a cura di Cornelio Galas
Organizzazione dell’Armata Cosacca
I presidi cosacchi in Carnia potevano essere fissi, pur con le necessarie rotazioni, come quelli situati nei maggiori centri di fondovalle o come quelli dei paesi in posizioni dominanti (esempio, Muina, Lauco etc), oppure temporanei, attivati cioè a seguito di particolari esigenze operative.
I Comandi di presidio avevano una certa autonomia operativa nell’ambito delle direttive dell’Alto Comando delle SS e della Polizia di Trieste. Nei centri maggiori, come per esempio Tolmezzo, Socchieve Paluzza, Ampezzo, Villa Santina, Verzegnis, esistevano Comandi di sicurezza (Comandi di piazza) tedeschi che avevano anche funzioni di ufficiali di collegamento e di mediazione tra le truppe cosacche e la popolazione locale.
Anche nel settore logistico detti Comandi godevano di un ampio spettro di autonomia sempre, comunque, nell’ambito delle direttive generali emanate dal Comando di sicurezza tedesco di Tolmezzo e di Villa Santina.
I presidi cosacchi più consistenti erano abbastanza organizzati dal punto di vista amministrativo; alcuni, come quello di Verzegnis, avevano carta intestata, interpreti di tedesco e italiano, servizio di posta militare, registri di protocollo etc.
I Comandanti emanavano disposizioni ai Comuni inclusi nella loro giurisdizione ed ordini di carattere logistico, come requisizione di foraggio o altro, richieste di alloggi, oppure di carattere operativo come ordini di coprifuoco, convocazione di rappresentanti della Comunità locale, norme per l’oscuramento, altri aspetti operativi relativi all’ordine pubblico.
A Tolmezzo erano insediati i più importanti centri decisionali sia cosacchi che tedeschi. Vi era stato distaccato un rappresentante del Deutscher Berater di Udine. Anche il Prefetto di Udine, Riccardo De Beden, aveva nei Commissari prefettizi in molti centri carnici suoi diretti rappresentanti.
Presso il Comando dell’Armata cosacca, a Tolmezzo, a Domanov erano stati affiancati il Consigliere Eduard Radtke, rappresentante di Rosenberg, Ministro per i Territori dell’Est Europeo, ed il Magg. Oscar Müller ufficiale anch’egli dello stesso Ministero, con compiti di collegamento tra i cosacchi e il Ministero e tra cosacchi e il Comando del Gruppo di Armate Sud.
La figura del Deutscher Berater era stata introdotta nell’amministrazione dell’Adriatsches Küstenland, dal Supremo Commissario Rainer, sin dal 22 ottobre 1943. Il Deutscher Berater affiancava il Prefetto, in ogni provincia, per orientarne le scelte in funzione degli interessi tedeschi.
Il Prefetto, insomma, aveva solo funzioni formali, era un contentino per l’opinione pubblica, di fatto era subordinato al Deutscher Berater e non dipendeva dal Governo della Repubblica Sociale Italiana.
Un’ulteriore precisazione in merito alla disposizione dell’Armata cosacca in Carnia riguarda il fatto che essa si estese, ad Est e a Sud, ben oltre i confini geografici, convenzionalmente assunti, della Carnia stessa.
Ad Est i presidi cosacchi includevano Moggio Udinese Stazione per la Carnia, Venzone, Gemona; a Sud, Osoppo Trasaghis, le Prealpi carniche e parte dello spilimberghese. In genere questi presidi, esterni alla Carnia, godevano di minor autonomia operativa per la presenza di contingenti tedeschi.
Alle truppe cosacche e caucasiche era invece severamente proibito espandersi o effettuare incursioni ad ovest, in Cadore e naturalmente a nord, in Austria.
Molti reparti cosacchi, parte dell’Armata di Domanov, ma distaccati e operativamente dipendenti da Comandi tedeschi, furono anche dislocati nella pianura friulana, San Daniele del Friuli, Sacile, Pordenone, Talmassons, Gonars, Castions di Strada, Mortegliano, gravitando però nella fascia pedemontana delle Prealpi Giulie, da Gemona a Tricesimo, Nimis, Tarcento, Cividale, Cormons.
Nel caso delle Prealpi Giulie, si trattò in genere di presidi congiunturali, divenuti nella primavera 1945, strutturali a fronte delle continue richieste tedesche volte a contenere la crescente pressione delle formazioni titine.
Completavano l’organizzazione dell’Armata cosacca in Carnia i servizi logistici, tutti molto rudimentali, e le Scuole di istruzione militare. Il servizio di sussistenza era limitato alle cucine da campo funzionante in ogni presidio fisso.
I viveri erano, in parte forniti dalla sussistenza tedesca e in parte acquistati o requisiti sul posto. In alcuni grossi presidi, come quello di Verzegnis, c’erano anche alcune donne, ausiliarie, addette alle pulizie, infermiere e probabilmente anche addette alla cucina come cuoche.
Il servizio sanitario constava di infermerie reggimentali e di un ospedale da campo, con reparti di chirurgia e di medicina, inizialmente installato nel Collegio salesiano di Tolmezzo e, successivamente, trasferito a Luins (Ovaro), meno eccentrico di Tolmezzo in relazione alla dislocazione dei reparti dell’Armata.
Faceva capo al servizio sanitario anche il servizio veterinario. Esisteva anche un servizio di assistenza spirituale svolto da cappellani ortodossi (pope) che provvedevano a svolgere tutte le funzioni religiose: messe, utilizzando anche chiese locali previ accordi con i parroci, per matrimoni, battesimi, funerali etc..
C’era anche un modesto servizio trasporti e alcuni reparti del genio. Per quanto riguarda le Scuole di istruzione militare, a Villa Santina c’era la Scuola allievi ufficiali (Accademia militare), trasferitasi nel Febbraio 1945 parte a Socchieve e parte ad Ampezzo, che contava, a Febbraio 1945, più di 300 allievi.
A Tolmezzo c’era invece la Scuola di Guerra, istituita per volere dei tedeschi, e finalizzata all’aggiornamento gli ufficiali cosacchi sulle moderne tecniche di impiego tattico delle formazioni cosacche.
L’organizzazione dell’Armata comprendeva anche reparti amministrativi e di supporto tattico dell’Armata e dei Reggimenti dipendenti; questi reparti include vano scritturali, autisti, staffette, trasmettitori e telefonisti, la Feldbank (Banca da campo) per il pagamento di salari e delle forniture, e anche per i depositi di risparmio dei singoli cosacchi, il Gruppo di polizia a cavallo su 376 sciabole, il Gruppo speciale “Ataman”, costituito da ufficiali e sottufficiali cosacchi e creato dalla sezione Fremde Heere Ost dell’Abwehr, con compiti di spionaggio e controspionaggio, un gruppo corista, incluse delle donne di 40 elementi, un balletto che si esibì anche a Verona, su invito del Gen. Ralph von Heigendorff Comandante della 162a Divisione turcomanna , e una fanfara.
L’Alta Valle del Tagliamento, con i Comuni di Villa Santina, Enemonzo, Socchieve, Ampezzo, e la metà meridionale della Val Degano, con i Comuni di Raveo, Ovaro, e Lauco, facevano parte del Territorio di Sicurezza diretto da un ufficiale tedesco che aveva il posto Comando a Villa Santina e rappresentanti ad Enemonzo e a Ampezzo.
L’impatto dell’invasione cosacca e caucasica, in Carnia, fu traumatico per la popolazione residente, anche perché l’invasione fu caricata di finalità punitive, essendo avvenuta nel quadro della grande operazione tedesca Waldläufer intesa a eliminare la presenza partigiana nell’area.
L’occupazione della Carnia fu quindi intrapresa dai cosacchi con la cattiveria e la furia devastatrice messe in evidenza contro la guerriglia partigiana in Bielorussia e in Polonia.
Vi furono uccisioni indiscriminate, case incendiate, irruzioni e saccheggi nelle abitazioni, stupri, ruberie di pecore, maiali, mucche che venivano scuoiate e cucinate in bivacchi improvvisati.
I rastrellamenti e le violenze durarono fino a tutto ottobre 1944. Con la temporanea dissoluzione .di molte formazioni partigiane ed il ripiegamento dei più tenaci ed irriducibili garibaldini sui monti, le violenze indiscriminate si attenuarono e, contestualmente, le truppe cosacche si disposero a prendere possesso dell’area loro assegnata con la realizzazione di presidi in quasi tutti i paesi.
Sorse allora il problema dell’acquartieramento, anche perché era iniziata la stagione fredda. Occupate alcune caserme abbandonate, sorse il problema di alloggi addizionali. I Comandi cosacchi richiesero ai Comuni la disponibilità di spazi abitativi, ma in paesi ove elevata era la presenza di militari, gli amministratori locali, erano impossibilitati a soddisfare le richieste, anche perchè, come nel caso della situazione di Tolmezzo, la confusione e il disordine dell’organizzazione cosacca erano tali per cui venivano chiesti sempre nuovi alloggi mentre era lasciata vuota una caserma di 1.000 posti e senza tener conto di altri alloggi lasciati liberi da truppe trasferite altrove.
La situazione di Tolmezzo, per esempio, secondo la relazione settimanale del 16-22 ottobre 1944, inviata dal Prefetto di Udine De Beden al Deutscher Berater, è esemplificativa al riguardo: “[…] A Tolmezzo, la presenza poi di numerosi Comandi russi di ogni specie nel ristretto ambito della città rende penosa e pericolosa la permanenza dei cittadini, che si vedono spesso cacciati dalle proprie abitazioni senza preavviso di sorta date le interferenze dei vari Comandi […] Giornalmente si assiste al fatto che i Comandi chiedono sempre nuovi edifici senza valersi di edifici occupati e poi lasciati liberi da altri reparti.
Decine di case già occupate dai russi rimangono vuote e abbandonate, nè vengono occupate dai sopravvenuti reparti […] Questa sempre nuova richiesta di edifici metterà tra qualche giorno la cittadinanza in condizioni di abbandonare la città […].
Vi furono casi, come quello già visto di Alesso, dove la popolazione fu interamente sgomberata e dovette alloggiare presso parenti o amici in altri paesi o chiedere aiuto alle autorità comunali.
Altri paesi furono parzialmente sgomberati. Nella confusione generale vi erano gruppi di cosacchi che d’iniziativa andavano di casa in casa imponendo alle famiglie interessate di alloggiare uno o più soldati con i loro cavalli e di nutrire gli uni e gli altri.
La violenza degli invasori si ridestò, ai primi di novembre 1944, a seguito dell’uccisione di un Capitano caucasico, Comandante del presidio di Comeglians, avvenuta il 31 ottobre, ad opera di un nucleo partigiano osovano, mentre si recava in carrozza da Muina (riva destra del Degano) a Comeglians.
Il 1 novembre, i caucasici del presidio di Comeglians ed i cosacchi del presidio di Ovaro, circa 400 uomini, investirono l’abitato di Muina ed i villaggi viciniori devastandoli, dopo aver ucciso due abitanti e malmenato uomini e donne. Il 2 novembre, caucasici e cosacchi ripercorsero gli stessi villaggi e fucilarono 5 valligiani.
Il 3 novembre, la stessa area fu assalita da uno squadrone cosacco proveniente da Gemona ed i villaggi nuovamente saccheggiati. Infine, i valligiani furono costretti a partecipare all’inumazione del Capitano ucciso, nel cimitero di Sutrio, nella Valle del But .
A metà Febbraio 1945, arrivò infine l’atamano del Don Pyotr Krassnov che, ricevuto con grandi onori, si installò con la consorte prima a Gemona e, alla fine del mese, a Verzegnis, stabilendo la sua dimora, quella del suo seguito e i suoi uffici nell’albergo “Savoia” all’uopo requisito.
L’atamano del Kuban, Gen. Wlacoslaw Naumenko, già Comandante di unità cosacche durante la guerra civile ed esule poi in Grecia, rimase a Berlino, quale rappresentante di Krassnov, a curare la gestione dell’Amministrazione degli Eserciti cosacchi.
La posizione di Krassnov nel contesto dell’Armata cosacca era ambigua in quanto, Comandante militare dell’Armata era il Gen. Domanov che, per la parte operativa aveva il suo punto di riferimento nell’Alto Comando delle SS di Trieste dell’Gruppenführer Globocnik.
D’altra parte, Krassnov, i cui rapporti con Domanov erano sempre stati piuttosto freddi, esercitava una autorità politica sull’Armata che gli derivava, oltre che dal grande carisma, dal fatto di essere il massimo esponente del Governo cosacco in esilio.
Alla fine di aprile 1945, con il crollo della organizzazione militare tedesca in Italia, Krassnov avocherà a sé il pieno controllo dell’Armata imponendole direttive operative e, in ultima analisi, determinandone il destino.
Organizzazione della Divisione caucasica
Si trattava di un complesso di livello divisionale costituito da elementi del pulviscolo di popoli del Caucaso settentrionale da sempre in lotta con il potere centrale, zarista prima, sovietico poi: osseti, circassi, cabardini, daghestani, ceceni, azeri.
Questa Divisione era chiamata dai tedeschi”Freiwillige Brigade Nordkaucasus”. Essa faceva capo al “Comitato Nazionale Nord Caucaso”, in Berlino, costituito con il beneplacito dei tedeschi .
La Divisione era comandata dal Gen. Sultan Ghirey, ufficiale zarista che aveva anche combattuto nelle Armate Bianche finendo poi esule in Occidente.
Ghirey aveva formato la sua Divisione in massima parte reclutando volontari caucasici nei campi di prigionia tedeschi, in parte attingendo dalla massa dei profughi caucasici collaborazionisti che, similmente a quella dei profughi cosacchi, erano stati trasferiti ad ovest per sottrarli alle ritorsioni sovietiche ed infine fatti affluire in Carnia.
Alcuni nuclei di armati caucasici, con l’abituale seguito di familiari, avevano condiviso le traversie dei cosacchi trasferendosi prima in Ucraina, poi in Bielorussia e infine in Polonia, prima di giungere in Carnia.
Si trattava di un totale di circa 4.800 armati e di 2.000 civili, la maggior parte dei quali era di religione musulmana. La Divisione caucasica fu schierata a presidio della fascia settentrionale della Carnia. Il Gen. Sultan Ghirey Klitsch pose il suo Posto Comando a Paluzza ove già esisteva un presidio tedesco.
La Divisione caucasica non era inquadrata nell’Armata cosacca di Domanov; la sua attività militare era svolta sulla base delle direttive dell’Alto Comando delle SS di Trieste.
Analogalmente a quanto previsto per l’Armata cosacca, anche presso il Comando del Gen Ghirey vi era un rappresentante tedesco, Cap. Paul Theurer, rappresentante di Rosenberg, Ministro per i Territori dell’Europa Orientale.
L’ufficiale era anche responsabile del Territorio di Sicurezza della fascia settentrionale della Carnia che comprendeva i seguenti Comuni:
- Valle del But e Canale d’Incaroio: Paluzza, Arta, Sutrio, Cercivento, Treppo Carnico, Paularo, Ligosullo, Ravascletto;
- Valle del Degano e Val Pesarina: Comeglians, Rigolato, Forni Avoltri, Prato Carnico, Pesaris.
L’abitato di Timau, alla base del Passo di Monte Croce Carnico, non subì l’occupazione caucasica perché, isola alloglotta con una parlata tedesca, fu giudicata dai caucasici territorio tedesco. Una sbarra di confine, infatti, era stata posta poco prima dell’abitato.
Anche la sistemazione delle truppe e dei civili caucasici creò problemi, ma non così gravi come nel caso dell’Armata cosacca. E questo per due motivi:-
- minore consistenza numerica dei caucasici;
- disponibilità, ad Arta di una discreta ricettività alberghiera.
Analogo invece, se non addirittura più grave, il problema della requisizione di viveri e di foraggio, dato che l’area era ancora più povera della Carnia meridionale e, a differenza di quella, tagliata fuori dalle possibili fonti di approvvigionamento nella pianura friulana.
La Legione georgiana
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A Comeglians, il presidio inizialmente affidato ai caucasici fu sostituito, nel marzo 1945, da un contingente georgiano. Si trattava di una Legione comandata da un principe.
La Legione, come quelle georgiane dislocate su altri fronti, faceva parte di un movimento politico “Giorgio bianco”, approvato e sostenuto da Himmler sin dal 1943, il quale si proponeva l’indipendenza della Georgia. La Legione, in pratica un Reggimento, constava di circa 800 uomini.
Vi militavano molti esponenti della nobiltà georgiana e comprendeva anche alcune influenti e belle principesse, gli uni e le altre provenienti dalla Francia Gli ufficiali georgiani erano in gran parte di elevata cultura, poliglotti e quindi in grado di dialogare con i locali oltre che con i tedeschi.
La Legione si insediò anche ad Arta. Da una testimonianza scritta di un membro della Legione, raccolta da Marina Di Ronco, risulta che le truppe georgiane collaborazioniste erano formate sia da georgiani riparati a Parigi durante o subito dopo la Rivoluzione Russa e che a Parigi avevano da tempo costituito una organizzata comunità georgiana (era questo il caso della Legione di Comeglians), sia da georgiani dell’Armata Rossa catturati dai tedeschi ed invitati o costretti a collaborare.
Il movimento politico georgiano di cui sopra era autonomo rispetto sia all’Armata cosacca di Domanov sia alla ROA (Armata di Liberazio ne Russa) del Gen. Vlasov nei confronti del quale i georgiani nutrivano sfiducia se non ostilità.
Operativamente agivano secondo le direttive emanate dal Col. SS Kintrup, da Trieste, per il tramite dal Comando del Territorio di Sicurezza di Paluzza.
Diversamente dai cosacchi e dai nord-caucasici, i georgiani non avevano profughi al seguito; anche le famiglie degli ufficiali erano limitate a 5-6 nuclei, nè cavalli.
Il presidio georgiano conduceva una vita tutta sua: a parte l’adunata mattutina e il servizio di pattuglia di sera, per accontentare i tedeschi di Comeglians, i georgiani conducevano vita borghese con passeggiate, incontri, vita sociale.
Essi erano guardati con diffidenza e fastidio e dai tedeschi, che li ritenevano non sufficientemente motivati e aggressivi, e dai cosacchi e nord-caucasici che li ritenevano infidi, e pour cause.
I rapporti tra la popolazione locale e le truppe georgiane erano molto cordiali. Operativamente, i georgiani erano molto attenti ad evitare scontri cruenti con i partigiani. Gli ufficiali, se dovevano inviare una pattuglia in ricognizione o effettuare un rastrellamento in una certa zona, si premuravano di far circolare, per tempo, la voce sugli obiettivi della loro azione, in modo tale che i partigiani presenti colà avessero modo di eclissarsi.
I georgiani giunsero a manifestare ammirazione per il loro corregionario Stalin che definivano “uomo di ferro” e ad inorgoglirsi delle vittorie dell’Armata Rossa.
Diffidenti dei tedeschi, di cui anticipavano la sconfitta imminente, alcuni di loro avevano già disertato poco dopo il loro arrivo in Carnia unendosi alle formazioni partigiane italiane e al battaglione russo “Stalin”.
Il periodo dell’occupazione cosacco- caucasica
(Ottobre 1944 – Gennaio 1945)
Il controllo tedesco sulla popolazione carnica
Assai rigide erano le misure di controllo attuate ai tedeschi in Carnia, intese a prevenire e a reprimere ‘attività della guerriglia partigiana al fine ultimo di assicurare la piena disponibilità delle principali vie di comunicazione con l’Austria e il Cadore.
Gli organi preposti alla pianificazione ed alla emanazione di tali misure erano i Comandi della sicurezza, più volte citati, terminali di un sistema che vedeva al livello immediatamente superiore i Comandanti delle SS e della Polizia in ogni provincia, Udine nel caso nostro, e al vertice l’alto Comandante delle SS e della Polizia del Litorale Adriatico Gen. SS Odilo Globocnick, a Trieste.
In Carnia, c’erano tre Comandi di sicurezza: uno a Tolmezzo, uno a Villa Santina, il terzo a Paluzza. Quello di Paluzza, responsabile di tutto il territorio della Carnia settentrionale, aveva anche un rappresentante a Paularo (Valle d’Incaroio); quello di Villa Santina aveva rappresentanti a Enemonzo e ad Ampezzo.
Gli strumenti di cui i Comandanti di sicurezza disponevano per l’applicazione delle predette misure erano due:
- uno, di carattere amministrativo, costituito dalla rete dei Podestà e dei Commissari prefettizi dei Comuni inclusi nella sua giurisdizione territoriale;
- l’altro, di carattere coercitivo e repressivo, costituito dai presidi delle truppe cosacche e caucasiche insediati nel suo territorio.
Nel primo caso, venivano emanate a Podestà e Commissari prefettizi disposizioni di carattere amministrativo relative a: oscuramento, coprifuoco, consegna di tutte le armi comprese quelle da caccia, disciplina della circolazione delle persone e delle merci entro e fuori dal Comune, approntamento delle liste dei maschi dai 15 ai 50 anni, in pratica, di tutti coloro che potevano essere o diventare partigiani, liste di leva per l’arruolamento nella Milizia della Difesa Territoriale nella quale, per ordine del Supremo Commissario Rainer, dall’agosto 1944, erano confluiti in un unico Corpo armato dipendente dai Tedeschi i preesistenti corpi armati: Carabinieri, Guardia d Finanza, formazioni della Guardia Nazionale Repubblicana, Polizia economica.
Ai Comandi di sicurezza era anche affidato l’arruolamento della popolazione maschile disoccupata, nella organizzazione Todt. Tale misura garantiva che, almeno nell’arco diurno questi lavoratori non partecipassero ad azioni anti-tedesche.
I lavori organizzati dalla Todt, tutti finalizzati a favorire lo sforzo bellico tedesco, riguardavano: riparazione, ripristino, manutenzione della viabilità stradale e ferroviaria in Carnia., fortificazioni, opere aeroportuali come hangar, bunker, piste, piazzole. Anche i collaborazionisti russi talvolta venivano utilizzati come manovalanza .
Nel secondo caso, i presidi cosacchi avevano la delega a verificare l’attuazione delle misure predisposte e a reprimere le inadempienze. I volonterosi cosacchi o caucasici, nell’ambito di questa delega o specificatamente ordinati dal Comando di sicurezza, effettuavano rastrellamenti e perquisizioni per accertare presenza di partigiani o di armi nascoste nelle abitazioni.
Spesso, queste truppe approfittavano di queste operazioni per effettuare ruberie ed altre violenze nelle case. A volte giunsero a nascondere preventivamente armi nelle case per poter poi accusare i proprietari delle abitazioni e legittimare così rapine e violenze sugli abitanti.
I Comandi di sicurezza, che erano anche Comandanti della piazza, avevano in aggiunta la funzione di mediatori tra i predoni cosacco-caucasici e la popolazione esasperata oggetto dei loro soprusi.
Difficoltà alimentari e requisizioni
Gran parte dei documenti conservati negli archivi comunali della Carnia, relativi all’occupazione cosacco-caucasica, riflettono le requisizioni, vale a dire l‘imposizione alla popolazione residente, da parte tedesca, di forniture di foraggio, viveri, bestiame, etc a favore dei presidi russi.
Il problema del foraggio era forse il più sentito perchè da esso dipendeva la sopravvivenza del bestiame e quindi della popolazione che dal bestiame derivava carne e prodotti caseari per la propria alimentazione, fertilizzanti e forza motrice per i lavori nei campi e per il trasporto di materiali.
Le scorte di foraggiere disponibili, infatti, erano di per sè appena sufficienti a soddisfare le esigenze del patrimonio zootecnico locale, ammontante a poco meno di 20.000 capi. Si entrò in crisi quando dette scorte dovettero essere spartite con i circa 5.000 cavalli delle nuove truppe russe di occupazione.
La situazione si aggravò quando, sul finire dell’inverno (marzo 1945), le scorte si andarono esaurendo. Vi furono casi in cui i contadini nascosero il fieno in casa ed altri in cui i contadini dovettero abbattere il bestiame per la mancanza di foraggio.
Disagi non minori derivarono dalla requisizione del bestiame, di prodotti caseari e degli alloggi, argomento questo già anticipato e che sarà di seguito ripropostoi.
Interessati a gestire le requisizioni furono le autorità militari tedesche che esautorarono la Confederazione Fascista degli Agricoltori rendendola impotente al riguardo, ed i Comandi cosacchi nell’ambito dell’autonomia loro concessa dal rappresentante tedesco, a Tolmezzo, del Deutscher Berater di Udine.
Ci si muoveva quindi in quadro normativo improvvisato e confuso che non definiva con chiarezza le esatte competenze di “chi doveva fare che cosa” e che non teneva conto delle conseguenze negative sulla popolazione.
Spesso, le direttive del Deutscher Berater intese a contemperare le esigenze degli occupati con quelle degli occupanti, opponendosi alle arbitrarie requisizioni, venivano completamente disattese e le denunce al riguardo non avevano alcun seguito.
Il Prof. Michele Gortani, figura di rilievo dell’elite politica ed intellettuale carnica, presidente del Comitato generale di assistenza alla popolazione carnica, si adoperò instancabilmente con il sostegno dell’Arcivescovo di Udine, Mons. Nogara, per creare una rete di assistenza che, nei limiti del possibile, si estese alle zone più colpite dalle pesanti requisizioni.
All’inizio del 1945, il Comando tedesco pose allo studio possibili iniziative per la soluzione del problema del foraggio e del mangime per il bestiame, iniziative che, tuttavia non approdarono ad alcun provvedimento concreto e la Carnia, di fatto, fu abbandonata a sè stessa, lasciando la popolazione residente indifesa alla mercé degli arbitrî delle truppe occupanti le quali, tra l’altro, spesso non pagavano il corrispettivo delle requisizioni effettuate oppure indicavano alle aziende o ai privati che le avevano subite, di rivolgersi per il pagamento ad altri Comandi inesistenti o non competenti a farlo.
In mancanza di una normativa chiara e vincolante per tutti, le modalità relative alle requisizioni ed ai pagamenti variavano da presidio a presidio. In questo clima di disordine era naturalmente facile che avvenissero furti, ricatti, requisizioni illecite, da parte di singoli cosacchi o caucasici, cui non era possibile opporsi pena la sottrazione violenta dell’oggetto da requisire, violenze personali e a volte l’incendio del fienile.
Talvolta, per la verità, le proteste degli amministratori locali trovarono risposta positiva nei Comandi tedeschi che inviarono disposizioni restrittive ai Comandi caucasici imponendo l’immediata cessazione di furti e immotivate requisizioni di foraggio.
Così accadde che il Comando di sicurezza di Paluzza rispondesse a quel Podestà, accettando di pagare, con soldi raccolti tra i caucasici, gran parte del fieno da questi rubato.
Vi furono Comuni, come quello di Forni di Sopra, nei quali si addivenne ad un modus vivendi, tra il modesto presidio cosacco e la comunità locale, raggiunto attraverso la reciproca comprensione delle disgrazie dell’uno e dell’altra.
Il problema del foraggio era particolarmente drammatico perchè carne e prodotti caseari erano gli unici alimenti disponibili, tenuto conto di due circostanze:-
- il blocco economico imposto dai tedeschi dal 1 agosto 1944, e revocato gradualmente nell’arco di tempo novembre 1944-gennaio 1945;
- la scarsa disponibilità di mezzi di trasporto che impediva il prelevamento, in Friuli, delle quote di viveri accantonate per la Carnia che, trascorso un certo tempo, andavano perdute.
Il peso delle requisizioni si alleggerì con l’arrivo della primavera e la nascita della prima erba. Si trattava in ogni caso di sollievo temporaneo e di disgrazia differita poichè il libero pascolo dei cavalli nei prati e nei campi, compromise i raccolti estivi.
Con la primavera inizieranno a giungere in Carnia nuovi contingenti cosacchi e caucasici, provenienti in gran parte dai Balcani, ove intensa si era fatta la pressione delle formazioni titine. Questo avrebbe comportato l’acuirsi della crisi alimentare e anche delle violenze sulla popolazione, data l’indisciplina dei nuovi venuti.
Un ruolo essenziale per il reperimento di generi alimentari, durante tutto il periodo di occupazione, fu svolto dalla Cooperativa Carnica di consumo il cui Direttore, in contatto diretto con il CLN, provvide a prelevare viveri in Friuli tramite Cooperative associate e a distribuirli alla popolazione carnica attraverso le sue filiali.
Essendo tale Cooperativa incaricata anche della panificazione per le truppe tedesche e russe, era facile, per il direttore, sottrarre farina e pane che poi venivano distribuiti alla popolazione .
Nel settore degli alloggi, l’ente preposto ai risarcimenti era la Prefettura di Udine, mentre erano i Comandi di sicurezza, che avevano anche funzioni di Comandi di Piazza, ad impartire ai Comuni gli ordini di requisizione degli alloggi. Competenti, in tal senso, erano quindi i Comandi di sicurezza di Tolmezzo, Paluzza, Villa Santina.
A Verzegnis, invece, data la consistente presenza cosacca ed una loro più efficiente amministrazione, il problema degli alloggi venne definito direttamente, tra il Comando del Reggimento Terek-Stravopol e l’amministrazione comunale.
Tuttavia, si verificarono, frequentemente ed ovunque, occupazioni arbitrarie di alloggi privati, non concordate od autorizzate dai Comandi tedeschi nè da quelli cosacco-caucasici.
Le soluzioni adottate per risolvere il problema alloggiativo furono sostanzialmente tre consistenti nella:
- evacuazione della popolazione dal paese, totale (Alesso, Bordano) o parziale (Trasaghis, Cavazzo Carnico);
- coabitazione;
- occupazione di alberghi, edifici pubblici di grandi dimensioni (caserme scuole, sale cinematografiche etc).
Quasi sempre, vi fu una combinazione di queste due ultime soluzioni. Nella coabitazione, i proprietari dovevano ritirarsi in alcune stanze (o una sola stanza) lasciando alla famiglie cosacche l’uso del resto dell’abitazione.
Gli occupanti erano invece riluttanti ad accettare l’assegnazione di grandi edifici vuoti (scuole, cinema, etc.) per i militari con famiglia e per i profughi perchè li ritenevano più esposti agli attacchi dei partigiani.
Per le loro famiglie, essi ritenevano più sicura la coabitazione, motivando la scelta con la presunzione che i partigiani non avrebbero attaccato abitazioni ove c’erano anche carnici. Negli edifici pubblici, come nelle caserme, alloggiavano invece, reparti militari organici.
Nei centri più affollati, ove il rapporto occupanti/abitazioni disponibili era sfavorevole, la promiscuità e la mancanza di igiene dei cosacco-caucasici posero problemi di carattere sanitario anche perchè spesso erano affetti da patologie dermatologiche e da tubercolosi.
In genere, sporcizia e devastazioni di suppellettili, finestre, pavimenti in legno etc segnavano la permanenza o il passaggio di cosacco-caucasici, non solo della truppa ma anche degli ufficiali e delle loro famiglie.
Data la frequenza degli avvicendamenti dei reparti, capitava come accaduto a Tolmezzo, che i nuovi giunti rifiutassero di alloggiare nei locali lasciati dai predecessori, sporchi e danneggiati, e pretendessero invece altri alloggi puliti e in ordine.
Il termine alloggi, naturalmente, includeva anche i locali da adibire a stalla per i 5.000 cavalli degli occupanti e siccome spesso le stalle disponibili erano insufficienti, si ricorreva a normali locali ampi che venivano adibiti a stalle.
La tendenza, da parte dei cosacchi a ritenere loro “proprietà” la terra carnica è esemplificata, per esempio, dalla denominazione russa data non solo ai paesi dove essi costituivano la maggioranza rispetto alla popolazione locale, ma anche alla viabilità interna degli stessi.
In questi paesi vi erano anche scritte murali propagandistiche, a carattere anti-bolscevico nelle case sulla piazza centrale. Sempre più frequentemente i Comandi cosacchi, nella corrispondenza con i Comuni, si rivolgevano ai Podestà con titoli russi come staršina (capo-eletto) o storasta (capo del villaggio) mentre riferendosi alle frazioni, il termine usato era stanica.
Insomma, una strisciante radicalizzazione dell’occupazione cosacca attraverso l’uso e la diffusione di toponimi e termini russi ai quali si abituarono anche i locali che li stavano assimilando e talvolta li usavano nei rapporti con le autorità.