a cura di Cornelio Galas
Nascita e organizzazione del movimento partigiano in Friuli e segnatamente in Carnia
I primi nuclei del movimento erano già nati nell’agosto 1943, promossi da esponenti dell’antifascismo friulano, comunisti, azionisti e disertori del Regio Esercito. In quel periodo, fu costituito nelle Prealpi Giulie (Collio e Faedis) il Distaccamento “Garibaldi” di ispirazione comunista, ma comprendente anche militanti di altri partiti o elementi apolitici. Si formò anche il movimento “Giustizia e Libertà” ispirato al Partito d’Azione.
Entrambi i movimenti, emersi dopo la caduta del Fascismo, avevano prevalenti finalità politiche ma non escludevano la lotta armata contro i tedeschi nel caso di probabile uscita dell’Italia dalla guerra.
Altri gruppi politici, in Friuli, erano usciti dalla clandestinità in quell’agosto 1943, formandosi intorno ai vecchi partiti socialista, cattolico, liberale.
L’occupazione militare tedesca dell’Italia all’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, determinò il passaggio dall’attendismo alla lotta armata contro l’occupante e, successivamente, contro le unità militari fasciste.
Al distaccamento Garibaldi, sul Collio, che poi si trasferì sulle Prealpi Carniche, si unirono il 13 settembre i resti della Brigata proletaria che aveva difeso duramente Gorizia e alcuni militari dei disciolti presidi italiani del Cividalese. Nell’ottobre 1943, si formò la Brigata Garibaldi-Friuli su cinque battaglioni, la prima Brigata partigiana in Italia.
Ad una riunione a San Lorenzo al Natisone, fine settembre 1943, tra partigiani friulani garibaldini e partigiani jugoslavi, il Commissario jugoslavo di zona invitò gli italiani a spostare la loro lotta in Carnia perché le Prealpi Giulie erano di competenza jugoslava. Il Commissario garibaldino respinse la richiesta affermando l’italianità di quelle montagne.
L’autunno del 1943 fu, per il movimento partigiano un periodo di organizzazione politica e militare. Le adesioni al movimento avvenivano principalmente sulla base di due motivazioni:
- la prima era di carattere ideologico, cioè la sentita esigenza di opporsi all’invasore tedesco e ai collaboratori fascisti;
- la seconda di carattere opportunistico,era dettata dalla volontà di evitare la deportazione in Germania e di sottrarsi al reclutamento nelle FF.AA. della Repubblica Sociale Italiana.
Nell’ottobre 1943, le formazioni comuniste ed azioniste addivennero ad una definizione delle competenze territoriali: le formazioni “Giustizia e Libertà” avrebbero operato in pianura a cavallo della SS 13 (Pontebbana), mentre i garibaldini avrebbero operato nelle Prealpi Giulie e nelle Prealpi Carniche.
Nel dicembre 1943, i tedeschi effettuarono un rastrellamento in forze su tutto il Friuli. Nelle Prealpi carniche le formazioni partigiane, ancora in fase di organizzazione ed impreparate alla guerriglia, sprovviste altresì di adeguato equipaggiamento e di ripari invernali, si sciolsero temporaneamente; nascoste o sotterrate armi e munizioni, tornarono nelle loro case.
Solo due battaglioni garibaldini, il nocciolo duro comunista, si rifiutarono di smobilitare, uno sul Collio e uno sulle Prealpi Carniche. Quest’ultimo battaglione, sotto la pressione tedesca, ripiegò in Carnia, dove il movimento partigiano era inesistente, e vi si installò definitivamente, svernando in montagna, nelle malghe e riorganizzandosi per le operazioni primaverili.
Nel gennaio 1944, nacque la Brigata Partigiana Osoppo. Le formazioni osovane avevano foulard verdi mentre le formazioni garibaldine avevano foulard rossi. La nascita di una formazione alternativa ai reparti garibaldini era stata voluta dalla borghesia e dai possidenti friulani ed appoggiata dal clero diocesano per controbilanciare il monopolio dei comunisti nella lotta contro i nazifascisti e prevenire la possibile e temuta instaurazione, in Friuli, dell’esperienza sovietica.
Confluirono nella “Osoppo”, democristiani, socialisti moderati, liberali, ufficiali, elementi apartitici. Il Clero udinese subordinò il suo appoggio al movimento partigiano al rispetto delle seguenti condizioni:
- le azioni politico militari dovevano essere conformi alle direttive emanate dal Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia (CLNAI);
- dovevano essere osservate le leggi di guerra;
- non si doveva intraprendere alcuna azione che comportasse vittime civili innocenti.
Il battesimo del fuoco della Brigata Osoppo ebbe luogo il 25 aprile 1944, a Tolmezzo, quando una sua pattuglia, guidata da un Tenente degli Alpini, attaccò una caserma della milizia repubblicana.
L’azione coordinata, sotto un unico Comando, delle formazioni garibaldine e osovane agenti in Carnia, più volte sollecitata dagli anglo-americani, risultò impossibile da realizzare perché la costituita Brigata Garibaldi non intendeva rinunciare a metodi di lotta senza esclusione di colpi e senza compromessi, metodi che gli osovani avrebbero voluto più flessibili ed umani onde evitare dure rappresaglie nazifasciste sulla popolazione civile.
Naturalmente, le caratteristiche ideologiche e comportamentali degli osovani e dei garibaldini non erano netti e ben rigorosamente definiti per cui, tra questi ultimi, vi erano elementi moderati, anti- slavi e perfino anti-comunisti, mentre tra i primi c’erano anche soggetti di sinistra, anti-clericali, violenti.
Nella primavera del 1944, cessati i rigori di un inverno particolarmente rigido e nevoso, le formazioni partigiane si ricomposero, rinforzate da vecchie e nuove leve ansiose forse di partecipare da protagoniste alla fine della guerra che ritenevano molto prossima.
La Brigata Garibaldi-Friuli, costituita intorno al battaglione che, nel dicembre 1943 a seguito del rastrellamento dei tedeschi, si era ritirato dalle Prealpi Carniche in Carnia, si distribuì su tutta la regione tranne Tolmezzo e Treppo Carnico dove era presente la Brigata Osoppo che si estendeva anche sulle Prealpi Carniche .
L’atteggiamento della popolazione carnica, fu inizialmente agnostico, improntato a indifferenza e spesso a fastidio nei confronti dei primi partigiani garibaldini, improvvisamente comparsi in Carnia alla fine di dicembre 1943.
I carnici, si rendevano conto, tra l’altro, che avrebbero dovuto dividere con essi le scarse risorse alimentari disponibili. Ma la diffidenza dipendeva soprattutto dal fatto che tra quei partigiani, pochi erano i carnici, la massa era formata da sbandati, fuggiaschi, estranei all’ambiente, alcuni addirittura slavi, anche se guidata da militanti comunisti friulani.
Questo distaccato atteggiamento andò attenuandosi quando la popolazione vide schierarsi con i partigiani il Dott. Aulo Magrini, stimatissimo e conosciutissimo medico noto in tutta la Val Degano. Il Dott. Magrini assunse la carica di Commissario politico della ricostituita Brigata Garibaldi.
Riorganizzati e rinforzati i reparti, il movimento partigiano in Carnia riprese la lotta armata contro i nazifascisti. Dall’aprile 1944, si susseguirono attacchi alle caserme di Carabinieri (CC), della Guardia di Finanza (GdF), della Guardia Repubblicana, con caduti da una e dall’altra parte.
Nel mese di maggio, molte caserme dei CC e delle GdF vennero costrette alla resa, i militi disarmati, e molti di essi passarono nelle file partigiane. Con la progressiva scomparsa dei presidi CC, GdF e GNR, il controllo del territorio, da parte partigiana, si fece sempre più esteso. In maggio 1944, l’uccisione di un ufficiale tedesco in transito da Ampezzo a Forni di Sotto, provocò la distruzione con il fuoco di quest’ultimo paese, previa evacuazione della popolazione.
All’inizio di giugno iniziarono anche i lanci anglo-americani, in Carnia, di materiale bellico e di ufficiali di collegamento inglesi. Alla ripresa delle operazioni di guerriglia, i tedeschi risposero con la distruzione di cascinali e baite per eliminare possibili ricoveri del partigiani alla macchia.
Venne anche imposto il blocco del servizio postale e il coprifuoco dalle 20.00 alle 05.00 in tutta la Carnia. Anche i servizi pubblici di linea lungo le tre principali valli carniche vennero definitivamente sospesi.
Ai primi di luglio, vi fu una accelerazione degli attacchi partigiani: il 9 luglio, un pattuglione della Brigata Garibaldi sconfinò in Austria uccidendo due pastori e prelevando 22 cavalli. Il 15 luglio, venne tesa un’imboscata ad un’autocolonna tedesca nel tratto Sutrio-Arta che ebbe molte perdite. In quella occasione perì anche il Dott Magrini, Commissario politico della Brigata Garibaldi-Carnia.
La rappresaglia tedesca non si fece attendere: il 22 luglio una controbanda tedesca provenienti dall’Austria, con uniformi garibaldine, scesero lungo la valle del But, massacrando prima 19 persone a malga Pramolz (o Pramosio) e continuando poi ad uccidere quanti dimostravano loro simpatia, credendoli partigiani, e partigiani autentici che si erano avvicinati ingannati dal loro abbigliamento.
Contemporaneamente da sud, circa 2000 uomini comprendenti unità del presidio di Tolmezzo, tra cui un battaglione della 24 Waffen Gebirgs Division der SS Karsjäger (Cacciatori del Carso), da poco trasferito a Tolmezzo proveniente dall’Istria agli inizi di luglio, e reparti della Guardia Repubblicana partirono dal capoluogo carnico per condurre un massiccio rastrellamento della stessa Valle del But e della Val Degano. L’operazione si protrasse sino alla sera del giorno successivo e comportò la morte di 50 civili, dopo di che i tedeschi si ritirarono.
Malgrado la rabbiosa reazione tedesca, il controllo della Carnia da parte dei partigiani, si raffittì e si estese sempre più. Alla relativa debolezza delle forze tedesche concorse l’andamento della guerra sfavorevole alla Germania su tutti i Teatri operativi.
In particolare, in Italia, il contenimento dello sforzo offensivo anglo-americano sull’Appennino Tosco-Emiliano (Linea Gotica) impose il concorso di rinforzi che furono tratti dalle formazioni tedesche che presidiavano l’Italia settentrionale.
La presenza, quindi, di truppe tedesche anche sul territorio del Litorale Adriatico si era molto rarefatta. Per converso, il movimento partigiano, che dava per scontato lo sfondamento alleato della Linea Gotica e l’imminente liberazione dell’Italia settentrionale, si era fortemente irrobustito e si era fatto più aggressivo.
Il presidio tedesco di Sauris, che includeva un reparto siberiano, duramente attaccato, fu costretto a ripiegare, il 22 luglio, in Cadore.
Il Supremo Commissario dell’Adriatisches Küstenland, Friedrich Rainer, ordinò allora il blocco economico della Carnia con effetto dal 1 agosto 1944, impedendo perfino l’afflusso di medicinali. Anche le strade in uscita da Tolmezzo verso le valli carniche vennero bloccate.
La Zona Libera di Carnia
L’area carnica sotto il controllo del movimento partigiano fu proclamata Zona Libera di Carnia. Essa si estendeva a tutta la Carnia, ad eccezione del capoluogo Tolmezzo, che aveva resistito ai numerosi attacchi partigiani.
Oltre alla Carnia propriamente detta, la Zona Libera (Z.L.) si estendeva anche alle Prealpi Carniche e al territorio di Sappada (Cadore) conquistata il 24 settembre. Fu questo il periodo di massima espansione della Z.L..
Già dal luglio 1944, la Valle dell’Alto Tagliamento aveva un’amministrazione espressa dal movimento partigiano e tale amministrazione si estese gradualmente ai Comuni via via conquistati ai nazifascisti.
La Carnia, nell’estate 1944 costituì un operoso ed attivissimo laboratorio sperimentale di forme e modelli di democrazia, Furono destituiti i pre-esistenti organi amministrativi, vennero creati i Comitati di Liberazione Nazionale di vallata, uno per ciascuna delle principali valli: Valle dell’Alto Tagliamento, Val Degano, Valle del But.
Al vertice, fu formato il Comitato di Liberazione Nazionale Zona Libera (CLNZL) costituito da tre membri, uno per ciascuna vallata. Nel CLNZL, erano inclusi anche rappresentanti militari delle Divisioni Garibaldi e Osoppo, con funzioni solo consultive. Il CLNZL provvide a costituire il Governo della Zona Libera, formalmente proclamato il 26 settembre con il nome di Giunta di Governo della Z.L.
Infine, al più basso livello, c’erano i 41 Comuni della Z.L., 28 carnici e 13 esterni alla Carnia ma territorialmente contigui, con una popolazione complessiva di circa 78.000 unità.
Nell’agosto-inizio settembre 1944, vennero indette elezioni comunali. Elettori erano solo i capifamiglia, secondo l’usanza carnica nell’ambito delle latterie sociali, capifamiglia che potevano essere maschi o femmine. Gli organi amministrativi emersi furono denominati Comitati Comunali o anche Giunte Popolari Comunali.
Per inciso si segnala che Ad Ampezzo, e probabilmente anche altrove, non furono eletti i candidati indicati dal PCI; anzi, il numero di voti da questi candidati era inferiore al numero dei partigiani garibaldini votanti. Evidentemente, neanche tutti questi ultimi avevano votato compatti secondo la linea del Partito.
L’azione politica era, in ogni caso, fortemente condizionata dai due maggiori Partiti, Partito Comunista e Democrazia Cristiana, anche se vi partecipavano i Partiti minori: il Partito d’Azione, il Partito Socialista, il Partito Liberale.
I problemi che i nuovi organi amministrativi si trovarono a dover risolvere, erano numerosi ed immensi, tenuto conto anche dell’impreparazione in campo amministrativo di una classe dirigente improvvisata impreparazione che l’onestà di intenti e la buona volontà non sempre riuscivano a compensare.
Pesò molto anche l’insufficiente maturità politica della popolazione, non avvezza e forse anche poco interessata a una gestione democratica della vita pubblica. L’avvio della vita economica, amministrativa e giuridica partì quindi in un clima di incertezza, e di ingenuo velleitarismo che produsse risultati pratici non sempre soddisfacenti.
Vi furono ritardi, confusione ed inefficienze dovuti, in parte, anche alla vischiosità burocratica ed alla eccessiva articolazione degli organi decisionali. Per snellirla, il 29 agosto, fu decisa la soppressione dei tre Comitati di Vallata e il rafforzamento delle responsabilità del CLNZL con l’inclusione dei rappresentanti di tutti i Partiti politici, delle formazioni combattenti e di tutte le componenti sociali. Il CLNZL che ne risultò fu quindi costituito da:
- due rappresentanti delle forze partigiane, uno della Garibaldi e uno della Osoppo (erano i Commissari politici);
- un rappresentante per ognuno dei Partiti antifascisti;
- una rappresentante femminile per i diritti della donna;
- un rappresentante dei contadini;
- un rappresentante degli operai;
- un rappresentante della Guardia del Popolo (Guardia Civica con compiti di polizia).
Tutti i settori essenziali per l’ordinato funzionamento della vita pubblica vennero affrontati e disciplinati con specifiche delibere del CLNZL, in particolare: la distribuzione dei generi alimentari, la requisizione e la macellazione di bovini e ovini, il prelievo fiscale con imposta progressiva straordinaria sul patrimonio, il servizio postale e il trasporto pubblico mediante requisizione di corriere, autocarri e automezzi, la costituzione di un Tribunale civile e penale ad Ampezzo.
Anche l’organizzazione dell’istruzione primaria fu avviata con i maestri disponibili in loco e previa epurazione dei vecchi testi. Per il mantenimento dell’ordine pubblico, fu costituita una Guardia Civica, o Guardia del Popolo, distribuita nelle stazioni dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, ormai deserte dal giugno 1944.
Tutte queste attività ed iniziative si svolgevano nel più generale contesto politico-militare che vedeva i tedeschi sempre saldamente in controllo del territorio friulano, ai margini dei labili ed incerti confini della Zona Libera di Carnia, al momento abbandonata, perché distratti da prioritarie esigenze belliche altrove (temuti sbarchi alleati in Istria).
Alla fine di settembre, la Giunta di Governo della Zona Libera inviò un messaggio, via radio, al Governo italiano del Sud ove si comunicava al Governo Badoglio l’avvenuta costituzione del Governo della Zona Libera (26 settembre), chiedendo contestualmente l’invio di 15 milioni di lire per la sua gestione amministrativa.
Nel frattempo, critica era la situazione dei rifornimenti di granaglie, disponibili solo in pianura. Stante il blocco economico decretato dalle autorità tedesche nei confronti della Zona Libera della Carnia, per avere qualche bene essenziale, soprattutto viveri, era necessario recarsi a Tolmezzo saldamente tenuta dai Tedeschi ed esclusa quindi dal blocco economico.
La gente carnica che intendeva recarvisi, doveva prima farsi autorizzare dal locale Comando partigiano che valutava la richiesta. Se questa veniva accolta, esso rilasciava un permesso giornaliero scritto, che andava restituito al ritorno. In assenza di servizi pubblici di trasporto, il tragitto veniva coperto in bicicletta o a piedi, eventualmente chiedendo un passaggio ai rari mezzi in transito, spesso carri a trazione animale di contadini locali.
Giunti al ponte di Caneva sul But, a circa tre Km. ad ovest di Tolmezzo, si nascondeva il permesso dei partigiani, sotto un sasso, nella fessura di un muretto o in qualche altro modo. Giunti al posto di blocco tedesco, bisognava invece esibire il permesso tedesco permanente. Esaurite queste formalità, si entrava in Tolmezzo ove era possibile prelevare i generi previsti dalla carta annonaria.
Si comprava quello che era possibile trovare e che serviva (qualche indumento, maglie etc) e soprattutto viveri. Stante il blocco economico, nulla poteva essere portato fuori, pena il sequestro al posto di controllo tedesco. Se uno aveva acquistato degli indumenti, li doveva indossare ed anche i viveri acquistati andavano consumati in loco. L’unica scappatoia era quella di evitare il posto di blocco tedesco e di guadare il But, soluzione però rischiosa.
Nel settembre 1944, in vista dell’imminente inverno, il rappresentante osova no in seno al CLNZL, propose di riprendere le forniture di legname al Friuli in cambio di grano. Il rappresentante Garibaldino, intransigente, respinse la proposta motivando la decisione con il fatto che qualsiasi rapporto commerciale con il Friuli occupato avrebbe rappresentato un cedimento nei confronti dei tedeschi.
Il rifornimento del prezioso alimento, stante il blocco economico tedesco, fu effettuato surrettiziamente attraverso scambi, con contadini spilimberghesi, di legna da ardere con granaglie sottratte all’ammasso. Migliaia di civili, la maggior parte donne, attraversarono le Prealpi Carniche, con autocarri o mezzi a trazione animale se disponibili e fino all’ultimo posto di blocco osovano, Redona o Meduno, oppure a piedi, per giungere poi in pianura ove in posti preventivamente concordati avveniva lo scambio di legna da ardere con frumento.
Una soluzione che trovò anche i garibaldini concordi fu quella di organizzare un trasporto quasi giornaliero, da Enemonzo a Redona (pressi di Meduno) allo sbocco della val Meduna nella pianura di destra Tagliamento, per l’acquisto di granaglie con i soldi, non con baratti legna contro grano. L’iter tipico era il seguente: le donne interessate dovevano prenotarsi presso il Comando partigiano locale.
Una volta autorizzate, si recavano ad Enemonzo, punto di raccolta per il trasporto a Redona. Attraverso la Forcella di M. Rest, i camion dopo circa 20 km. giungevano a Redona ove le donne scendevano e proseguivano a piedi andando di paese in paese ad acquistare grano e granturco. La loro permanenza poteva andare da due-tre giorni, se fortunate, a due settimane se meno fortunate.
Dormivano e mangiavano dove e come potevano, in genere appoggiandosi a parenti, conoscenti o alle parrocchie. Riempiti i sacchi, le donne si dirigevano verso Redona, portando i sacchi sulle spalle o utilizzando qualche carretta locale. A Redona la merce con un cartellino nominativo della proprietaria veniva caricata sui camion in attesa e portata a Enemonzo, presso un magazzino.
Le donne non potevano salire sui camion e facevano il tragitto a piedi. A Enemonzo si recavano presso questo magazzino, riprendevano i propri sacchi e a piedi o su occasionali carretti di passaggio si recavano al loro paese.
Con questi sistemi, si riuscì a portare in Carnia circa 7000-8000 quintali di grano al mese. La situazione generale sul fronte della Linea Gotica stava intanto mutando a favore delle forze germaniche. L’offensiva anglo-americana, lanciata a metà settembre 1944, si era gradualmente esaurita a metà ottobre senza aver realizzato lo sfondamento della posizione difensiva tedesca e la sperata irruzione nella pianura padana.
Solo l’8a Armata inglese aveva ottenuto parziali successi sulla fascia adriatica, ma era stata definitivamente arrestata sul fiume Reno. Bologna, l’obiettivo della 5a Armata Usa, era rimasta saldamente in mano tedesca.
Scongiurato pertanto il temuto sfondamento, stabilizzato il fronte, all’inizio di ottobre 1944, il Maresciallo Kesserling dispose la riconquista dei territori caduti sotto il controllo dei partigiani, nell’Italia settentrionale.
Fu così decisa un’offensiva generale contro le formazioni partigiane specie in quelle aree, come la Carnia, vitali per assicurare il pieno controllo delle linee di comunicazione con la Germania. Linee che dovevano garantire sia l’alimentazione logistica delle forze tedesche sia la possibilità di un ordinato ripiegamento delle stesse attraverso i passi alpini, quando nella primavera successiva, sarebbe stato certamente rinnovato, con maggior vigore, lo sforzo risolutivo da parte degli anglo-americani.
L’offensiva in Carnia, denominata Operazione Waldläufer (corriere del bosco) fu lanciata all’inizio di ottobre 1944 con ingenti forze: unità tedesche recuperate dal fronte e altre provenienti dalla Carinzia, unità fasciste della MDT, forti contingenti cosacchi e caucasici da più di un mese presenti nell’alta pianura friulana.
La Carnia fu accerchiata ed attaccata da Sud, da Est e da Nord attraverso il Passo di Monte Croce Carnico (Plőckőenpass). Il 15 ottobre, i tedeschi controllavano i fondivalle delle tre principali valli carniche e si apprestavano ad attaccare le formazioni partigiane nelle Prealpi Carniche e nei ridotti montani. Molti partigiani, duramente provati e demoralizzati, abbandonarono la lotta rientrando nei propri villaggi.
Il 10 ottobre 1944, ebbe luogo, ad Ampezzo, una riunione (l’ultima) del CLNZL, per decidere il da farsi a fronte dell’inarrestabile attacco tedesco. Vi partecipò anche il Magg. Schmidt, capo missione alleata presso le formazioni partigiane in Carnia, che lesse un proclama del Maresciallo Alexander, Comandante delle truppe alleate in Italia, il quale rappresentava la necessità del temporaneo scioglimento delle formazioni partigiane in Italia, fino alla ripresa delle operazioni nella primavera 1945. Il Governo della Repubblica di Carnia si dichiarò sciolto.
La risposta in merito al temporaneo scioglimento dei reparti fu data il 10 novembre 1944, in una drammatica riunione clandestina dei capi partigiani in una malga sopra Ampezzo. Gli osovani accettarono la proposta. Il rappresentante garibaldino, invece, Commissario politico Mario Lizzero, oppose un netto rifiuto all’invito del Maresciallo Alexander, tacciando gli Alleati di opportunismo e confermando la volontà delle Brigate Garibaldi di continuare la lotta .
Con i garibaldini rimase anche il battaglione Stalin n° 1, costituito da militari sovietici ex prigionieri. Le operazioni di riconquista, da parte tedesca, della Zona Libera di Carnia, si conclusero a fine novembre 1944. Sgominate le formazioni partigiane, rimaste a ranghi ridotti e braccate dai nuovi occupanti, i cosacchi collaborazionisti, la Zona Libera di Carnia dopo circa tre mesi aveva cessato di esistere e, con essa, l’inebriante esperienza democratica.
Al suo posto era sorto il Kosakenland in Nord Italien come le autorità tedesche avevano definito il territorio assegnato ai cosacchi, oppure Cosackia come fu chiamata dai cosacchi. Carnici e cosacchi, due popoli separati da migliaia di chilometri, con storie e tradizioni diversissime, si approntavano a vivere insieme un periodo difficile e doloroso per entrambi, conclusosi nel maggio 1945 con la fine di un incubo per i primi, con una tragedia per i secondi.
L’esperienza della Zona Libera della Carnia, così feconda di iniziative innovatrici in campo politico, economico, sociale e culturale, conclusasi il 10 ottobre 1944, non fu vana. Sulla base di quell’esperienza, il Comitato di Liberazione Nazionale, nell’immediato dopoguerra (1946), diede vita alla Comunità Carnica, organo di promozione socio-economica cui aderirono quasi tutti i Comuni della Carnia.
Nel 1947, il Prefetto di Udine approvava la costituzione di un “Consorzio denominato Comunità Carnia”. Era questa Comunità Montana cosa assai diversa dalle omonime istituzioni del passato, quali per esempio la “Magnifica Comunità Cadorina”, le quali avevano finalità privatistiche di gestione patrimoniale e non di generale promozione di un’area montana omogenea.
Quella carnica fu quindi la prima Comunità Montana in Italia. Fu proprio il suo primo Presidente, il Sen. Michele Gortani, già capo del CLN carnico, ad essere incaricato dal Parlamento di predisporre, nel 1952, uno schema di legge per lo sviluppo delle aree montane.