a cura di Cornelio Galas
“La dittatura fascista e le persecuzioni razziali”: andiamo avanti, facendo sempre stretto riferimento a questo volume (nella precedente puntata trovate l’elenco di autori, collaboratori, fonti d’archivio e bibliografia) nell’analisi del periodo fascista ad Arco (Trentino).
I bimbi d’Italia si chiaman Balilla
Il fascismo cura in modo particolare la formazione ideologica dei bambini, degli adolescenti e dei giovani attraverso una organizzazione capillare. I bimbi dai 4 agli 8 anni sono i “figli della lupa”, dagli 8 ai 14 anni i bambini sono “balilla” mentre le bambine sono “piccole italiane”; gli adolescenti maschi dai 14 ai 18 anni sono “avanguardisti” mentre le femmine sono “giovani italiane”; poi c’era la Gioventù italiana, inquadrata nella G.I.L. (la Gioventù Italiana del Littorio).
Quando il primo maggio 1925 il fiduciario della Scuola elementare di Arco trova imbrattata la facciata della Scuola con una grande scritta rossa “W Comunismo” con accanto una vistosa “falce e martello”, egli scrive immediatamente al Commissario prefettizio «pregando che quanto fu scritto venga cancellato per levare la dannosa impressione che ne possono subire gli alunni”. L’8 maggio 1926 il Commissario prefettizio Pasotti invia una missiva all’Ispettore scolastico Ilario Dossi: «Di concerto colla Signorina Direttrice Didattica si vorrebbe preparare una spedizione mista scolaresca-Balilla per la manifestazione patriottica al Brennero del 30 maggio. Potremmo mettere in fila circa 100 virgulti, fra Arco – Romarzollo – Oltresarca – Dro e altri 60 potremmo trovare a Riva e altri ne potrebbero venire da Nago – Torbole e dalla Valle di Ledro i quali ultimi potrebbero pernottare a Riva.
Vorrebbe la S.V. farsi promotore di tale manifestazione, nel qual caso io farei subito pratiche per aver il treno speciale al mattino alle ore 3 e mezzo a condizione di favore». Risponde il 13 maggio l’Ispettore scolastico garantendo la massima collaborazione delle scuole di sua competenza.
E poi prosegue: «Ella farà benissimo ad insistere perché i gruppi Balilla non manchino all’appello; sarà una giornata di emozioni e di entusiasmo patriottico che farà un solco nelle anime infantili»».
A questo tendeva l’educazione fascista: a lasciare un solco, un’impronta nelle personalità in modo tale da avere una classe giovanile fedele “nata e cresciuta in clima fascista”. Dalla Prefettura della Provincia di Trento parte il 22 gennaio 1927 una missiva che raccomanda a tutti i podestà del Trentino l’abbonamento e la diffusione della pubblicazione “La Bibliografia Fascista” che segnalava opere e studi che dovevano creare “la nuova coscienza italiana”, in pratica era una rivista mensile del movimento culturale fascista.
Negli elenchi che ad inizio anno scolastico i maestri responsabili delle varie scuole mandavano ai Commissari e poi ai Podestà, con il fabbisogno scolastico, spesso si legge la richiesta dell’acquisto di quadri di storia antica «rispecchianti sublimi virtù cittadine». Non mancavano Cornelia, madre dei Gracchi, il giuramento degli Orazi e la morte di Giulio Cesare!
Per sostenere le attività di formazione fascista la Sezione di Arco del Partito Nazionale Fascista contava ovviamente sul contributo economico delle amministrazioni comunali. In una indirizzata al Municipio di Romarzollo, il segretario politico chiarisce che vi era bisogno di acquistare il necessario vestiario per i Balilla partecipanti ai concorsi “ginnastici” circondariali e provinciali; occorreva inoltre organizzare il campeggio in montagna. Si chiede quindi all’amministrazione comunale di Romarzollo di prevedere a bilancio una somma diretta per sostenere l’Opera Balilla che tanto stava a cuore al Duce e al Governo nazionale.
La Casa del Balilla e il campo sportivo
Il mito della “mens sana in corpore sano” era uno dei fondamenti dell’educazione fascista; campeggi, manifestazioni ginniche ed altre esercitazioni erano attività ricorrenti. Il 24 maggio 1928 si tiene al campo sportivo di Trento il primo Congresso regionale degli Avanguardisti e Balilla «una meravigliosa manifestazione di bellezza e di fede il cui profondo significato non può essere sfuggito ad alcuno». Così scrive il Prefetto di Trento on. Vaccari nella sua lettera indirizzata ai Podestà del Trentino; ed aggiunge: «Gli sforzi compiuti hanno portato a dei risultati insperati soprattutto confortanti se si pensa al grigiore triste del passato.
Ma ciò non basta. Bisogna ottenere di più permeando anche l’angolo più perduto e più lontano della Provincia della nuova fede che è riassunto magnifico dello sforzo morale, fisico e religioso che compie tutta la Nazione. Bisogna potenziare al massimo il lavoro compiuto senza facili illusioni e senza ancora più facili abbandoni»
Nel dicembre del 1933 arriva al podestà di Arco una lettera inviata dalla Presidenza Centrale dell’Opera “Balilla” in cui si rileva che nessuna delle scuole del Comune è dotata di palestra coperta. «Palestre ampie, igieniche e bene attrezzate sono mezzo di prim’ordine per attrarre i giovanissimi, e dar loro una regolare ed efficace educazione fisica e fascista».
Il podestà di Arco si attiva nei mesi successivi e dà incarico allo studio tecnico del geom. Pascolato di Trento di elaborare un progetto che la prevedeva nella zona del Pomerio, in riva al fiume Sarca, laddove da sempre si tenevano esercitazioni, fiere e mercati. In particolare si progetta la “Casa del Balilla” disposta su due piani con la palestra nella zona centrale, attorniata da varie stanze disposte a ferro di cavallo. Queste stanze erano destinate ai Giovani fascisti, agli Avanguardisti e ai Balilla, alle Giovani e Piccole Italiane, al Patronato e alla Presidenza Comunale. Erano previsti inoltre spogliatoi, servizi igienici e una cucina con annesso refettorio. La palestra emergeva sul piano rialzato di un altro piano; il progetto riecheggiava nella struttura complessiva i canoni cari all’architettura fascista.
Accanto alla palestra doveva sorgere un campo sportivo con direzione nord-sud, con tribuna e spogliatoi. Il progetto complessivo si arenò per mancanza di adeguati finanziamenti. Sarà realizzato il semplice campo sportivo grazie al lavoro e all’impegno di volontari, appassionati del gioco del calcio. Il Comune contribuirà nel 1942 con la fornitura di legname per la realizzazione di una gradinata. Il nuovo campo sportivo con tribuna e spogliatoi sarà inaugurato il 30 dicembre del 1945.
Nell’anno XV dell’era fascista – il I dell’Impero, in pratica nel 1936, l’Ispettorato scolastico di Riva del Garda (V Circoscrizione) emana una Circolare – Programma inviandola a tutti coloro che potevano rivestire una mansione o responsabilità educativa, compresi i Reverendi Decani e i Presidenti delle Scuole Materne. In un intervento che precede la Premessa ai programmi vengono riportate le parole di Mussolini: «La scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti si ispiri all’idealità del Fascismo, educhi la gioventù italiana a comprendere il Fascismo, a nobilitarsi nel Fascismo e a vivere nel clima storico creato dalla Rivoluzione Fascista».
Vengono ribadite nella circolare dell’Ispettorato le parole d’ordine del fascismo, la raccomandazione che ogni giovane conosca «le più significative affermazioni, i motti più scultorei del Duce: “Perseverando arrivi” – “Vivere pericolosamente” – “Se avanzo, seguitemi; se indietreggio, uccidetemi; se mi uccidono, vendicatemi” – Credere, Ubbidire, Combattere e se necessario Morire”». Occorreva «far vivere la scuola, renderla vibrante, farla amare dagli alunni, attirare ad essa non solo le famiglie degli scolari, ma tutta la popolazione».
La lettera della maestra di Padaro
In piena sintonia con queste direttive doveva essere l’operato dei maestri. Ne troviamo conferma in molte lettere inviate da singoli educatori all’autorità amministrativa. Citiamo per tutte una lettera inviata dalla maestra Luigina Broglia, proveniente da Pavia, e mandata ad insegnare a Padaro, nella piccola scuola creata dall’ONAIR (Opera Nazionale di Assistenza all’Italia Redenta). Il 7 gennaio 1930 scrive al Podestà di Arco: «Mi pregio comunicare alla S.V. Ill. che ieri 6 corr. si celebrò nella mia scuola la III Befana Fascista come il nostro Partito desidera si celebri in ogni centro.
Sapendo di far piacere alla S.V.Ill. e di interpretarne i nobili desideri procurai che in questo giorno gli scolari e la popolazione di questo paese rivivessero la vita intima e fervida del nostro Partito che è basata sul vero bene e sull’aiuto scambievole dei fratelli specialmente a prò di quelli indigenti. Dai fratellini lontani di Pavia i miei bimbi ebbero indumenti di lana, calze e vestitini.
I doni furono accompagnati da una affettuosa letterina che augurando con tutto il cuore ai fratellini Trentini le buone Feste dicevano il loro desiderio di stringere con essi affettuosa amicizia. I genitori dei miei scolari e tutta la popolazione ne fu commossa e parecchi, con slancio di corrispondente affetto, piansero di consolazione. Io ho sorriso e ho goduto di questa comunione di anime che mi dà grande promessa per un virtuoso avvenire dei nostri figlioli.
A compiere la gioia degli scolari si donò loro dolci e cioccolata ed a ciò si invitarono altri bimbi poveri del paese. Come compimento si elevò al Bambin Gesù la preghiera per i benefattori, per la nostra cara Patria che nutre tanto bene per i suoi figli, per il Duce e per i nostri diletti Superiori perché il buon Dio conceda a loro energie maggiori e soddisfazioni di corrispondenza ai loro nobili desideri. Si chiuse l’indimenticabile festina con l’inno alla Patria. Nella fiducia di corrispondere sempre ai suoi nobili desideri, mi creda devota Luigina Brogli”. Se bene si vuol riflettere sui messaggi contenuti in questa lettera corre l’obbligo di compiere delle distinzioni.
L’iniziativa che la maestra Luigina riesce ad organizzare in un piccolo paese come Padaro (si presume, superando mille difficoltà) è di alto valore sociale; ancor oggi i gemellaggi fra bimbi di scuole diverse ed il coinvolgimento dell’intera comunità sono due auspicate proposte didattiche. Quello che più rattrista è invece che la Befana sia diventata fascista, che il Partito che aveva instaurato la dittatura fosse visto come portatore di “amore scambievole”.
Noi non possiamo sapere quanto di realmente sentito e quanto di obbligato ci sia nella lettera della maestra di Padaro; ci accontentiamo di immaginare i bimbi di Padaro che gustano la cioccolata, indossando la maglia di lana che era arrivata da Pavia!
La propaganda fascista
Come si è visto erano molti gli strumenti che il fascismo utilizzava per promuovere i propri ideali. Manifestazioni, libri di scuola, monumenti, scritte murali; tutto poteva diventare strumento di propaganda.
Un carteggio appartenente all’Archivio aggregato della Sezione di Arco del Partito Nazionale Fascista illustra ad esempio l’inaugurazione della Fiamma della Squadra “Dante Morandi” a Bolognano il 14 gennaio del 1923. Alla manifestazione si invitano aderenti ad altre Sezioni del Trentino, si invita la Banda Sociale di Bolognano (assicurando il rancio a mezzogiorno nonché vino in giusta misura durante il giorno!), si dà ordine perché tutti abbiano la camicia nera.
Il programma della giornata prevedeva al mattino l’inaugurazione della Fiamma della Squadra “Dante Morandi” e nel pomeriggio la costituzione della Sezione di Dro del PNF. Questo secondo appuntamento preoccupava non poco il segretario politico di Arco. Egli scrive infatti alla Federazione Provinciale Fascista: «E’ indispensabile per quel giorno l’intervento di oratori ufficiali, poiché è quanto mai urgente la costituzione della Sezione di Dro, borgata industriosa, roccaforte del comunismo più acceso, ove tuttora vi sono elementi apertamente contrari al Fascismo, e che contro lo stesso fanno una propaganda spietata”.
La propaganda quindi passava anche attraverso la bravura degli oratori ufficiali del PNF. Il 15 settembre 1926, nell’ambito di una solenne e partecipata manifestazione, vengono scoperte due lapidi sulle case natali di Dante Morandi e Bianca Saibanti (su questa donna dell’Oltresarca c’è un apposito servizio di Televignole proposto nei mesi scorsi), entrambi di Bolognano. Dante Morandi (1893 – 1918), soldato austriaco durante la prima guerra mondiale, ferito e poi fatto prigioniero dai russi, era entrato a far parte come volontario dei “battaglioni neri” schierati contro le armate comuniste. Muore per malattia a Tiensin. Bianca Saibanti (1867– 1919) allo scoppio della prima guerra mondiale entra come volontaria nella Croce Rossa italiana e presta servizio presso l’ospedale da campo di Ala e poi di Avio, assistendo i malati infettivi. Colpita lei stessa da grave infezione viene ricoverata nell’ospedale di Firenze e poi di Pisa dove muore il 27 novembre 1919.
Nei vari faldoni che racchiudono centinaia di documenti riferiti al ventennio fascista è stata trovata l’illustrazione di un originale strumento di propaganda fascista: le carte da gioco “Fascio” prodotte dal Cartificio Italiano Moderno di Palermo. Nella lettera inviata nel 1923 al Direttorio del Sezione del PNF di Arco (Provincia di Riva!) si afferma che «le Carte Fascio rispecchiano la nostra azione dinamica fascista, contro i rinnegatori della Patria. Ogni Sezione, ogni Fratello fascista di pura fede e tutti gli italiani veri devono aiutare il processo della diffusione delle Carte Fascio poiché tali carte ricordano la forza potenziale dei nostri simboli».
E quindi l’asso di bastoni è un solido manganello, l’asso di spade è sostituita dall’asso del fascio, l’asso di coppe è colma di olio di ricino, i vari re hanno il volto di Vittorio Emanuele III e al centro del cinque di denari campeggia il volto corrucciato di Mussolini. Nel sottolineare la necessità della loro diffusione si raccomanda che «I Fascisti di fede pura, i Nazionalisti, i Dannunziani devono adottarle, difenderle a qualunque costo, specie nei circoli». Si promettono sconti particolari per le rivendite e per coloro che avessero acquistato più di cinquanta mazzi; esistevano anche le carte per i bambini che ovviamente si chiamavano “Carte Balilla Fascio”!
Gli orfani di guerra
Una categoria di bambini ed adolescenti che dal fascismo riceveva particolari attenzioni e cure erano gli orfani di guerra. Il regime infatti si era imposto nell’Italia che ancora doveva sanare la miseria ed i lutti che il primo conflitto mondiale aveva causato. Mussolini ovviamente aveva intuito che la protezione degli orfani di guerra poteva accreditargli la simpatia e l’appoggio di coloro che dall’esito della guerra e dal loro impegno personale si aspettavano qualche ricompensa.
Questo atto benefico, che è sempre accompagnato da una carezza o da un sorriso di gentili persone, lascia dimenticare a quei miseri la sventura in cui si trovano e conserva in loro la speranza di essere beneficati anche in seguito».
Una forma particolare di assistenza era rappresentata dall’invio degli orfani alle colonie marine, alpine e salsoiodiche. L’ammissione alle colonie era gratuita e potevano beneficiarne gli orfani di guerra che non avessero superato il ventunesimo anno di età; a parità di condizioni, in caso di eccesso di richiesta, la preferenza veniva attribuita agli iscritti alle Organizzazioni giovanili fasciste.
Ecco il comunicato del 21 maggio 1927 in cui il Comitato per la protezione e l’assistenza agli orfani di guerra annuncia al Podestà di Arco l’ammissione di due giovani orfani di Arco all’Ospizio marino “Bertazzoni” di Riccione; erano Mario Turrini, il padre dello storico arcense Romano, autore con altri di questa ricerca, e Armando Briscoli, nota figura nel mondo politico ed imprenditoriale di Arco.
Altra forma di assistenza agli orfani di guerra era l’assegnazione di borse di studio che permettevano agli adolescenti che avevano buone capacità di studiare e di ottenere un posto di lavoro dignitoso.
L’incremento demografico
Numerosi sono i documenti, conservati nell’Archivio storico di Arco, che fanno riferimento alla politica demografica attuata dal fascismo. Ai comuni del Trentino arriva nel 1928 una circolare del Prefetto della Provincia di Trento che raccomanda di annullare tutte le disposizioni di vecchia data che escludevano da certi impieghi le donne sposate o il loro licenziamento nel momento in cui contraevano matrimonio, o altre ancora che attribuivano una preferenza ai celibi per l’impiego o l’assegnazione di una borsa di studio. Tutto questo doveva cessare perché contrastava con la politica demografica fascista che favoriva invece “la crescente natalità”.
Il 20 gennaio del 1930 addirittura la Prefettura di Trento invia una circolare in cui si chiede ai podestà, in termini perentori ed ultimativi (entro il 25 gennaio), quali iniziative essi avessero intrapreso «per favorire l’incremento demografico e per combattere l’urbanesimo, tanto sotto forma di speciali stanziamenti di bilancio per sussidi, premi ecc., quanto come deliberazioni podestarili per esenzione e riduzione di tasse, assunzione di personale, assegnazione di alloggi e simili, infine come istruzioni generali ai dipendenti uffici».
Risponde a stretto giro di posta il podestà di Arco: «Pregiomi partecipare che questo Comune per assoluta mancanza di fondi non può prendere alcun provvedimento che gli cagioni un onere finanziario di qualsiasi genere». Vengono stabiliti premi di nuzialità, assegnati soprattutto alle famiglie giudicate bisognose. Si penalizzano con apposite tasse i celibi, si danno premi a chi mette al mondo figli, premi accresciuti se sono gemelli o se si impone loro il nome di Benito!
Da Arco parte il 7 novembre del 1935 una cartolina postale che reca l’immagine della famiglia di Vittore e Margherita Miori, formata da ben 22 componenti, in occasione delle loro nozze d’oro. È il curato di San Martino, don Leonardi, che prende l’iniziativa e invia la cartolina a Mussolini. Dopo qualche mese arriva una lettera dalla Prefettura di Trento al podestà di Arco: «I coniugi Miori Vittore e Margherita, domiciliati in S. Martino d’Arco, hanno offerto a S.E. il Capo del Governo, in occasione delle loro nozze d’oro, una fotografia della loro numerosa famiglia. La prego di volersi rendere interprete dei ringraziamenti di S.E. per l’atto di omaggio e del suo compiacimento”.
La prevenzione
Dei vari interventi che il governo fascista intraprende per prevenire il diffondersi di malattie va sottolineato quello che più riguarda Arco: la lotta contro la tubercolosi. La città, dopo il primo conflitto mondiale, si stava trasformando da Curort a Centro sanatoriale; molti alberghi e ville erano divenuti cliniche per i malati di TBC. Era nata la Federazione Italiana Nazionale Fascista per la lotta contro la tubercolosi, che aveva creato molti dispensari antitubercolari ed era attiva anche nel settore della propaganda.
Nei documenti d’archivio è stato ritrovato un interessante opuscolo che traccia un quadro esauriente della diffusione della TBC, dei primi risultati della lotta a questa malattia e di quanto essa fosse legata a disagiate condizioni di vita.
Ecco il primo paragrafo dell’opuscolo dal titolo “Contro la tubercolosi e per la difesa della razza”, edito a Roma nel 1936: «La tubercolosi è un grave danno per la Nazione e una immane perdita di vite. Ancora trentacinquemila vite perdute ogni anno e più di dieci volte tanti malati, incapaci di lavorare e bisognosi di soccorso, che costano grosse somme alle famiglie e agli enti pubblici. Il Paese perde ogni anno quanto in più battaglie campali, o le vite di una città.
Si è detto che, calcolando a 50 mila lire la perdita di una vita umana, si avrebbero, per i morti solamente vari miliardi di lire perdute. E tutte le giornate perdute dei malati? Quale immenso capitale, senza contare il costo delle cure spesso inefficace! Ma la tubercolosi porta la gracilità e la fiacchezza nelle famiglie, quindi diminuisce anche la capacità lavorativa di esse, dopo averle impoverite privandole dei giovani atti al lavoro, e dei pochi risparmi che sono andati distrutti per le inutili cure domestiche del tisico. Per la mobilitazione antitubercolare avvenuta le vittime sono diminuite da 65.000 a 35.000: dovranno calare ancora».
Nei paragrafi seguenti si insiste molto sulla correlazione tra condizioni di vita disagiate, ignoranza culturale ed igienica e il diffondersi della tubercolosi. C’era bisogno quindi di un’opera di educazione capillare, di stendere una rete di dispensari antitubercolari su tutto il territorio nazionale per sconfiggere la TBC. Emerge però, sinistramente, una seconda motivazione:
«Nella lotta contro la tubercolosi non si combatte contro una sola malattia, sia pure la più grave, dannosa ed estesa, ma si lavora alla resurrezione della stirpe […] Le annuali Campagne nazionali antitubercolari devono dunque considerarsi come il periodo della celebrazione della sanità e della robustezza, la festa della posterità e della razza». Le ultime righe dell’opuscolo sono dichiaratamente propagandistiche: «Il Popolo Italiano che sotto le bandiere del Littorio e al comando del Duce ha ritrovato il senso romano della grandezza e della giustizia, che sotto l’impulso del Regime ha riaffermato la propria capacità di impero e di dominio e, nella ripresa di tutte le sue sane energie di vita, ha mostrato tutta la sua ostinata volontà di vincere, il Popolo Italiano sente la certezza del suo avvenire e vincerà questa grande guerra contro la tubercolosi perché vuole essere sano, perché vuole andare alla potenza e alla gloria».
Per cogliere la gravità del diffondersi della tubercolosi si consideri che, a partire dal 1940, la statistica riferita alla mortalità annuale nel comune di Arco, a causa della presenza del Centro Sanatoriale, segnala che si era passati da 100 a 350 morti.
La previdenza sociale
Il governo fascista aveva creato l’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale (I.N.F.P.S.) La consegna dei certificati di pensione assumeva una notevole valenza propagandistica. Solitamente la data stabilita per questa cerimonia era il 21 aprile (il Natale di Roma) e la consegna dei libretti di pensione era compiuta dagli Organi del Regime, ossia dai Segretari dei Fasci di Combattimento. Nella circolare datata 16 aprile 1936, a firma del direttore dell’INPFS di Trento avv. Rubiu, che ricorda questo appuntamento, si informa anche che «l’Istituto aveva provveduto al rilascio di 10.000 libretti di assicurazione ai lavoratori agricoli della Provincia che sono stati trasmessi al Podestà del Comune, perché siano consegnati ai lavoratori agricoli nel giorno che sarà ritenuto opportuno d’accordo con le associazioni sindacali.
La consegna dei libretti di assicurazione risponde al fine che anche i lavoratori dell’agricoltura abbiano scienza e coscienza della loro posizione assicurativa, per il raggiungimento della previdenza sociale voluta a tutela del lavoro dal Regime Fascista e seguita dal personale interessamento del Duce».
Questa conclusione sottolinea sempre il valore propagandistico dell’”operazione libretti assicurativi”. Quindi se il lavoratore riceveva una pensione era grazie alle decisioni del Regime Fascista e al personale interessamento del Duce, non ai tanti anni di fatica ed impegno!
Il controllo del mondo cooperativo trentino
L’economia del Trentino si fondava essenzialmente sull’agricoltura e sulle attività di trasformazione dei prodotti agricoli. Grazie all’opera di don Lorenzo Guetti e di altre personalità che avevano creduto nella cooperazione e nel grande messaggio solidaristico “Uniti si può”, la vita dei contadini era divenuta meno precaria. Arco non si discostava di molto da questa situazione. Dopo il primo conflitto mondiale, con le strutture alberghiere da convertire o ristrutturare, era rinata la Lega dei Contadini del Basso Sarca (fondata nel 1911) ed era stata creata la Cassa Rurale di Arco (1919).
Da un’indagine statistica voluta dall’Opera Nazionale Dopolavoro, sappiamo che nel 1927 la Lega dei Contadini del Basso Sarca contava ben 1200 soci. Il fascismo irrompe con tutta la sua forza e la sua prepotenza nel mondo cooperativo trentino; dopo alcuni episodi di violenza, il Partito Nazionale Fascista aveva imposto propri rappresentanti entro i Consigli Amministrazione delle realtà cooperative.
Era stato inoltre assunto il controllo della Federazione dei Consorzi Cooperativi di Trento. Il 27 novembre 1926 il Commissario di questa Federazione, Stefenelli, invia a tutti gli Enti dipendenti e per conoscenza ai Podestà, ai Fiduciari di zona del PNF e ai Segretari politici una lettera dai toni estremamente duri, motivata probabilmente da azioni contrastanti l’operazione di pieno controllo avviata dal fascismo.
Il dott. Stefenelli lamenta l’esistenza di subdole manovre che avrebbero voluto ritardare l’adesione piena e incondizionata della Federazione ai nuovi indirizzi voluti dal fascismo. La lettera continua così: «E’ bene che si sappia che il Partito Fascista non torna e non tornerà mai indietro, e non abbandonerà mai le posizioni conquistate. Sono quindi inutili, anzi da compiangersi, certe illusioni.
Il formidabile baluardo che tenne legata a sé tutta la laboriosissima popolazione rurale della Provincia è ormai sicuramente e definitivamente inquadrato nel regime fascista. In piena malafede si insinua poi che il Fascismo ha occupato le posizioni economiche per distruggerle, mentre invece in questi quattro anni di vita, il Fascismo ha potuto largamente e inconfutabilmente dimostrare di essere il costruttore e non il demolitore».
La parte finale della lettera assume i toni della minaccia che – molti episodi lo dimostrano – non si limitava ad essere puramente verbale: «Tutti i fascisti e gli amici del fascismo ed in genere quanti abbiano a cuore la prosperità dei nostri organismi economici, sono tenuti ad individuare questi mestatori in mala fede perché siano fascisticamente puniti della loro deleteria azione verso i nostri laboriosi agricoltori. Saluti fascisti, il Commissario Dr. G. Stefenelli, i Subcommissari Ing. E. Gaffuri – Dr. E. Zenatti.».
Quanto si è scritto, nella precedente puntata rispetto all’on. Luigi Carbonari testimonia che il controllo sui contrari al regime fascista era strettissimo. Anche nella Lega dei Contadini del Basso Sarca viene compiuta un’opera di infiltrazione e di controllo che vede una reazione nel presidente Antonio “Toni” Giovanazzi che in un suo intervento all’assemblea dei soci lancia la parola d’ordine “Resistere per esistere”.