante che venne spedito a Tripoli. Non si accontentò di scattare foto “eroiche”, ma cercò di documentare quello che aveva visto.

Qualche data per inquadrare meglio la situazione. La dichiarazione di guerra dell’Italia alla Turchia, viene consegnata il 29 settembre del 1911 e il 2 ottobre viene chiesta la resa della piazza di Tripoli. È il 3 ottobre quando le corazzate italiane bombardano la città. Il 5, comandati da Umberto Cagni, sbarcano a Tripoli 1.732 marinai. L’11 ottobre sbarcano i contingenti del corpo di spedizione: si tratta di fanti, bersaglieri e truppe di colore, al comando del generale Caneva.

Il 23 ottobre, si svolge la battaglia di Sciara-Sciat. Turchi e arabi attaccano i bersaglieri alle spalle ed è una strage. Gli italiani operano, in risposta, una durissima e indiscriminata repressione. Secondo i libici, vengono massacrate più di mille persone tra uomini, donne e bambini.

I pontoni da sbarco con le truppe di colore italiane stanno attraccando alla banchina del porto di Tripoli.

Fanteria in marcia. In un primo momento, la breve avanzata italiana nell’interno non incontrò ostacoli.

Bersaglieri, fanti e marinai, issano la bandiera italiana sui forti di Tripoli. In un primo momento, solo i marinai al comando dell’ammiraglio Umberto Cagni, sbarcarono a Tripoli e tennero la città fino all’arrivo dell’intero corpo di spedizione

I bersaglieri hanno preso terra e sono in attesa di una sistemazione. C’è anche un primo contatto con un abitante della zona.

Al centro, il generale Caneva con il suo stato maggiore, posa per una foto ricordo nel forte di Tripoli.

Alcuni libici appena arrestati e chiusi in un recinto del forte di Tripoli

Un “ribelle” libico è stato appena catturato. Con un fucile italiano in spalla, viene messo in posa davanti alla macchina fotografica del capitano Armando Mola.

Due fanti piazzati in un avamposto in mezzo al deserto. Devono controllare decine e decine di chilometri di territorio “ostile”.

Il 24 ottobre, alle 13,30, un ufficiale turco si presenta alle linee italiane per intimare la resa. Viene bendato perchè non veda gli apprestamenti difensivi e poi condotto dal colonnello Gustavo Fara che comanda l’11° Reggimento bersaglieri. Gli italiani non accetteranno di arrendersi e saranno tutti sterminati.

La terribile fotografia dei quattordici capotribù impiccati sulla Piazza del Pane, al centro di Tripoli. È il 6 dicembre del 1911. Gli occupanti hanno voluto dare una “lezione” alla popolazione. L’ «esempio» non sarà mai dimenticato dai libici.

. Il comandante la Terza Divisione, generale De Chaurant, visita alcune postazioni nel deserto, a bordo dell’auto del comando. La macchina suscita grande curiosità in un gruppo di ragazzini libici.

Un posto fortificato nel deserto allestito dagli italiani. È anche fornito di un apparato fotoelettrico.

Ancora l’impiccagione di due spie turche nel cuore di una oasi conquistata dagli italiani. Il problema dello spionaggio era diventato quasi una ossessione per le truppe occupanti. In realtà, come in tutte le guerre di resistenza, erano gli abitanti che segnalavano ai combattenti i movimenti delle nostre truppe.

Il più celebre e celebrato personaggio della resistenza libica all’occupazione degli italiani. Si chiamava Omar el Muktar e quando venne impiccato per ordine di Rodolfo Graziani aveva 69 anni. Ancora oggi, in Libia, è considerato uno dei “padri della Patria”

Il capitano Armando Mola, appassionato fotografo e ufficiale di carriera. Sono sue le fotografie della nostra “Fotostoria”

 

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