DOMANI M’AMMAZZO
di Cornelio Galas
E certo che lo dico prima. Se no penseranno al solito infarto, no? Confonderanno le idee. Anche le mie ultime idee. E i ricordi: di un suicida non si può dire molto di più che un “sembrava stesse bene …”. Sgomento, incredulità. “Ma gli faranno il funerale in chiesa o no? “. No, a rigor di logica. Ma basta dire che si è trattato di un … di un improvviso malore. E le porte della chiesa si apriranno. Come per gli altri.
Ma perché voglio ammazzarmi? Mi viene in mente il libro di Sergio Endrigo: “Quanto mi dai se mi sparo?”
E’ chiaro, si capisce, non mi ammazzerò. Non ne vale la pena. In fondo siamo condannati tutti a morte. Siamo tutti nel “braccio” della morte. In attesa dell’esecuzione. Può arrivare domani, posdomani. O stasera, o tra pochi minuti. Chi lo sa?
E’ da quando sono nato che, rinchiuso in questa vita, attendo la sentenza. Sì, qualcuno ha deciso che morirò. Su questo non c’è alcun dubbio. Non è scritto quando e come. Dettagli … interesseranno la cronaca nera, i necrofori, gli eredi soprattutto.
E intanto sono qui. Ho studiato, lavorato, comprato casa. Ho un figlio, un nipote. Lascerò tanti scritti, foto, video, tracce in Internet. Lascerò i miei sentimenti da vivo, le mie speranze da vivo, le mie paturnie da vivo. E poi morirò. Come tutti i morti. Una foto sulla lapide fisserà per sempre un sorriso triste. Ed un monito: attenzione, non sono più vivo, vivo solo … come dite? Nei vostri ricordi.
Ma certo che non mi ammazzo domani. Vorrei vedere se l’Europa diventerà Europa al di là dei soldi. Vorrei sapere se la mia Inter vincerà di nuovo la Champions. Se qualcuno atterrerà su Marte. Se l’Isis sarà sconfitto e cosa ne sarà di quelle terre dopo … Vorrei esserci ancora per vedere Renzi quando comanderanno i cinque stelle o coalizioni eterologhe non comprensive del Pd.
Vorrei non morire prima del matrimonio di mio nipote. Anche con un gay, chissenefrega. E mi piacerebbe vedere due generazioni prima della mia incazzate col mondo e in grado di fare un golpe democratico. Non come quello di quest’anno in Turchia.
Sì, potrei anche morire, lasciare ad altri il mio posto, il mio “disturbo”, in questo mondo, quando dovesse succedere. Ma con la stessa serenità con la quale sono andato in pensione prima, rimettendoci tanti soldi, per non fare da “tappo” in una redazione di periferia. E non dover violentare le mie idee obsolete in fatto di giornalismo.
Ah sì, sarebbe bello morire così. Senza rompere le scatole a nessuno. Senza rimorsi, senza rimpianti. E poter, dopo, da morti, suggerire a qualcuno lo scoop dei scoop: sull’aldilà.
Ma certo che non mi ammazzo. Ho tante cose da fare, dire, scrivere, pensare prima … se ho ancora il tempo per farlo.