a cura di Cornelio Galas
La consegna, ai partigiani di Tito, dei croati, sloveni e cetnici
Prima di riprendere il filo delle vicende dei cosacchi, è opportuno accennare brevemente alla forzata consegna alle truppe partigiane di Tito degli slavi anticomunisti, presenti anch’essi nel settore del Cdo del V CA inglese.
Il breve accenno aiuta a capire il clima di emergenza presente in maggio nell’area carinziana di responsabilità del V CA inglese e i drammi che vi si svolsero pochi giorni prima e contestualmente alla consegna dei cosacchi ai sovietici.
Bleiburg
Alle ore 21 del giorno 14 maggio, un ufficiale croato raggiunse la zona di occupazione del V CA inglese a Bleiburg, ad Est di Klagenfurt, offrendo la resa di due Armate ustascia, (200.000 militari) e di 500.000 profughi, già entrati in territorio austriaco.
Questa enorme massa aveva resistito agli attacchi delle formazioni jugoslave che la inseguivano e, giunta in territorio austriaco, chiedeva la protezione delle truppe inglesi.
Il Comandante della Brigata responsabile del settore accorse prontamente a Bleiburg e concluse che la già affollata zona di occupazione del V CA non poteva assorbire altre 700.000 persone.
Rifiutò quindi la resa dei croati sostenendo che essi dovevano ritornare in Jugoslavia ed arrendersi alle forze del Maresciallo Tito. Poco distante dalla zona di accampamento dei croati, in territorio austriaco, erano intanto giunte e si erano schierate consistenti formazioni di partigiani jugoslavi.
Il Cte della Brg. inglese chiamò allora i due Comandanti degli opposti schieramenti e usando le maniere forti convinse il riluttante croato a deporre le armi e ad arrendersi alle truppe jugoslave.
Alle ore 04.30 del giorno 15 maggio, fu firmato un accordo che prevedeva il trattamento di prigionieri di guerra per i militari croati e il rientro a casa per i profughi civili. Con quell’accordo, lo Stato indipendente di Croazia cessava di esistere dopo quattro anni di vita.
Disarmati i croati, e allontanatosi il Cte della Brg. inglese, le forze jugoslave, appostate ai margini della piana ove i croati avevano eretto i loro bivacchi, aprirono il fuoco con le mitragliatrici pesanti contro quella massa ormai inerme, stanca e insonnolita.
Incapace di rendersi conto di quanto stava succedendo, la gente correva in tutte le direzioni creando una indescrivibile confusione mentre le mitragliatrici ed i mortai jugoslavi continuavano a spazzare il campo, da un capo all’altro.
Fu un massacro. Una volta accertata l’inesistenza di qualsiasi reazione croata, i partigiani jugoslavi si avventurarono in mezzo ai corpi finendo i feriti con le baionette. I sopravvissuti furono radunati, incolonnati e fatti passare su un ponte sulla Drava e avviati in Slovenia.
Una pattuglia motorizzata inglese, rimasta sul posto a seguire gli eventi, vide uomini, donne, bambini, bastonati, frustati e talvolta uccisi senza apparente motivo mentre si incamminavano verso il confine sloveno. Il trasferimento dei sopravvissuti si concluse il 16 maggio.
Quante vittime croate vi furono a Bleiburg non è noto, ma furono certo moltissime. Ancora negli anni ’80, i contadini austriaci, durante l’aratura dei campi, rinvenivano ossa umane, fregi, bossoli, proiettili etc.
I militari croati superstiti furono suddivisi in gruppi e fatti marciare per giorni e giorni attraverso le strade della Slovenia, Croazia, Serbia, con le mani legate con fil di ferro o filo elettrico, affamati, assetati, sfigurati. Chi non riusciva a tenere il passo veniva pugnalato o fucilato e abbandonato a lato della strada. A queste “marce della morte” pochi sopravvissero.
Jesenice
Il 17 maggio, lo stesso giorno in cui il Maresciallo Alexander aveva ordinato di disarmare e custodire in campi di prigionia gli slavi collaborazionisti e i cetnici arresisi agli inglesi in Austria e di non restituirli ai partigiani jugoslavi contro la loro volontà, il Gen. Toby Low, Ca SM del V CA, prendeva accordi con un ufficiale titino per la consegna di circa 32.000 croati, domobranci (sloveni), cetnici, presenti nel campo organizzato a Viktring, non lontano dal confine sloveno.
Era previsto il trasferimento via ferrovia con partenza da Rosenbach. Ai prigionieri fu detto che il treno era diretto nei campi di raccolta in Italia. Il treno portava invece in Slovenia, a Jesenice, ove i prigionieri venivano sistematicamente derubati di ogni avere e fucilati in una zona boscosa ed appartata.
Il trasferimento dei croati durò dal 19 al 24 maggio. Furono impiegati circa 18 treni ciascuno di essi in genere formato da 30-35 vagoni.
Kocevje
Dal 28 al 31 maggio furono evacuati da Viktring (Carinzia) 6.000 persone circa rimaste nel campo, i domobranci sloveni e i profughi che nei giorni precedenti erano riusciti a superare le maglie della sorveglianza inglese ai ponti sulla Drava e ad entrare in Carinzia.
Le stazioni di partenza erano Rosenbach e Bleiburg, la destinazione Kranj ove i prigionieri venivano fatti scendere. Lì venivano derubati, bastonati e torturati. Venivano poi portati a Kocevje (Slovenia meridionale), fatti scendere dal treno, legati ai polsi e l’uno all’altro, caricati per aliquote su tre autocarri e portati nei pressi di una voragine, sui bordi della quale venivano fucilati così che cadessero nella stessa.
Alcuni, prima della fucilazione, venivano sottoposti a torture di cui si tralasciano i raccapriccianti dettagli. Secondo quanto riferito da Milovan Djilas, al tempo stretto collaboratore di Tito, croati, cetnici, domobranci furono tutti uccisi ad eccezione delle donne e dei giovani di età inferiore ai 18 anni.
Pianificazione, da parte del Cdo del V CA, della consegna dei cosacchi ai sovietici
Il 18 maggio 1945, il Gen. Arbuthnott, Cte dell 78a D. di fanteria responsabile dell’alta valle della Drava, fece un’ispezione al campo cosacco di Peggetz (Lienz). Egli si mostrò affabile con tutti ed espresse ammirazione per il modo in cui i cosacchi avevano organizzato la vita interna del campo.
Il Gen. Domanov colse l’occasione per rendere noto al Generale che pochi giorni prima soldati inglesi si erano impossessati di alcuni tra i migliori cavalli dei cosacchi. A questa lamentela, l’atteggiamento di Arbuthnott cambiò improvvisamente.
Egli rispose che “non c’erano cavalli cosacchi, tutti i cavalli appartenevano al Governo di Sua Maestà britannica del quale i cosacchi erano prigionieri di guerra”. Domanov, sorpreso e preoccupato per questo improvviso cambio d’umore, ne parlò con Krassnov che decise di scrivere una seconda lettera al Maresciallo Alexander. A questa lettera, come alla prima, non giunse mai risposta perchè probabilmente entrambe si fermarono al Cdo V CA.
Il 21 maggio giunse ad Alexander la risposta di Eisenhower alle sua richiesta del 17 maggio. Eisenhower si dichiarava disponibile a ricevere i 110.000 tedeschi e i 50.000 cosacchi (di Krassnov e di von Pannwitz) incluso il seguito di profughi.
Il 22 maggio, il Comando delle Forze Alleate (AFHQ) di Caserta inviava una direttiva alla 8a Armata, in Treviso, in cui veniva disposto che tutti i cittadini sovietici presenti nell’area del V CA dovevano essere consegnati ai sovietici, purché questo non implicasse l’uso della forza. Gli altri dovevano essere evacuati nell’area del 12° Gruppo d’Armate Usa (Austria settentrionale e Baviera).
Il 23 maggio, il Gen. Toby Low, Ca SM del Cdo V CA, rappresentò al Cdo 8a Armata che, in base alle istruzioni impartite verbalmente da Macmillan il 13 maggio, era pressoché impossibile garantire la consegna dei cosacchi ai sovietici, a meno di concedere libertà d’azione al Cdo V CA.
Il 23 maggio, il Gen. Keightley, Cte del V CA, comunicò al Cdo 8a Armata, con grande franchezza, di essersi impegnato con i sovietici a consegnare i cosacchi. La sua parola doveva essere onorata.
Il 25 maggio, il Cdo 8a Armata dispose che il V CA consegnasse ai sovietici tutti i cittadini sovietici. L’evacuazione nel settore americano di coloro che si fossero opposti non avrebbe avuto luogo. Era implicito il consenso all’uso della forza.
Lo stesso 25 maggio, il Maresciallo Alexander autorizzò la consegna dei cittadini sovietici, senza peraltro far cenno all’uso della forza.
La suesposta sequenza delle disposizioni emanate .dalle autorità militari interessate dal 14 al 25 maggio 1945, così come riportate da Tolstoy, presenta evidenti lacune che non consentono di spiegare compiutamente l’apparente incoerenza, specie da parte del Maresciallo Alexander, delle disposizioni emanate.
La soluzione adottata fu basata su motivazioni di carattere politico e fu quindi imposta alle autorità militari, dal Governo inglese per il tramite del Ministro consigliere Macmillan, che prima convinse il Gen. Keightley durante il loro incontro del 13 maggio e poi probabilmente anche il Maresciallo Alexander con cui trascorse la serata al suo rientro da Londra, il 22 maggio, dove era stato ospite del Primo Ministro Churchill il 20 e il 21 maggio.
Va precisato, per inciso, che nei giorni cruciali dell’immediato dopoguerra, presso il Comando delle Forze Alleate in Italia (AFHQ), il problema dei cosacchi, nella scala delle priorità, non doveva essere dei più urgenti né dei più importanti.
Pressante era invece, per la autorità militari anglo-americane a tutti i livelli in Europa la necessità di liberarsi nel più breve tempo possibile di tutti i due o tre milioni di collaborazionisti (compresi i cosacchi) e prigionieri sovietici che costituivano, tra le altre cose, un grosso problema logistico in un’Europa stremata e priva di risorse alimentari adeguate.
Il Cdo V CA aveva intanto stava perfezionando la preparazione della conse gna, attraverso frequenti contatti con le autorità sovietiche di Voitsberg. Fu stabilito che la consegna sarebbe avvenuta a Judenburg, una cittadina nella zana di occupazione sovietica, subito ad est della linea di demarcazione.
Il 21 maggio, il Gen Keightley convocò i suoi Cti di Divisione e comunicò loro la sua decisione di consegnare i cosacchi e i caucasici ai sovietici spiegando che essa era in applicazione agli accordi di Yalta. Egli elencò le unità interessate alla consegna: il gruppo Ataman, il XV Corpo di von Pannwitz, inclusi i Quadri tedeschi, la Riserva di Shkurò, i caucasici di Ghirey.
Il Gen Arbuthnott, Cte della 78a Divisione e responsabile dell’area ove si trovavano i cosacchi di Domanov e i caucasici di Ghirey, e il Gen. Murray Cte della 6a Divisione, responsabile dell’area in cui era accampato il XV Corpo cosacco di von Pannwitz, avanzarono obiezioni dicendo che si trattava di un ordine contrario alle leggi dell’onore militare.
Al primo fu dato un ordine diretto cui egli non potè sottrarsi, per ovviare alle obiezioni del secondo, Keightley dispose il trasferimento della responsabilità del Corpo di von Pannwitz dalla 6a alla 46a Divisione dislocata in un’area più a nord, proprio di fronte a Judenburg.
Il 24 maggio Il Cdo del V CA emanò gli ordini relativi all’operazione intitolata “Consegna dei cosacchi”. Tali ordini prevedevano:
- – la nota definizione di cittadini sovietici: erano tali coloro che al momento di unirsi alla Wehrmacht, vivevano entro i confini dell’Urss quali erano prima dell’agosto 1939. I russi che non erano mai stati nell’Urss dopo il 1930 non dovevano essere considerati cittadini sovietici;
- – le truppe cosacche di Domanov dovevano essere disarmate il 27 maggio;
- – gli ufficiali dovevano separati dalla truppa, catturati e condotti nel settore sovietico su autocarri;
- – la comunità cosacca di Krassnov (militari di truppa e civili) sarebbe stata trasferita a Judenburg per ferrovia. Il XV CA di von Pannwitz, invece, parte per ferrovia, parte per via ordinaria.
L’ordine d’operazione si concludeva con una frase ambigua che di fatto imponeva di ignorare la suesposta definizione di cittadini sovietici.
Essa infatti recitava: “E’ della massima importanza che tutti gli ufficiali, specialmente quelli di grado elevato, siano catturati e ne sia impedita la fuga. I sovietici considerano la loro consegna della massima importanza e probabilmente giudicheranno la consegna di questi alti ufficiali come una prova della buona fede inglese”.
Ora, gli alti ufficiali del Corpo cosacco tutti, tranne il Gen. Domanov, erano russi che si erano trasferiti nell’Europa occidentale prima del 1921 e pertanto, non erano sovietici, e quindi dovevano essere esclusi dalla consegna. Eppure l’ordine di operazione, alla fine, stabiliva che era della massima importanza che proprio questi fossero consegnati.
Il giorno 25 maggio il Gen. Arbuthnott convocò il Gen. Musson, Cte della 36a Brg. responsabile dell’area di Lienz e Oberdrauburg annunciandogli l’imminente consegna dei cosacchi e caucasici ed impartendo i relativi ordini.
Analogamente, il Gen. Musson delegò il Ten. Col. Malcolm, Cte del btg. Argyll and Sutherland Highlanders, all’esecuzione dell’operazione e questi riunì i suoi Cti di compagnia, tra cui il Magg,. Davies, ai quali spettava l’organizzazione materiale del trasferi mento dei cosacchi.
Il Magg. Davies chiese di essere esonerato dall’incarico perché, quale ufficiale di collegamento con i cosacchi, aveva imparato ad apprezzarli e trovava ingeneroso tradirne la fiducia che essi avevano riposto in lui. Il Gen. Musson insistette che, proprio per questo, Davies era l’uomo adatto a evitare il sorgere di sospetti da parte dei cosacchi e a garantire la sorpresa dell’operazione.
A questo scopo i soldati di Davies, che vivevano a contatto con i cosacchi, ricevettero l’ordine di lasciar cadere velate e discrete allusioni circa la possibilità che i cosacchi sarebbero stati forse impiegati dal Governo inglese quali truppe coloniali in Africa.
Il giorno 27 maggio, Davies dispose il disarmo dei cosacchi, con la scusa che le armi in loro dotazione erano eterogenee e non adatte al munizionamento inglese. A breve, sarebbero state distribuite armi standard inglesi. Gli ufficiali cosacchi ebbero qualche perplessità al riguardo ma si attennero all’ordine impartito.
Alle 03.00 dello stesso giorno, con una azione di sorpresa, la polizia militare inglese aveva provveduto ad arrestare il Gen. Shkurò nel suo albergo a Lienz ed a trasferirlo a Spittal, in una caserma appena evacuata dalla Divisione ucraina. A nulla valsero le sue proteste di essere stato insignito dal Governo inglese, nel 1919, dell’onorificenza dell’”Ordine di Bath”.
La falsa “Conferenza”
La pianificazione del Cdo del V CA prevedeva che fossero arrestati e consegnati per primi gli ufficiali così da lasciare senza guida la comunità che in tal modo, pensavano gli inglesi, non avrebbe reagito in modo organizzato alla successiva fase, quella della consegna dell’intera comunità.
Il problema di separare gli ufficiali dalla truppa fu risolto ricorrendo ad un inganno. Fu infatti inventata una riunione, cui avrebbe presenziato il Maresciallo Alexander, alla quale avrebbero dovuto partecipare tutti gli ufficiali cosacco- caucasici. A suggerire tale soluzione forse non furono estranee le due lettere di Krassnov ad Alexander, probabilmente trattenute al Cdo V CA.
Poiché Krassnov aveva chiesto in entrambe di avere un incontro con il Maresciallo, la convocazione da parte di questi di Krassnov e dei suoi ufficiali doveva apparire come il naturale sviluppo della richiesta di Krassnov: il Maresciallo voleva evidentemente incontrare i cosacchi per sentire le loro istanze.
Il Magg. Davies, la sera del 27 maggio fu così incaricato di comunicare al Gen. Domanov che il Maresciallo Alexander aveva indetto una riunione per il pomeriggio del giorno successivo cui avrebbero dovuto partecipare tutti gli ufficiali cosacchi.
La riunione avrebbe avuto luogo in una non specificata località ad est di Oberdrauberg. Krassnov, messo immediatamente a conoscenza della cosa, fu lieto di partecipare alla riunione perché interpretò l’iniziativa, nel senso sperato dagli inglesi, cioè come una risposta alle sue lettere. Gli altri ufficiali, ignari delle lettere, ebbero invece molti dubbi.
Gli ufficiali più giovani, già allarmati dal disarmo effettuato quel giorno, si mostrarono molto preoccupati e chiedevano perché mai Alexander non venisse al campo invece di far muovere 1.500 ufficiali per andare da lui.
Il Magg. Davies rispose che erano interessati anche altri gruppi di prigionieri tra cui i cosacchi di von Pannwitz, gli ucraini, i calmucchi e quindi, stanti i pressanti impegni del Maresciallo, era stato deciso di indire un’unica riunione per tutti.
La sera, Domanov riunì gli ufficiali più anziani per discutere su questo inatteso sviluppo della situazione e soprattutto decidere se credere o meno agli inglesi. La maggioranza dei convenuti si espresse in senso affermativo e quindi fu deciso di obbedire all’ordine.
Il fatto stesso che se ne discutesse, indicava che il rapporto di fiducia con gli inglesi si stava incrinando. Alcuni ufficiali dissero invece di non credere agli inglesi dichiarandosi contrari a recarsi alla conferenza.
Il giorno successivo, 28 maggio, il Gen. Domanov convocò tutti gli ufficiali ordinando loro di tenersi pronti, il pomeriggio, per recarsi nel luogo della riunione.
Quegli ufficiali che credevano si trattasse di un inganno degli inglesi per segregare gli ufficiali cosacchi, si nascosero nei boschi circostanti. Pochi per la verità, perché molti altri, che pur capivano di essere caduti in una trappola, ritenevano poco attraente la prospettiva della vita alla macchia, in una terra sconosciuta, braccati dagli inglesi, respinti dai locali, senza soldi, parlando solo russo. Era preferibile correre verso un destino, anche oscuro, ma rimanendo nella comunità di cui si sentivano parte, nella quale si riconoscevano.
Alle ore 13.00 del giorno 28 maggio, giunsero al campo gli automezzi sui quali vennero fatti salire gli ufficiali, i più elevati in grado in cabina, con l’autista. Ai famigliari preoccupati che chiedevano quando fosse previsto il ritorno, il Magg. Davies rispose che esso era previsto per la sera stessa, magari dopo cena. Rimasero al campo circa i circa ottanta ufficiali di servizio presso le varie unità accampate.
Domanov e Butlerov, il giovane tenente interprete, furono fatti salire su una autovettura e trasferiti a Spittal separati dagli altri. Alla partenza non c’erano guardie inglesi. Dopo circa 3-4 km. la colonna si fermò per far salire sul tetto della cabina di ciascun autocarro due soldati armati di fucile mitragliatore e per consentire l’inserimento di una autoblindo ogni tre autocarri.
Gli ufficiali che si erano sottratti alla “conferenza”, nascondendosi nel bosco, e che avevano osservato la scena, capirono che le loro apprensioni erano giustificate; tornarono al campo ove riferirono l’accaduto e sparsero la voce che gli ufficiali non sarebbero più ritornati.
Alle 13.30, partiti gli ufficiali cosacchi e caucasici (la stessa procedura era stata seguita a Oberdrauberg) il Gen Musson fece avvisare gli uomini del suo battaglione che, sulla base degli accordi intercorsi tra le Potenze Alleate, tutti i prigionieri di guerra di ciascuna di queste dovevano essere rimpatriati. Pertanto, anche i cosacco- caucasici dovevano essere consegnati ai sovietici.
Gli uomini, le donne e i bambini sarebbero stati trasferiti il più rapidamente possibile nella zona sovietica a mezzo ferrovia. Musson aggiunse che probabilmente i soldati addetti alla loro custodia, in queste tre settimane di convivenza, avevano preso a benvolere questa gente, ma occorreva tenere presente che quei russi erano gli stessi che si erano alleati con i tedeschi a fianco dei quali avevano combattuto contro gli alleati. Quindi niente sentimentalismi, occorreva fermezza e, se necessario, bisognava fare un ricorso a graduali forme di coercizione.
Gli ufficiali cosacchi nel frattempo si chiedevano il perchè di tanta scorta armata e la risposta fu che c’erano in giro bande di SS da cui era necessario guardarsi. A questo punto, gli ufficiali capirono che l’asserita conferenza era un inganno, ma pensavano di essere diretti ad un vero e proprio campo di prigionia non di essere in procinto di essere consegnati ai sovietici.
Si sa di almeno un ufficiale che, resosi conto della situazione, scese dal camion in corsa e si dileguò tra gli alberi. Nessuno gli sparò e la colonna proseguì la sua corsa senza fermarsi.
Musson attese in una località non precisata, lungo il tragitto, l’autovettura del Gen. Domanov. e quando questa giunse, Domanov e Musson si appartarono con gli interpreti in una fattoria, nei pressi, e il Gen. Musson informò ufficialmente Domanov che non c’era alcuna conferenza e che tutti gli ufficiali sarebbero stati consegnati ai sovietici il giorno successivo. Domanov allibì, ma non protestò, risalì in macchina e proseguì con la scorta per Spittal.
Alle 14.30, Domanov giunse alla caserma di Spittal, ove era rinchiuso da trentasei ore anche il Gen. Shkurò, e fu confinato in una stanza del circolo ufficiali sotto stretta vigilanza armata. Alle 1500 giunse la colonna con i 125 ufficiali caucasici e alle 15.30 gli ufficiali cosacchi. Gli autocarri furono scaricati uno per volta, gli ufficiali vennero perquisiti e vennero confiscati tutti gli oggetti ritenuti pericolosi.
A ciascuno venne data una tazza per bere. Vennero poi avviati verso un’area recintata con filo spinato, all’interno della quale c’era una serie di casermette. A Domanov fu imposta la responsabilità della disciplina interna.
Alle 19.30, Domanov fu autorizzato a rivolgersi ai suoi ufficiali, in gruppi di 500, cinque minuti per ogni gruppo, per spiegare la situazione. Alle 20.30, i prigionieri furono rinchiusi nelle loro casermette. La sveglia era prevista alle 04.30 del 29 maggio, colazione alle 05.30 e adunata alle 06.00. Alle ore 06.30 avrebbe avuto inizio il caricamento degli autocarri e alle 07.00 la colonna sarebbe partita per Judenburg per l’effettiva consegna degli ufficiali ai sovietici.
Il Gen. Krassnov, quando il Colonnello inglese, Comandante della caserma di Spittal gli rivelò l’inesistenza della “conferenza” e gli notificò la imminente consegna ai sovietici, rimase impietrito, ferito dalla doppiezza degli inglesi e si senti da loro tradito per la seconda volta.
La prima volta era accaduto agli inizi del 1919, quando la missione militare inglese affiancata alle Armate Bianche lo aveva costretto a porre il suo Corpo di cavalleria cosacco alle dipendenze dell’esercito volontario di Denikin che egli non stimava. In quell’occasione si era dimesso e si era unito per breve tempo all’Armata del Gen. Yudenitch, sul fronte di Pietroburgo.
Questa volta ad amareggiarlo era stata la menzogna, la meschinità dell’inganno, cui erano ricorsi gli inglesi per conseguire il loro scopo. “Ci consegneranno ai bolscevici – sembra abbia detto – ma non potranno uscirne con onore. Ci attende la morte che dobbiamo affrontare diritti, con orgoglio, senza strisciare”.
L’annuncio dell’imminente consegna ai sovietici gettò tutti gli altri prigionieri nella più cupa disperazione. Essi passarono la notte recriminando di essere stati mal guidati dal loro atamano e chiedendone la punizione.
Krassnov, invece, scrisse un appello in francese a Re Giorgio VI, Churchill, a Re Pietro di Jugoslavia, alle Nazioni Unite, all’Arcivescovo di Canterbury, alla Croce Rossa Internazionale di Ginevra. Krassnov, nella lettera, spiegava le ragioni per le quali i cosacchi erano stati da sempre avversari del regime sovietico.
L’appello fu sottoscritto anche dagli altri alti ufficiali cosacchi. Krassnov, nella sua inesauribile ingenuità, sperava che il Colonnello inglese Comandante della caserma potesse trasmettere immediatamente il testo dell’appello via radio così da avere una risposta prima della consegna dei cosacchi ai sovietici.
Molti chiesero di poter vedere i famigliari per l’ultima volta e, successiva mente, di essere fucilati dagli inglesi piuttosto che essere consegnati ai sovietici. Le due richieste furono negate mentre fu loro concessa la presenza di un prete ortodosso.
Quella notte, a Spittal, trascorse in un clima di tensione per tutti. Per gli inglesi, ansiosi di evitare reazioni inconsulte e violente e nel contempo consci di assolvere un compito ingrato e contrario al comune senso dell’onore militare e di essere diventati strumenti di un disegno perverso che, con la consegna di quei cosacchi ai sovietici, li rendeva di fatto complici della loro condanna a morte.
Per quanto riguarda i prigionieri, la notizia della imminente consegna ai sovietici li aveva sconvolti ed atterriti. Nessuno sa esattamente quanti si suicidarono quella notte; chi come il Gen. Silkin Cte della 1a Divisione si impiccò utilizzando fili elettrici dell’impianto di illuminazione, chi si recise la carotide o le arterie con frammenti di vetri delle finestre. Secondo gli ufficiali inglesi, a Spittal, i suicidi furono non più di dodici. I cadaveri furono portati dai cosacchi davanti all’ingresso del campo cintato perchè gli inglesi, il cui arrivo era previsto all’alba, li vedessero.
Alle 05.30, i cosacchi chiesero il permesso di tenere un servizio religioso. Il permesso fu accordato con l’avvertenza che la cosa non comportasse ritardi nelle tabella di marcia. Tutti i prigionieri si raccolsero in ginocchio intorno al pope recitando collettivamente preghiere e cantando inni religiosi.
Alle ore 06.30 giunsero gli autocarri e il Cte della caserma si rivolse al Gen. Domanov perché ordinasse ai suoi ufficiali di salire a bordo. Domanov si rifiutò asserendo di non avere più alcuna autorità su di essi (ed era vero!). Il Colonnello inglese gli ingiunse di salire e Domanov non si mosse.
Allora fece intervenire un plotone di soldati inglesi che trascinarono Domanov sull’autocarro. Altri anziani ufficiali si rifiutarono di obbedire all’ordine ed allora i soldati usarono le maniere forti ricorrendo ai bastoni, ai calci dei fucili, ed anche alle baionette ferendone un numero imprecisato.
Molti mostrarono agli inglesi i documenti personali di identità che provavano la cittadinanza francese, jugoslava italiana, o la posizione di apolidi, ma gli inglesi non ne tennero alcun conto. Krassnov, che non era sceso con gli altri, osservava la scena da una finestra del piano rialzato della palazzina in cui era stato confinato.
Quando gli inglesi se ne accorsero si precipitarono per trascinare anche lui sui mezzi. I cosacchi, tuttavia li prevennero e non permisero che il vecchio atamano subisse l’oltraggioso trattamento riservato agli altri. Furono essi stessi a estrarlo gentilmente dalla finestra e, portandolo sulle loro spalle, a deporlo sul sedile anteriore dell’autocarro, accanto all’autista.
Dopo questa brutale parentesi, la protesta si placò e gli altri ufficiali salirono a bordo in modo ordinato. Quando tutti furono a bordo, la colonna partì per Judenburg scortata da autoblindo e da soldati con le armi spianate, decisi a usarle per impedire fughe.
Non tutti partirono; qualche ufficiale cosacco riuscì a nascondersi durante le contrastate operazioni di caricamento e, partita la colonna, a far perdere le sue tracce praticando un buco nella recinzione.
Malgrado .gli ordini ricevuti di presentarsi in uniforme da cerimonia con tutte le decorazioni, onorificenze, insegne di grado etc, appena partita la colonna, tutti si strapparono le une e le altre e qualsiasi altro elemento che potesse rivelare la loro funzione militare presente e passata e se ne disfecero lungo il percorso.
Giunti sulla riva inglese del fiume Mur, la colonna si fermò. Fu fatto avanzare il primo autocarro che attraversato il ponte giunse sulla riva sovietica. Gli ufficiali sovietici in attesa provvidero a ricevere e a smistare i prigionieri. Ultimata l’operazione, il mezzo ripassò il ponte e un altro autocarro si inoltrò verso la zona sovietica e così via. Tutta l’area era fortemente sorvegliata ed era proibito fotografare. Il divieto fu tuttavia infranto da qualche residente austriaco oppure.non è escluso che le foto siano di provenienza sovietica.
Nell’attesa, un cosacco chiese di scendere per un bisogno fisiologico. Ottenuto il permesso, si lanciò verso la testata del ponte gettandosi nel vuoto. Un altro cosacco, appena sceso dall’autocarro nella zona sovietica, estrasse una lametta tagliandosi la gola stramazzando morto ai piedi dell’ufficiale inglese. Secondo fonti cosacche i suicidi al momento della consegna furono cinque mentre secondo fonti inglesi vi furono solo i due sopra descritti.
I Generali furono accolti dagli ufficiali sovietici con molti riguardi, forse eccessivi come osservò preoccupato il Gen. Krassnov. La affabile accoglienza dei prigionieri aveva il duplice scopo di tranquillizzare i cosacchi sul loro futuro e di far vedere agli inglesi che i sovietici non usavano brutalità e violenze e quindi erano ingiustificati il sospetto e la convinzione, da parte delle truppe inglesi che avevano proceduto alla consegna dei prigionieri, di averli portati a sicura morte.
La sera, il locale Comandante sovietico, Gen. Dolmatov invitò i Generali alla sua mensa, ove egli si trovava assieme a molti anziani colonnelli dell’Armata Rossa veterani, come i suoi involontari ospiti, della guerra civile degli anni 1918-1920. Egli li intrattenne con studiata cortesia. La vodka scorse liberamente ed emersero ricordi delle comuni esperienze, sia pure su posizioni contrapposte.
I sovietici erano molto interessati ed anche divertiti dai racconti e dagli aneddoti del vulcanico ed estroverso Gen. Shkurò. Nessuno sembrava invece interessato a Domanov, i cosacchi perchè lo sospettavano di essere stato connivente degli inglesi nell’ordire l’inganno che li aveva condotti a Judenburg.
Krassnov, più realisticamente, si limitava a rimproverargli di non essersi sufficientemente adoperato per accertare la veridicità dell’asserita conferenza del Maresciallo Alexander. Anche i sovietici ignorarono Domanov perchè lo giudicavano un disertore e un traditore dell’Urss.
Apprezzavano, invece, in Krassnov e negli altri leggendari ufficiali controrivoluzionari, una coerenza di comportamento nei confronti del regime bolscevico che avevano sempre combattuto, sin dalla sua nascita.
In von Pannwitz, consegnato poco prima degli ufficiali russi, riconoscevano un leale soldato che aveva fatto il suo dovere e che alla fine era stato vittima della sconfitta tedesca. Il Gen. Dolmatov esortò i Generali cosacchi a non temere per il loro futuro, disse che le cose erano cambiate nell’Urss dopo la vittoriosa guerra contro la Germania; una volta interrogati, sarebbe stato loro chiesto cosa volevano fare e li avrebbero lasciati andare. Accomiatandosi, il Gen. Dolmatov non mancò invece di esprimere al Gen. Domanov, disertore dell’Armata Rossa, il suo profondo disprezzo.
Il mattino del giorno successivo, 30 maggio, i generali cosacchi, la responsabilità dei quali era stata assunta dagli uomini del NKDV, furono adunati per essere trasferiti a Graz.
Mentre attendevano di salire a bordo degli automezzi, assistettero ad una scena evidentemente organizzata di proposito dalle truppe del NKDV: un Tenente tedesco di von Pannwitz fu portato davanti alla recinzione e fucilato da un agente del NKDV che poi si avvicinò al corpo che si contorceva, lo finì e gli sputò addosso.
Dissero che era stato punito per aver tentato la fuga. L’esecuzione del Tenente tedesco non fu l’unica. Per giorni si udirono spari nei pressi della vicina acciaieria, dove erano stati rinchiusi i prigionieri, malamente attutiti dal rumore dei motori dei veicoli accesi a tale scopo.
I Generali rimasero a Graz per due giorni, ove furono interrogati dagli uomini dello SMERSH, poi furono trasferiti a Baden-bei-Wien dove furono ulteriormente interrogati ed infine il 4 giugno furono trasferiti per via aerea a Mosca, alla Lubianka.
La consegna della comunità cosacca di Lienz ai sovietici
La sera del 28 maggio, una grande apprensione colse i cosacchi rimasti a Peggetz. Gli ufficiali che si erano nascosti nei boschi per sottrarsi alla “conferenza” e che avevano visto la colonna degli automezzi sostare qualche chilometro fuori dal campo, per ricevere una forte scorta armata, avevano compreso che l’asserita conferenza era un inganno e, rientrati al campo, avevano diffuso la notizia.
La conferma si ebbe la sera quando gli ufficiali non tornarono come gli inglesi avevano promesso. Ai cosacchi che chiedevano notizie, il Magg. Davies ammise che essi non sarebbero tornati, ma non fece alcun cenno alla loro consegna ai sovietici. Pur sentendosi traditi, anche i cosacchi pensarono che i loro ufficiali erano stati inviati in un campo di prigionia vero e proprio, il che lasciava loro la speranza che, una volta espletate le pratiche relative all’identificazione, agli interrogatori, all’accertamento della presenza di eventuali responsabili di crimini di guerra, essi sarebbero stati lasciati liberi di ricongiungersi con la comunità, a Lienz o in altro posto che gli inglesi avessero stabilito.
C’erano ancora circa cento ufficiali cosacchi, rimasti al campo o perché di servizio o perché si erano sottratti all’appello il giorno 28 maggio, che bisognava trasferire come gli altri a Judenburg. Il giorno 30 maggio fu disposto che si radunassero entro le ore 12.00 se non volevano incorrere nei rigori della legge marziale inglese.
Alcuni si nascosero nei boschi con le loro famiglie preferendo, alla possibile consegna ai sovietici, la vita alla macchia che la bella stagione avrebbe reso tollerabile. Vi furono anche casi isolati di soldati inglesi che esclusero singoli ufficiali dall’appello, forse impietositi dalla vista delle mogli e dei bambini piangenti.
Gli 83 ufficiali che si attennero all’ordine furono trasferiti a Spittal fortemente scortati e il mattino del 31 maggio furono consegnati ai sovietici a Judenburg. L’accoglienza fu cordiale ed il Generale sovietico si rivolse loro promettendo che se si fossero comportati bene, la loro collaborazione con il nemico non avrebbe comportato serie conseguenze.
Rimanevano tuttavia circa 30.000 cosacchi, tra militari, famigliari e profughi che dovevano essere consegnati ai sovietici. Molti erano concentrati a Peggetz, altri erano in attendamenti contigui e lungo la rotabile Lienz – Oberdrauburg. Il Magg. Davies ebbe lo sgradevole incarico di informare i cosacchi che questa sarebbe stata la loro sorte.
Per prime furono riunite, in un albergo di Lienz, le mogli degli ufficiali cosacchi, che proprio in quell’ora venivano consegnati ai sovietici. C’era anche l’anziana principessa Lydia Fedeorovna, consorte dell’atamano Krassnov. Il Magg. Davies notificò loro la decisione delle autorità inglesi di consegnare tutti i cosacchi, inclusi i famigliari, ai sovietici.
Alle proteste ed alla disperazione delle donne, Davies rispose che si sarebbe adoperato per far sì che le mogli si potessero ricongiungere con i propri mariti, ma che l’ordine di rimpatrio non poteva essere eluso. Subito dopo, a Peggetz, fu la volta dei rappresentanti della comunità riuniti nello spiazzo centrale del campo.
I cosacchi rimasero muti ed annichiliti, ma poi si disperarono e pregarono Davies di convincere le autorità inglesi a recedere da quella decisione perché la consegna ai sovietici avrebbe comportato per tutti loro torture e morte immediata o differita, nei campi di lavoro in Siberia.
Davies cercò di calmarli dicendo che questi erano gli ordini che egli aveva ricevuto e che i sovietici avevano promesso un trattamento umano e dignitoso. I suoi interlocutori proruppero in una amara risata all’ingenuità degli inglesi contestando a Davies invece la malafede di Stalin e gli orrori di cui il regime bolscevico si era reso responsabile.
Il Magg. Davies, come gli altri soldati inglesi, ignorava tutto questo e non voleva crederci. Egli sapeva solo che i sovietici avevano combattuto al loro fianco, per quattro anni. Per il resto, aveva letto e sentito quello che la propaganda inglese, in questi quattro anni, aveva riportato sull’Urss, in particolare il costante apprezzamento da parte della Gran Bretagna dell’eroismo dell’Armata Rossa e gli elogi nei confronti di Stalin.
Davies rispose che non c’erano alternative, quello era l’ordine ricevuto e lui lo avrebbe eseguito. Egli promise solo di fare in modo di che le famiglie ed anche le stanice rimanessero unite, e che fossero dotate di adeguate riserve di cibo e di una distribuzione straordinaria di indumenti.
Poteva e prometteva di adoperarsi in tal senso, ma il trasferimento a Judenburg e la contestuale consegna ai sovietici erano irrevocabili. La notizia corse rapidamente in tutto il campo cosacco spegnendo ogni illusione e dando corpo alla più nera delle ipotesi.
Gli inglesi, una volta diffusa la notizia dell’imminente consegna ai sovietici, misero in essere un nutrito servizio di sorveglianza e di pattugliamento armato. Alcune centinaia di cosacchi, con le loro famiglie, riuscirono tuttavia ad eludere la sorveglianza inglese e fuggire dal campo.
La maggioranza, invece, decise di restare e di resistere all’ordine di trasferimento a Judenburg. Poiché non c’erano più gli ufficiali, i cosacchi elessero “atamano temporaneo” un anziano sottufficiale che preparò una petizione indirizzata al Ten. Col, Malcolm, Cte del btg. Argyll and Sutherland Highlanders, sotto il cui controllo si trovava la comunità cosacca dal giorno della resa e che ora aveva ricevuto il compito di trasferirla a Judenburg e consegnarla colà ai sovietici.
La petizione spiegava come moltissimi cosacchi avessero parenti in Europa e negli Stati Uniti e proprio per questo erano stati imprigionati e torturati dal regime stalinista. Molti altri avevano sofferto ed erano morti nei campi di prigionia nazisti. Per questo, la comunità si era trasferita in Austria e si era arresa agli inglesi confidando nella loro protezione.
Se questa non poteva essere accordata, i cosacchi preferivano la morte al ritorno nell’Urss dove sarebbero stati condannati ad un lento e sistematico annientamento. Il nuovo atamano concludeva chiedendo che l’appello fosse inviato al Congresso Usa e alla Camera dei Comuni. Analogo documento fu presentato dai caucasici di Oberdrauburg. I due documenti presentati arrivarono al Cte della 36a Brg. E’ probabile che si siano fermati lì, certo non raggiunsero nè Londra nè Washington.
Il Magg. Davies confermò ai rappresentanti della comunità che, se avessero obbedito all’ordine di trasferimento, egli avrebbe fatto del suo meglio per non separare le famiglie e per fornire a tutti abbondanti scorte alimentari. Se avessero opposto resistenza, egli sarebbe stato costretto a ricorrere alle maniere forti.
La prima reazione dei cosacchi fu lo sciopero della fame. Essi dissero agli inglesi che non volevano più alcun cibo. I genitori imposero il rifiuto del cibo anche ai figli.
Furono ritagliati striscioni di tela nera da esporre sopra tutte le tende ed agli ingressi del campo. Vi era anche uno striscione posto nei pressi della rotabile Lienz – Oberdrauberg, che recitava in un inglese sgrammaticato: “meglio la morte che la consegna ai sovietici”. Furono organizzati servizi religiosi, nelle diverse tende adibite a chiesa distribuite nella tendopoli, con la attiva presenza dei 30 o 40 preti ortodossi, gli unici rimasti aventi il rango di ufficiali.
Si stava formando un clima di crescente tensione religiosa in tutta la comunità. La morte non faceva più paura ed i genitori erano pronti a darla anche ai figli.
Il suicidio e perfino l’omicidio sarebbero apparsi, a Dio, preferibili al ritorno nel mondo sovietico dove i genitori sarebbero stati separati dai figli ed inviati a morire in campi di lavoro lontani mentre i bambini sarebbero stati accolti in un orfanotrofio ed allevati nell’ideologia materialista e atea del comunismo.
Il Magg. Davies era turbato ed angosciato dalla consapevolezza di essere proprio lui a dover gestire una drammatica situazione che minacciava di degenerare in una tragedia di impreviste proporzioni.
Lo sarebbe stato ancor più se avesse saputo che presso il Cdo della 36a Brg., a pochi chilometri di distanza, c’era copia dell’ordine di operazione del Cdo V CA che limitava il rimpatrio ai soli cosacchi cittadini sovietici, escludendo tutti i militari e i civili che tali non erano.
Davies, pur rendendosi conto dell’esasperazione dei cosacchi, anche a causa dell’apparente tradimento degli inglesi, sperava che, dopo matura riflessione, essi avrebbero accettato disciplinatamente, se non di buon grado, il trasferimento a Judenburg.
In caso contrario egli sarebbe stato costretto a ricorrere alla forza, lo avrebbe fatto, anche se gli ripugnava. Riconobbe che, in ogni caso, i suoi uomini avrebbero avuto il compito ingrato di assicurare il trasferimento coatto di questa gente, con cui avevano convissuto per tre settimane e che avevano preso in simpatia, uomini, donne bambini, i quali erano terrorizzati dall’idea di essere consegnati ai sovietici al punto da preferire la morte per mano propria o degli inglesi.
Gli ordini tuttavia erano chiari e i soldati avrebbero obbedito ai suoi ordini che riflettevano quelli dei suoi superiori e, in ultima analisi, gli interessi dell’Inghilterra.
Il trasferimento sarebbe avvenuto a mezzo autocarri sino al treno fermo sul binario a 6 – 700 m. di distanza e poi per ferrovia sino a Judenburg.
I primi a partire furono i caucasici di Oberdrauburg, scelti perchè erano meno ostili all’Urss di quanto lo fossero i cosacchi. Il pomeriggio del 30 maggio l’ufficiale inglese di collegamento presso i caucasici, incaricato del loro trasferimento, si presentò al campo e trovò una massa di 200 – 300 uomini, donne e bambini accovacciati a terra davanti all’ingresso mentre cantavano lamentose nenie.
Poichè si rifiutavano di salire a bordo degli automezzi, l’ufficiale inglese ordinò ad un plotone di caricare di peso sui mezzi quelli che sembravano gli organizzatori della protesta. Uno di essi era particolarmente esagitato e fu colpito con il calcio del fucile.
L’incidente sembrò calmare la folla e fu così possibile caricare sugli autocarri 1.737 caucasici e trasferirli su altro treno in attesa nella vicina stazione di Dellach. Alle ore 10.00 dell’indomani, 31 maggio, il treno si avviò giungendo a Judenburg alle 18.00. Un secondo convoglio con altri 1.414 caucasici fu avviato a Judenburg il giorno successivo, 1 giugno.
La consegna dei cosacchi di Krassnov, a Lienz, doveva aver inizio il 31 maggio, ma fu posposta al giorno successivo, su richiesta dei sovietici, perchè essa si sarebbe sovrapposta ai 7.000 di von Pannwitz e ai 1.737 caucasici di cui sopra. Il loro trasferimento ebbe quindi inizio il 1 giugno sotto il controllo dei reparti inglesi dell’8° btg Argyll and Sutherland Highlanders del Ten. Col. Malcolm, distribuiti nei vari campi dell’area di Lienz.
Ovunque, gli inglesi si imbatterono in una ostinato rifiuto da parte dei cosacchi a lasciare il campo. Alla fine, solo l’uso della forza, incluso quello delle armi da fuoco, permise agli inglesi di effettuare lo sgombero della quota prevista per quel giorno.
Ovunque vi furono resistenze da parte dei cosacchi e violenze da parte degli inglesi per vincere tali resistenze, ma la scena più drammatica e violenta, tuttavia, fu quella verificatasi al campo di Peggetz, ove agì la compagnia comandata dal Magg. Davies.
Il campo di Peggetz era il più esteso e affollato, con parecchie migliaia di presenze, mentre gli altri numerosi campi più a valle erano molto più piccoli e ciascuno di essi non ospitava più di un migliaio di cosacchi.
Erano le 07.30 quando il Magg. Davies, con i suoi uomini si presentò a Peggetz per iniziare le operazioni di trasferimento, a Judenburg, della prima quota di 1.800 cosacchi. Quello che apparve ai suoi occhi fu una folla di quattro – cinquemila persone comprendenti anche donne, bambini e vecchi ammassate al centro, sul piazzale principale del campo, recintato su tre lati da una alta palizzata di legno. Intorno alla folla c’era una cintura di militari cosacchi.
Quindici o venti preti ortodossi si stavano inserendo al centro della folla portando icone e vessilli religiosi, dopo di che diedero inizio al servizio liturgico mentre migliaia di voci cantavano inni sacri. Era chiaro che si trattava di una forma di resistenza passiva abilmente organizzata.
La sera prima infatti i preti ortodossi, nelle cui mani i cosacchi si erano affidati dopo la partenza degli ufficiali, avevano convocato la comunità e deciso tutti insieme di tenere, all’ora prevista dagli inglesi per l’adunata, un servizio religioso all’aperto cui l’intera comunità del campo avrebbe partecipato. I preti pensavano che così facendo, gli inglesi non avrebbero proceduto al caricamento delle persone sugli autocarri perché dissuasi dalla sacralità del rito.
Al centro ed emergente sulla folla, c’era una piattaforma di legno con un altare di circostanza ed una grande croce. Intorno all’altare, i preti officiavano e quello che sembrava il più autorevole parlava alla folla. Secondo gli inglesi, nessuno dei quali peraltro conosceva il russo, egli stava esortando gli astanti a rimanere uniti e a resistere.
Il Magg. Davies si rivolse alla folla attraverso un’interprete rammentando a tutti che era giunto il momento di iniziare le operazioni di caricamento. Il risultato ottenuto fu il contrario di quello sperato. La massa arretrò stringendosi ancor più al centro. Davies dette loro ancora un’ora per completare la messa, poi concesse un’altra mezz’ora.
La folla continuava a recitare litanie e a cantare inni sacri. Davies si rese conto che i cosacchi non sarebbero volontariamente saliti a bordo degli autocarri e decise l’azione di forza. Fece innestare le baionette e schierare gli uomini sul lato privo di recinzione, alcuni armati di bastoni, altri di fucili con la baionetta innestata e caricati con munizionamento da guerra. Mentre i soldati si dirigevano verso la folla, i cosacchi continuarono a pregare rifiutando ostinatamente di muoversi.
I bambini erano stati posti al centro, mentre ai bordi, giovani soldati, ovviamente disarmati, tenendosi per mano, avevano steso un cordone protettivo per impedire l’accesso degli inglesi agli anziani, alle donne ai bambini.
All’avvicinarsi dei soldati, i cosacchi si strinsero ancor più l’uno all’altro formando una massa impenetrabile I soldati inglesi tentarono invano di rompere questo muro umano Alla fine, usando liberamente bastoni e baionette, riuscirono ad aprirsi un varco e a isolare circa 200 civili. Mentre ciascuno di essi veniva trascinato via, gli altri continuavano a premere quelli che stavano davanti finché, non essendoci più spazio per la presenza della palizzata che recingeva l’area, in preda al terrore, finirono per montare gli uni sugli altri formando una piramide.di gente urlante ed isterica, mentre quelli rimasti sotto venivano schiacciati.
I primi cosacchi furono caricati a bordo usando randelli, baionette e calcio dei fucili. Gli uomini erano più difficili da catturare, più facile risultava prendere donne e bambini che venivano quindi caricati in modo brutale ma, cosa ancor più grave, rompendo nella confusione del momento l’unità famigliare, madri che cercavano i figli che erano su altro autocarro o che forse erano rimasti a terra, in mezzo alla folla, mariti che cercavano moglie e figli e viceversa.
I soldati usavano i bambini, più facili da catturare, come esche per indurre i genitori ad uscire dal muro umano e prenderli in tal modo con relativa facilità. Gli inglesi si accanirono contro i giovani cosacchi della cintura difensiva esterna a protezione dei soggetti ammassati intorno all’altare, donne, anziani, bambini.
Li percossero con bastoni ed usarono anche le baionette senza alcuna remora, trascinando e caricando i malcapitati, inconsci e sanguinanti sugli autocarri, mentre la folla non ancora raggiunta dai soldati inglesi continuava a salmodiare tra le urla di quelli che venivano colpiti dagli inglesi e i pianti dei bambini spaventati.
La scena è stata figurativamente rappresentata in un affresco di grandi dimensioni, realizzato su una parete della sala mensa del club della comunità cosacca di New York. L’affresco, secondo soldati inglesi presenti all’evento, è vividamente realistico con un’unica esagerazione rappresentata dalla presenza minacciosa di un carro armato con il cannone puntato sulla folla, carro che in realtà non c’era. Il cosacco Alexander Butcharov, che si sottrasse con la fuga alla consegna, sostiene invece che c’erano anche carri armati.
La pressione della folla, aggredita dai soldati inglesi, sulla palizzata di recinzione, finì per provocarne il cedimento e l’abbattimento e mentre il servizio liturgico proseguiva, molta gente si riversò all’esterno attraverso il varco creatosi.
Alcuni si diressero verso altri accampamenti viciniori, altri, attraverso un ponte sulla Drava a circa cento metri dal margine del campo di Peggetz, verso il bosco vicino ove rinvennero diversi cosacchi morti suicidi, la notte precedente, impiccatisi sui rami degli alberi.
Altri ancora, in preda ad una isteria collettiva giunti al ponte si gettarono nella Drava in piena, per lo scioglimento delle nevi sui monti, gli uomini più giovani per sottrarsi alla cattura a nuoto, altri, specialmente le donne per cercarvi la morte. Vi furono madri che si gettarono nelle acque tumultuose con i figli.
Una madre, prima di lasciarsi cadere nel fiume, chiese ad una contadina austriaca, casualmente presente, di gettare la figlia di diciannove mesi nei gorghi mancandole il coraggio di farlo. La contadina promise, ma mentre la madre scompariva nella corrente vorticosa, portò invece con sé la bambina e la allevò.
Quella bambina, ora sessantunenne, ha assunto il nome della famiglia che la adottò, Sonja Walder, e lavora in una fattoria del Tirolo orientale. Partecipa sempre all’annuale cerimonia commemorativa, a Peggetz, organizzata dai cosacchi superstiti.
Prima che i soldati inglesi accorressero a bloccare l’ingresso al ponte, venti-trenta persone, secondo fonti cosacche, tre secondo fonti inglesi, avevano trovato la morte tra flutti della Drava. Tale era il clima di terrore e di esaltazione collettiva giunta a livelli parossistici che molti, come accaduto anche per gli ufficiali tre giorni prima, ritennero preferibile la morte al rimpatrio in Urss.
Essi erano convinti che mentre gli adulti sarebbero stati uccisi subito o mandati a morire nei gulag i figli non sarebbero morti ma, cosa ancora peggiore, sarebbero stati allevati, in scuole marxiste, all’odio e al disprezzo di quei valori religiosi e morali che i genitori avevano loro inculcato.
Il Magg. Davies, mentre correva con alcuni soldati da un lato all’altro del campo cercando di catturare quanti erano fuggiti attraverso il varco praticato nella palizzata, si imbatté in cinque cadaveri, uno accanto all’altro, in un fossato.
Si trattava di una famiglia cosacca, genitori e tre bambini. L’uomo aveva evidentemente ucciso con un revolver moglie e bambini, in successione, e poi, dopo averli composti uno vicino all’altro, aveva rivolto l’arma contro sè stesso.
Fortemente impressionato, il Magg. Davies si rivolse ai preti ortodossi che stavano ancora celebrando sull’altare, chiedendo loro di aiutarlo a far cessare l’inarrestabile e contagiosa follia suicida, e di convincere i cosacchi ad accettare disciplinatamente lo sgombero e il trasferimento a Judenburg. Gli opposero un netto rifiuto.
Poichè Davies aveva motivo di credere che proprio loro fossero gli istigatori della resistenza passiva attuata dalla comunità, li fece catturare e caricare su uno degli autocarri che facevano la spola tra Peggetz e il treno in attesa, qualche centinaio di metri più a est.
Fatti sparire i preti, Davies ordinò un secondo assalto alla folla ancora presente nel piazzale. Terrorizzata ed isterica, la gente fuggì ed i soldati dovettero sparare per evitare di essere travolti. Vi furono due morti.
Alle ore 11.35, del 1 giugno, 1252 persone erano state caricate sul treno. Ne mancavano circa 500 per completare la quota prevista per quel giorno per il campo di Peggetz, ma il Ten. Col. Malcolm, Comandante dell’8° btg. Argyll and Sutherland Highlanders incaricato dell’operazione, decise che per quel giorno bastava, tenuto conto degli incidenti accaduti nella mattinata. Negli altri campi più a valle, lo sgombero si svolse con analoga violenza, ma con maggiore rapidità data la minore consistenza di ciascun campo.
In totale, il 1 giugno furono trasferiti 6.500 cosacchi. Il giorno successivo, non fu necessario il ricorso alla forza da parte degli inglesi per sgomberare a Judenburg la quota prevista.L a gente era caduta in una generale apatia, era abulica e rassegnata.
Evidentemente, gli eventi del giorno prima e la scomparsa dei preti, ultimo simbolo dell’autorità, avevano ridotto o annullato la sua volontà di resistenza, per cui non fu difficile caricare sul treno la quota prevista. Qualche circoscritto tentativo di resistenza passiva, fu prontamente e facilmente sedato.
I treni usati all’uopo erano costituiti da 40-50 carri bestiame ed in ciascuno venivano caricate 35 – 40 persone. Il 2 giugno furono caricate 1.858 cosacchi, il giorno successivo 1.487. Lo sgombero e il successivo trasferimento a Judenbrurg si concluse il 7 giugno 1945.
Il viaggio da Lienz a Judenburg durava intorno alle sette-otto ore. Giunti alla stazione di Judenburg, i vagoni venivano spiombati e la gente fatta scendere e ordinata dai sovietici per gruppi. Era normale trovare sette-dieci morti suicidi per ogni convoglio. I sovietici trattavano i cosacchi con una certa ruvidità ma non brutalmente, almeno di fronte agli inglesi.
I cosacchi obbedivano docilmente agli ordini dei sovietici incamminandosi, per gruppi, verso il luogo di raccolta e di smistamento. Secondo un ufficiale inglese, molti non andarono molto lontano perché li vide avviarsi verso un bosco dal quale, poco dopo, si udirono provenire ripetute raffiche di arma automatica.
Il 7 giugno 1945, il Gen., Keightley, Cte del V CA, poteva inviare ai suoi superiori un rapporto dal quale risultava che 35.000 cosacchi erano stati rimpatriati, 20.000 di Domanov e 15.000 di von Pannwitz. Un migliaio circa erano stati esclusi dal rimpatrio perché non-cittadini sovietici, o perché ricoverati in ospedale.
Circa 4.000 risultavano essersi sottratti alla cattura nascondendosi nelle campagne o sui monti. I sovietici furono pronti a denunciare la scarsa volontà degli inglesi nel rispettare gli accordi. Il Cdo V CA, ansioso di evitare qualsiasi motivo di contrasto con i sovietici, organizzò una serie di rastrellamenti nell’alta valle della Drava per una profondità di 25 km. circa.
Per dare una dimostrazione dello zelo prodigato nella ricerca e nella cattura dei fuggitivi, il Cdo V CA giunse al punto di farvi partecipare ufficiali sovietici. 1.356 cosacchi furono così ripresi per la successiva consegna ai sovietici. Vi fu anche qualche cosacco ucciso dal fuoco inglese, mentre tentava di fuggire dopo essere stato individuato, a distanza, sulle montagne.
Anche i residenti austriaci collaborarono con gli inglesi nella individuazione dei cosacchi alla macchia. Pur disponibili a gesti di solidarietà in casi singoli, non vedevano di buon grado tanta gente braccata che al momento si limitava a chiedere o a rubare cibo, ma con l’approssimarsi della cattiva stagione, avrebbe chiesto e preteso cibo ed alloggio.
Il 16 giugno, 934 di questi cosacchi ripresi vennero trasferiti a Judenburg. Fu l’ultimo convoglio cosacco; i sovietici, infatti, ad una successiva offerta da parte degli inglesi opposero un rifiuto dichiarandosi soddisfatti del numero di cosacchi ricevuti e di non volerne altri.
Dei 4.000 cosacchi sottrattisi alla cattura, poco meno di 1400 furono ripresi. Gli altri 2.600 riuscirono a far perdere le loro tracce e si trasferirono poi negli Usa, in Francia, in Germania, qualcuno anche nell’America del Sud e in Australia.
Il bilancio complessivo della tragica giornata del 1 giugno a Peggetz fu, secondo fonti militari inglesi, di sedici morti: cinque uccisi mentre tentavano la fuga, uno ucciso per errore, cinque suicidi (i due genitori e i tre bambini), tre suicidi per annegamento, due soffocati o schiacciati dalle folla sul piazzale.
Fonti cosacche, invece, parlano di quattro soffocati o schiacciati, di numerosi caduti sotto il fuoco inglese. di diversi suicidi attuati nella notte tra il 31 maggio e il 1 giugno nel bosco oltre la Drava e di venti-trenta suicidi per annegamento.
Olga Rotova, cosacca con cittadinanza jugoslava, che fungeva da interprete con l’ufficiale di collegamento, Magg. Davies, destinata anch’essa ad essere consegnata ai russi e poi, a seguito della mutata politica inglese sul rimpatrio, esclusa da tale provvedimento, parlava addirittura di 700 morti.
Nessuno sa esattamente quanti furono i morti annegati. I corpi potrebbero essere stati trasportati e depositati a riva dalla torbida corrente del fiume, a grande distanza da Peggetz e lì sepolti da mani pietose.
Quello che è certo, è che a Peggetz è stato realizzato un piccolo cimitero cosacco con vent’otto croci, quattro nominative e le altre anonime, tutte relative a cosacchi deceduti il 1 giugno 1945 o, successivamente, a seguito di ferite riportate negli incidenti di quel giorno.
L’ex atamano Generale Naumenko che, unitosi a Vlasov nel marzo 1945, si era poi arreso agli americani, dirà anni dopo che “il 1 giugno, associato al nome di Lienz, è scritto con lettere di sangue nella storia della nazione cosacca”.
La sorte dei russi collaborazionisti
(Corpo speciale cosacco, XV Corpo cosacco, ROA)
I Generali cosacchi e il Gen. von Pannwitz
I Generali Pyotr Krassnov, Andrey Shkurò, Sultan Ghirey, Timoty Domanov, Semion Krassnov (nipote dell’atamano), Helmut von Pannwitz, giunti a Baden – bei Wien, furono ulteriormente interrogati e prima di essere trasferiti a Mosca, gli agenti dello SMERSH provvidero a mettere in ordine la loro uniforme tedesca, ripristinando le insegne di grado, le decorazioni ed i distintivi dei quali gli ufficiali si erano disfatti durante il trasferimento da Spittal a Judenburg.
Questo era stato fatto di proposito affinché essi si presentassero a Mosca visivamente traditori, con le uniformi tedesche e tutti i riconoscimenti guadagnati con la loro militanza a fianco del nemico tedesco.
Furono trasferiti in aereo a Mosca in due aliquote, il 3 e il 4 giugno e portati direttamente alla Lubianka. Dopo 18 mesi di estenuanti, ripetuti interrogatori, furono consegnati alla Corte Marziale presso la quale si celebrò il processo nei giorni 15 e 16 gennaio 1947.
Il verdetto di colpevolezza e la sentenza di morte furono emanati alle 19.40 del giorno 16 gennaio e l’esecuzione ebbe luogo un’ora dopo. Il 17 gennaio 1947, dopo diciotto mesi dalla loro cattura, sulla Pravda comparve un trafiletto in cui veniva annunciata la loro condanna a morte per impiccagione e l’avvenuta esecuzione.
Anche altri alti ufficiali cosacchi, tra cui il Gen. Semion Krassnov, parente dell’atamano Pjotr, furono processati e condannati a morte. Il Tenente Nikolai Krassnov, pronipote dell’atamano, e il padre, Col Nikolai Nikolaecitch, anch’essi condotti alla Lubianka con il prozio atamano Pyotr e con il Gen. Semion Krassnov, furono invece condannati a dieci anni di detenzione da scontare nei campi di lavoro siberiani.
Il Colonnello mori nel gulag mentre il figlio fu rilasciato nel 1955 e autorizzato ad espatriare trattandosi di cittadino francese. Emigrato in Argentina, morì nel 1957.
Il Generale Vlasov
Arresosi agli americani il 9 maggio, a Pilsen (Boemia), il Gen. Vlasov fu catturato da una pattuglia sovietica il 12 maggio mentre si recava con un mezzo militare Usa presso la 1a Divisione della ROA (Esercito russo di liberazione) per comunicarle l’ordine di procedere ad ovest, nel settore americano, ed essere colà disarmata. Portato a Dresda presso lo SMERSH, fu poi trasferito a Mosca.
Il 12 agosto 1946, la radio moscovita annunciava la condanna a morte e l’avvenuta esecuzione sua e di molti altri ufficiali della ROA. Secondo il politico ungherese Nicholas Nyhradi, che si trovava al tempo a Mosca, l’MDV, successore del NKDV, avrebbe sottoposto Vlasov ad indicibili torture avendo cura di farlo soffrire il più a lungo possibile.
Il Gen. Naumenko
Si arrese agli americani, in Baviera agli inizi di maggio 1945. Non fu consegnato ai sovietici. Si trasferì negli Stati Uniti ove si spense nel 1982 quasi centenario.
I Quadri minori e la truppa cosacca
Gli ufficiali, sottufficiali, truppa e profughi consegnati, ad Judenburg, subirono la perquisizione e un primo interrogatorio. Gli agenti dello SMERSH che conducevano gli interrogatori erano meravigliati e sorpresi del fatto che tra loro vi fossero anche vecchi emigrati con cittadinanza jugoslava, bulgara, francese etc, che gli accordi di Yalta specificamente escludevano dal rimpatrio forzato e ridevano dello zelo degli inglesi che li avevano consegnati.Tuttavia, questi soggetti non venivano restituiti e seguivano lo stesso destino degli altri.
Ogni giorno, gruppi di 700 – 800 prigionieri venivano avviati sui treni, diretti a Graz. I primi treni partirono con solo donne e bambini per sempre separati da mariti e padri. A Graz, i prigionieri venivano rinchiusi in un altro campo e nuovamente interrogati. Anche a Graz veniva fatta la selezione di quelli che dovevano essere subito eliminati.
Da Graz, i prigionieri venivano poi avviati, per ferrovia, 50-55 persone per vagone, verso l’Est. Dopo lunghi giorni di viaggio, giungevano al confine dell’Urss ove esistevano campi di transito nei quali i prigionieri venivano sommariamente disinfettati e rasati, a cura di prigionieri tedeschi.
Dopo la sosta, il viaggio proseguiva attraverso le steppe russe con lunghe ed inspiegabili fermate intermedie in aperta campagna senza poter uscire ed avendo come vitto, pesce salato e pochissima acqua, trattamento dovuto più alla disorganizzazione del sistema sovietico che intenzionalmente inflitto.
Dopo un viaggio durato quasi due mesi da quando erano partiti da Judenburg, i prigionieri, abbrutiti ed esauriti, venivano scaricati nel Kazakistan nord orientale dove venivano avviati nei vari campi di lavoro dell’area di Kemerovo o a Vorkuta nel Circolo polare artico.
Nell’autunno 1948, dei 1.500 ufficiali cosacchi di Krassnov, prelevati il 28 maggio 1945 a Lienz e consegnati il giorno successivo ai sovietici, a Judenburg, solo 250 erano i sopravvissuti.
Tutti gli altri erano deceduti perché troppo deboli per sostenere i gravosi ritmi di lavoro oppure di malattia contratte per la precaria situazione igienico-sanitaria, malnutrizione e per le proibitive condizioni climatiche.
Tutti i prigionieri cosacchi erano stati condannati senza processo, ope legis, ad un minimo di dieci anni di lavoro nei gulag siberiani. Per casi specifici di collaborazionismo, le condanne venivano elevate a 20-25 anni.
Tuttavia, dopo la morte di Stalin, marzo 1953, la nuova Dirigenza sovietica decise una graduale riduzione della forza lavoro nei campi siberiani che ammontava, a parte i cosacchi e gli altri russi collaborazionisti, a circa 20 milioni di persone.
Il 17 settembre 1955 un decreto di amnistia concesse la libertà a tutti coloro che volontariamente o coattivamente avevano collaborato con i tedeschi. Ai russi, non cittadini sovietici, fu permesso di lasciare l’Urss. Tra questi vi fu il anche il Tenente Nikolai Krassnov, il cui nonno e prozio erano stati giustiziati nel gennaio 1947. Il padre Nikolai era morto durante la prigionia.
I Quadri minori tedeschi del XV Corpo di cavalleria, consegnati dagli inglesi ai sovietici, furono trasferiti anch’essi nei campi siberiani con condanne variabili da cinque a dieci anni di lavoro forzato.