I COSACCHI IN ITALIA – 4

a cura di Cornelio Galas

Ruolo  militare  dei  cosacchi:  loro utilizzazione  da

parte dei  tedeschi: la  difficile  convivenza con  i  locali

Utilizzazione dei cittadini sovietici collaborazionisti  da parte  della Germania

La vicenda dell’occupazione cosacca, in Carnia, rappresenta un capitolo della più vasta storia che riguarda centinaia di migliaia di soldati dell’Urss che, sin dal 1942, collaborarono con le truppe naziste.

Alla fine del 1941, nel III Reich,. l’idea di utilizzare, in funzione anti- sovietica, volontari  tratti dalle centinaia di migliaia di prigionieri dell’Armata Rossa era stata proposta sia dalla Sezione stampa e propaganda dell’Ufficio Operazioni dell’OKW (Comando Supremo della Wehrmacht), sia dal Ministro per i Territori occupati dell’Est (Östministerium), Alfred Rosenberg. Si trattava di sfruttare e di fare leva sulle rivendicazioni nazionaliste delle numerose etnie che componevano il variegato mosaico dell’Urss e sul sentimento religioso, specie musulmano, mortifica to e represso dalla politica della Dirigenza sovietica.

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Anche tra la maggioranza russa, esistevano numerose frange di dissenso e di malcontento nei confronti  dell’oppressivo regime staliniano. Erano quelli, ed erano molti,  che avevano avuto famigliari, amici, conoscenti  giustiziati o inviati nei gulag  per colpe spesso inesistenti.

Hitler, all’inizio, respinse decisamente ogni suggerimento di impiego di truppe collaborazioniste sovietiche  a fianco delle truppe tedesche.

Solo nella seconda metà del 1942, a fronte delle difficoltà tedesche ad aver ragione dell’Armata Rossa che stava dimostrando di aver trovato efficienza e capacità offensiva, l’idea della collaborazione fu ripresa ed accettata anche se di malavoglia da Hitler, grazie anche alla disponibilità del Gen sovietico Andrey Vlasov,  fatto prigioniero nel maggio 1942, a collaborare a fianco dei tedeschi contro il Regime staliniano e a creare un Esercito di Liberazione della Russia (ROA). Tuttavia, anche nell’imminenza dell’inevitabile  crollo del Terzo Reich, Hitler non mancò di esprimere le sue riserve al riguardo.

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La collaborazione dei militari e civili sovietici  comprendeva sia formazioni combattenti, sia unità ausiliarie con compiti logistici oppure  incaricate  della realizzazione di apprestamenti difensivi o della costruzione, riparazione, ripristino della viabilità nelle retrovie.

La loro adesione allo sforzo militare tedesco ebbe motivazioni diverse: alcuni aderirono con entusiasmo alla crociata anti-bolscevica della Germania nazista, anche se solo alcune formazioni cosacche si batterono, e si batterono bene, contro l’Armata Rossa. Altri scelsero  di collaborare per motivi opportunistici, per sottrarsi cioè allo spaventoso trattamento nei campi di prigionia[7].  Infine, vi erano coloro ai quali il collaborazionismo era stato coattivamente imposto.

Gli “opportunisti”  furono inquadrati in unità combattenti di livello non superiore al battaglione, inquadrate da ufficiali e sottufficiali tedeschi e dispersi nei  Reggimento e Divisioni della Wehrmacht  su tutti i fronti,  tranne quello orientale.

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I “coatti” furono invece organizzati prevalentemente in battaglioni ausiliari, di lavoro, e solo in emergenza armati e trasformati in battaglioni combattenti, anche questi su tutti i fronti escluso quello orientale.

Gli “entusiasti” cioè i soldati sovietici appartenenti alla prima categoria, che si allearono decisamente con i tedeschi, furono i cosacchi ed, in misura minore,  i caucasici,  popoli provenienti dalle aree sud-orientali della Russia europea, i quali si erano spesso ribellati all’Autorità Centrale zarista di Mosca, prima, e di Pietroburgo poi, per difendere la  loro libertà ed  autonomia, la loro cultura, e i loro  tradizionali privilegi che gli zar avevano finito di per riconoscere.

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Il regime sovietico, con la collettivazione dell’agricoltura, aveva invece brutalmente cancellato ed annullato privilegi,  identità, tradizione, ogni anelito di autonomia  delle comunità cosacche. Occorre anche dire che l’occupazione tedesca delle terre cosacche e del  Caucaso fu benevola, non fu  cioè brutale come altrove in Russia, e quindi fu con giustificata fiducia e gratitudine che i cosacchi si schierarono con i tedeschi.

Le prime  formazioni  cosacche di livello superiore al battaglione furono alcuni Reggimenti costituiti, d’iniziativa, dal Col. Helmut von Pannwitz facente parte del Gruppo d’Armate “A” lanciato, nell’autunno del 1942,  alla  conquista dell’area petrolifera del Caucaso, dopo aver attraversato le steppe del Don, del Terek, del Kuban. La truppa era cosacca ma gran parte dei Quadri erano tedeschi.

Un’altra Grande Unità  formata dai Tedeschi, con prigionieri sovietici dell’Asia Centrale e caucasici, fu la già nominata 162a Divisione  turcomanna inquadrata da ufficiali e sottufficiali tedeschi.

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Solo l‘Armata cosacca,  formata in Bielorussia (1943), trasferita poi in Polonia (1944), ed impiegata infine in Carnia,  ebbe la ventura ed il privilegio  di essere formata interamente da cosacchi[14] e guidata da atamani cosacchi.

La relativa simpatia con cui i tedeschi guardavano ai cosacchi, che ai loro occhi avevano il vanto di aver sempre  combattuto il bolscevismo, durante e anche dopo la fine della Guerra Civile,  si manifestò attraverso due eventi:

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  •  la sollecitata creazione, nel 1943, di un Centro politico militare cosacco a Berlino, affidato al   Gen. Pjotr Krassnov  accorso nella capitale tedesca da Parigi fin dal 1942 per offrire la sua   collaborazione  alla lotta anti-bolscevica. Del  Centro, facevano  parte, tra gli altri cosacchi   venuti dalla  Francia, dalla Jugoslavia e dalla Grecia, anche i Generali Shkuro,  cosacco del Kuban   e Naumenko, anch’egli cosacco del Kuban.
  •  il 10 novembre 1943, a Poltava, venne diffuso un proclama firmato dal Ministro per i Territori   occupati dell’Est, Alfred  Rosenberg, e dal Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, Gen Keitel in cui la   Germania si impegnava ad assicurare ai cosacchi, una volta sconfitta l’Urss, una certa autonomia, lo scioglimento dei kolkoz e il ripristino della proprietà privata.

Sulla base di questi  promettenti premesse, nelle steppe del Don, Kuban e Terek,  occupate dai tedeschi, molti gruppi cosacchi avevano espresso le loro simpatie verso l’invasore, ritenendo che la “liberazione” dal regime bolscevico, ad opera delle truppe tedesche, costituisse  una occasione da non perdere, una svolta storica per i popoli cosacchi ed il recupero degli antichi privilegi.

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Guidavano questi gruppi l’atamano Col. Sergej Vasilievic Pavlov, il Col. Vassilievic Kulakov  che avevano entrambi militato nelle Armate Bianche, e il Col. Timofey Ivanovic Domanov.

Quando, alla fine del 1942, la controffensiva sovietica costrinse le forze tedesche a ripiegare e ad attestarsi sulla linea F. Donez – Kursk, i predetti ufficiali guidarono l’esodo di quanti avevano collaborato con gli invasori, inclusi familiari e altri civili compromessi verso l’occidente, stabilendosi in successione, nei pressi di Navogrudok (Bielorussia) e poi, nella primavera del 1944, a Zoduska Wola (Polonia).

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Avevano portato con sè, cavalli, bovini, cammelli, suppellettili e quant’altro  delle loro cose erano riusciti a caricare sui  carriaggi. In Bielorussia ed in Polonia, questi gruppi avevano ricevuto poi adesioni  di disertori e soldati sovietici catturati dai tedeschi, erano stati armati con armi individuali di preda bellica, organizzati in sotnje (squadroni) riunite in Reggimenti di cavalleria e di fanteria per una forza complessiva di circa 18.000 soldati.

L’insieme costituì l’Armata cosacca, una unità militare scarsamente armata e addestrata, idonea solo ad operazioni di antiguerriglia e di controllo del territorio.

Fu anche necessario superare l’iniziale  difficoltà di far convivere la mentalità degli  anziani Quadri zaristi accorsi dall’esilio con quella dei giovani cosacchi, nati  e cresciuti nel clima della nuova realtà dello Stato Sovietico,  i quali  di quegli anziani ex-combattenti probabilmente ignoravano l’esistenza e quindi  i trascorsi.

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Con questi limiti, l’Armata cosacca  era quindi disponibile per essere impiegata,  quando e dove il Comando tedesco avesse deciso.

L’Amministrazione degli eserciti cosacchi, costituitasi il 31 marzo 1944 sul preesistente Centro  politico militare cosacco (1942), produsse, nell’estate  del 1944,  un Governo cosacco in esilio,  presieduto dall’atamano Krassnov. Contestualmente, il Ministro Rosenberg invitava questi a trasferire l’Armata cosacca in Carnia.

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Questa regione, una volta sgominata la guerriglia partigiana che ne aveva assunto il controllo, sarebbe stata assegnata all’Armata cosacca  in attesa che si fossero resi disponibili i territori cosacchi nella Russia liberata dal bolscevismo.

Si noti che, nell’autunno del 1944, a Berlino, esistevano tre distinte organizzazioni  russe collaborazioniste:

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  • – l’Amministrazione degli eserciti cosacchi, o Governo  cosacco, con la figura carismatica di Krassnov, che aveva il suo braccio armato nell’Armata cosacca. Il fine perseguito dal Governo era la restaurazione dei privilegi e dell’autonomia di cui i cosacchi godevano prima della Rivoluzione Russa;
  •  il Comitato Nazionale “Nord Caucasus”, in Berlino,  che disponeva della ”Freiwillige Brigade Nordkaucasus”, in effetti  di livello divisionale. Il suo obiettivo  era l’indipendenza dei popoli  caucasici;
  •  il Comitato per la Liberazione dei Popoli Russi (KONR), che all’inizio del 1945 incluse anche  un Consiglio delle  truppe cosacche, presieduto da Vlasov; il suo  braccio armato  era l’Esercito russo di liberazione o Russkaja Osvobodietelnaja Armja (ROA). Il  suo obiettivo era solo quello di liberare la  Russia dal regime stalinista, nessuna concessione a nostalgie  zariste o a suggestioni autonomiste.

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Si trattava quindi di movimenti con finalità diverse, probabilmente contrastanti, cui i tedeschi lasciarono fare programmi ben sapendo che, in caso di vittoria dell’Urss, i tre movimenti sarebbero scomparsi; nell’ipotesi invece di una sua sconfitta, sarebbe stata la Germania ad imporre, nell’Europa Orientale,  la soluzione politica più confacente ai propri interessi, senza tener in alcun conto quelli  dei collaborazionisti.

Collaborazionisti  cosacchi nelle FF. AA. italiane

Prima di entrare nel cuore della vicenda dell’Armata cosacca in Carnia, sembra utile segnalare  che anche le FF.AA. italiane  reclutarono, ancorchè in misura minima, collaborazionisti russi.

Al riguardo, si  hanno notizie circostanziate di un reparto cosacco, in servizio presso il Comando dell’8a Armata italiana (ARMIR) al livello di sotnja (squadrone) denominato “Banda Campello” dal nome del suo comandante, il Magg. di cavalleria Ranieri di Campello.

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Da ricerche effettuate  presso l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, è emerso  che questi cosacchi venivano impiegati come esploratori o informatori, a favore dell’Ufficio Informazioni   del Comando dell’8a Armata italiana.

Era anche stato previsto e già erano state ottenute le necessarie autorizzazioni del Comando tedesco e dell’atamano del Don,  il  reclutamento di altri 2.000 cosacchi con cui costituire due Reggimenti, uno di cavalleria e uno di fanteria.

Il precipitare degli eventi, nel dicembre del  1942,  impedì di dare attuazione al disegno.  Durante la  ritirata dell’ARMIR dalla linea  del Don,  questi cosacchi si unirono alle colonne italiane in ritirata condividendone traversie e disagi. Al riguardo c’è una interessante relazione di un Sottotenente italiano appartenente alla  Gruppo cosacco.

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Rimpatriato il Magg Campello perchè ferito, nel marzo 1943, l’unità assunse la denominazione di “Gruppo cosacco Savoia” ed il comando fu assunto dal Cap. di cavalleria Giorgio  Stavro Santarosa. Il Gruppo, ridotto a 200 uomini, giunse in Italia nel giugno 1943 e fu accasermato  a Maccacari (VR) dove si provvide al suo riordinamento e riequipaggiamento  nonchè al suo completamento con volontari tratti  sia  dai superstiti di altre formazioni ausiliarie russe giunte in Italia al seguito dei reparti italiani,  sia dalle colonie cosacche in Albania.

La denominazione del reparto fu cambiata in “Banda irregolare cosacca”. A  riordinamento avvenuto, il reparto contava un Comando italiano, un  Comando cosacco subordinato e tre sotnje cosacche per un totale di 257 uomini a cavallo, inclusi 14 del Comando italiano.

A fine agosto  1943, fu disposto che la “Banda irregolare cosacca”  fosse inviata in Albania, alle dipendenze della 9a. Armata.

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Secondo Pier Arrigo Carnier, durante la ritirata seguita alla caduta di Stalingrado  vi sarebbero stati ripensamenti, da parte di alcuni cosacchi del Gruppo Savoia, culminati in un tentativo di assassinio del Magg. Campello, salvato in extremis dall’intervento di un  Capitano cosacco.

Al rientro in Italia, il Gruppo autonomo cosacchi  Savoia, al comando del Magg. Luigi Cavarzerani  sarebbe stato inquadrato nel Reggimento di cavalleria “Lancieri di Novara”. Infine, l’8 settembre, allo scioglimento del Reggimento, il Gruppo sarebbe stato lasciato in armi, dai tedeschi, e non  deportato in Germania,  come avvenne per i militari italiani sorpresi in uniforme e che avessero declinato di unirsi alle truppe tedesche.

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Successivamente, parte dei cosacchi si sarebbe spostata a Camporosso, presso Tarvisio, e parte si sarebbe dispersa confluendo infine,  nel 1944, nell’Armata cosacca nel frattempo giunta in Carnia.  I rimanenti, dopo aver nascosto armi e munizioni e racimolati abiti borghesi, si sarebbero dispersi nelle varie fattorie.

Nella documentazione reperita  presso l’Ufficio Storico dello  Stato Maggiore dell’Esercito, non c’è traccia del tentativo di assassinio del  Magg. Campello.

Il riferimento al Magg. Cavarzerani e all’inquadramento della Banda irregolare cosacca nel  Reggimento “Lancieri di Novara” deve ritenersi errato perchè dai documenti del predetto Ufficio Storico, risulta  invece quanto  di seguito riportato: la Banda irregolare cosacca non fu mai inquadrata nel Reggimento “Lancieri di Novara”, fu solo amministrata dal Deposito di quel Reggimento, e dal marzo 1943 il suo Comandante fu sempre il Cap. Stavro Santarosa.

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L’8 settembre 1943 colse il reparto ancora a Maccacari, in procinto di essere rischierato in Albania. A fronte delle reiterate e minacciose richieste di emissari tedeschi venuti da Verona e Mantova nei giorni 9-10-11-12 settembre di resa  e di disarmo della Banda,  il Cap. Stavro Santarosa cercò di temporeggiare rifiutandosi comunque di  consegnare le armi.

Il giorno 13,  interrotti dai tedeschi  i collegamenti telefonici con l’esterno,  impossibili tato a rifornirsi di viveri presso il deposito di Legnano occupato nel frattempo dai tedeschi e avvertito da un carabiniere  che un battaglione corazzato tedesco era in marcia da Ostilia a Maccacari per attaccare la caserma, il Cap. Stavro Santarosa  riunì  l’assemblea di cosacchi (rada) secondo il loro uso.

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Sentito il loro parere  favorevole, la sera del 13 settembre dispose lo scioglimento e la dispersione temporanea del  Gruppo. Il reparto, secondo gli accordi si sarebbe dovuto ricomporre dopo alcuni giorni  a Maccacari, in quanto il Cap. Stavro riteneva che la defezione dell’Italia dalla guerra avrebbe comportato necessariamente il ripiegamento immediato di tutte le truppe tedesche sulle Alpi.

Così non fu, e quindi la ricomposizione della Banda non ebbe luogo. Anche il Capitano rientrò nella sua tenuta di Cormons (Gorizia), che  affidò alle cure di un suo cosacco, mentre lui si trasferì nella sua abitazione romana ove, ai primi di giugno 1944,  fu arrestato dai tedeschi, ma la sua prigionia durò un solo giorno perchè, all’arrivo degli Alleati nella Capitale, i tedeschi fuggirono lasciando la cella incustodita.

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A guerra finita,  ripresi i contatti con alcuni dei suoi cosacchi,  il Capitano seppe che un plotone cosacco era passato ai tedeschi che lo avevano inviato sul fronte di Cassino ove era stato annientato, molti  altri si erano uniti alle formazioni partigiane, altri erano scomparsi, forse unitisi l’anno successivo ai cosacchi di Krassnov in Carnia.

Alcuni, di quelli passati ai partigiani,  nel dopoguerra, si fecero vivi chiedendo la cittadinanza italiana giustificando la richiesta con il servizio militare prestato nelle FF.AA. Italiane.

Presso il Museo della Cavalleria di Pinerolo (TO),  è esposto  un manichino rappresentante un cosacco con l’uniforme italiana. L’uniforme fu donata   a suo tempo dal Cap. Stavro Santarosa.

Il trasferimento dell’Armata cosacca dalla Polonia alla  Carnia.

Nel Febbraio 1943, dopo la caduta di Stalingrado, le bande cosacche collaborazioniste, guidate dall’atamano del Don Sergej Vasilievic Pavlov e dal Col. Timofey Ivanovic Domanov,  mossero da Novorossisk nella zona di raccolta di Kamanez Podolsk, in Podolia, dove avvenne la loro  iscrizione nel “registro dello stato militare”, da parte dei tedeschi.

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Li avevano seguiti   familiari.ed altri civili che si erano compromessi con gli invasori tedeschi e temevano le ritorsioni dell’Armata Rossa. Pochi mesi dopo, i cosacchi furono costretti a spostarsi nei campi di raccolta di Novogrodki e Baranovichi, 120 verste (1 versta=1066 m.) ad ovest di Minsk (Bielorussia).

Qui si provvide a organizzare i cosacchi abili al servizio militare,  in unità regolari. Gli Ufficiali cosacchi reclutarono molti soldati cosacchi traendoli da campi di concentramento tedeschi. Si potè in tal modo creare undici Reggimenti (1.200 uomini ciascuno)i, che diedero vita all’Armata  cosacca. Si trattava di:

  •  quattro             Reggimenti del Don;
  • – tre                      Reggimenti del Terek;
  • – due                    Reggimenti del Kuban;
  •  due                    Reggimenti misti di cosacchi dell’Orenburg, Astrakan, Urali e siberiani.

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Tutti i Reggimenti erano costituiti da reparti appiedati (fanteria) e  da squadroni di cavalleria. Alle unità sopra indicate si aggiungevano  le unità di supporto tattico e logistico

I Quadri erano per il 68% ufficiali  zaristi,  emigrati nel 1918 – 1920.  Su un totale di 2756 ufficiali a ruolo, quelli zaristi erano quindi circa 1800, piuttosto anziani anche nei gradi più bassi.

Essi, avendo rifiutato di aderire al regime bolscevico ed avendo per questo lasciato la Russia prima del 1920,  non erano cittadini sovietici. Questa circostanza  risulterà di estrema importanza a fine guerra nella politica di rimpatrio  dei collaborazionisti russi, disposta dalle Potenze vincitrici.

L’uniforme di base era quella tedesca, recuperata da fondi di magazzino,  cui venivano apportati numerose varianti della tradizione cosacca: insegne di grado, mostrine,  colbacchi di varie fogge e colore a seconda della zona di provenienza, cartucciere, stivali flosci fino al ginocchio, tuniche scure  con false cartucciere sul petto,  mantelli di varia foggia e colore (prevalente, secondo i ricordi dei testimoni del tempo, il bleu e il rosso) per le uniformi da cerimonia etc. Sulla giubba e sul colbacco alcuni portavano  l’aquila stilizzata con la croce uncinata della Wehrmacht.

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Elementi distintivi dei Reggimenti, nelle uniformi da cerimonia,  erano poi le bande lungo la cucitura dei pantaloni: larghe e rosse per i Reggimenti del Don, strette e rosse per quelli del Kuban, nere-bleu-nere per quelli del Terek, gialle per quelli siberiani.

Al Comando dell’Armata era l’atamano Pavlov, mentre il Col. Domanov era il suo Capo di Stato Maggiore.

Nel periodo trascorso  in Bielorussia, si provvide all’addestramento elementare dei reparti appena formati e all’assegnazione delle dotazioni e dell’equipaggiamento, secondo standard estremamente  modesti.

L’armamento, materiale di preda bellica tedesca, era  molto eterogeneo: fucili ed armi automatiche, di provenienza polacca, italiana, russa, rumena,  con calibri ovviamente diversi il che creava difficoltà logistiche.

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Le sciabole erano invece cosacche, caratterizzate da lama ricurva e impugnatura senza elsa, coccio e guardamano e con pomo in ottone. La comunità provvedeva autonomamente al proprio sostentamento  coltivando i vasti terreni avuti in concessione dai tedeschi.

La notte del 17 giugno 1944, l’atamano Pavlov morì in una scaramuccia con una pattuglia tedesca scambiata per una banda partigiana. Fu l’unica vittima dello scontro.

Domanov succedette quindi a Pavlov come Feldataman (atamano di campo), cioè diventò il  Comandante dell’Armata cosacca.

Nel  luglio 1944,  sotto la minaccia dell’avanzata sovietica, l’Armata cosacca si trasferì nell’area di Zdunska Wola, ad ovest di Varsavia. Poco dopo, l’Armata cosacca ricevette l’ordine, come già visto, di trasferirsi in Carnia. Con questa disposizione, le Autorità tedesche si ripromettevano  il triplice scopo di:

  •  reprimere la guerriglia partigiana e riprendere il pieno controllo dell’area carnica;
  •  garantire, la  utilizzazione in piena sicurezza della principale via di comunicazione con l’Austria   (Val Fella o Val Canale)  e delle vie di comunicazione sussidiarie del But,  del Degano e dell’Alto Tagliamento che collegavano il Friuli, la prima con l’Austria, le seconde con il Cadore;
  •  costituire un diaframma, un antemurale, nella fascia alpina a ridosso del confine austriaco, atto a   tenere separate le formazioni  partigiane  jugoslave agenti al confine orientale e quelle italiane   attive in Carnia e nella fascia pedemontana.

Ricostruzione delle peregrinazioni dei cosacchi dalle loro terre  d’origine    alla Carnia

Si tratta di un periodo abbastanza ampio che va dal dicembre 1942 o  gennaio 1943,  quando la comunità lasciò la Russia meridionale, sino all’agosto 1944 quando la comunità  comparve in Friuli.

Al riguardo vi sono tre versioni, una di Enzo Collotti, una di Pier Arrigo Carnier e infine una di un cosacco, Alexander Botcharov, profugo e poi arruolato come  allievo ufficiale  dell’Armata cosacca.

Agli inizi di Febbraio 1944, un contingente  di migliaia di cosacchi  si dirigeva verso la Bielorussia ove era previsto il suo insediamento. A causa delle irruzioni di partigiani e di truppe sovietiche, i tedeschi dovettero trovare una soluzione alternativa.

Il Magg. Otto Walter Müller, ufficiale di collegamento del Ministero dei territori  occupati dell’Est (Ostministerium), propose di trasferire il gruppo  nella parte meridionale della Podolia (Ucraina).

L’Ostministerium approvò la proposta e il 16 Febbraio 1944, i primi cosacchi giunsero nella cittadina ucraina di Balin. L’area fu interamente evacuata per lasciare posto ai nuovi venuti[44]. Qui, alla loro testa, fu posto il Colonnello Domanov, ben visto dai Tedeschi.

La sistemazione di Balin era provvisoria. Escludendo la Bielorussia, ritenuta poco adatta e invisa ai cosacco-caucasici, il Magg. Müller si era orientato per la regione di Cracovia, a ridosso del monti Beskidi (Carpazi).

La situazione doveva però aver subito un drastico mutamento se lo stesso Müller, nel maggio 1944, sosteneva la validità del trasferimento dei collaborazionisti in Bielorussia, soluzione che tre mesi prima era stata ritenuta inopportuna.

Nel giugno 1944, i cosacchi erano in Bielorussia, a Novogrudki, a occidente di Minsk, ove disponevano di  otto villaggi e di un territorio di 65 kmq. Il contingente  cosacco, secondo un rapporto di  Müller, consisteva di 17.000 persone, militari e profughi civili, 9.000 cavalli, 1.000 bovini e 50 cammelli.

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A questo punto, l’avanzata dell’Armata Rossa impose il trasferimento dei cosacchi altrove. L’Ostministerium convinse Domanov a trasferirsi nel Litorale Adriatico  ove gli sarebbe stata assegnata la Carnia. Il trasferimento era stato concordato con l’Obergruppenfuehrer Globoc nik, responsabile SS e della Polizia del Litorale ed avrebbe avuto inizio alla metà di agosto 1944.

In questa ricostruzione, manca il periodo precedente al Febbraio 1944. Manca cioè la ricostruzione del vagabondare  dei cosacchi dalla ormai imminente caduta di Stalingrado (febbraio 1943) al febbraio 1944 quando, secondo Collotti, tentarono di andare nella Bielorussia per poi ripiegare su Balin.

Lo sfondamento sovietico,  infatti, del fronte meridionale tedesco  e l’avvenuto accerchiamento di Stalingrado da parte dell’Armata Rossa,  dovevano necessariamente aver imposto,  sin dalla fine di  dicembre 1942, la fuga dalle terre originarie, da parte dei  cosacchi e caucasici collaborazionisti,  per evitare che l’offensiva sovietica, tesa alla conquista di Rostov e di Novorossiysk, precludesse loro ogni via di scampo.

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Tutti i territori dei cosacchi e dei caucasici erano infatti stati investiti  dall’Armata Rossa che giunse, nel giugno 1943, sulle rive dal Mare d’Azov e Mar Nero.

La sua versione, ancorchè non propriamente documentata, è più completa anche se anche qui esistono dei vuoti. Carnier afferma che il gruppo  cosacco, dopo la caduta di Stalingrado, quindi nel  Febbraio 1943,  partì  da Stavropol e da Kislovodsk, accompagnato da Eduard Radtke, funzionario tedesco dell’Ostministe rium, diretto in Podolia (Ucraina), nella zona di Kamenec-Podolsk, a Proskurow (100 km circa a nord di Kamenec) e non a Balin cittadina che si trova 15-20 km. a nord di Kamenec.

Il viaggio avvenne via terra, in quanto il passaggio sulle acque gelate del Mare d’Azov appariva troppo rischioso. Raggiunta la meta (presumibilmente nel mese di marzo o aprile del 1943), le autorità tedesche provvidero a censire  questa umanità vagante, registrando gli armati in un “Registro dello stato militare”.

Non molto tempo dopo, l’insediamento in Podolia venne abban donato e trasferito a Novogrudki e a Baranovichi (Bielorussia), 120 verste  ad  ovest di Minsk. Furono assegnati ai cosacchi  diciotto villaggi (erano otto secondo Collotti) e fu loro permesso di coltivare i terreni circostanti. Il 17 giugno 1944, cadde il Col. Pavlov, nelle note circostanze,  e il Col. Domanov gli subentrò come atamano di campo dei cosacchi.

Nel giugno-luglio 1944, la pressione dell’Armata Rossa costrinse i cosacco-caucasici a  un nuovo trasferimento  a Zdunska Wola, ad ovest di Varsavia. Qui giunti, il Ministro Rosenberg, sollecitato dalla Wehrmacht a sgomberare i campi, ritenne opportuno inviare l’Armata cosacca e una  Divisione caucasica in Italia, assegnando loro la Carnia come temporaneo insediamento, con il compito di garantire la sicurezza nel territorio ed assicurare il pieno controllo delle vie di comunicazione con l’Austria.

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Il trasferimento in Carnia ebbe luogo tra il 20 luglio e il 10 agosto 1944, evento che Collotti ed altri pospongono di almeno due settimane.

Alla fine del 1942, con lo sfondamento del fronte orientale a nord di Stalingrado, i tedeschi disposero il trasferimento di molte migliaia di civili  cosacchi   e nord-caucasici, compromessi  perchè avevano accolto con favore le truppe tedesche nei loro territori ed avevano con esse collaborato.

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Queste popolazioni, solo civili di ogni età, e di ogni condizione sociale (contadini, professionisti, artigiani, artisti etc), tra cui il Botcharov allora quindicenne,  scortate da militari tedeschi, mossero verso ovest, attraverso la Crimea,  portando con sè quanto potevano, sui loro carriaggi e sui loro cavalli. Per tutto il 1943, vissero delle razioni fornite loro dai militari tedeschi e sostarono nell’Ucraina meridionale, spostandosi  poi  in  Moldavia e Romania, in relazione all’arretramento dei tedeschi sul  fronte orientale.

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Nel 1944, si trasferirono in Ungheria, poi a Vienna dove, alla fine di  luglio,  furono caricati su convogli ferroviari e trasferiti in Carnia.

Un altro gruppo, comprendente cosacchi disertori dell’Armata Rossa e altri cosacchi atti alle armi e le loro famiglie, guidati dall’atamano Pavlov e dal Col. Domanov, lasciarono i territori cosacchi nel gennaio 1943.

Essi raggiunsero la Podolia (Ucraina) dove furono registrati come militari dai tedeschi e poi si trasferirono in Bielorussia, a Novogrudok con i loro carriaggi e i loro cavalli. Lì si trattennero per un anno circa,  reclutando molti altri militari tra i cosacchi dell’Armata Rossa catturati dai tedeschi, fino a quando, nel giugno 1944, questo gruppo armato si spostò a Zdunska Wola (Polonia) per sottrarsi all’avanzata dell’Armata Rossa  e infine, dal 20  luglio ebbe inizio il trasferimento in Carnia  con convogli ferroviari partenti da Cracovia via Vienna-Tarvisio.

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Si trattava di circa 18.000 armati con 2.000 circa familiari al seguito che si aggiunsero al gruppo dei profughi civili di cui sopra. Pertanto i due gruppi,  profughi civili e militari cosacchi, indipendenti l’uno dall’altro, percorsero  itinerari diversi congiungendosi infine solo all’arrivo in  Carnia.

Arrivo dei cosacco-caucasici in Carnia.

Il trasferimento in Italia dell’Armata cosacca e di una Divisione caucasica,  coordinato con l’SS Gruppenführer  Globocnik, responsabile della sicurezza interna dell’Adriatisches Küstenland,  fu organizzato per via ferroviaria attraverso il valico di Tarvisio. Attenendoci alla versione del Carnier, il trasferimento ebbe inizio il 20 luglio 1944 e si protrasse sino al 10 agosto successivo.

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Furono necessari  50 treni per un totale di 2500 carri ferroviari tedeschi. L’arrivo dei cosacchi (e caucasici),  in Carnia, sorprese e deluse le autorità delle SS e della Polizia dell’Adriatisches Küstenland che avevano dato il loro consenso all’arrivo dei cosacchi.

Esse si aspettavano unità organizzate, bene armate, addestrate, pronte ad essere impiegate in combattimento, come era stato per la 162a Divisione Turcomanna, che nell’aprile 1944 era stata trasferita sulla Linea Gotica,  ed invece videro scendere dai treni  un’accozzaglia di truppe male armate, disordinate e disorganizzate, accompagnate inoltre da una massa di profughi di ogni età,  con carriaggi, bestiame, suppellettili di ogni tipo etc,.

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Il tutto  molto somigliante ad una immensa carovana zingaresca  e pochissimo a una formazione militare di aspetto appena decente.  Soprattutto stupiva la presenza di tanti civili profughi estranei alle famiglie dei militari. In verità, presso il Ministero dei Territori dell’Est europeo, c’era stata una proposta, prima del trasferimento  in Carnia, di sistemare 5.000 profughi cosacchi e caucasici (non i famigliari dei militari)  in Carinzia ma poi, per ignote ragioni, la proposta era stata  lasciata cadere.

Occupazione della Carnia da parte  delle truppe cosacche e caucasiche. Loro insediamento ed organizzazione: la difficile convivenza con i carnici

I cosacchi si sistemarono temporaneamente nella piana di Amaro (accampati sull’ampio greto del Tagliamento quasi secco in agosto) e nell’area pedemontana di Osoppo, Gemona, Barcento, Artegna, Nimis e nello Spilimberghese.

Il Col. Domanov fissò il Comando dell’Armata a Gemona. Le forze caucasiche, distinte e separate dai cosacchi di Domanov, erano comandate dal  Generale Sultan Ghirey Klitsch.

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Rimasero sulla piana di Amaro e nell’area pedemontana della  sinistra Tagliamento, Osoppo, Gemona, Venzone, Nimis, Tarcento, per quasi due mesi. Nel clima di disorganizzazione regnante anche in campo tedesco, inizialmente   impossibilitati per ordine delle autorità tedesche  a cambiare i marchi in lire, e al tempo stesso volendo acquistare viveri ed altri beni essenziali, cercarono di “arrangiarsi”, rubando e vendendo sale, oggetti del folklore cosacco, qualcuno  anche il proprio cavallo.

Il Comando cosacco intervenne prontamente  esponendo un manifesto in cui si diffidavano i locali da acquisti di cavalli da militari o civili cosacchi, pena l’arresto e la confisca dei quadrupedi acquistati.

Fin  dai primi giorni del loro insediamento, le guarnigioni cosacche di Gemona e di Osoppo  dovettero reagire agli attacchi dei partigiani di pianura, con rastrellamenti a breve raggio. Nel solo mese di agosto, ad Amaro, Stazione per la Carnia e nei pressi di Tolmezzo, i cosacchi ebbero circa trenta morti.

Fu in questo periodo che i partigiani carnici, convinti di una presunta soggezione nei loro confronti da parte dei tedeschi e dei collaborazionisti cosacchi, attaccarono  in forze il presidio tedesco di Sappada,  costringendolo ad arrendersi il 14 settembre 1944. Quel giorno era stata raggiunta la massima estensione della Zona Libera di Carnia.

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Da Berlino, intanto, era giunto anche il Gen. Shkurò, cui fu affidato il Comando  della riserva dell’Armata cosacca.

All’inizio di ottobre le cose cominciarono a cambiare e vi furono le prime avvisaglie di un imminente rastrellamento in forze in Carnia  e la notizia dell’invasione  dell’area carnica da parte delle truppe cosacche.

L’operazione Waldläufer, consistente nel già ricordato attacco di ingenti truppe tedesche e cosacche da Sud, di soli tedeschi da nord attraverso il Passo di Monte Croce Carnico, di nazifascisti dal Cadore, con il supporto di artiglierie e mortai e una compagnia  carri sovietici T 34 di preda bellica,  si materializzò  l’8 ottobre 1944.

I partigiani, impossibilitati a reggere il confronto in campo aperto con un nemico quantitativamente e qualitativamente preponderante, ripiegarono sui monti.

Formazioni di cavalleria e fanterie cosacche e caucasiche, partite da Tolmezzo, risalirono la Valle del But fino a Sutrio e, attraverso la Valcalda  scesero nella Valle del Degano occupando Comeglians e Ovaro  ove trovarono oltre cento prigionieri tedeschi abbandonati dai partigiani in fuga.

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La popolazione, ritiratisi i partigiani, si trovò indifesa e dovette subire la violenza selvaggia e immotivata dei cosacchi: irruzioni nelle case, ruberie, razzie di animali, stupri. In breve tempo, vennero occupate Ampezzo, Sauris, Paluzza e le Prealpi Carniche:Tramonti, Clauzetto, Meduno, Frisanco, Trasaghis.

Ad Imponzo, fu ucciso il parroco Don Giuseppe Treppo,  intervenuto per difendere la  propria gente; la dura protesta dell’Arcivescovo di Udine, Mons. Nogara,  provocò l’apertura di un’inchiesta sull’accaduto da parte del Comando tedesco.

I rastrellamenti  proseguirono per tutto ottobre, ma ormai la presenza partigiana si era andata rarefacendo, per la defezione dei partigiani meno motivati. Resistevano solo i garibaldini e il battaglione autonomo Stalin n° 1, che respinsero anche l’invito del Maresciallo Alexander a sciogliere le formazioni partigiane sino alla primavera successiva.

A fine ottobre, i cosacchi e i caucasici presidiavano tutta la Carnia. Ad Alesso, Bordano e in parte a Trasaghis (Prealpi Carniche),  la popolazione fu interamente evacuata  per fare spazio al presidio cosacco ed a un contingente di profughi.  Tutti i paesi, comunque, furono costretti ad alloggiare militari cosacchi e spesso a nutrirli.

Si anche a rinominare i paesi: Alesso divenne Novocerkassk, Cavazzo Carnico Jekaterinodar (o Krasnodar), Trasaghis Novorossisk. Anche diverse frazioni vennero ribattezzate con nomi di stanicye (villaggi) del Don, del Kuban, del Terek, a seconda della provenienza dei cosacchi che vi erano insediati .

Anche l’alto spilimberghese fu occupato. A Tauriano, il contingente di presidio era comandato da una contessina. La disposizione dell’Armata cosacca nel territorio carnico era la seguente:

  •  cosacchi del Terek: Valle dell’Alto Tagliamento  e del Lumiei e area di Verzegnis (Stanitza Terskaja);
  •  cosacchi del Kuban: Val Degano fino a Comeglians (escluso), e Valle dell’Alto Tagliamento  da   Socchieve al Comune di Villa Santina, estremi inclusi e area di Cavazzo Carnico;
  •  cosacchi del Don  Valle del Medio Tagliamento, con Tolmezzo ed Amaro e Valle del But sino a  Zuglio (escluso).

La fascia settentrionale delle Alpi Carniche era, invece,  occupata dalle truppe caucasiche del Gen, Sultan Ghirey Klitsch che costituivano un complesso divisionale forte di circa 5.000 armati.

Al loro seguito, vi erano 2.000 rifugiati civili. Questa Divisione, così come  altri battaglioni caucasici che si trovavano altrove, nella pianura friulana come in Francia, facevano capo al “Comitato Nazionale Nord Caucasico”, costituito a Berlino con il beneplacito delle Autorità tedesche.

Il Gen. Ghirey aveva posto il suo Comando a Paluzza, nella Valle del But e aveva, come punto di riferimento, il Comando tedesco di Paluzza. La Divisione caucasica non era agli ordini del Gen Domanov,  anche se le due Grandi Unità coordinavano le rispettive attività ed operazioni militari.

Sia l’Armata cosacca  che la Divisione caucasica dipendevano operativamente dall’Alto Comando SS e di Polizia dell’Adriatisches Kűstenland, in Trieste, quindi da Globonick che ne aveva delegato il controllo al Colonnello di polizia Herrmann Kintrup anch’egli di stanza a Trieste.

La sistemazione dei cosacchi non fu omogenea; vi furono paesi in cui alloggiavano solo militari, altri  solo profughi, altri ancora misti (militari e profughi).

In genere, i paesi più isolati ed in quota avevano presidi di soli militari, in numero non rilevante. Nei centri di fondo valle, c’erano i presidi  più consistenti ed erano misti, militari e civili (familiari e profughi). Infine, nella fascia pedemontana, ove minore era la consistenza delle formazioni partigiane e più facile, se necessario, far intervenire rapidamente forze nazifasciste o cosacche viciniori,  vi erano comunità quasi esclusivamente di  profughi.

Per quanto concerne il numero complessivo di cosacchi e dei caucasici presenti in Carnia,  inclusi i civili, vi sono notevoli disparità  tra le varie fonti:

  •  fonti tedesche, nell’imminenza del loro trasferimento dalla Polonia in Friuli, indicavano un totale   che andava dalle 17.000 alle 26.000 unità;
  •  il rappresentante, a Tolmezzo, del Deutscher Berater  (consigliere tedesco) di Udine, nel gennaio 1945, parlava di 6.580 cosacchi e 4.211 caucasici, ma mancavano i dati relativi ai più importanti, grossi Comuni, come Ovaro,  Comeglians, Ampezzo, Tolmezzo, Amaro, Forni di Sopra, ove si   stima  fossero   stanziati 4.000 cosacchi. Il totale complessivo era quindi pari  a circa 15.000 persone, tra   militari e  civili.

Nei primi mesi del 1945, vi furono incrementi notevoli, ancorchè difficilmente quantificabili, determinati dal continuo afflusso di reparti di russi collaborazionisti e di profughi giunti e dalla Germania e dai Balcani.

In  quest’ultimo  caso si trattava di reparti stanziati   in   Jugoslavia, con civili   al seguito,  costretti a ripiegare per la forte pressione esercitata  sia dalle formazioni titine  che  dall’Armata Rossa  proveniente dalla pianura   pannonica;

  •  secondo fonti inglesi, la comunità  cosacca giunta a Lienz, agli inizio di maggio 1945, constava di   15.380 uomini (inclusi i civili), 4.193 donne e 2.436 bambini per complessive 22.009 unità[66]. I   georgiani  erano 4.800.

Quale che fosse l’entità esatta degli occupanti cosacchi e caucasici, anche tenendo per vera la stima più prudente di 15.000-16.000 unità, accreditata da Marina Di Ronco, essa costituiva un gravame enorme, in rapporto alle magre risorse alimentari locali, appena sufficienti a garantire la sopravvivenza della popolazione carnica, al tempo ammontante a circa 60.000 abitanti.

Un ulteriore, non trascurabile peso erano i circa 5.000 cavalli[ al seguito degli invasori orientali, che dovevano essere mantenuti con le scarse scorte foraggiere che i contadini carnici custodivano gelosamente per le esigenze del loro bestiame durante  la stagione invernale.

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