a cura di Cornelio Galas
di Wladimiro Settimelli
In queste povere, misere, piccole fotografie di personaggi, “banditi” e ufficiali, fucilati o impiccati, non c’è sventolio di bandiere e non arrivano gli echi delle bande militari che sbuffano e suonano per “l’Italia nuova”, “l’Italia unita”, “l’Italia di tutti”. C’è invece un mondo terribile, durissimo, fatto di repressione e di sangue, di sadiche e terribili manipolazioni di corpi, di falsi fotografici incredibili e sconvolgenti.
È il mondo del “banditismo meridionale” nel corso dell’unità d’Italia, un fenomeno andato avanti per anni (in pratica dal 1861 al 1870) e del quale, nei libri di testo delle scuole, non si parla quasi mai. Anche la storiografia ufficiale postunitaria ha sempre fatto finta di nulla e il fenomeno, dunque, è rimasto in parte clandestino.
Sì, certo, carte, lettere, documenti, ordini, sono negli archivi a testimoniare il primo e terribile approccio dello Stato sabaudo con i problemi del Sud, dopo il crollo del regno borbonico. Ma i musei storici, purtroppo, continuano a rimanere deserti e in pochi sanno o hanno visto.
Ed eccole le piccole fotografie “carte de visite”, del formato 6 x9 che occhieggiano dalle vetrine del Museo dell’Arma dei Carabinieri a Roma, o da quelle del vecchio e malandato Museo torinese fondato da Cesare Lombroso. Ma anche quelli da quanti italiani sono stati visitati? Tante di quelle “fotine” sono ormai consunte, labili, appena guardabili e “consumate” dalla luce alla quale sono state esposte per anni.
Un tempo le ho riprodotte per documentare qualcosa che non avevo mai visto nel nostro Paese. Così come ne ho riprodotte, altre, all’Istituto di Storia del Risorgimento di Roma in collezioni sparse. Le foto, me ne rendevo conto per la prima volta durante quelle ore di lavoro a riprodurre, non erano state scattate per documentare un avvenimento nella sua totalità, ma semplicemente come “testimonianza visiva” dell’avvenuta uccisione di uno dei banditi da parte di qualcuno e quindi del suo legittimo diritto a riscuotere una taglia, ad avere un compenso, una “mercede”.
Insomma, il “bounty-killer” non è nato in America, ma qui da noi: in Campania, in Abruzzo, in Molise, in Calabria, durante la caccia ai banditi-contadini, ai ribelli borbonici, ai “prezzolati” dal “Papa re”. Già, perché è tutto vero, anche questo. Come è vero che nella Guardia nazionale, subito costituita dopo la fuga a Roma di Francesco II, erano entrati molti garibaldini smobilitati dal generale con la partenza da Napoli, così come molti soldati borbonici rimasti senza lavoro. Poi erano arrivati molti cacciatori di taglie anche dall’estero.
Tra l’altro andavano in giro vestiti nelle fogge più strane ed erano abituati a vivere e operare da soli. Quindi ecco moltissimi italiani del Nord e la “Legione ungherese”, utilizzata per incendiare paesi e fucilare all’istante chi veniva trovato con le armi in pugno. Tutti, tutti, oltre l’esercito regolare, a caccia dei banditi-contadini.
Così, da una parte, dal 1860 in poi, i generali “legittimisti” Josè Borjes, Tommaso Clary e Rafael Tristany, pagati direttamente da Francesco II, che cercavano di “manovrare” i banditi, adeguatamente legittimati, contro i Savoia usurpatori e dall’altra i generali Enrico Ciadini, Emilio Pallavicini di Priola e il generale Giuseppe Govone che operavano a nome del Regno d’Italia.
È lo stesso Govone, in un rapporto al governo piemontese, che non manca di dire la verità. Scrive: «In nessun Paese del mondo l’agricoltore è tanto povero ed infelice quanto in queste contrade. Egli è macilento, lacero, sudicio, sfinito, triste e muto, e il suo sguardo torvo e fulvo vi dice i suoi rancori ed il suo odio contro i suoi signori, o meglio oppressori…».
Non sono pochi gli ufficiali piemontesi ad accorgersi di come stanno davvero le cose e a segnalare a Torino la situazione. Ma… non ci sono soldi per investimenti, strade, aiuti ai contadini. È molto più facile e semplice ammazzare. Così si sceglie subito la strada della durezza e dell’aperta repressione, con i tribunali militari e la giustizia spiccia spiccia, in tutte le zone del Sud. I generali di Francesco II falliscono l’operazione di trasformare i briganti e tagliagole in ribelli contro gli “usurpatori”.
Anche se il potere temporale del Papa riesce a suscitare un’ondata di pubblicazioni nelle quali i banditi vengono presentati come i “romantici sostenitori della fede e della famiglia”, costretti a rifugiarsi sulle montagne. Così nasce, anche all’estero, la fama di Ninco Nanco, Curcio o Chiavone, delle loro donne e dei loro amori.
Alla fine, spariti e fucilati i generali legittimisti, contro gli “italiani” resteranno a combattere solo i contadini poveri e disperati, i veri banditi e i “piccoli signori della guerra”, in Abruzzo, in Campania e in Molise. Arriva dunque il momento della repressione senza quartiere e senza pietà: si bruciano interi paesi e si massacrano parenti e amici dei banditi. Viene punita anche la popolazione che non aiuta i bersaglieri a trovare i ricercati.
Provincia dopo provincia si impone lo stato d’assedio che permette tutto e oltre ancora. Le esecuzioni sono pubbliche e senza appello. Quanti morti? Diverse migliaia tra banditi, popolani e ufficiali e soldati del regio esercito. Cifre ufficiali non ce ne sono. In pratica, la verità è stata sempre nascosta. Ma quelle “fotine”, le piccole “carte de visite” (grandi come un biglietto da visita) raccontano e spiegano molte cose. Certo, bisogna vederle da vicino e “leggerle”, magari con una piccola lente “contafili”.
Solo così si scopriranno dettagli e particolari incredibili per la nostra sensibilità di oggi e forse anche per quella di allora. Molto spesso i corpi dei banditi uccisi sono legati, in piedi, ad un albero e hanno lo schioppo in mano. Dovevano, evidentemente, sembrare vivi. Altri sono seduti da qualche parte e ancora una volta legati nelle posizioni più assurde. Corde e cinturoni appaiono quasi sempre nascosti.
Vengono organizzate anche terribili messe in scena. Il corpo di un bandito già morto viene posato su una sedia mentre, accanto, un sacerdote benedice. Insomma, come per far vedere che l’assistenza religiosa non è mancata. In altre “fotine” il bandito, come al solito, è morto, ma qualcuno ai lati degli occhi ha sistemato stecchini di legno per mantenere gli stessi occhi aperti. Furono i cacciatori di taglie a far scattare quelle foto orrende?
Forse pensavano che comandi militari avrebbero potuto avere da ridire sul fatto che i banditi non erano stati presi vivi. Altre volte, evidentemente, sono gli stessi comandi militari ad organizzare messe in scena per motivi propagandistici. Le foto, questa volta, sono tutte brutte, miserevoli, non certo eseguite da solidi professionisti.
Hanno lavorato, tra gli spari e le urla, solo il fotografo di paese o il precario dilettante del Sud. Ma, come al solito, le “fotine” raccontano, raccontano. Un pezzo di storia d’Italia è stato tenuto da parte, ma eccola qua. Anche tutto questo è Risorgimento e racconta, comunque, la nascita dell’Italia unita e quel che costò al Sud. Non c’erano solo Cavour, il Re, Garibaldi con i Mille e Mazzini. C’era e c’è stato anche tutto questo.