“EL REBALTON” IN TRENTINO – 18

La fine del “ciellenismo” e l’avvento del partitismo

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a cura di Cornelio Galas

Ultima puntata del “Rebalton” in Trentino, ovvero un’analisi degli eventi in questa provincia dall’8 settembre 1943 fino all’assemblea costituente della Repubblica Italiana. Concludiamo con il passaggio – non indolore – dal cosiddetto periodo del Cln (comitato di liberazione nazionale) al sistema, democratico, dei partiti. Colgo l’occasione per ringraziare quanti – in vari modi – ci hanno dato una mano in questa ricerca. Con integrazioni, suggerimenti, utili consigli e anche precisazioni laddove i nostri documenti presentavano evidenti lacune.

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Il CLN (comitato di liberazione nazionale) provinciale trentino ricoprì – dicono alcuni storici – un «ruolo determinante nell’animare il dibattito politico e nel proporre soluzioni efficaci per l’opera di ricostruzione». Di fatto, si può dire che l’iniziale invito all’unità dei partiti che componevano il CLNP e che avevano partecipato alla lotta di liberazione lasciò ben presto il posto ad un confronto politico più acceso, alla contesa ideologica tra partiti moderati e forze di sinistra. I comunisti trentini, facendo autocritica, lamentavano di non essere mai riusciti a «smuovere» il CLN di Trento «dalle pastoie burocratiche e dalla congenita passività» che, assumendo in alcuni casi «forme reazionarie», ne avevano bloccato sul nascere «qualsiasi dinamica azione politica sia al centro che alla periferia». Tale insuccesso era dovuto, da una parte, all’«isolamento» che il PCI aveva vissuto localmente fin dall’epoca clandestina; dall’altra, all’impossibilità di realizzare un’intesa, sia pure formale, con i dirigenti della Democrazia cristiana.

“Non sono mancati da parte nostra tentativi di avvicinamento, che sono sempre rimasti però senza risposta, a meno che non si voglia interpretare come risposta la decisa e talvolta velenosa campagna anticomunista – infarcita delle solite menzogne e calunnie volgari, già usate dalla propaganda nazi-fascista. Fra i giovani democristiani, specie delle campagne si nota una maggiore comprensione e sincerità e buona fede, mentre negli anziani – soprattutto dirigenti – si notano posizioni politiche identiche a quelle sostenute dai vecchi clericali, suffragate da interessi di classe, discordanti da quelli delle classi lavoratrici”. (da: «Alla vigilia del primo congresso provinciale. Autocritica». Il Proletario. Trento, 11 agosto 1945).

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La campagna anticomunista costituiva effettivamente un dato incontestabile, suffragato dall’atteggiamento degli alleati e dello stesso questore Pizzuto che, come si è visto, nelle relazioni inviate a Roma tendeva a sottolineare, in maniera spesso allusiva, il pericolo «rosso». Secondo Gino Lubich (Trento, 1918-1993. Medico, giornalista. L’attività professionale svolta presso l’Ospedale S. Chiara di Trento lo introdusse nel Partito comunista clandestino grazie alle frequentazioni con Mario Pasi. A partire dal settembre 1943, in collaborazione con Pasi e poi con Manlio Silvestri (Sassolongo, 16 marzo 1916-Sappada, 29 luglio 1944), fu addetto militare per le formazioni operanti in val di Fiemme e direttore del giornale comunista clandestino Il Proletario. Pochi giorni dopo l’eccidio del 28 giugno 1944, l’8 luglio fu arrestato dalle SS mentre si trovava a Pergine. Processato a Bolzano il 2 agosto, fu condannato a sei anni di carcere duro. Tornato a Trento alla fine della guerra, quale esponente del PCI locale collaborò con il CLN provinciale e soprattutto con il quotidiano Liberazione nazionale che lo avviò alla carriera giornalistica. Nel dopoguerra, fu responsabile per la politica estera all’Unità di Milano. Nel 1956, i fatti d’Ungheria lo indussero ad abbandonare il partito. Nel 1957, iniziò la sua collaborazione con la rivista Città nuova per cui scrisse fino al 1993. Dal 1971 al 1977, fu redattore capo del Messaggero.), nel settembre 1945, «agenti italiani ben foraggiati» fornivano «alle questure nostrane e ai CCRR [carabinieri reali] informazioni sulla preparazione di una fantastica insurrezione comunista». Tali attività contribuivano ad «attentare alla democrazia» e «infrenare le rivendicazioni popolari» con l’obiettivo di «convincere gli Alleati a prolungare l’occupazione militare» e «rimandare alle calende greche la Costituente».

GINO LUBICH

GINO LUBICH

Contemporaneamente, risultava assolutamente errata la valutazione secondo cui i giovani democristiani  rappresentassero un possibile interlocutore tra le fila democristiane. Proprio i giovani democristiani, cresciuti e formatisi all’interno dell’Azione cattolica, erano imbevuti «di integralismo cattolico, biliosi nei confronti delle forze di sinistra, avvertite come attentatrici della libertà religiosa e della proprietà privata». Per giovani come Piccoli o Paolo Berlanda (Rovereto, 13 marzo 1920. Giornalista e politico democristiano. Ottenuto il diploma magistrale nel 1937, durante la seconda guerra mondiale, con il grado di sottotenente, partecipò alle operazioni belliche in Jugoslavia e in Sicilia. Congedatosi alla fine del conflitto e ritornato a Trento, aderì alla Democrazia cristiana divenendone in breve dirigente organizzativo dal 1945 al 1950. Consigliere provinciale e regionale nella II. (1952-1956) e III. Legislatura. Presidente della società Atesina (1959) e della società Trento-Malè (1979-1995). Eletto al Senato negli anni 1963, 1972 e 1976, entrò contemporaneamente nel Consiglio nazionale della DC e, successivamente, nella direzione centrale del partito a Roma. Sottosegretario di Stato al ministero del commercio estero.), «la democrazia» s’identificava «con il cristianesimo e con la libertà […] della proprietà, della famiglia, della scuola».

PAOLO BERLANDA

PAOLO BERLANDA

Dopo il primo congresso dei CLN dell’ottobre 1945, Lorenzo Foco (Padova, 1910. Giovanissimo, divenne segretario della Federazione giovanile comunista d’Italia (FGCd’I) per il Triveneto. Perseguitato per la sua attività politica, nel 1926, fu condannato dal Tribunale speciale a 14 anni di carcere. Tornato in libertà nel 1936, divenne segretario della Federazione del PCI clandestino di Padova coordinandone l’azione fino al 25 luglio 1943. Pur mantenendo i contatti con i comunisti trentini, fu destinato ad operare in Lombardia. Nel corso della lotta di liberazione, fu ispettore del Partito comunista. Arrestato nel gennaio 1945, fu condannato a 18 anni di detenzione dal Tribunale speciale di Bergamo. Nell’immediato dopoguerra, fu incaricato della riorganizzazione della Federazione del PCI di Trento in qualità di segretario politico fino ai primi anni cinquanta.) affermava che l’organismo ciellenistico si era trovato sotto l’attacco di un duplice nemico. Uno esterno, costituito dalle forze «reazionarie», «monarchiche» e dai «residui del fascismo», ed uno interno, costituito da «forze dissolventi» dirette ad esautorarne «i compiti trasformando i CLN in organi burocratici svuotati di ogni contenuto politico». Il giudizio comunista sull’effettiva funzionalità del/dei CLN risultava peraltro in larga parte contraddittorio. Da un lato, si rimproverava al congresso di non aver saputo riaffermare «i compiti democratici e unitari dei CLN» e di non essere riuscito a porre «in rilievo la necessità di un legame sempre più stretto fra il CLN ed i Comitati periferici». Poco tempo dopo, invece, sempre Foco sottolineava che, nonostante «i molti bocconi amari», il CLN era riuscito nell’intento di mantenere «uniti i partiti» che facevano «capo a quest’organismo», ottenendo «un successo sostanziale». Forse, l’intenzione dei comunisti trentini era quella di ricercare, nonostante tutto, gli aspetti «positivi» nell’attività del CLN.

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In realtà, l’esperienza unitaria rappresentata dall’organismo ciellenistico costituiva per la DC «una camicia di forza […] troppo stretta». Il Partito cattolico percepiva la sua maggiore forza ideale rispetto alle altre formazioni politiche (Ad esempio, le sezioni della DC assommavano a 161 con 14.420 aderenti (settembre 1945), quelle del PCI a 139 (ottobre 1945), quelle del PSIUP a 110 (novembre 1945), una sensazione legittimata da una struttura forte e ramificata dinnanzi alla quale i comunisti si trovavano in netta «condizione di inferiorità». L’adesione della Democrazia cristiana al CLNP era stata più formale che sostanziale. Già durante il conflitto, anche in Trentino la DC aveva guardato con scetticismo alla natura del CLN. In sostanza, i leader democristiani avvertivano nel CLN lo strumento di un nuovo «partito unico che avrebbe governato senza essere stato designato dal popolo attraverso libere elezioni». La stessa estraneità con cui avevano partecipato alla distribuzione delle cariche all’indomani della liberazione era sintomatica di tale atteggiamento (Dopo aver lasciato che alcune cariche venissero affidate, in nome della pariteticità, ai partiti di sinistra, la DC, anche grazie all’aiuto degli alleati, ne era ritornata successivamente in possesso.). Se i partiti di sinistra – PCI, PSIUP, PdA – vedevano nel Comitato l’«unico organo rappresentativo della popolazione», liberali e democristiani si dimostrarono disposti a ritornare rapidamente al libero confronto democratico sostituendo il CLN con «istituzioni e cariche elette direttamente dal popolo».

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A danno delle forze di sinistra, pesava non solo il maggiore richiamo politico-ideologico della DC, ma anche il fatto che la stessa Resistenza in Trentino avesse rappresentato un fenomeno limitato e minoritario, non certo in grado d’imporsi attraverso l’attività del CLN. Il rapido evolvere del panorama politico nazionale doveva ripercuotersi inevitabilmente anche sul quadro locale. Già agli inizi di settembre, Ferrandi percepiva «un romano vento di fronda» che avrebbe condotto ad una crisi ministeriale, diretta conseguenza del «disaccordo fra i partiti circa la funzione e la struttura dei Comitati di liberazione». Soprattutto PLI e DC andavano diffondendo voci allarmistiche perché maggiormente interessate all’«esautoramento dei Comitati». La crisi del governo presieduto da Ferruccio Parri, tra novembre e dicembre del 1945, non rappresentava solo l’esito di molteplici ragioni politiche, sociali ed economiche, ma indicava che il «ciellenismo» era «giunto definitivamente al capolinea».

PIETRO NENNI

PIETRO NENNI

Se il casus belli s’identificò nell’ostilità di liberali e democristiani verso la decisa azione epuratrice condotta da Parri e da Nenni (Pietro Nenni (Faenza, 9 febbraio 1891-Roma, 1 gennaio 1980). Giornalista e pacifista, vicino al PRI. Dopo aver partecipato al primo conflitto mondiale, aderì al nascente fascismo. Scrisse su Il Popolo d’Italia e fu co-fondatore, nel 1919, del Fascio di combattimento di Bologna. Nel 1921, però abbandonò il movimento ed entrò nel PSI. Nel 1923, divenne direttore dell’Avanti. Costretto all’esilio in Francia nel 1926, combatté durante la guerra civile spagnola quale commissario politico nelle Brigate internazionali. Nell’estate del 1943, all’indomani della caduta di Mussolini, fu confinato a Ponza. Tornato in libertà, contribuì alla nascita del PSIUP. Divenuto nel 1944 segretario nazionale del PSIUP, fu sostenitore dell’alleanza tra socialisti e comunisti. Eletto all’Assemblea costituente nel 1946. In vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, fu tra gli artefici del Fronte democratico popolare. Dopo i fatti d’Ungheria del 1956, preferì allontanarsi dai comunisti ed all’interno del partito guidò la corrente dei socialisti autonomisti, tendente a creare le condizioni per un governo che fosse espressione di un’intesa tra socialisti e democristiani. Con questa premessa, negli anni sessanta, ebbe avvio il periodo dei governi di centrosinistra. Eletto deputato per numerose legislature, fu più volte ministro e vicepresidente del consiglio nel primo, nel secondo e nel terzo governo Moro. Nel 1970, fu nominato senatore a vita.) – vicepresidente del Consiglio e Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo – contro «il grande capitale» ed «i vertici dell’amministrazione statale», la crisi rivelò l’insofferenza per la natura stessa del gabinetto Parri. Come ha sottolineato Lombardi, non si trattava solo di un confronto «fra forze moderate e progressiste sempre più netto», ma tra una visione «elitaria», quella ciellenistica, e «una concezione nuova in cui i grandi partiti di massa» divenivano «i protagonisti della vita politica».

Lo scontro tra le due formule doveva portare inevitabilmente ad uno svuotamento della prima a vantaggio della seconda. Quanto fosse stata deficitaria l’azione del governo Parri e quanto lontano dalle preoccupazioni quotidiane della gente trentina il significato della sua caduta, lo si ricava dalla relazione che il questore inviò a Roma nel dicembre 1945. Secondo Pizzuto, l’atteggiamento comune a gran parte della popolazione s’identificava in una sorta d’indifferenza generale alla situazione politica italiana. Nonostante «qualche manifestazione di carattere politico concretatasi in qualche ordine del giorno», una larga parte della società trentina poteva considerarsi estranea rispetto all’acceso dibattito nazionale. Nemmeno i partiti di sinistra erano riusciti a smuovere i trentini da questo stato di sostanziale «apatia».

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L’iniziativa presa dai partiti di sinistra per un’astensione dal lavoro di mezz’ora quale manifestazione di protesta della classe operaia riguardo alla crisi ha avuto scarso seguito. Lo stesso giubilo e la stessa profonda soddisfazione per l’esito della crisi, che ha portato al sommo del potere un figlio del Trentino Alcide De Gasperi (Pieve Tesino, 3 aprile 1881-Borgo Valsugana, 19 agosto 1954. Fin da giovane, partecipò ad attività politiche di ispirazione cristiano-sociale. Nel periodo degli studi universitari, a Vienna e ad Innsbruck, fu leader del movimento studentesco e protagonista delle lotte degli studenti trentini per l’università italiana. Dovette scontare per queste sue attività anche un breve periodo di reclusione ad Innsbruck. Nel 1905 entrò a far parte della redazione del giornale Il Trentino assumendone presto la carica di direttore. Nelle elezioni al Parlamento austro-ungarico del 1911 fu eletto tra i banchi del Partito popolare. Il 27 aprile 1914 ottenne anche un seggio alla Dieta tirolese di Innsbruck. Il suo impegno in Parlamento fu legato alla difesa dell’italianità e al raggiungimento dell’autonomia amministrativa. Delegato per i profughi trentini per l’Austria superiore e per la Boemia occidentale durante la Grande guerra. Nell’immediato dopoguerra, aderì al PPI promosso da don Luigi Sturzo. Nel 1921, fu eletto deputato a Roma. Nel 1925, assunse la segreteria del Partito popolare. Dopo l’iniziale sostegno dato al primo governo Mussolini, successivamente si oppose all’avvento del fascismo finché, nel 1927, fu arrestato e condannato a quattro anni di carcere.

ALCIDE DE GASPERI

ALCIDE DE GASPERI

Scarcerato nel 1928, solo grazie all’interessamento del vescovo di Trento, Celestino Endrici (Don, 14 marzo 1866-Trento, 29 ottobre 1940), e di alcuni amici ex popolari, trovò occupazione presso la Biblioteca vaticana. Durante la seconda guerra mondiale, entrò a far parte del CCLN in rappresentanza della DC. Ministro senza portafoglio nel primo governo Bonomi; dal dicembre 1944 al dicembre 1945, fu ministro degli esteri. Presidente del consiglio dei ministri dal dicembre 1945, ininterrottamente, fino al 1953, e segretario della DC sino al 1954.), non hanno dato luogo a manifestazioni pubbliche. La stragrande maggioranza delle popolazioni, siano o non inquadrate in partiti politici, è nettamente orientata verso la Democrazia cristiana. Ciò che emergeva, in realtà, erano le prime avvisaglie della guerra fredda ormai alle porte. In seguito alla caduta di Parri, il comunista Remo Costa tenne un discorso a Rovereto dinnanzi a 150 persone. Nella relazione che il questore inviò al presidente del CLNP, il democristiano Benedetti, si affermava che l’oratore aveva accusato i liberali «di spirito reazionario e di favoritismo alla monarchia».

Precisò che se l’attuale crisi non si fosse manifestata le province del Nord sarebbero passate […] al Governo di Roma, ma le forze oscure della reazione hanno provocato le dimissioni del governo Parri per impossessarsi dei principali Dicasteri, ed eliminare le leggi che promuovono la lotta antifascista, l’epurazione e la confisca degli illeciti profitti, a tutto vantaggio dei capitalisti e dei criminali che hanno voluto la guerra. Ha richiamato l’attenzione sui movimenti autonomistici, sulla situazione della Venezia Giulia, sul banditismo che dilaga in Italia, collegando i diversi fenomeni e precisando che si tratta di un ben congegnato piano per scatenare una guerra civile, alla quale i partiti di sinistra non intendono immischiarsi.

Questa ricostruzione conteneva certamente un fondo di verità. Ciò nonostante, l’errore dei comunisti consisteva nel considerare gli avvenimenti politici e sociali, locali e nazionali, come l’espressione manifesta di un complotto ordito dalle forze reazionarie contro la democrazia e le classi lavoratrici. Una trama nemmeno troppo segreta esisteva realmente, ma, come si vedrà, in maniera più subdola, attraverso una mancata epurazione dello Stato e dell’amministrazione pubblica nonché una debole azione giudiziaria nei confronti di ex fascisti e collaborazionisti. Inoltre, si tacevano le responsabilità che, nella crisi di governo, avevano avuto le stesse forze di sinistra – PCI e PSIUP – che vedevano nel «trentino» De Gasperi e nella DC la controparte migliore per avviare quelle riforme di cui il Paese aveva assoluto bisogno e contemporaneamente traghettarlo verso le elezioni politiche e l’Assemblea costituente. Il 10 dicembre 1945, nacque così il primo governo De Gasperi (dicembre 1945-giugno 1946) che vedeva ancora la partecipazione di Nenni e Togliatti.

Nonostante l’approvazione di un ordine del giorno comune (Aderivano all’iniziativa la Camera del lavoro, l’ANPI, l’UDI, la Sezione provinciale mutilati e invalidi e la sezione ex combattenti.) che ribadiva «la necessità che il Governo italiano» rimanesse «espressione del CLN e delle masse popolari e democratiche», l’evoluzione della situazione politica trentina rispecchiava ciò che accadeva a livello nazionale. Il superamento dell’ipotesi ciellenistica si contraddistingueva ormai per la preminenza dei partiti politici e per lo scontro politico-ideologico già orientato alle future battaglie elettorali. La storiografia locale ha dedicato pagine rilevanti al contesto politico sviluppatosi in Trentino nel secondo dopoguerra, soprattutto alle fasi precedenti la nascita della Repubblica.

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Ciò che risulta importante sottolineare sono le ricadute che la crisi del governo Parri e l’avvento del primo governo De Gasperi ebbero sul breve periodo in provincia. A partire dalla crisi governativa del dicembre 1945, non trascorse molto tempo che gli esponenti della DC trentina, prendendo atto del terremoto politico avvenuto a Roma e ritenendo ormai conclusa l’esperienza unitaria nata dalla liberazione, abbandonarono definitivamente il CLN provinciale. Del resto, era inevitabile che lo spostamento dell’asse di governo verso lo schieramento moderato-centrista e la nomina a presidente del Consiglio del più carismatico esponente della DC, per giunta trentino, avesse delle conseguenze sulla strategia democristiana locale. Il 22 febbraio 1946, la DC trentina uscì dal CLNP e dai vari Comitati comunali della provincia. Causa scatenante fu l’acquisto da parte del socialista Alverio Raffaelli della maggioranza delle azioni, e la loro successiva ripartizione tra i partiti di sinistra, della Società editrice tipografica trentina (SETT), proprietaria del quotidiano Liberazione nazionale. Impossessandosi del giornale, i partiti socialista e comunista avevano rotto «il patto di unità tra i partiti». In realtà, si deve ritenere che tale motivo sia stato essenzialmente strumentale. Gli stessi contemporanei giudicarono oltre modo esagerata la decisione presa dal partito democristiano. In virtù dell’avvicinarsi della sfida elettorale, la DC ambiva ad avere completa libertà d’azione rispetto al CLN, quello che ormai, secondo Vadagnini, era un vero e proprio «letto di Procuste». Del resto la sensazione di rappresentare la forza politica maggioritaria in Trentino – già evidenziata dal questore – non poteva non essere avvertita dagli stessi esponenti democristiani. Inoltre, i segnali provenienti da Roma indicavano che la strada intrapresa da De Gasperi era volta a normalizzare al più presto la vita istituzionale e sociale del Paese. Con il primo gennaio 1946, i territori dell’Italia settentrionale, e quindi anche la provincia di Trento, ritornarono alla diretta amministrazione del governo italiano. La conclusione dell’esperienza ciellenistica fu sancita dalla sostituzione di tutti i prefetti e questori politici a suo tempo nominati dai vari CLN regionali e provinciali. In Trentino, l’avvicendamento del prefetto fu preceduto da quello del questore reggente Antonio Pizzuto che, trasferito a Bolzano, fu rimpiazzato dal dottor Antonio Zavagna. Pochi giorni dopo, Ottolini fu sostituito dal prefetto Torquato Carnevali (Napoli, 29 marzo 1885-Venezia, 14 novembre 1950. Iniziò la carriera a Roma presso il ministero degli interni. Nel maggio 1921, fu trasferito a Milano quale consigliere e vice prefetto ispettore. Passato alla prefettura di Sondrio, vi svolse le funzioni di vice prefetto vicario. In seguito, occupò uguale posizione presso le prefetture di Chieti, Bergamo e Venezia. Nell’agosto 1943, fu promosso prefetto di Gorizia, ma, dopo poco tempo, per disposizione della RSI, fu collocato a riposo. Finita la guerra, fu richiamato in servizio e inviato presso la prefettura di Trento dove, nel febbraio 1946, sostituì il prefetto politico Giuseppe Ottolini.). Nel giro di quattro giorni, tra il 22 e il 26 febbraio 1946, la DC uscì dal CLN provinciale e il governo di Roma, presieduto da De Gasperi, riprese saldamente il controllo della periferia attraverso il ristabilimento di funzionari che avevano fatto carriera nell’amministrazione statale durante il fascismo. Ciò non vuol dire che dietro questi fatti ci fosse stato un piano predeterminato. Si potrebbe trattare solo di una coincidenza. Tuttavia, era quanto meno significativo il fatto che «la DC trentina», per stessa ammissione dei democristiani, fosse stata «la prima in Italia a rompere l’equivoco». Insediatisi nella questura e nella prefettura, i «nuovi» rappresentanti dello Stato avrebbero dovuto «garantire», come disse De Gasperi, «l’imparzialità del governo nelle successive elezioni». Stranamente, però, al momento di congedarsi il maggiore Somerset (Malcolm B. Somerset, ufficiale inglese del 7. Reggimento dragoni della guardia (7. Dragoon guards), sostituì il maggiore Mavis quale commissario del Governo militare alleato di Trento dall’ottobre al dicembre 1945.) non poteva fare a meno di apprezzare la collaborazione di Ottolini che si era rivelata «amichevole, onesta, scevra da qualsiasi influenza politica». In realtà, era in atto una vera e propria restaurazione politica e burocratica.

Il dato rilevante era che l’azione intrapresa dal governo centrale non suscitò alcuna reazione da parte dei partiti di sinistra. Se nel giugno 1945 la sostituzione del questore politico Perini aveva innescato le «energiche proteste» da parte dell’intero CLN provinciale, nel febbraio 1946 l’esonero di Ottolini «non suscitò eccessivo scalpore». Una volta uscita la DC, l’attività del Comitato provinciale risultò ancor più limitata, le sedute si fecero più rarefatte e meno consistenti gli argomenti trattati. Sebbene il CLNP affermasse ancora l’esigenza «storica» del suo compito, era chiaro che anche i partiti rimasti a comporlo – PCI, PSIUP, PLI e PdA – erano consci ormai che la sfida per la rinascita politica, economica e sociale della provincia e della Nazione non si sarebbe più tenuta all’interno dell’istituto nato dalla lotta di liberazione, ma fuori, nell’aperto confronto politico e democratico. Gli sforzi principali per le forze di sinistra si erano indirizzati da tempo a sostegno della Repubblica e all’elezione dell’Assemblea costituente.

L’ultima seduta del CLN provinciale di Trento si tenne il 30 aprile 1946. Le strade che, fino a quel momento, avevano unificato le formazioni politiche uscite dalla Resistenza, si separavano di fronte all’imminente battaglia elettorale per l’Assemblea costituente e per il referendum istituzionale che avrebbe sancito la nascita della Repubblica (Già le elezioni amministrative del marzo 1946 avevano rappresentato un primo banco di prova e di verifica per tutti i partiti. Questo primo confronto elettorale aveva confermato la preferenza della popolazione trentina per il partito cattolico. Dei 59 comuni interessati, 48 andarono alla DC mentre gli 11 rimanenti furono spartiti tra liste indipendenti e partiti di sinistra). Sin dal periodo bellico, i due aspetti avevano occupato una parte significativa del dibattito politico italiano. Con la conclusione del conflitto, la discussione scivolò sui tempi e sulle modalità che dovevano segnare la rinascita democratica del Paese. Alle posizioni sostenute dalla sinistra, favorevole all’elezione diretta di un’Assemblea costituente, dotata di «poteri legislativi» ed incaricata di guidare l’Italia verso la repubblica, si contrapponeva la volontà di De Gasperi nettamente contrario ad una soluzione di questo tipo. Vinse la visione degasperiana disposta ad accorpare in un’unica giornata elettorale le due questioni affinché fosse il popolo italiano a scegliere liberamente non solo i propri candidati all’Assemblea costituente, ma anche il futuro assetto istituzionale del Paese, tra monarchia o repubblica. Ai rappresentanti eletti alla costituente sarebbe poi toccato il compito di stilare la nuova

carta costituzionale. La scelta del referendum prevalse nella strategia dello statista trentino anche perché si voleva evitare che si evidenziasse la frammentazione esistente «tra l’elettorato democristiano, in gran parte di sentimenti monarchici, e i quadri del partito, […] prevalentemente per la repubblica».

Il 2 giugno 1946 gli italiani andarono a votare e decisero, seppur con notevoli differenze tra Nord e Sud, a favore della repubblica. In provincia di Trento, la vittoria della repubblica risultò schiacciante con l’85% delle preferenze mentre si riconfermò, dopo le elezioni amministrative di marzo, il predominio democristiano con oltre la metà dei suffragi (57%).

LUIGI CARBONARI

LUIGI CARBONARI

All’Assemblea costituente furono eletti i democristiani Alcide De Gasperi, Luigi Carbonari (Carbonare di Folgaria, 3 ottobre 1880-Strigno, 20 settembre 1971. Ancora studente, nel 1902, fondò la Cassa rurale e la Cooperativa di consumo nel suo paese natale. Nel 1906, fu incarcerato per aver partecipato, insieme a De Gasperi, alle manifestazioni di Innsbruck per l’Università italiana. Nel 1907, fu processato per aver promosso dimostrazioni pubbliche per l’annessione del Trentino all’Italia. Nello stesso periodo collaborò con De Gasperi per la costituzione delle leghe dei contadini. Nel 1911, fu eletto deputato al parlamento di Vienna. Ufficiale austriaco nella prima guerra mondiale, dopo aver disertato, si rifugiò a Firenze. Funzionario della Banca cattolica, nel 1921, si dimise essendo stato eletto deputato per il PPI. Presidente della Federazione provinciale trentina fino al 1926, all’avvento del fascismo, esercitò la professione di ambulante. Nel dopoguerra, fu membro della Consulta nazionale – organo sostitutivo del Parlamento. Nel giugno 1946, fu eletto deputato all’Assemblea costituente per la DC. Senatore di diritto dal 1948 al 1953. Presidente della Federazione dei consorzi, agli inizi degli anni sessanta, per contrasti con la DC, uscì dal partito fondando l’Alleanza contadini artigiani rappresentata da lui in Consiglio provinciale dal 1964 al 1968.) ed Elsa Conci (Trento, 23 marzo 1895-1 novembre 1965. Laureatasi a Roma nel 1920, ritornò a Trento insegnando presso l’Istituto tecnico inferiore Leonardo da Vinci.

ELSA CONCI

ELSA CONCI

Il suo apprendistato politico ebbe inizio sin dai tempi dell’università quale presidente della sezione romana della FUCI e poi nell’Azione cattolica trentina. Nell’immediato dopoguerra, entrò nella DC. Nel 1946, fu eletta prima delegata al congresso nazionale della DC, e poi deputata all’Assemblea costituente. Fece parte della Commissione dei 18, che aveva il compito di coordinare gli Statuti speciali con la Costituzione. Dal 1948 al 1952, fu vicesegretaria del gruppo democristiano alla Camera, diventandone poi segretaria. Fece parte della delegazione italiana al Parlamento europeo di Strasburgo.). Solo il socialista Gigino Battisti riuscì ad affiancarli. I risultati elettorali dimostravano ancora una volta quanto pesasse nella memoria politica locale la tradizione del Partito popolare e del Partito socialista precedenti al fascismo. L’egemonia democristiana si riscontrava del resto anche sul piano nazionale dove la DC aveva ottenuto il 35% dei voti, seguita dal PSIUP (20%) e dal PCI (19%). I partiti di massa venivano così ad essere premiati nella prima, importante consultazione elettorale del dopoguerra (Il PdA ottenne l’1,4% dei voti, il PRI, il 4,4%, il Fronte dell’uomo qualunque, il 5,3%).

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Sconfitto politicamente come strumento di un nuovo modo d’intendere l’organizzazione e la struttura dello Stato, il CLN ha lasciato in eredità un alto valore ideale. Studi e ricerche recenti hanno visto nei Comitati regionali e provinciali l’anticipazione del futuro assetto democratico (L’ordinamento regionale, sancito dalla carta costituzionale nel 1948, entrò effettivamente in vigore solo nella primavera del 1970. Alle cinque regioni a statuto autonomo – Friuli-Venezia-Giulia, Trentino Alto-adige, Val d’Aosta, Sicilia e Sardegna – si aggiungevano altre 15 regioni a statuto ordinario.). Pur in assenza di una «discendenza diretta delle regioni dai Cln regionali», Lombardi valuta come fondamentale l’aspirazione regionalista e decentratrice racchiusa nell’esperienza ciellenistica. Se si analizza il caso trentino e si tiene conto della delicata situazione dell’immediato dopoguerra – dove le istanze di autonomia amministrativa dal governo centrale si mescolavano a pericolose derive separatiste – il CLN ricoprì una reale funzione di mediazione tra il desiderio di decentramento e la necessità dell’unità nazionale e territoriale con il resto del Paese. Come si è evidenziato anche nelle precedenti puntate, il fenomeno del separatismo trentino fu in parte il risultato di una profonda crisi identitaria sul senso ed il significato dell’appartenenza stessa dei Trentini all’Italia.

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