DOV’E’ FINITO TUTTO QUELL’ORO RUBATO ? – 5

a cura di Cornelio Galas

Dal luglio 1940 al giugno 1943

Dall’inizio della guerra la Svizzera era, con la Turchia, l’unico paese europeo a non avere imposto restrizioni statali incisive sul commercio privato dell’oro. Di qui l’intenso sviluppo
successivo delle transazioni in metallo prezioso; dall’estate 1940, fra l’altro, per le banche commerciali tali operazioni divennero particolarmente interessanti, perché ora il prezzo cominciava a salire. Nei traffici con la Reichsbank, dapprima la BNS restò in secondo piano rispetto alle banche commerciali; dopo le transazioni avvenute fra i due istituti d’emissione in marzo e in maggio, la BNS tornò ad acquistare oro dalla Reichsbank solo nell’ottobre 1940.

Il contesto politico degli acquisti di oro nel secondo periodo, cioè a partire dalla metà del 1940, era del tutto diverso rispetto a prima della sconfitta francese e dell’entrata in guerra dell’Italia. Con una rapidità che atterrì e impressionò gli osservatori dell’epoca, la Germania s’impadronì di vaste parti dell’Europa settentrionale e occidentale; nelle élites militari e politiche della Svizzera emersero voci secondo cui il paese, nel «nuovo ordine europeo» dominato da Hitler, doveva organizzare la propria esistenza nel modo più vantaggioso possibile.

Il pubblico svizzero di allora, tuttavia, era estremamente eterogeneo quanto al desiderio di allinearsi alle prerogative politiche ed economiche del Terzo Reich; altrettanto virulenti, perciò, erano gli scontri politici di opinione sul ruolo adatto per la Svizzera in un’Europa dominata dal nazismo. L’accordo commerciale del 9 agosto, poi, garantì alla Germania ampie concessioni economiche; nello stesso tempo le industrie dell’Altipiano svizzero cominciarono una conversione a beneficio dell’economia di guerra tedesca.

In un’ottica economica, la smobilitazione parziale e il ritiro nel «ridotto» consentivano di diminuire gli effettivi dell’esercito e quindi di rimettere a disposizione dell’economia svizzera, orientata all’esportazione, una manodopera estremamente necessaria. Una smobilitazione sostanziosa venne chiesta con tutta chiarezza, per intensificare gli scambi con la Germania, anche da esponenti della Banca nazionale.

Il 13 agosto 1940 il suo direttore Max Schwab, dopo la firma dell’accordo economico con il Reich, in una lettera confidenziale dichiarò al consigliere federale Marcel Pilet-Golaz, per esempio, che da parte tedesca era stato fatto osservare come «mantenere il nostro organico militare, probabilmente, ora sia divenuto superfluo».

Schwab cercò di dissipare i timori secondo cui un rapido smantellamento di quell’organico avrebbe potuto inasprire la disoccupazione: una «sensibile smobilitazione e riduzione delle forti spese militari», piuttosto, avrebbe portato «anche maggiore tranquillità nell’intero paese, il che sarebbe molto auspicabile nell’interesse della nostra economia, ivi
compresi il mercato dei capitali e la situazione valutaria».

A questo punto il direttore della BNS affrontò anche l’«enorme sete di merci» che aveva il Reich:
«[La Germania] ha espresso la precisa attesa di poter effettuare a sua volta gli acquisti di merci che desidera in Svizzera, ora che ci ha promesso di continuare le forniture di carbone. È indispensabile che adesso le aziende industriali da prendere in considerazione per le consegne alla Germania possano disporre della manodopera occorrente, e perciò bisognerebbe adottare già adesso le disposizioni necessarie perché tale manodopera, se al momento è ancora in servizio militare, sia rilasciata alla prima richiesta.»

La mutata situazione strategica e la nuova politica commerciale nei confronti della Germania si rifletterono anche nella politica della BNS in materia di oro. L’istituto, che nella fase iniziale della guerra aveva dapprima cercato di mettere al sicuro il metallo dalla minaccia di una cattura tedesca, ora scelse un’altra strada: accettò sempre più oro fornitogli dalla Reichsbank, mettendole a disposizione franchi e altre divise. Volendo mantenere la fiducia nella valuta, necessaria per questi affari e per svolgere compiti di politica della stabilità, la BNS non poteva lasciar sorgere il minimo dubbio sulla solidità del franco; occorreva, pertanto, attenersi in ogni caso alla convertibilità e garantire il valore esterno della valuta.

Quanto più aumentava il volume dei franchi circolanti a livello internazionale, tanto più importante diveniva mantenere la convertibilità; un cambiamento di rotta nella politica della banca avrebbe avuto conseguenze onerose per la piazza finanziaria e per l’economia del paese. Continuando a trattare l’oro consegnatole dalla Reichsbank come quello di altre banche centrali, la BNS rendeva alla Germania un servigio prezioso; coloro che al suo interno prendevano le decisioni, peraltro, si resero conto ben presto della portata politica del loro agire.

Il direttore generale Paul Rossy, che era responsabile della gestione delle riserve auree e aveva contatti regolari con il governo e con l’amministrazione federale, a fine ottobre 1940
riferì ai suoi colleghi della direzione generale su un colloquio avuto nel Dipartimento politico federale in merito alla questione delle transazioni in oro con la Germania; egli costatò che il Dipartimento politico «[vedeva] volentieri» uno svolgimento «senza intoppi» dei rapporti d’affari con la Reichsbank, ma d’altra parte esprimeva certe preoccupazioni «sul comportamento dell’America».

A quei tempi la BNS cominciava a prendere in considerazione l’eventualità che gli USA varassero un blocco finanziario, ma per il momento non vedeva ancora un grande pericolo per le sue riserve auree su suolo americano:

«Il 3° dipartimento [il direttore generale Fritz Schnorf] osserva che l’America non ha imposto blocchi sugli averi tedeschi e italiani. Finché ciò non avviene, ben difficilmente l’America può prendere spunto dagli affari in questione con l’oro della Reichsbank per bloccare gli averi svizzeri; ogni volta, dopo tutto, dobbiamo procurarci i dollari per la Reichsbank direttamente da grandi banche americane.»

In novembre, descrivendo al comitato di banca la politica di acquisti dell’oro praticata dall’istituto, il direttore generale Rossy affrontò il tema del rapporto particolare con la Reichsbank. In linea di massima la BNS – egli osservò – da qualche tempo accettava solo oro che le fosse offerto nel contesto di una transazione economica, e precisamente al prezzo fisso d’acquisto di 4869.80 franchi per chilogrammo d’oro fino. Queste due condizioni valevano, fondamentalmente, anche per le banche centrali straniere, ma quanto al primo punto, cioè all’accettazione solo per transazioni economiche, era stata fatta «un’eccezione nei confronti della Deutsche Reichsbank».

Quest’ultima aveva «inviato varie volte oro a Berna, e poco dopo, ogni volta, ce ne ha proposto l’acquisto. Temporaneamente è stato spedito oro a Berna addirittura senza che ne fossimo stati avvisati prima.» La direzione generale ora esaminò la questione se venire ancora incontro alla Reichsbank: invece di «far venire qui l’oro», la BNS avrebbe potuto aprire un deposito di metallo presso la Reichsbank a Berlino. Dopo lunga discussione, il comitato di banca differì la decisione in proposito, ma di fatto l’istituto non creò mai un simile deposito; più tardi, viceversa, si fece spedire a Berna quantità sempre maggiori di oro.

L’episodio del comitato di banca, tuttavia, è molto illustrativo: mostra con tutta chiarezza a che cosa mirassero col loro modo d’agire i responsabili della BNS. Il presidente della direzione generale, Weber, non lasciò dubbi sulle relative motivazioni:
«L’intera transazione sarebbe in primo luogo un gesto nei confronti della Deutsche Reichsbank. Così, inoltre, perseguiamo il secondo fine di ridare nuovo impulso all’idea dell’impiego dell’oro per pagamenti internazionali anche in Germania.»

Carl Koechlin, delegato del consiglio d’amministrazione dell’azienda chimica basilese Geigy ma anche membro del comitato di banca, fu ancora più esplicito:
«Dobbiamo avere in chiaro che oggi la Svizzera, per così dire, sul piano economico dipende dalla Germania al cento per cento. L’atteggiamento dell’Inghilterra nei nostri confronti è talmente negativo da spingerci completamente a dipendere dalla Germania. Se perciò un piccolo gesto verso la Germania ci dovesse aiutare a superare certe difficoltà, sarebbe incomprensibile non mettere in atto l’operazione prevista.»

Koechlin propose di discutere la questione con gli esponenti più importanti della delegazione commerciale svizzera (Jean Hotz, capo della divisione del commercio nel Dipartimento federale dell’economia pubblica, e Heinrich Homberger, direttore dell’Unione svizzera del commercio e dell’industria). Non si sa se simili consultazioni siano avvenute; nelle trattative economiche con la Germania, comunque, da parte elvetica l’argomento dell’oro che la BNS comprava dalla Reichsbank non venne usato sino al 1944.

I responsabili monetari svizzeri davano grande importanza ai rapporti amichevoli con l’istituto d’emissione tedesco; lo si deduce dalla discussione sulla creazione di un deposito a Berlino. Inoltre il presidente della direzione generale, Weber, evidentemente vedeva molto volentieri un ritorno della Germania a un uso più intenso dell’oro come mezzo internazionale di pagamento.

La convertibilità del franco e il suo ancoraggio all’oro erano pilastri fondamentali della politica valutaria elvetica; se all’uso del metallo per pagamenti internazionali si dava «nuovo impulso anche in Germania», come diceva Weber, lui stesso si poteva sentire corroborato nelle sue convinzioni di politica valutaria. Che un appoggio su questo punto gli fosse ben accetto, è attestato anche dalle vicende di una lettera molto citata dagli storici, scritta a Weber nel novembre 1940 da Per Jacobsson, consulente economico della Banca dei regolamenti internazionali (BRI).

In tale lettera Jacobsson parlava di un commento fattogli da Emil Puhl, vicepresidente della Reichsbank, sull’eminente utilità della valuta svizzera per la Germania. In un colloquio personale con lui, Puhl si era trovato d’accordo con Jacobsson che la Svizzera dovesse attenersi alla convertibilità e non introdurre controlli sui cambi: «That the Swiss do not introduce exchange restrictions is important also from a political point of view for it constitutes a reason for leaving Switzerland free», aveva detto il vicepresidente della Reichsbank al consulente economico della BRI.

Weber, ricevuta da Jacobsson comunicazione scritta della frase di Puhl, inviò subito copia della lettera ai due consiglieri federali Wetter e Pilet-Golaz, unita a uno scritto personale in cui sottolineava ancora una volta l’importanza del franco svizzero come unica valuta libera in Europa:
«Come sapete, per motivi economici e di politica valutaria la Banca nazionale si è sempre espressa contro l’introduzione di un regime di controllo dei cambi. La sua presa di posizione era condizionata esclusivamente dai bisogni svizzeri. Non c’è dubbio però che la presenza di una valuta libera, come resta soltanto il franco svizzero in Europa, può essere utile anche per altri paesi del nostro continente.»

Schierandosi a favore della convertibilità, Weber richiamava abilmente come mantenerla fosse utile per la Germania: la dichiarazione occasionale di Puhl portava la gradita conferma che era nell’interesse dell’indipendenza svizzera attenersi ai principi tradizionali di politica valutaria anche in un contesto politico mutato. Il grado della disponibilità a cooperare nei confronti di una Germania vittoriosa militarmente appare anche in un discorso tenuto nel luglio 1940 da Rossy, direttore generale della BNS, nella sua veste di presidente della sezione bernese dell’Unione del commercio e dell’industria di Berna: egli sostenne che occorreva non «limitarsi all’adattamento passivo» bensì «cercare consapevolmente il proprio posto in questo mondo nuovo».

La politica finanziaria tedesca, orientata alle idee di un’economia autarchica dei grandi spazi, in origine si era sforzata di staccarsi completamente dall’oro come base metallica della valuta; ma con tali sforzi la concezione valutaria svizzera, che continuava strettamente a vincolare l’oro al franco, non era in contraddizione. La Svizzera, proprio perché il suo sistema valutario aveva un comportamento complementare rispetto a quello tedesco, era piuttosto un punto d’appoggio privilegiato per le operazioni tedesche di pagamento internazionale, soprattutto laddove si superavano i confini del territorio controllato dalla Germania.

L’economia tedesca degli armamenti, ad esempio, per procurarsi materie prime e prodotti d’importanza bellica da paesi neutrali come il Portogallo, la Spagna, la Svezia e non da ultimo la Svizzera, doveva assolutamente ricorrere al franco e ad altre divise; questi mezzi ambiti di pagamento, la Reichsbank poteva procurarseli vendendo oro a banche svizzere.

Le cessioni di oro alla BNS rimasero limitate fino all’autunno 1941. L’istituto d’emissione tedesco continuò a svolgere le sue transazioni soprattutto con le banche commerciali, sfruttando poco i servizi della Banca nazionale: dal gennaio all’inizio d’ottobre giunse alle banche private svizzere, stando ai calcoli della Commissione, oro per un totale di circa 23 tonnellate (pari a un valore di 114 milioni di franchi), mentre la BNS ne ricevette 12 tonnellate (58 milioni di franchi).

Ancora all’inizio del giugno 1941 la sua direzione generale non era scontenta di questo fatto; come appare dal passo che segue, anzi, era piuttosto contraria ad acquistare oro dalla Reichsbank.
«Sul mercato dell’oro, in Svizzera c’è sempre una certa richiesta, che per le monete proviene specialmente da stranieri e per i lingotti da banche centrali estere. L’Unione di Banche [Svizzere] compera per la banca nazionale rumena. La Reichsbank vende per mezzo di varie banche; di recente [ha venduto] 1000 chilogrammi tramite la Società di Banca [Svizzera]. Da noi, nel giro di sei mesi, ha bussato soltanto una volta. Sa che non compiamo volentieri questa operazione.»

Dall’aprile al settembre 1941, in effetti, la BNS non acquistò dalla Reichsbank un solo lingotto. Il passaggio alle cospicue transazioni in oro fra i due istituti d’emissione, cominciato nell’ottobre dello stesso anno, si può capire solo tenendo presenti la politica americana del blocco finanziario, le operazioni delle banche svizzere in scudi portoghesi e le aumentate cessioni di oro al mercato da parte della BNS. Dalla metà dell’anno questi tre fattori dovevano portare a un maggiore calo delle riserve auree interne, inducendo la BNS a puntare attivamente su acquisti di metallo dalla Reichsbank.

L’influsso del blocco finanziario americano

Con il blocco di tutti gli averi europei negli USA (salvo quelli britannici), il 14 giugno 1941 la situazione della Banca nazionale mutò radicalmente: dopo il freezing americano, l’istituto non poteva più disporre liberamente delle vaste riserve auree che aveva oltreoceano. Nelle settimane e nei mesi successivi, insieme col governo svizzero, la BNS si sforzò di riottenere al più presto il potere di disporre dei fondi congelati, ma con scarso successo.

Le apposite licenze generali previste dagli USA consentivano, è vero, di svolgere operazioni internazionali di pagamento entro l’area del dollaro; in genere gli americani, però, non autorizzavano né trasferimenti in dollari a favore di paesi europei sottoposti a blocco né la spedizione di oro in Europa. Ciò concerneva anche le cessione di oro dalla BNS a banche centrali di altri paesi neutrali come Portogallo o Spagna, toccando quindi un nervo sensibile della politica valutaria elvetica.

Nell’autunno 1941, per esempio, le autorità statunitensi negarono il permesso di spedire da New York a Lisbona circa 10 tonnellate di oro monetario della BNS, destinate a pagare importazioni svizzere dal Portogallo e a regolare spese di trasporto nel commercio d’oltremare. Il governo americano non consentì neppure che la stessa quantità di oro fosse
trasferita, all’interno degli USA, dal deposito della BNS presso la Federal Reserve Bank a quello che aveva a New York il Banco de Portugal: in tal modo voleva impedire che simili operazioni potessero tornare indirettamente a beneficio dei tedeschi.

Gli organi americani e britannici sapevano che in Svizzera la Reichsbank, per pagare cospicue importazioni di tungsteno dal Portogallo, si procurava regolarmente scudi portoghesi vendendo oro; come vedremo più avanti, queste transazioni avrebbero assunto parecchia importanza per il rapporto fra gli istituti d’emissione svizzero e tedesco. Quanto al trasferimento di oro della BNS a New York, discusso nell’autunno 1941, la banca centrale svizzera si difese contro l’embargo americano sostenendo che la cessione proposta
non sarebbe bastata nemmeno per pagare i surplus d’importazione maturati fra Portogallo e Svizzera, e non aveva nulla a che vedere con le transazioni tedesche in scudi portoghesi.

Ma con questa obiezione gli svizzeri non riuscirono a imporsi; resistenze iniziali incontrarono anche gli sforzi elvetici per compiere pagamenti alla Spagna usando dollari bloccati. Per la BNS l’embargo finanziario americano era un colpo duro, che limitava molto il suo margine di manovra valutario. Circa i due terzi delle riserve auree svizzere erano improvvisamente immobilizzati; inoltre, date le eccedenze dell’export svizzero createsi durante la guerra nei confronti degli Stati Uniti, più tardi sempre più crediti bloccati si sarebbero accumulati oltreoceano, mentre in Svizzera aumentava la pressione sulle riserve già scarse della BNS.

Weber, direttore generale dell’istituto, nel settembre 1941 descrisse la situazione in questi termini:
«La situazione attuale delle divise è abbondantemente complicata. Il dollaro non è più utilizzabile liberamente come prima; non desideriamo, perciò, elevare ulteriormente la nostra posizione valutaria negli USA. Come si è saputo dal rapporto sul mercato del denaro, in Svizzera da qualche tempo registriamo costanti ritiri di oro. Dobbiamo quindi badare che il nostro stock di oro in Svizzera non si riduca sempre più. Un pericolo diretto, però, per il momento non c’è. In questa occasione possiamo certo osservare, in retrospettiva, che sarebbe stato assolutamente fatale se a suo tempo avessimo portato tutto l’oro fuori del paese; oggi siamo lieti di possederne una parte notevole in Svizzera.»

Canali delle forniture tedesche di oro

Il calo dell’oro in Svizzera aveva cause molteplici. Uno dei motivi erano le cessioni al mercato, con cui la Banca nazionale si opponeva all’aumento del prezzo dell’oro allora osservabile nel paese (vedi i grafici IV e V). Queste vendite in cambio di franchi erano divenute necessarie dopo che in Svizzera il commercio del metallo si era animato moltissimo e grandi quantità di oro, soprattutto in monete, erano state esportate da privati oppure tesaurizzate.

Già nell’agosto 1941 la direzione generale della BNS prese in seria considerazione l’ipotesi di por fine alla speculazione sul metallo e vietarne senz’altro il commercio nel paese; si tornò perfino a discutere l’introduzione di un regime di controllo dei cambi. Ma come già un buon anno prima (nella primavera del 1940, in occasione dell’esodo di capitali), la BNS non era disposta a un intervento così incisivo sull’ordinamento valutario elvetico; invece di un simile intervento, si attenne alla linea seguita fino ad allora e lanciò sul mercato quantità crescenti di oro, soprattutto marenghi svizzeri (vedi il grafico IV).

Cercò ancora, inoltre, di «trovare mezzi e tramiti per poter rimpatriare una parte del nostro oro che si trova in America».

Quando le vendite di oro restarono più o meno inefficaci e i prezzi per lingotti e monete continuarono a salire, nell’agosto 1942 la BNS cessò provvisoriamente di vendere alle banche commerciali; all’inizio del 1943 riprese le cessioni al mercato, ma a condizioni mutate. La crescente richiesta di oro sul mercato interno, però, era solo uno dei fattori per il calo preoccupante delle riserve svizzere che si delineò nell’autunno 1941 (vedi il grafico III: distribuzione delle riserve auree); questi interventi di mercato non si possono considerare una molla decisiva per intensificare gli acquisti di oro dalla Germania, come avvenne nei mesi successivi.

Il fattore scatenante fu un altro: il già citato traffico di scudi portoghesi fra banche commerciali svizzere e la Reichsbank, traffico che – come giustamente osservato dalle autorità americane – aveva incrementato molto il fabbisogno di oro della BNS. Semplificando un po’, il contesto si può rappresentare come segue. Le importazioni in Germania di tungsteno portoghese e di altre merci crearono un flusso di pagamenti in direzione opposta, verso il Portogallo.

Come mezzi di pagamento entravano in considerazione i franchi ma soprattutto gli scudi, che la Reichsbank si procurava di preferenza, in cambio di oro, da banche commerciali svizzere. Il metallo fornito dall’istituto tedesco a tali banche fluiva, per vari canali, dalla Svizzera in altri Stati (per esempio in Francia), oppure era tesaurizzato nel paese. Quanto agli scudi che la Reichsbank chiedeva alle banche commerciali svizzere, queste dovevano procurarseli dal Portogallo e pagarli in franchi; in tal modo, col passare del tempo, la banca centrale portoghese accumulò franchi che poi finì con l’esibire alla BNS, per ottenerne oro.

Nell’agosto 1941 Schnorf, direttore generale della BNS, presentò così la vicenda ai suoi colleghi:
«Sarà opportuno, alla prossima occasione, far notare alla Reichsbank che a noi oggi questa
operazione non serve più, perché non possiamo disporre illimitatamente delle riserve a New York. Ci metteremo nuovamente a disposizione della Reichsbank e le venderemo anche scudi a prezzo molto minore in cambio di oro, purché essa a sua volta si impegni a pagare i costi per trasportare questi lingotti a Lisbona.»

Uno sguardo alla sottostante tabella VII mostra che le cessioni di oro dalla BNS al Banco de Portugal aumentarono nettamente nel secondo semestre. Allo stato attuale della ricerca, peraltro, la quota di vendite legata alle operazioni in scudi per la Reichsbank si può stimare solo in forma grossolana.

Complessivamente le vendite nette di oro al Portogallo raggiunsero un importo di 452 milioni di franchi, collocando quindi quel paese al primo posto fra gli acquirenti di oro della BNS. Come si è già detto, una parte delle cessioni alla banca centrale portoghese era legata al pagamento di costi di trasporto nel commercio transatlantico e al traffico bilaterale dei pagamenti fra Svizzera e Portogallo. L’importanza di quest’ultimo come fornitore di merci alla Svizzera si può dedurre dal fatto che l’eccedenza delle esportazioni portoghesi nei confronti elvetici si aggirò, sia nel 1941 sia nel 1942, sui 90 milioni di franchi.

A tale importo vanno aggiunti gli scudi che la Svizzera doveva sborsare per costi di trasporto nel commercio con l’emisfero occidentale via Portogallo; l’intero fabbisogno di scudi per scopi elvetici, anche se allo stato attuale degli studi non si può stimare esattamente, era quindi ancora più elevato. Ma qual era il volume delle operazioni in scudi fra le banche commerciali svizzere e la Reichsbank? Il seguente passo del 2 ottobre 1941, tratto dal verbale della direzione generale, oltre a chiarire la mole delle transazioni mostra in che modo la BNS contrastasse il calo così provocato nelle riserve auree all’interno del paese:

«Gli scudi sono rimasti invariati. Abbiamo costatato forti vendite delle banche alla Reichsbank. Abbiamo colto l’occasione della presenza del suo vicepresidente, Puhl, per fargli notare che ci farebbe più piacere se la Reichsbank fornisse l’oro non alle banche ma a noi, mentre le operazioni in scudi potrebbe continuare a farle con le banche. Gli abbiamo spiegato che a causa di simili operazioni abbiamo perso oro per 60 milioni di franchi. Puhl ha assicurato che di questo desiderio si terrà conto e si è dichiarato anche disposto, eventualmente, a sussidiare i nostri trasporti di oro a Lisbona.»

Nell’ottobre 1941, dunque, la direzione generale stimava a 60 milioni di franchi il volume delle transazioni in scudi compiute da banche svizzere a favore della Reichsbank. Questa cifra si può mettere in relazione con l’oro complessivo fornito loro dall’istituto tedesco fino a quel momento, che secondo i calcoli della Commissione corrisponde a circa 244 milioni di franchi.

Circa un quarto delle transazioni in oro fra banche elvetiche e Reichsbank, di conseguenza,
risaliva al commercio di scudi, che indirettamente serviva a rifornire l’economia di guerra tedesca; la Germania, comunque, non utilizzava gli scudi solo per acquistare tungsteno dal
Portogallo, ma evidentemente anche per pagare prodotti bellici provenienti dal Sudamerica. La richiesta della direzione generale a Emil Puhl – fornire l’oro, in futuro, non più alle banche commerciali ma solo alla Banca nazionale – non mancò di avere effetto.

Da allora in poi l’istituto tedesco inviò il metallo solo alla BNS, e in quantità molto crescenti; già il 9 ottobre 1941 la direzione generale notò, a proposito del commercio di scudi, che la Reichsbank aveva ceduto alla BNS, «dando seguito alla sua richiesta», due partite di oro di 2 tonnellate ciascuna.90 Al comitato di banca, il 23 ottobre successivo, la cosa fu esposta così:

«Con la Reichsbank la faccenda della vendita di oro alla Svizzera come pendant per gli scudi acquistati nel paese è stata regolata in occasione della visita del vicepresidente Puhl. Da allora la Reichsbank ci ha venduto 7.000 kg di oro. Quantitativi analoghi ha ritirato da noi il Banco de Portugal. Noi stessi, per coprire le nostre vendite di scudi in Svizzera, circa ogni settimana dobbiamo vendere al Banco de Portugal 500 kg di oro. Negli ultimi tempi non abbiamo registrato altre uscite di oro, bensì ancora alcune entrate dalla Francia e dalla Svezia; da quest’ultima abbiamo rimpatriato, per così dire, tutto il nostro oro.»

I buoni rapporti dei vertici della BNS con Puhl consentirono, appunto con un’intesa orale, di portare il commercio di oro fra Germania e Svizzera su un altro livello; da allora la politica della BNS fu ancorata ottimamente nel triangolo Berlino–Berna–Lisbona. Le relazioni col Banco de Portugal s’intensificarono, come si desume già da questo fatto: nel 1941 la banca centrale portoghese fece subito creare presso la BNS quattro depositi, tramite cui le descritte operazioni di scambio con la Germania si svolsero su vasta scala e senza cali incontrollabili delle riserve auree presenti in Svizzera.

La BNS non era sola in simili transazioni: vi partecipava anche la Banca dei regolamenti internazionali (BRI), con sede a Basilea, che fisicamente effettuava gran parte dei suoi traffici internazionali di oro tramite depositi presso la BNS. Come «banca delle banche centrali», la BRI compiva via Berna varie operazioni in oro con la Reichsbank e organizzava anche trasporti del metallo in Portogallo.

Qui non descriveremo in dettaglio le sequenze complesse di questo genere che si svolgevano fra i vari depositi di oro tenuti a Berna, nei locali della BNS, da molte banche centrali europee: il presente rapporto intermedio intende solo mostrare che le relazioni qui accennate ebbero importanza fondamentale per la politica degli acquisti svizzeri di oro dal Reich.

Quanto alle vendite crescenti della Germania alla BNS, esse ebbero effetti duraturi per le banche commerciali svizzere, che dall’ottobre 1941 non ottennero più dalla Reichsbank, in linea di massima, forniture dirette di oro. Anche dopo la concentrazione e il riorientamento dei flussi di oro tedesco in direzione della BNS, però, gli istituti commerciali restarono attivi nel commercio di scudi portoghesi; unica novità era che la Reichsbank non li pagava più con oro ma con i franchi che riceveva appunto dalla BNS.

In quest’ultima, nel dicembre 1941, il comitato di banca venne informato in questi termini:
«Prosegue, viceversa, un vivace commercio di scudi. Il fabbisogno svizzero di scudi resta sempre alto, e anche la Reichsbank ne compra ancora notevoli quantità presso le banche svizzere. … Per l’oro in lingotti, i prezzi negli ultimi giorni sono saliti bruscamente a quasi 5000 [franchi] al chilogrammo. Registriamo diverse entrate cospicue, principalmente da Berlino e da Vichy, e uscite verso il Banco de Portugal. A saldo risulta una riserva aurea in Svizzera salita a 701 milioni di franchi, dopo un minimo di 679 milioni di franchi all’inizio di novembre (dagli 820 milioni del 15 giugno). I timori di non possedere abbastanza oro in Svizzera, quindi, per il momento passano un po’ in secondo piano. Se consideriamo le nostre riserve complessive, rispetto al 15 giugno c’è ancora una diminuzione di 80 milioni di franchi.»

Il problema del calo delle riserve auree nel paese era stato sgonfiato dall’intesa con la Reichsbank; nell’ottica della BNS non c’era più motivo, in pratica, di preoccuparsi troppo per un’eventuale carenza di copertura del franco con riserve in Svizzera. Fra le entrate di oro provenienti dal Terzo Reich e le uscite verso acquirenti come Portogallo, Spagna o Romania s’instaurò, con la crescita dei volumi, un equilibrio dinamico; in futuro la BNS avrebbe dimostrato su un piano del tutto nuovo la sua efficienza come polo di scambio del metallo giallo, sia per le forniture tedesche di cui si assumeva solo la gestione del deposito, sia per le operazioni in cui essa stessa fungeva da acquirente.

Solo negli ultimi tre mesi del 1941, l’istituto d’emissione svizzero acquistò in proprio dalla Reichsbank oro per un totale di 126,5 milioni di franchi; nel 1942 ne comprò dalla banca tedesca per non meno di 424 milioni di franchi, raggiungendo il valore annuo più alto dell’intera guerra.

Gli acquisti di oro al loro culmine

Nel corso del 1942 s’infittirono le informazioni sull’origine dell’oro fornito dalla Reichsbank, fino a una quasi-certezza: sempre più chiaramente si delineò il fatto che gran parte del metallo non proveniva da riserve tedesche d’anteguerra, bensì dalle razzie e dai saccheggi del Terzo Reich nei territori sotto occupazione tedesca. Come si vedrà più avanti, la direzione generale della BNS cominciò a trattare consapevolmente come un rischio i propri sospetti sull’acquisizione illegale dei lingotti spediti a Berna; vagliò perfino, quindi, l’idea di rifondere l’oro di provenienza tedesca che le sembrasse sospetto.

Mentre la sua posizione speciale di polo di scambio per il traffico internazionale di oro della Reichsbank rappresentava un rischio per la BNS, per le altre banche centrali era invece un vantaggio: esse potevano così evitare di avere contatti d’affari diretti con l’istituto d’emissione tedesco. Specialmente il Portogallo, per esempio, fino all’estate del 1942 non accettò direttamente oro dalla Reichsbank, e almeno dal giugno di quell’anno la direzione della BNS ne seppe anche il motivo: a quanto scrisse in giugno da Londra un suo direttore, Rudolf Pfenninger, evidentemente i portoghesi erano «sotto le pressioni inglesi» e temevano «si trattasse di oro rubato, il cui reimpiego un domani potrebbe essere messo in discussione».

Poche settimane dopo, tuttavia, il Portogallo modificò la sua politica in materia nei confronti della Germania, quasi sicuramente grazie a una visita di un direttore della Reichsbank, Treue, giunto a Lisbona nella prima estate del 1942. Come è stato mostrato da Willi A. Boelcke, allora il Banco de Portugal si dichiarò disposto a conguagliare con oro tedesco, da consegnare presso la BNS di Berna, il surplus rimasto nel commercio di tungsteno.

«Adesso la Reichsbank cede oro direttamente al Banco de Portugal, che lo riceve a Berna su un nuovo deposito, detto “deposito C”», fu annotato il 23 luglio 1942 dalla direzione generale della BNS. Il 22 agosto, tramite appunto il nuovo deposito C, ebbero luogo le prime cessioni dal deposito bernese della Reichsbank all’istituto d’emissione portoghese; l’anno successivo queste operazioni in oro tramite Berna si sarebbero svolte su vasta scala.

Dopo una visita a Lisbona, nell’ottobre 1942 un direttore della BNS, Victor Gautier, riferì per esteso sulla politica del Banco de Portugal, ripetendo l’affermazione secondo cui quella banca centrale rifiutava di accettare direttamente oro da Berlino; dopo il passaggio indiretto per Berna, però, i timori politici e giuridici che si opponevano all’accettazione diretta cadevano, cosa che – come aggiunse Gautier – doveva dare da pensare alla direzione generale della BNS.

Non è questa la sede per illuminare più da vicino i retroscena della politica portoghese in materia di oro; importante è segnalare il fatto che la banca centrale svizzera era consapevole del proprio ruolo di polo di scambio per l’oro del Terzo Reich. L’importanza raggiunta dall’oro nell’approvvigionamento dell’economia di guerra tedesca era ormai generalmente nota, a metà del 1942, non soltanto nella stretta cerchia dei responsabili politici e nella direzione generale della BNS: i contemporanei attenti potevano apprendere dalla stampa svizzera, con molta precisione, da dove venisse l’oro fatto circolare dalla Reichsbank.

Come ha mostrato Klaus Urner, un articolo di Salomon Wolff pubblicato dalla Neue Zürcher Zeitung il 16 agosto 1942 scriveva cose tali che «chi voleva sapere» non poteva più «farsi illusioni sulla situazione effettiva nel commercio tedesco di oro». Mentre nel corso del 1942 gli scambi internazionali imperniati sulla Svizzera subivano una rapida accelerazione, non si acquietò neppure il mercato interno dell’oro, in cui era fitta l’attività delle banche commerciali (vedi il capitolo 4): vaste operazioni sugli aggi, soprattutto relative all’oro in monete, portarono a un autentico surriscaldamento del settore.

L’evoluzione preoccupò molto i responsabili della BNS, perché il forte incremento dei prezzi avrebbe potuto, a lungo andare, mettere in forse la parità aurea del franco. Il consigliere federale Walter Stampfli, capo del Dipartimento federale dell’economia pubblica, confermò alla direzione generale «che gli alti prezzi delle monete d’oro potrebbero finire col minare in una certa misura la valuta».

Dapprima la direzione generale cercò di smorzare un po’ gli aumenti di prezzo con proprie vendite di monete, ma l’evoluzione dei prezzi le sfuggì di mano; il massiccio surplus della domanda, fra l’altro, era da ricollegare non tanto alla tesaurizzazione di oro all’interno quanto al commercio del metallo oltre frontiera. In proposito la BNS ebbe ragguagli più precisi a metà del 1942, quando compì un’inchiesta scritta in quattro istituti bancari operanti nel ramo: come si deduceva dalle loro risposte, le monete d’oro pagate in Svizzera a prezzi così straordinariamente alti finivano in gran parte a clienti francesi, che o conservavano il metallo nelle banche svizzere oppure lo portavano all’estero.

La BNS si vide costretta ad agire: le distribuzioni al mercato avevano fatto scendere le riserve di monete auree coniate in Svizzera a un livello preoccupante, ma non si voleva procedere a nuove coniazioni. All’inizio dell’agosto 1942 la direzione generale sospese provvisoriamente le vendite all’interno (tranne quelle all’industria) e cercò il colloquio con le banche.

Nella sua presa di posizione su quanto avveniva nel mercato dell’oro, di fronte ai rappresentanti degli istituti commerciali la BNS deplorò la perdita di riserve auree nel paese, provocata alla banca centrale dalle crescenti cessioni al mercato:
«La Banca nazionale non può assumersi la responsabilità di continuare a mettere a disposizione oro per scopi di tesaurizzazione o di arbitraggio, correndo il rischio di non poter più disporre, fra qualche tempo, delle riserve auree necessarie per pagare le nostre
importazioni d’importanza vitale.»

Le banche si dichiararono pronte, nel quadro di un gentlemen’s agreement, a non trattare più lingotti oltre un prezzo massimo di 4970 franchi per chilogrammo d’oro fino. La corrispondente circolare dell’Associazione svizzera dei banchieri, inoltre, impartì alle banche la direttiva di cessare l’export di monete d’oro svizzere e di non favorirlo neppure indirettamente.

Il commercio di monete coniate all’estero non venne proibito, ma l’Associazione dichiarò «auspicabile che all’esportazione di simili monete d’oro si rinunci per quanto possibile». Le misure adottate, tuttavia, non ottennero l’effetto sperato: invece di sospendere generalmente le esportazioni, le banche venderono ancor più monete estere, e anche i corsi per i marenghi svizzeri segnarono un aumento brusco.

Ben presto si profilò la necessità di interventi più incisivi sul mercato; già in agosto la direzione generale della BNS cominciò a vagliare concretamente un divieto d’import/export e prese contatto con gli organi federali competenti per l’introduzione di prezzi massimi legali. Nel frattempo i prezzi delle monete aumentarono ancora e raggiunsero, a seconda del conio, aggi del 30–40% rispetto alla parità aurea.

Nel settembre 1942 la situazione sul mercato dell’oro sembrò distendersi un po’ quando il
Credito Svizzero (CS) vendette grandi quantità di napoleoni che aveva acquistato dalla Banque de France.

«Finché il Credito Svizzero, eseguendo l’ordine della Banque de France, può offrire sul mercato monete d’oro, il movimento dei loro prezzi seguirà traiettorie relativamente tranquille. Non appena però questi ordini di acquisto saranno eseguiti, si potrebbero prevedere nuove cospicue oscillazioni”.

Come ci si aspettava, la tranquillità del mercato non durò a lungo. Dopo lunghe esitazioni e varie consultazioni con le autorità federali, su richiesta della BNS il governo elvetico decise finalmente di ricorrere alla regolamentazione legale114: il decreto del Consiglio federale sul commercio dell’oro, del 7 dicembre 1942, introdusse un obbligo di concessione per il commercio del metallo, fissò prezzi massimi per monete e lingotti e sottopose l’import/export di oro all’autorizzazione della banca centrale.

Dalla legislazione derivò, di fatto, un accentramento quasi totale del commercio trasfrontaliero di oro presso la BNS. Quanto alla politica valutaria di quest’ultima, ora in Svizzera i prezzi per l’oro monetario erano stati fissati a un corso che rientrava nella parità-quadro stabilita nel 1936; il problema dei corsi di vendita crescenti, che a lungo termine mettevano in forse la stabilità del franco, era così risolto.

Nei mesi successivi all’introduzione del commercio controllato, si formò quasi obbligatoriamente un mercato nero delle monete d’oro, perché la domanda a scopi di tesaurizzazione e di contrabbando non era cessata; almeno all’inizio, comunque, simili attività restarono su livelli modesti, come costatò con soddisfazione la direzione generale della BNS nel gennaio 1943.

Dopo essere riuscita a far disciplinare il commercio di oro, nel 1943 l’istituto d’emissione riprese le sue vendite di monete al mercato interno; a partire dal secondo trimestre, però, vendette quasi soltanto pezzi stranieri, fornitigli dalla Reichsbank in cambio di franchi. Si
trattava soprattutto delle cosiddette monete Lator (vedi il grafico IV: oro venduto al mercato); queste monete provenivano dall’Unione monetaria latina, soppressa nel 1926, di
cui erano stati membri anche la Svizzera e la Francia.

Le fonti di allora, quando parlano di «Lator», in genere non intendono i marenghi svizzeri e i napoleoni francesi, benché entrambi rientrassero anch’essi nelle monete dell’Unione; marenghi e napoleoni, proprio perché particolarmente noti e apprezzati, erano esclusi dalla denominazione generica «Lator» e indicati in forma separata.

Le «Lator» arrivarono al deposito di monete della Reichsbank, presso la BNS di Berna, solo a partire dalla fine del gennaio 1943. La BNS comprò dall’istituto tedesco la maggior parte di quei pezzi e li cedette, nelle settimane e nei mesi successivi, agli istituti di credito svizzeri. I profitti così ottenuti erano graditi alla BNS, ma non sembrano essere stati in primo piano come motivi di rivendita; più importante, per la direzione generale, era la possibilità di aumentare con quelle cessioni l’offerta disponibile sul mercato interno, quindi diminuire l’attrattività degli affari sul mercato nero.

La vendita di monete, del resto, era anche uno strumento valutario per ridurre la liquidità e «opporsi ai sintomi dell’inflazione»; quelle cessioni, peraltro, non vanno sopravvalutate come intervento monetario a disposizione della BNS, perché l’inflazione del periodo bellico non era di origine monetaria ma all’inizio fu dovuta in primo luogo alla scarsezza delle merci.  Nel corso successivo della guerra gli acquisti di oro da parte della BNS ebbero un effetto espansivo sulla massa metallica presente, in gran parte però compensato dalla politica federale di «sterilizzazione».

Le cessioni di monete al mercato agirono in senso favorevole per quanto riguarda la lotta all’inflazione, ma non si potrebbero definire il mezzo più importante usato dalla banca centrale per il controllo della massa monetaria. Dal febbraio 1943 all’aprile 1944, complessivamente, la BNS ritirò in proprio dalla Reichsbank 5.033.000 monete «Lator», per un valore nominale di circa 101 milioni di franchi; a un prezzo d’acquisto di 28.10 franchi per pezzo da 20 franchi, ciò corrispondeva a una somma di 141 milioni di franchi, versata dalla BNS alla Reichsbank.

Come risultò dopo la guerra, tutte queste monete «Lator» provenivano dal tesoro della banca centrale belga, di cui la Germania si era impadronita. È vero che al momento dell’acquisto l’origine esatta dei pezzi non si poteva sapere; ai responsabili della BNS, però, dovrebbe essere stato chiaro che le «Lator» non potevano provenire – o al massimo potevano provenire solo in minima parte – da riserve tedesche d’anteguerra.

È naturale supporre che la direzione generale fosse ben lieta di poter riversare sul mercato le monete d’oro straniere, per potersi liberare rapidamente di quegli stock discutibili. Nel corso del 1943 questa motivazione sarebbe emersa sempre più chiaramente durante le sue sedute: stando a un verbale del settembre, a Ginevra correva «voce che la Banca nazionale abbia ceduto oro soltanto perché ne ha ricevuto troppo dalla Germania e perciò miri a svenderlo».

La lotta contro la tendenza alla tesaurizzazione di banconote, allora dominante, era senz’altro un’esigenza di politica valutaria per cui usare la rivendita dei pezzi «Lator»; la BNS, inoltre, coi proventi di quelle monete ottenne una parte notevole dei suoi introiti annuali, mentre altre fonti di entrate erano quasi esaurite. Non va però trascurato l’aspetto per cui, cedendo le «Lator», in un certo senso ci si sbarazzava di «merce scottante»; come si vedrà meglio nelle prossime pagine sulla politica monetaria della BNS verso la fine della guerra, nel corso del 1943 gli organi dirigenti dell’istituto svilupparono una vera e propria strategia di difesa, con argomenti che poi opposero alle crescenti critiche degli Alleati sugli acquisti dell’oro tedesco.

Nel dibattito interno alla banca, il direttore generale Rossy inserì una riflessione peculiare:
«La ricerca sull’origine dei possedimenti d’oro neutrali, ricerca che gli anglosassoni hanno minacciato di compiere dopo la guerra, comporta forse un certo fattore di rischio per chi oggi acquista oro. Il pericolo, però, è di natura piuttosto ipotetica. In realtà è quasi inesistente, perché in pratica dovrebbe essere impossibile identificare monete d’oro per poterne rendere responsabile il proprietario. Le monete, che diversamente dalle banconote non sono numerate, spariscono nella massa come una goccia d’acqua nel fiume.»

La direzione generale era consapevole che i pezzi «Lator» acquistati potevano provenire dall’economia tedesca di rapina e di saccheggio; l’osservazione citata di Rossy non si potrebbe spiegare altrimenti. Fra l’altro quella sua previsione era sbagliata: il «rischio» in esame si sarebbe dimostrato reale dopo la guerra. Come risultò poi, il tesoro aureo originario del Belgio non comprendeva solo le monete «Lator» ma anche molti lingotti, che la Reichsbank fece rifondere dalla zecca tedesca (Preussische Münze) e, muniti di date d’anteguerra, a partire dal gennaio 1943 spedì alla BNS.

A Berna giunsero lingotti di questa origine per un valore complessivo di 378,1 milioni di franchi svizzeri; l’istituto d’emissione elvetico ne comperò per un importo di 237,2 milioni. Come si sa dagli studi storici, tramite la Svizzera la Reichsbank piazzò non solo l’oro depredato in Belgio ma anche quello della banca centrale olandese, spedendone al proprio deposito di Berna, già dall’autunno 1941, per un valore di 562,6 milioni di franchi; di quell’oro la BNS acquistò un quantitativo pari a 400 milioni di franchi.

In questa sede non ripercorriamo da vicino le vie seguite dall’oro belga e olandese. Per la cronologia degli acquisti di oro della Germania da parte della BNS, basta segnalare il fatto che nel 1943 le prime monete delle riserve belghe giunsero a Berna, rendendo quindi esplosiva anche per la banca centrale svizzera la questione dell’origine delle forniture tedesche. Certo, dalle monete non si poteva capire se la Reichsbank le avesse acquisite legalmente oppure rubate; la probabilità che nelle riserve tedesche d’anteguerra si fossero trovati grossi stock di pezzi «Lator», tuttavia, doveva essere considerata scarsa già nel 1943.

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