COSA MANGIAVANO I SOLDATI? – 1

a cura di Cornelio Galas

Qual era, da un punto di vista logistico, la principale differenza tra le due guerre mondiali? Come era composto normalmente il rancio di base dei soldati semplici? Che cosa nascondeva, secondo MacGregor Knox, la tenacia con cui il corpo ufficiali difese la differenziazione delle mense?

L’efficienza di un esercito non si misura solo dalle armi che utilizza. Anche il vitto è un parametro importantissimo per valutare la modernità di un apparato militare, oltre a essere un fattore determinante del morale dei soldati. Dotati di un equipaggiamento scarso e inadeguato, i soldati italiani furono trattati peggio dei militari di tutti gli altri eserciti anche a questo elementare livello, mentre gli ufficiali difesero fino all’ultimo i propri privilegi legati al grado.

Il vitto dei soldati merita una trattazione a parte per un’importanza che non occorre sottolineare, anche se spesso sottovalutata dagli studi (non certo dalla memorialistica). Ci offre una testimonianza impietosa dei ritardi dell’esercito, qui il regime fascista c’entra poco, salvo per le crescenti difficoltà di approvvigionamento. «Il rancio di mezzogiorno era di solito brodo di carne con un po’ di pasta ed un pezzetto di lesso; la sera c’era il minestrone; poche rare volte la pastasciutta… alla domenica c’era anche un po’ di vino» (1938).

Dalla fine dell’Ottocento alla seconda guerra mondiale, la razione giornaliera dell’esercito aveva quattro componenti base: pane di buona qualità; carne bovina fresca o congelata (carne con l’osso, quindi con una percentuale di scarto, nel 1915-18 la razione era di 375 grammi di carne in piedi, ossia calcolata sull’animale vivo); pasta (maccheroni, i tubi della memorialistica) o riso due volte alla settimana; infine patate e legumi per il minestrone serale. Un vitto per un paese povero, agli inizi del secolo per i contadini e gli operai mangiare pane bianco e carne tutti i giorni era un lusso, malgrado la bassa qualità tradizionale delle cucine militari.

Nel 1940 la razione era sufficiente in caserma e nelle retrovie, non però al fronte, come attestano tutte le memorie e le testimonianze dei reduci. Al fronte, in tutti i teatri di guerra, la fame era garantita. Possiamo indicare due ragioni di fondo. Gli alti comandi che parlavano di guerra di rapido corso non avevano pensato a modernizzare un sistema di vettovagliamento adeguato ai fronti statici della prima guerra mondiale, quando si provvedeva alle truppe con forni e cucine nelle retrovie.

Nulla fu fatto per migliorare i forni Weiss per la panificazione che si erano dimostrati pesanti e poco mobili già in Etiopia: dovevano restare così lontano dal fronte che spesso in Albania il pane arrivava vecchio e ammuffito. Sembra poi incredibile, ma è documentato, l’esercito non disponeva di cucine mobili (i primi esemplari entrarono in servizio nel 1943 e, in omaggio alla tradizione, funzionavano a legna anziché a nafta o benzina più reperibili), ma contava ancora sulle casse di cottura di fine Ottocento e sulle gloriose marmitte da campo modello 1855.

Ossia il rancio veniva avviato al fronte da cucine nelle retrovie, si può immaginare con quali fatiche e ritardi se le truppe erano in movimento o su posizioni difficilmente raggiungibili, dove arrivava un pastone tiepido eppure prezioso, date le circostanze. Le cucine poi si riducevano a cucinieri poco addestrati, agli attrezzi e a grandi marmitte appese a strutture precarie da rinnovare ad ogni spostamento, con fuoco a legna da reperire sul posto; problemi piccoli in condizioni normali, non facili da risolvere durante gli spostamenti o in regioni prive di legna come la Libia.

Inoltre, in tre anni di guerra su fronti diversi questo sistema non fu modificato con una modernizzazione delle attrezzature e il decentramento della preparazione del rancio, dove possibile o necessario, o la distribuzione di fornelli ai reparti. I soldati si arrangiavano accendendo fuochi sotto le gavette quando potevano, rubacchiando viveri qua e là, ma avrebbero meritato di meglio. L’altro problema di fondo era la desolante insufficienza dei generi di integrazione al rancio.

L’immagine del soldato inglese che si prepara il breakfast abbrustolendo il bacon e poi si concede una tazza di the è un po’ troppo idilliaca in contrapposto al soldato italiano che inzuppa il pane nella brodaglia di un caffè, però inquadra il problema. Il rancio rimane lo stesso dalle caserme al fronte, peggiora inevitabilmente di qualità e regolarità in momenti in cui le truppe sono sottoposte alle fatiche e tensioni del combattimento.

La razione di Albania prevede la distribuzione eventuale di un bicchierino di cognac (3 cl) oppure 50 grammi di marmellata oppure 25 di cioccolato, con un cenno alla possibilità di una distribuzione continuativa per periodi eccezionali. Manca la concezione che il soldato al fronte debba avere un vitto più ricco e curato, garantito anche in caso di collasso dei rifornimenti. La razione di riserva si riduceva a 400 grammi di galletta e una scatoletta di carne, a volte la scadente minestra Chiarizia in scatola; molti reparti in Albania (e poi in Africa settentrionale) non ebbero di meglio per settimane.

Un confronto con la razione K del soldato americano (tutto il necessario per 24 ore salvo l’acqua in una sola confezione: scatolette varie, minestra liofilizzata, caffè in polvere, gallette, fornellino a meta (tavolette combustibili), sigarette, fiammiferi, carta igienica eccetera) è umiliante, segna il confine non tra due eserciti, ma tra due civiltà. In tutti gli eserciti si distingueva tra mensa ufficiali, mensa sottufficiali e rancio dei soldati, in tempo di pace e in guerra nelle retrovie, con ovvie varianti.

Al fronte però il vitto era uguale per tutti, salvo che per le forze armate italiane che conservarono fino al crollo il privilegio di una mensa a parte, più ricca e curata, per gli ufficiali e per i sottufficiali. La memorialistica di Libia attesta sia lo stupore degli italiani quando vedevano Rommel pranzare con pane nero e marmellata, sia il piacere degli ufficiali tedeschi invitati alla mensa dei colleghi italiani, dove pastasciutta e vino erano garantiti (ovviamente non durante i combattimenti).

Per i soldati, dovunque, soltanto la gavetta o le razioni a secco. MacGregor Knox ha trovato le risposte dei comandi della II armata in Jugoslavia a un sondaggio sull’abolizione delle mense privilegiate, promosso nell’estate 1941 dallo stato maggiore dell’esercito su richiesta di Mussolini. Gran parte dei comandanti si disse favorevole per motivi logistici più che di leadership. Ma “la massa degli ufficiali” si dimostrò palesemente poco entusiasta.

Un comandante di corpo d’armata sostenne che gli ufficiali fossero semplicemente incapaci di svolgere le loro funzioni nutrendosi con Il rancio del soldato italiano il rancio normale dei soldati: “La mensa ristora e mette l’ufficiale nelle condizioni fisiche e di spirito per ben assolvere il suo non facile compito. Una differenziazione, ai fini del morale degli ufficiali, ci deve assolutamente essere”.

La soppressione delle mense da campo per ufficiali avrebbe inoltre potuto produrre una “eccessiva dimestichezza e conseguente diminuzione di prestigio”, nonché una perdita di “affiatamento e cameratismo” tra gli ufficiali dei reparti. Infine il nuovo sistema, se esteso alla vita di guarnigione, avrebbe potuto condurre a “diminuzioni della già tenue autorevolezza dei giovani subalterni, conseguente dalla soppressione di distinzioni formali”.

La tenacia con cui il corpo ufficiali difese tali “distinzioni formali” lascia ben intendere la misura dei propri dubbi sulla sua stessa capacità di comando». Una pagina triste, un esercito vecchio che non riusciva ad assicurare un rancio sufficiente alle truppe e cercava di garantire il prestigio degli ufficiali con privilegi di casta ottocenteschi anziché selezione e addestramento.

Fonte: GIORGIO ROCHAT, Le guerre italiane 1935-1943, Einaudi, Torino 2005, pp. 280-285

di Giuliano Gandolfi (Museo Iola di Montese)

La Seconda Guerra Mondiale differiva dalla precedente nel più ampio movimento degli eserciti: in questo contesto l’efficienza delle retrovie e dei rifornimenti era ben presente ai Comandi. Se si analizza il numero di combattenti degli eserciti, si può verificare spesso un numero di addetti pari ai combattenti di prima linea: questo fenomeno divenne ancora più evidente quando le innovative tattiche di guerra e l’estensione del conflitto costrinsero le retrovie ad approvvigionare una prima linea ogni giorno più lontana di decine di chilometri.

Ovviamente i progressi tecnologici nei trasporti, nella medicina e nella conservazione degli alimenti portarono grossi benefici, in una guerra comunque dagli effetti tragici e caratterizzata da perdite enormi. In questo contesto fece una grande differenza la possibilità dell’esercito americano di mettere in campo un potenziale industriale rapidamente convertito allo sforzo bellico e una generazione di soldati non tanto provata dal tardivo intervento nel precedente conflitto.

Durante la Seconda Guerra Mondiale è notoria l’abbondanza di rifornimenti e la fenomenale organizzazione logistica che seguiva l’avanzata dei soldati sempre preceduta da terribili bombardamenti sul nemico. La superiorità aerea svolse inoltre un gioco determinante, tanto che per gli avversari muoversi di giorno era impossibile e solo a scapito di perdite di mezzi e uomini che, con il protrarsi del conflitto, diventavano impossibili da colmare.

Inoltre i rifornimenti degli opposti eserciti dell’Asse rimasero improntati molto sullo scatolame e sulla preparazione locale del rancio a danno sempre delle popolazioni occupate: all’inizio con atteggiamenti concilianti e risarcitori poi, con il deterioramento del conflitto, con comportamenti normalmente dediti alla razzia ed alla devastazione, di normale amministrazione giornaliera, culminati in episodi tristemente noti per la violenza e la inumana ferocia.

In questo ambito è fondamentale capire lo studio approfondito che fu svolto dalle industrie alimentari americane, per poter ben supportare il fante al fronte, lontano da casa migliaia di chilometri, e dargli il necessario apporto di calorie, in una giornata tipo, non certo da normale lavoratore di fabbrica o turista.

Sono famose, in assoluto, le varie dotazioni dell’esercito americano di ogni tipo di confezione, cioccolata, caramelle, sigarette ed ogni genere di conforto possibile, che furono di fondamentale supporto non solo per i combattenti ma anche per le popolazioni liberate nel corso del conflitto e nell’immediato dopo guerra.

La logistica americana prevedeva il celere rifornimento della prima linea ma l’efficienza dei trasporti navali dall’America, quelli su strada dietro il fronte ed il relativo approvvigionamento di benzina non prendevano in considerazione lo spostamento delle migliaia di tonnellate di viveri localmente scaricati, che venivano regolarmente abbandonati sul posto, in seguito all’avanzamento delle Divisioni sul campo di battaglia.

Questo fu di grande giovamento per alleviare, in parte, gli enormi patimenti delle popolazioni liberate e dar loro conforto, oltre a fornire una grande quantità di legname da bruciare per scaldarsi utilizzando le casse che originariamente contenevano i rifornimenti. Questa efficienza, inoltre, si esplicava nella possibilità del soldato al fronte di ricevere velocemente posta, giornali e generi di conforto dalle famiglie in America, spediti solo pochi giorni prima da casa con notevoli benefici sul morale.

A supporto di quanto detto, è giusto analizzare la base del rancio giornaliero del soldato americano, basato principalmente su confezioni di metallo, di vario genere e buona qualità, di dimensioni adatte al numero di uomini da nutrire. E’ normale trovare, nelle postazioni occupate da fanti americani, una vasta tipologia di resti di scatolame di carne, formaggi, marmellate sino al pesce e noccioline. Inoltre a supporto buste di caffè, vitamine e bevande solubili in acqua atte a dare al combattente rinnovate energie e conforto psicologico.

Tuttavia la vera base dell’alimentazione del soldato americano, soprattutto durante l’azione e lontano da altre vie di approvvigionamento, sono state le razioni K, costituite da scatole di cartone sigillate ed impermeabili, contenenti adeguati alimenti ad apporto calorico e generi di conforto necessari rispettivamente alla colazione, al pranzo ed alla cena.

Nella confezione marrone per la colazione erano contenuti: una scatoletta di prosciutto/uova/carne di vitello, una barretta di frutta, una confezione di caffè liofilizzato, biscotti, tre zollette di zucchero, gomme da masticare ed una piccola confezione di sigarette.

Ancel Keys

Nella confezione verde per il pranzo si trovavano: una scatoletta di formaggio/prosciutto, biscotti, latte in polvere, succo di frutta in polvere, tre zollette di zucchero. In quella blu per la cena venivano forniti: una scatoletta di carne di pollo o maiale con contorno di carote, patate o altri vegetali, biscotti, due barrette di cioccolata, zuppa in polvere o in cubetti, tre zollette di zucchero e fiammiferi. I fabbricanti erano vari ma quello più conosciuto ancora oggi è la Kellogg Company di Battle Creek in Michigan.

La razione K fu messa a punto nel 1941, su richiesta del Ministero della Guerra, dal nutrizionista Ancel Keys (K come Keys), docente della facoltà di medicina dell’università del Minnesota, studioso del legame tra grassi saturi e malattie cardiovascolari e sostenitore della dieta mediterranea. Le indicazioni erano chiare: progettare una razione giornaliera di tre pasti economica, tascabile, leggera (in termini di peso) e dall’alto valore calorico. Il suo scopo sarebbe stato nutrire i soldati lontani dal campo, in missione o in situazioni d’emergenza.

Il contenuto era composto da carne in scatola, biscotti, crackers, barrette di cioccolata o cereali, caffè in polvere, formaggio, frutta secca. Successivamente il National Reserach Council modificò leggermente gli alimenti suggeriti da Keys e fece alcune aggiunte fondamentali come: fiammiferi, sigarette, apriscatole, preservativi, carta igienica e pasticche per depurare l’ acqua. Il nuovo tipo di razione individuale doveva non essere deperibile e pronto per il consumo; doveva facilmente essere trasportato nelle tasche dei soldati nel corso di operazioni di combattimento di breve durata oltre a fornire le sufficienti calorie giornaliere (circa 2.830), per un periodo comunque non superiore ai 15 giorni.

Ancel Benjamin Keys nacque a Colorado Springs il 24 gennaio 1904 e morì a Minneapolis il 20 novembre 2004 due mesi prima di compiere 101 anni. In conclusione, appare assai chiaro che gli eventi terribili dei due conflitti mondiali, soprattutto il secondo, furono un insieme di eventi assai difficilmente ripetibili ai giorni nostri, nella forma in cui si svilupparono. La guerra è un periodo tremendo per gli uomini nel quale la tecnologia si evolve in maniera esponenziale con una velocità ineguagliabile in tempo di pace: qualcuno disse che ad ogni guerra si scoprono innumerevoli modi nuovi per uccidere il tuo avversario e questo è certamente un dato di fatto.

La tecnologia militare, come sempre, è trampolino di lancio per l’evoluzione dell’uomo in campi industriali civili e questo è ancora oggi valido in assoluto. Nei nostri tempi la vera guerra è combattuta su terreni economici e finanziari ma i focolai di ostilità tradizionali nel mondo sono ancora vari e inestinguibili. Spesso ancora oggi un soldato, durante una breve pausa del combattimento, estrae una busta di ultima generazione, contenente alimenti ad alto contenuto calorico, provando una breve ma intensa sensazione di conforto e pensando a come sarebbe bello mangiare cibo tradizionale nella sua terra, insieme ai suoi cari.

Ancel Benjamin Keys, ideatore della razione K, ne sarebbe giustamente orgoglioso … il sibilo di una pallottola proveniente dalla parte nemica cancella immediatamente questo intimo pensiero.

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